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Autore: Shallation    19/08/2013    1 recensioni
Disegnerei costellazioni immaginarie tra quei nei, inventerei una galassia solo per noi, una nuova nebulosa di stelle, il cui nucleo brucerebbe non di elio, ma della passione di questo momento.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sera a tutti!
Questa è una OS lampo nata da un ispirazione fulminea, niente di pretenzioso, solo la manifestazione tangibile di un pensiero ossessivo!

Buona lettura!

Glo





Odio le domeniche, tutta questa gente in festa, le famigliole che si mettono in ghingheri per onorare insieme un altro inutile giorno del Signore.
Quando vedo passare le giovani madri con i pargoli al seguito, il mio sguardo si sofferma sui capelli perfettamente leccati di quei bambini, così tirati da far apparire quei giovani volti simili ad alieni.
Ma ciò che la mia mente, probabilmente limitata non riesce a comprendere è la logica che spinge i genitori a vestire i loro figli completamente di bianco, in una parodia casereccia dell’assurda famiglia del Mulino Bianco.
Quanto dureranno quegli abiti immacolati addosso a quelle piccole creature?
Probabilmente io non capisco, non ho figli e non ne avrò mai.
Mentre sono perso in questi pensieri astiosi, i miei occhi si posano sull’ennesima giovane sposina che si avvicina a passi leggeri, prole mano per la mano.
La donna indossa un abitino leggero, credo che questa stoffa sia chiamata tulle o qualcosa del genere, in ogni caso è talmente trasparente da lasciare poco spazio all’immaginazione.
Sia ringraziato il Signore!
La giovane si avvicina al luogo dove mi trovo io, seduto e silente, passandomi accanto non si cura di me, nessuno lo fa mai, nessuno mi vede.
Anche lei, dopo un momento di esitazione prende posto insieme ai suoi bambini, da qui posso ammirare il suo profilo indisturbato.
Quello che sto rimirando è un volto deciso, imperfetto come le cose veramente belle. Il naso leggermente adunco sporge oltre una fronte bassa, solcata da piccole rughe orizzontali, segno che preoccupazioni precoci hanno intaccato la bellezza di quel viso.
Credo che osservando i segni che le espressioni quotidiane lasciano sulla pelle, si possa comprendere molto di una persona, eppure ciò non basta per giudicare la vita altrui.
Per esperienza diretta posso dire che difficilmente gli uomini sono realmente ciò che appaiono, la più intima essenza di ognuno è celata ai più.
Le mie iridi fameliche seguono il dipanarsi di quel volto, accarezzano l’arco di cupido che disegnano le labbra carnose, labbra fatte per essere baciate, labbra fatte per essere morse e torturate.
Più in basso il mento sfuggente segna il limite del mio viaggio, i miei occhi sono costretti a tuffarsi oltre il precipizio, per sfracellarsi senza rimedio sulle clavicole sporgenti.
Da laggiù, con l’ultimo sforzo del morente, il mio sguardo si leva sul collo bianco della donna e lì trovo il paradiso, nonché il mio inferno personale.
Che Dio mi perdoni, ma al momento sento di appartenere alle schiere dei peccatori, mentre pensieri impuri affollano la mia mente sconvolta.
Ogni centimetro di quella pelle d’alabastro mi si incide nella memoria, già adesso so che torneranno a tormentarmi nelle prossime notti, quando giacerò da solo nel mio letto.
La candida perfezione di quell’epidermide è interrotta da piccoli nei deliziosi, macchie di tempera sfuggite dal pennello di un artista distratto, rovinando il capolavoro… no, definendolo.
Perso nei labirinti oscuri del desiderio, mi lambicco il cervello immaginando di passare la mia lingua su quelle piccole macchie brune, suggendo la dolcezza di quel corpo arrendevole.
Disegnerei costellazioni immaginarie tra quei nei, inventerei una galassia solo per noi, una nuova nebulosa di stelle, il cui nucleo brucerebbe non di elio, ma della passione di questo momento.
Con uno sforzo sovraumano mi passo la mano sulla fronte madida e sulla testa calva, deglutisco a vuoto tentando di riacquistare un controllo latitante, nel bassoventre una parte di me troppo a lungo trascurata si risveglia, richiamando la mia attenzione.
Non posso farlo, non posso darmi sollievo, nemmeno se volessi potrei toccare quella zona così congestionata e dolente.
Mentre cerco di tenere a bada il mio corpo, ormai preda delle lusinghe di Lucifero, la donna detentrice del mio desiderio alza il mento verso l’alto, mettendo in tensione la pelle che ospita le piccole imperfezioni che tanto mi stanno turbando.
In quella posizione il collo teso mette in evidenza i vasi sanguigni, che irrorano ogni singola fibra di lei. Posso vedere distintamente la carotide pulsare, quel sottile ammasso di tessuto connettivo che la tiene in vita, si affanna in una corsa insensata, la cui meta è già decisa.
Vorrei poterle spiegare l’inutilità di quei battiti convulsi, in ogni caso ha già perso, contro la morte ogni resistenza è vana.
Immagino di passare le mie mani su quella pelle scoperta, sotto i polpastrelli palpo la pulsazione vitale, con lentezza passo le dita sul cordone venoso, premendo appena.
Poi in un eccesso di aggressività serro le dita intorno a quel battito galoppante, come il cuore di un uccellino finito nelle grinfie di un falco predatore.
Potrei stringere la presa e spezzare per sempre le ali frementi di quell’esserino, ponendo fine alla sua insignificante vita aerea, e questo mi darebbe un piacere immenso.
Quelle sensazioni violente e proibite dialogano direttamente con quella parte negletta di me, che preme sotto la stoffa nera e ruvida.
Scuotendo la testa cerco di tornare in me, non posso permettermi di perdermi per sempre nell’Averno, nessuno verrebbe in mio soccorso, nessuno correrebbe il rischio per una creatura così abbietta e corrotta.
Una voce mi riscuote dalle mie elucubrazioni: “Padre, posso confessarmi?”
Senza indugio mi sistemo l’abito talare e poso il mio sguardo, ora benevolo, sulla donna dal vestito leggero e con un sorriso amorevole rispondo: “Prego figliola, la casa del Signore è sempre aperta."
  
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