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Autore: Melisanna    24/02/2008    5 recensioni
Ti devo salvare, Rukia, altrimenti lo rimpiangerò per tutta la vita.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kuchiki Ruchia, Kurosaki Ichigo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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World in my eyes

Questa breve one-shot è ambientata alla fine del quattordicesimo volumetto del manga. Mi è venuta di getto e non ho proprio potuto fare a meno di scriverla.

Partecipa al contest indetto da Mak-chan sul forum di efp, sul tema dell'album Violator dei Depeche Mode. Il titolo è tratto, secondo le regole del contest, da una canzone dell'album "World in my eyes" . Il brano da "Ti avrei mostrato quel mondo" a "l’odore della neve" è una molto libera interpretazione di un brano della canzone stessa.

Buona lettura e lasciatemi sapere cosa ne pensate.

Continuo a ripeterlo, a tutti quelli che incontriamo, a tutti quelli che cercano di fermarmi. Di impedirmi di raggiungerti. Ma, soprattutto, continuo a ripeterlo a me stesso.

Che sto cercando di salvarti, perché ti devo la vita, perché sono in debito con te.

Ed è vero, Rukia, assolutamente vero, stupida ragazza, che sono in debito con te, che ti devo la vita.

Come puoi credere il contrario, testa vuota che non sei altro? Tutte le volte che ricordo il modo in cui ti sei parata davanti a me per proteggermi, non una, ma due volte, mi vergogno di me stesso, per essere stato così debole da costringerti a questo, per non essere stato capace di impedirtelo.

Dove trovi tutta quella forza, quel coraggio, quell’energia, in quel corpo minuto?

Per questo devo venire a tirarti fuori di là e riportarti indietro: per ripagare il mio debito e cancellare questa macchia sul mio onore. Non ho bisogno di altre ragioni.

Dormirai di nuovo nel mio armadio, Rukia, se lo vorrai. Quei futon aspettano solo te. Certo, adesso che so che appartieni a una famiglia nobile, seppur per adozione, mi sento un po’ in imbarazzo a pensare che ti ho permesso di alloggiare dentro quel buco. Non ti sei mai lamentata. Non quando ti impedivo di usare il bagno, perché c’era il pericolo che qualcuno ti vedesse, non quando ti costringevo ad alzarti prima, per non arrivare a scuola insieme e non destare sospetti, nemmeno quando ti portavo soltanto un po’ di riso bianco per cena.

Allora non pensavo a quanto dovesse essere disagevole per te, vivere nel mio armadio. Pensavo solo a quanto fosse disagevole per ME.

Tu, invece, hai sempre pensato a me, ogni volta. Non hai fatto altro che aiutarmi, da quando ci conosciamo. Fino a sacrificarti per la seconda volta.

Ichigo… che stupido nome. Non riesco mai a proteggere nessuno; sono sempre gli altri a proteggere me.

Ti devo salvare Rukia, perché sono in debito con te. E’ inevitabile.

Eppure, anche se tu non mi avessi mai salvato, starei correndo verso di te.

Non ne potrei fare a meno, perciò, vedi, dover ripagare il mio debito, in verità, non è che una scusa, per quest’urgenza che sento, di riaverti accanto a me.

La ragione per cui devo salvarti é la stesso per cui deludo sempre Inoue.

Tu sei l’unica persona al mondo, che proteggo per me stesso. E’ per egoismo che vengo ad aprire le porte della tua prigione, per egoismo che affronto i tuoi guardiani, per egoismo che tento di liberarti dalle tue catene.

Ho bisogno di immaginare il tuo respiro e il battito del tuo cuore, oltre le ante di quell’armadio, riempire tutta la stanza e cullare il mio sonno, ogni notte.

Una melodia che pulsa lenta e regolare, dolce e rassicurante, che si diffonde nell’aria e mi avvolge, placa i miei timori e le mie incertezze. Mi fai sentire forte, Rukia, coraggioso e giusto con un solo sguardo di quei tuoi occhi immensi. Soltanto mia madre riusciva a farmi sentire così.

Quando tu dormivi in quell’armadio, per la prima volta dopo anni, non mi sentivo sbagliato e incapace.

Ho bisogno di sentirmi di nuovo in questo modo.

Nei tuoi occhi si rispecchia Ichigo, come non lo vedo da nessun’altra parte, nei tuoi occhi grandi e seri.

Ti devo salvare Rukia, perché ho bisogno di te. E’ inevitabile.

Ogni notte giacevo supino sul letto e guardavo il soffitto e pensavo. Pensavo ai lenzuoli che si sollevavano al ritmo del tuo respiro, al tuo corpo sottile avvolto dal pigiama di Yuzu, ai tuoi occhi sempre vigili, finalmente chiusi.

Non so quando ha cominciato a succedere, quando all’imbarazzo iniziale di avere una sconosciuta che dormiva a pochi metri da me, si è sostituita una piacevole tranquillità all’idea che tu fossi lì vicina. Mi pare di non aver provato altro fin dalla prima notte, poi mi dico che non può essere così, che, sicuramente, le prime volte, mi sentivo a disagio a saperti addormentata nel mio armadio.

Eppure non riesco a ricordarmi quella sensazione, posso credere di aver provato qualcosa del genere, ma mi sembra di aver vissuto quei momenti dall’esterno.

Non poteva essere lo stesso Ichigo che sono adesso, quello che considerava una fastidiosa seccatura l’idea che tu fossi lì vicino, perché l’idea che tu non sia lì, mi fa a pezzetti il cuore, con tale violenza da spezzarmi il respiro.

Avrei voluto essermi alzato, una di quelle notti, quando ne avevo ancora la possibilità.

Avrei aperto l’anta del tuo armadio e avrei aspettato. La luce pallida della luna, che filtrava dalla finestra, si sarebbe insinuata nelle tenebre del tuo riposo e ti avrebbe svegliata.

Cosa avresti fatto allora, Rukia?

Spero che ti saresti voltata verso di me, socchiudendo quei tuoi occhi così grandi, così limpidi, così luminosi da abbagliarmi ogni volta.

“Cosa c’è?” mi avresti chiesto “Hai avvertito la presenza di un Hollow?”. Avresti subito pensato a un Hollow, ne sono certo: sei così concentrata sui tuoi doveri da scordarti di te stessa. Ti scordi persino di preoccuparti per la tua vita, tanto più facilmente ti scordi dei tuoi bisogni e dei tuoi sentimenti.

Se tu mi avessi parlato così, io non avrei risposto, mi sarei limitato a scuotere la testa e a guardarti negli occhi e a sperare che, nei miei occhi, tu riuscissi a leggere tutto quello che avrei voluto dirti e che non avrei avuto, ne mai avrò, il coraggio di dire.

Avrei lasciato che tu, nei miei occhi, ti vedessi come io mi vedo nei tuoi.

Ti avrei mostrato quel mondo che tu ti ostini a osservare da dietro una lastra di vetro, quel mondo che non vuoi vivere, ma solo proteggere.

Quel mondo di cui non ti rendi di far parte ormai, che tu lo voglia o no.

Non avresti dovuto nemmeno muoverti, solo star ferma e distesa e lasciare viaggiare la tua mente.

Ti avrei parlato con uno sguardo e con tutto il mio corpo, di quanto sia dolce la pioggia estiva sulla pelle, di quanto una giornata senza nubi, in inverno, può farti sentire felice, di quanto ti può sconvolgere il rumore della risacca e di come ti può entrare nel cuore l’odore della neve.

Avrei desiderato farti provare ognuna di quelle sensazioni, perché tu sei così per me, sei la pioggia sulla pelle e il sole che illumina i miei giorni più bui, sei il canto del mare e il profumo della neve.

Avresti capito allora? Spero di sì.

Così avrei potuto chinarmi, appoggiare le mie mani sul cuscino, accanto al tuo viso e baciare la tua fronte da bambina, per assaggiare per la prima volta il sapore della tua pelle, così emozionato da non riuscire quasi a respirare.

Avresti chiuso gli occhi? Avresti tremato appena, sentendo il tocco delle mie labbra, l’incombere del mio corpo sul tuo? Avresti sollevato il tuo viso delicato verso di me, in muta richiesta di qualcosa che non avevi mai provato?

Spero che avresti lasciato le mie labbra accarezzare le tue tempie, scendere lungo i tuoi zigomi, giocare con l’angolo della tua bocca rosea, assaporando la dolcezza della tua pelle.

Sei così forte, Rukia, da farmi desiderare di abbandonarmi a te, eppure così fragile da far nascere in me un desiderio di proteggerti come nessuno mi ha fatto mai provare.

Questo ti avrebbero sussurrato le mie labbra, nello sfiorare il tuo viso, disegnando i tuoi lineamenti minuti.

Mi pare di poter sentire il sospiro un po’ ingenuo che ti saresti fatta sfuggire, di spavento e di piacere.

Sei tanto più vecchia di me, eppure, mi pare che, in queste cose, tu debba essere inesperta come una bambina.

Ti avrei guardata di nuovo negli occhi, in quel momento, per potermi godere quella tua espressione mai vista e sarei stato felice e orgoglioso, così tanto che il cuore avrebbe rischiato di scoppiarmi, all’idea di essere stato io, a farti sentire così.

Ad essere io, che tu guardi come un uomo, che tu guardi con affetto e desiderio e fiducia.

Ti avrei baciato con tutta la reverenza che si offre a una dea e la delicatezza con cui si stringe un calice di cristallo.

Vorrei chiudere gli occhi e ricordare come avresti reagito, invece di doverlo immaginare.

Vorrei ricordare il fremito del tuo respiro e il velluto delle tue guance, il contatto con le tue labbra e il calore della tua bocca.

Non avresti detto niente, spero, ti saresti limitata a liberare le braccia dalle lenzuola e a stringermi le spalle, un po’ imbarazzata dalle tue stesse emozioni. Avresti lasciato scorrere le mani tra questi miei capelli arancioni e sarebbe stato bello pensare che tu, tu sola, li trovassi attraenti. Mi scorre un brivido, piacevole e crudele, lungo la schiena, quando penso alle tue dita sottili che mi accarezzano la nuca.

So già che quel tocco mi avrebbe fatto perdere la testa, completamente, mi avrebbe fatto desiderare di stringere così forte quel tuo corpicino da rischiare di romperlo. Mi avrebbe fatto battere il cuore così forte da non riuscire a respirare.

Avrebbe acceso un calore fremente dentro di me, che sarebbe sceso fino a farmi bruciare le dita della mani e dei piedi. Lo so, perché al solo immaginarlo, già lo provo.

Avrei avuto bisogno di tutto la mia forza, allora, per controllarmi, per non strappare via le coperte e morderti il collo e strigerti i seni con tutta la violenza della mia passione.

Invece ti avrei chiesto, piano, con la voce un po’ roca per l’emozione e il desiderio trattenuto “Posso stendermi accanto a te?”.

Tu avresti annuito, abbassando il volto una sola volta, vergognosa. Avresti sollevato appena le coperte e mi avresti lasciato entrare nel tuo letto. Saresti arrossita un po’ e, anche se le tenebre avrebbero nascosto il tuo rossore, io lo avrei saputo comunque.

Ti avrei baciato ancora, accarezzandoti le guance e il collo. Non avrei voluto che tu facessi nulla, oltre a lasciarti baciare, perché per una volta, avrei voluto essere io a insegnare a te, a mostrarti ciò che non sapevi vedere.

Piano, piano mi sarei sdraiato su di te, appoggiandomi sui gomiti, per non schiacciarti. Sentirti con tutto il mio corpo, sentire il battito del tuo cuore attraverso la pelle, il tuo torace che si sollevava sotto al mio, come sarebbe stato?

So che il mio respiro si sarebbe fatto affannato e il tuo? Spero di sì, almeno un poco. Spero che i tuoi occhi si sarebbero fatti di una tonalità di blu ancora più intensa di quella che già li contraddistingue, mentre io avrei affondato le dita nei tuoi capelli di seta e la lingua nella tua bocca.

Avrei lasciato scendere le mani lungo il tuo collo e sulle tue spalle, avrei disegnato la linea delicata delle clavicole con le dita e sbottonato i bottoni del tuo pigiama uno ad uno. Avrei lasciato scivolare le mani intorno alla tua vita sottile, baciando i tuoi seni così piccoli, ma così perfetti.

Avrei ascoltato ogni tuo sospiro, ogni tuo sussurro. Ti avrei mostrato con il mio corpo, ciò che non sono in grado di dirti a parole e spero che tu avresti risposto concedendomi di vedere, quello che di te, nascondi a tutti gli altri.

E finalmente la pioggia avrebbe smesso di cadere.

Ma non l’ho fatto, perché sono stupido e vigliacco. Non l’ho fatto e lo rimpiangerò per tutta la vita, se avessi perso per sempre l’occasione.

Ti salverò Rukia e ti riporterò indietro.

Dormirai di nuovo nel mio armadio e, questa volta, mi alzerò, veramente, e aprirò le ante e ti mostrerò il mondo nei miei occhi.

Ti devo salvare perché non posso vivere senza di te, Rukia. E’ inevitabile.

  
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