Gli era stato ripetuto che tutto sarebbe finito prima o poi, e puntualmente annuiva. Ogni giorno non dimostrava affetto; ogni giorno non salutava e abbracciava i suoi cari. Aveva vergogna di risultare troppo attaccato alla famiglia, non voluto. Aveva paura di cogliere alla sprovvista l’abbracciato, della sua reazione. Non prese mai consapevolezza di ciò che volesse significare quella frase. “Tutto finirà”. Uno dei soliti luoghi comuni, una delle cose che si apprendono nei primi anni di vita. La morte ci sorride sin da bambini, è vero, cionondimeno non bisogna andare avanti fingendo di aver compreso. Tutto crolla in natura: che sia una frana, che sia una mansarda, che sia la più accreditata teoria scientifica, che sia un governo, che sia una persona, una vita. Tutto finisce. Quella volta glielo dissero nuovamente: lui annuì preso dall’abitudine, l’egoista copilota umano; non si voltò neppure. Poi effettivamente finì. La morte gli sorrise in guerra e da cecchino fece calare il silenzio lentamente su tutti quelli stretti dal suo affetto recondito. Li colpì uno per uno, con un colpo sordo. Ogni bossolo restò impiantato per sempre nel suo cuore. Capì che tutti non sarebbero più ritornati. Mise in conto la possibilità di non poter più rinascere. Diede finalmente il giusto peso al valore della vita. Alla fine si tratta sempre di dare il giusto peso alle cose: è questo che ci rende differenti. Gli uscì una lacrima ricolma di collera e di ferite.

I nervi crollarono.