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Autore: katvil    20/08/2013    5 recensioni
"Io ti amo, ma non posso continuare così. Se rimani questa volta, non dico che debba essere per sempre, ma ti voglio qui domani al mio risveglio. Ho bisogno di averti accanto, di viverti giorno dopo giorno, di sapere che sei mia e di nessun altro. Ho bisogno di respirare l’aria che respiri ogni giorno, non solo per una notte perché adesso non mi basta più. In verità non mi è mai bastato, ma mi sono sempre detto che era meglio averti per metà piuttosto che non averti per niente. Adesso basta: devi prendere una decisione. O stai con me o esci da quella porta per non tornare più perché mi sono fatto già troppo male con questa storia e adesso non ho più la forza di continuare così.".
Nik, Laura, il loro amore tormentato e la musica dei Jumpin' Frog. Cosa ne uscirà?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lo sò che il mio amore è una patologia'
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We've been slaves to this love
From the moment we touched
And keep begging for more
Of this resurrection[1]

“E anche per oggi è fatta.”
Tommy chiude la grata e gira la chiave nella toppa della porta del bar sbuffando: un’altra giornata di lavoro è finita e adesso può correre al suo garage e chiudersi in quel mondo fatto di note che lo fa sentire vivo. Prima o poi arriverà l’ultima grata da tirare, l’ultima porta da chiudere e potrà finalmente sentirsi davvero libero. Si guarda intorno per controllare che tutto sia a posto, inserisce l’allarme, da un ultimo colpo di spugna al bancone poi si avvicina al tavolino dove sono seduta da un po’, sposta una sedia e si siede di fianco a me.
“Allora Laura, hai deciso di dormire qua o vuoi venire a farmi compagnia al garage?”
“Sarai solo?”
“Si, tranquilla. Nik e gli altri stasera hanno la serata libera: devo sistemare alcuni testi che non mi convincono e quando sono preso dall’estasi creativa è meglio che gli altri ragazzi se ne stiano alla larga.”
Scoppia a ridere, si alza, prende una bottiglia di Jack Daniel’s dallo scaffale poi mi guarda.
“Allora che fai?”
“Va bene, vengo con te. Tanto non è che abbia delle grandi scelte poi sono curiosa di vedere il genio al lavoro.”
Mi guarda con un sorriso amaro e uno sguardo malinconico e insieme ci dirigiamo verso la porta che dà sul retro. Percepisco che c’è qualcosa che non va: quello che ho davanti non è il solito Tommy sbruffone e sicuro di se. E’ pensieroso, serio, come se avesse un peso dentro.
Il garage dista un centinaio di metri dal bar e in pochi minuti siamo lì. Tommy apre il portone ed entriamo. Mi siedo in un angolo e rimango a osservarlo mentre alterna annotazioni su un blocco per appunti a strimpellamenti con una chitarra acustica fumando e bevendo dalla bottiglia che si è portato dal bar. Stranamente è piuttosto silenzioso: è difficile vedere così proprio lui che ama deliziarci con i suoi monologhi e sfoderare la sua parlantina. Non capisco se sia solo una conseguenza dell’estasi creativa, come l’ha chiamata lui, o se ci sia dell’altro.
D’un tratto straccia tutti i fogli su cui aveva scritto, lancia la chitarra in un angolo, spegne la sigaretta gettandola e pestandola nervosamente poi si siede a terra. Piega le ginocchia portandosele vicino al petto, ci si appoggia con i gomiti e si passa le mani tra i capelli. Si volta verso di me con uno sguardo smarrito: i suoi occhi azzurri, sempre vivi e così attenti al mondo, hanno una luce spenta, sono come offuscati da lacrime che vorrebbero scendere, ma che restano lì, sospese tra le sue ciglia.
Scende uno strano silenzio nel garage dove l’aria odora di sigaretta mista ad alcol. Dopo un po’ mi decido a parlare per rompere la tensione.
“Tommy, è tutto a posto?”
“Tutto a posto… mi chiedi se è tutto a posto… Non lo so Laura. Ecco, sei riuscita a trovare una domanda alla quale Tommaso Riccoboni non riesce a rispondere.”
Accenna un sorriso ironico, ma il suo sguardo è perso. Prende un altro sorso di Jack Daniel’s, sospira poi alza lo sguardo verso di me.
“Laura… credi davvero che prima o poi riuscirò a dare una svolta alla mia vita? Ho quasi quaranta anni e mi sento come se non avessi concluso niente di buono. Certo, ho un bar che gestisco e va abbastanza bene, non mi posso lamentare, ma sento che questa vita inizia ad andarmi stretta. Non è quello che voglio. La mia vita non è servire cappuccini: io voglio stare su un palco, vivere della mia arte. Credi che ce la farò?”
Vedere Tommy così insicuro mi stranisce: per qualche minuto non riesco a rispondergli, rimango attonita a guardare i suoi occhi così diversi dal solito. Non mi aspettavo un discorso del genere proprio da lui. E’ sempre così spavaldo, sicuro di quello che fa. E’ lui che prima dei concerti incoraggia i ragazzi a salire sul palco e spaccare tutto. Anche quando le cose con Jumpin’ Frog non andavano benissimo, è stato sempre lui a cercare Francesco e Nicola, a inserirli nella band per cercare di dare una svolta a quella che è la parte più importante della sua vita, quella alla quale ha sempre detto di non poter rinunciare perché sarebbe come negarsi l’aria che respira. Ed è sempre lui che s’incazza quando i ragazzi non s’impegnano come dovrebbero con la band o quando li vede scoraggiati.
Mi alzo e vado verso di lui poggiando una mano sulla sua testa come farebbe una mamma con il suo piccolo deluso dalla prima caduta in bicicletta. Mi abbasso e mi siedo al suo fianco carezzando i suoi capelli biondi e cerco di parlargli col tono più rassicurante che mi possa uscire.
“Certo che ce la farai. Tommy, tu sei una vera forza della natura, sei nato per stare su un palco. Hai carisma da vendere e vedrai che prima o poi arriverà anche il momento per te di spiccare il volo.”
Mi guarda, ma non sembra molto convinto di quello che ho appena detto poi torna a rivolgere lo sguardo alla bottiglia e se la porta alle labbra per un ultimo sorso. Torna a voltarsi verso di me.
“Sei sicura Laura che ce la farò? Perché io non sono più sicuro di niente, neanche del fatto che valga ancora la pena farmi il culo con la band.”
“Ma che dici Tommy? Ma non vedi che ai concerti c’è sempre più gente? E dopo tutti si affrettano al banchetto dei gadgets per comprare il vostro cd. Poi non sei tu quello che dice sempre che dobbiamo avere il coraggio di seguire i nostri sogni?”
Gli appoggio una mano sulla spalla e lo stringo a me. Lui si appoggia al mio fianco destro, la testa piegata sulla mia spalla.
“Ti fa star bene quello che fai con i Jumpin’ Frog?”
“Certo che mi fa star bene: è l’unica cosa che mi fa sentire vivo.”
“E allora vivila: non scappare da quello che ti fa star bene, vivi al massimo le tue passioni e vedrai che prima o poi anche il mondo si accorgerà di voi.”
La sua espressione cambia e negli occhi rivedo la luce che conosco bene e che li anima da sempre.
“Forse hai ragione… Non potrei mai mollare la musica, lasciar perdere tutto. I Jumpin’ Frog sono la mia vita ed è qua, in questo garage o su un palco, che sento davvero di essere a casa, di essere vivo. Prima o poi anche il mondo si accorgerà dei Jumpin’ Frog e allora si che dovrete avere paura perché non ci fermerà nessuno.”
Il suo sguardo è puntato in avanti, verso un punto nell’infinito, e sulle labbra disegna un sorriso sghembo dei suoi. Mi abbraccia e rimaniamo lì, seduti sul pavimento freddo di quel garage pieno di sogni. Dopo qualche minuto prova ad alzarsi, anche se le gambe non lo reggono molto: forse avrebbe dovuto chiudere con il suo amico JD prima di vedere il fondo della bottiglia.
“Si è fatto tardi, io vado verso casa che domani alle 4 ho la solita cazzo di sveglia che suona e comunque sono troppo ubriaco per concludere qualcosa. Tu che fai?”
“Non lo so… andrò un po’ in giro: è un po’ che non mi faccio una passeggiata per la città, soprattutto da quando mi sono trasferita. Mi manca rivedere i posti che sento miei.”
“Ok.. domani mattina ti rivedrò al bar?”
“Non credo, sai che non mi va di fermarmi troppo a lungo da queste parti…”
“Ancora pensi ad Andres o è qualcun altro il problema?”
Abbasso gli occhi e rispondo “Un po’ tutti e due…”
"Va bene…”
Capisce che non è il caso di proseguire oltre: non è un discorso che amo affrontare...
Usciamo dal garage e Tommy chiude il portone.
“Allora ciao… ci vediamo presto…”
Lo saluto mentre un silenzio imbarazzante scende tra di noi.
“Ciao Laura… alla prossima…”
Si volta e s’incammina verso casa sua. Pochi passi poi si ferma e torna a volgere lo sguardo verso di me.
“Laura, forse dovrei farmi i cazzi miei e magari sto sbagliando dicendoti queste cose, ma attenta a quello che fai con Nik. Lo stai facendo soffrire e se gli vuoi bene evita di andare da lui: prima cerca di fare chiarezza dentro di te, di capire cosa vuoi veramente. Nicola non si merita di essere trattato così, lo sai bene anche tu.”
Il suo sguardo si ferma per un attimo nel mio poi si torna a voltare e continua la sua camminata storta verso casa tenendosi rasente il muro per non rovinare a terra.
Vorrei rispondergli, ma le parole mi muoiono in gola, anche perché mi rendo conto che non posso aggiungere altro: ha ragione, ha maledettamente ragione. L’aria fresca della notte mi punge il viso, ma non mi dispiace. Le strade sono deserte, giusto una qualche auto che passa a interrompere il frinire dei grilli. Mi stringo un po’ nelle spalle mentre cammino persa nei miei pensieri. Le parole di Tommy mi risuonano nella testa “attenta a quello che fai con Nik. Lo stai facendo soffrire e se gli vuoi bene evita di andare da lui: prima cerca di fare chiarezza dentro di te, di capire cosa vuoi veramente”. So benissimo che Nik sta male, che ogni volta che ci vediamo si rompe qualcosa dentro di lui, ma allo stesso tempo non posso fare a meno di vederlo. Sono come schiava di lui, del suo bene, dell’unica persona che sento davvero mia, anche se solo per qualche ora. Ho bisogno di lui, di sapere che anch’io ho il mio porto sicuro dove tornare. Poi mi tornano in mente le parole che ho detto a Tommy. “Non scappare da quello che ti fa star bene”. Sono stata proprio io a dirlo? Chissà perché siamo sempre bravi a dare consigli agli altri, ma quando si tratta di noi stessi siamo sempre confusi e scegliamo le strade più sbagliate.
Camminando non mi accorgo neanche che sono arrivata sotto il palazzo dove abita Nik. Guardo le finestre: la luce è accesa, chissà se è a casa solo o se c’è anche Frank. Vedo un’ombra avvicinarsi alla persiana e mi nascondo dietro l’angolo. Dopo poco lo vedo affacciarsi mentre Frank e Fra escono dal portone di casa.
“Frank ricordati di portarmi la colazione domani: cappuccino e due brioches!”
“Agli ordini Signor Cavezzi! Desidera altro? Perché sa che io e la mia Signora siamo a Suo totale servizio.”
“Smettila di fare il cretino. È il minimo che mi devi dopo che vi ho preparato la cena. Poi mi lasci sempre solo perciò devi farti perdonare. Portami la colazione e non rompere!”
“Va bene mio Signore della Cucina!” Poi fa un inchino e si mette a ridere: amo la risata di Francesco, così rumorosa e contagiosa che è inevitabile sorridere sentendola. Mi mancano le nostre chiacchierate, i suoi abbracci così avvolgenti, mi manca il mio fratellone, ma non potevo pretendere che le cose tra noi non cambiassero dopo tutto il casino con Nicola. Una lacrima scende a rigarmi il viso e mi sale il groppo in gola pensando a tutte le volte che sono corsa da lui per cercare quelle parole di conforto che solo Frank è in grado di trovare. Poi la voce di Nik mi riporta alla realtà.
“Ma sarai scemo? Vai prima che la tua bella si congeli. Ci vediamo domani da Tommy barbone.”
“A domani coglione!”
Le loro risate risuonano nell’aria: sono così cristalline e un po’ sento d’invidiarli per questo rapporto che hanno.
Vedo Frank e Fra allontanarsi e sparire dietro l’angolo mentre Nik rimane alla finestra a scrutare il cielo: i capelli biondi leggermente mossi dal vento, gli occhi resi luminosi dal riflesso delle luci della città. Rimango per qualche minuto rintanata nel mio angolino a osservarlo: è così bello e sereno. Poi le gambe iniziano a muoversi, come attirate da una forza incontrollabile e mi ritrovo sotto quella finestra a guardarlo col naso in su. Non si accorge subito della mia presenza, impegnato a scrutare il cielo, poi abbassa lo sguardo e i suoi occhi incontrano i miei.
“Laura..”
I suoi occhi cambiano improvvisamente e la sua espressione gli disegna sul volto tutto lo stupore di trovarmi lì.
Resto a guardarlo, incapace di pronunciare anche solo una parola. I secondi scorrono lenti come se fossero ore, giorni mentre fisso quegli occhi azzurri che mi stanno scrutando dall’alto.
“Sali.”
Solo una parola che suona perentoria, quasi un ordine. Lo vedo rientrare, chiudere la finestra e dopo poco sento lo scrocchiare della serratura del portone che si apre. Lo spingo ed entro. Mentre salgo le scale, sento una strana ansia crescermi nello stomaco e il cuore inizia a battermi all’impazzata. Ad ogni gradino mi assale un misto tra la voglia di perdermi tra le braccia di Nik e il desiderio di scappare via. Arrivo davanti alla porta che si apre e me lo trovo lì, a petto nudo, con i jeans sui fianchi e i capelli spettinati che gli ricadono sugli occhi.
Mi fa entrare e richiude la porta alle nostre spalle. In un attimo tutti i pensieri se ne vanno e sento solo la voglia di abbracciarlo, di stringerlo tra le mie braccia e baciarlo con passione come tutte le altre volte. Ma questa sera c’è qualcosa di diverso in lui. A un tratto le lacrime che trattiene a fatica offuscano i suoi splendidi occhi azzurri, quegli occhi che mi hanno sempre stupito per la capacità di essere luminosi in ogni circostanza. Si avvicina, le sue labbra sulle mie ad annullare qualsiasi distanza tra di noi.
"Laura... Dimmi che questa volta non te ne andrai, che domani al mio risveglio sarai ancora qua. Ho bisogno di sentirmelo dire perché così non ce la faccio più. Quando ti vedo davanti alla mia porta, spero sempre che tu sia tornata per restare, ma quando mi sveglio e non ti trovo sto male. Mi fa male non sapere dove sei, cosa fai, se e quando tornerai. Ogni volta che esci da quella porta una parte di me viene con te. Ho bisogno di te, di averti qui con me."
Pronuncia queste parole tutte d'un fiato, come se sapesse che fermandosi anche solo per respirare non sarebbe più riuscito a dirmele. I suoi occhi fissi nei miei feriscono più di mille pugnali. Mi fa male vederlo così e sapere che la causa di tutto sono io.
Lo stringo a me. Lui appoggia la faccia sulla mia spalla. Sento il suo cuore battere e le lacrime bagnare la mia maglietta.
"Nik... abbracciami... ho bisogno del tuo abbraccio, di sentirti vicino. Non pensare a domani, viviamo ora, in questo momento."
Alza il viso: i capelli spettinati a coprirgli appena gli occhi ancora velati dal pianto. Rimaniamo così, a guardarci per alcuni minuti. Poi le sue mani s’insinuano sotto la mia maglia e me la sfilano. Mi abbraccia così stretto che per un attimo penso voglia entrarmi direttamente nello sterno. Sento la sua pelle contro la mia, il battito del suo cuore così accelerato che sembra uscirgli dal petto. Poi mi bacia: le sue mani a cercare la mia pelle, le mie a cercare la sua. Ci spogliamo e facciamo l’amore, ancora una volta in silenzio, senza dire una parola perché, per motivi diversi, entrambi abbiamo paura di quello che l’altro potrebbe dire.

Mi sveglio e sono tra le sue braccia. Mi volto appena per guardarlo cercando di non svegliarlo. Con lo sguardo percorro tutto il suo corpo: i capelli che ricadono sul cuscino, gli occhi chiusi, la sua schiena che si muove al ritmo del respiro. Sento come uno strano calore provenirmi da dentro: starei ore a guardarlo, ma non posso. Devo uscire da questo letto, da questa stanza prima che si svegli perché se solo incrociassi il suo sguardo tutto sarebbe più difficile. Cerco di sollevare il suo braccio e lentamente scivolo fuori da quell’abbraccio, da quel calore che solo Nicola sa darmi, ma dal quale devo fuggire perché ho troppa paura che si trasformi in un incendio e di bruciarmi. Mi rivesto e prendo uno dei tanti foglietti che ha sparsi sulla scrivania.

Ciao Nik,
come vedi non sono riuscita a restare neanche questa volta.
Lo so che ti sto facendo del male. Se puoi perdonami, ma se restassi te ne farei di più.
Tornerò, lo sai che tornerò, non posso farne a meno.
Non so se ti troverò ancora ad aspettarmi. Non me lo merito e soprattutto tu meriti molto di più.

Ti voglio bene
Laura

Poi esco e scendo le scale velocemente, senza voltarmi perché se mi fermassi anche solo a guardare quella porta il desiderio di perdermi ancora una volta tra quelle braccia potrebbe avere la meglio ed io non voglio, non posso permettermi di abbassare del tutto le mie difese, non ancora. Chiamo un taxi e torno a casa, in quell’appartamento dove fuggo lontano da tutto e da tutti, dove non mi sento così vulnerabile come quando sto con Nik.
 


[1] Frase tratta dal brano “Resurrection” degli Him



Allora? Siete arrivati in fondo a questo delirio o vi siete addormentati prima? Spero siate arrivati fin qua... In questo capitolo ho dato un po' di spazio a Tommy e ai suoi dubbi, alle sue paranoie alcoliche. Piano piano penso di dare un po' di spazio a tutti i Jumpin' Frog, per la gioia di cla_mika che vorrebbe conoscere Giacomino ahahahahha!
Che dire? Ringrazio come al solito la mia pisella 
Heaven_Tonight, la cognatina virtuale _TheDarkLadyV_   che non mancano mai e la new entry non che mia gemellina musicale cla_mika e ringrazio anche chi passa, legge, ma non commenta (fatevi vivi però ogni tanto, almeno vedo che ci siete). Sperando che la Musa non faccia i capricci, ci leggiamo "very soon" XD
 
   
 
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