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Autore: Greyheart    20/08/2013    1 recensioni
Agata e Bianca sono due giovani scrittrici, amiche da sempre, e non potrebbero essere più diverse: l'una schiva e pensosa quanto l'altra è esuberante e vitale, si vogliono bene proprio perché si completano, e condividono il sogno di pubblicare, un giorno, i romanzi che scrivono a quattro mani. Quando però Agata viene a trovare Bianca in Irlanda, dove si è trasferita dopo la laurea, il destino decide di prenderle per mano: tra le colline dell' Isola di Smeraldo, le due amiche incontreranno misteriose suonatrici d'arpa, cuoche dal sapore di magia, e, forse, anche l'amore. Quindi sedetevi qui, tra le nubi verdi dei trifogli, e lasciatevi trascinare dalla storia di due spiriti che scopriranno quanto il mondo, e l'umanità, possa essere incantato.
Aggiornamenti settimanali, soprattutto se incitati da recensioni.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 4

Ricordi e polvere di cacao


Bianca


Mentre aspetto Fiona, mi lancio ancora un'occhiata nello specchio offuscato appeso sopra il tavolo, lo stomaco deliziosamente serrato da un miscuglio di eccitazione e timore. Ho tentato, con un successo piuttosto parziale, di domare i miei riccioli rossi in un grazioso fermaglio di giada, un dragone che si contorce sotto le luci del pub. Il vestito, di un verde appena più scuro dei miei occhi, si increspa intorno alle gambe come una corolla color smeraldo. La stanza di legno è impregnata di fumo e risate, l'odore un intreccio di sigarette, frittelle e uomini, ma lo amo come l'ho amato il primo giorno che mi ci sono avventurata: è stato qui che i miei amici mi hanno accolto nel loro gruppo, è stato qui che ho imparato quanto questa terra sappia accogliere e riscaldare. Per questo stare qui è come muoversi sotto lo sguardo benevolo di una massaia Irlandese, il suo abbraccio ruvido e generoso ad un tempo. Cerco di attingere a quella forza, mentre giocherello con il sottobicchiere della mia pinta. Poco dopo alzo gli occhi, e lei è lì.

Porta un morbido abito di lana azzurra che esalta lo zaffiro profondo del suo sguardo, e un velo di lucidalabbra color pesca.

È elegante, è bellissima, ed è venuta per me.

Si avvicina al tavolo, e mi sorride. Io rispondo, senza che nessuna delle due trovi necessario stordire l'altra di parole. È una dolcezza segreta, che scorre per un attimo nelle vene.

-Ciao, tesoro, scusa il ritardo.- mi saluta Fiona, chinandosi verso di me per sfiorarmi con un lieve bacio la guancia: le sue labbra lasciano un' impronta di fuoco, e quando si avvicina colgo il suo odore di sole e polvere di cacao.

-Niente, figurati. Problemi in ufficio?-

Sospira. -Non esattamente, ma il capo ha di nuovo tirato fuori una delle sue idee balzane e mi sta facendo impazzire: non fa che convocarmi, urlarmi contro e richiamarmi di nuovo- spalanca gli occhi – quell'uomo non lo capirò mai.-

Ridacchio, bevendo un sorso di birra. Attiriamo l'attenzione di un cameriere, e lei ordina: una pinta di Smithwick, ghiacciata, il frizzante liquido ramato colmo di bolle e cristalli. È incredibile ciò che siamo riuscite a scoprire l'una dell'altra in poco più di due mesi: ora so quali band le piacciono, cosa pensa della questione nord irlandese, dove passava le vacanze da bambina, di che colore era la sua cartella il primo giorno di scuola. E a tutto questo, posso aggiungere la più eccitante e intensa delle scoperte: quella del suo corpo, della sua pelle, del suo piacere. Le mie mani hanno conosciuto la sua carne, gli incavi caldi e vivi di questa figura ben proporzionata, come lei i miei. Pensandoci, la gola mi si secca e ho bisogno di un altro sorso. -Allora, cosa mi racconti, mia reporter?-

Continuiamo a chiacchierare di tutto: è un'intimità diversa da quella che mi lega ad Agata, scaturita dalla sintonia di due anime che hanno visto l'altra a sette anni con la faccia sporca di marmellata. Questa è un'intesa più gioiosa, penetrante da far male, impregnata di desideri e di promesse non dette. Mentre racconta, osservo il modo in cui le sue labbra si arricciano, come in un bacio, e ricordo il loro sapore; ma non c'è vergogna, non c'è più imbarazzo, perché in questo momento non mi sembra ci sia modo più bello di onorare questo inestimabile essere umano arrivato al mio fianco.

Prima che ce ne accorgiamo la luna è alta nel cielo, una perla incastonata nella notte. Quando usciamo, il freddo ci morde le braccia, ma ci stringiamo l'una all'altra, e lo scacciamo un poco. Ci avviamo verso casa in silenzio, tenendoci per mano, ascoltando il canto del vento tra gli alberi del parco. Tuttavia, non sono sorpresa quando Fiona mi spinge contro il muro di un vicolo, e sento la sua bocca premuta sulla mia. È un bacio lungo e appassionato, ma senza smania: non c'è fretta, abbiamo tutto il tempo di godere questo momento. Le mie braccia salgono a cingerle la vita, attirandola verso di me, fino a quando i nostri seni e le nostre cosce si sfiorano attraverso gli abiti pesanti. È una delizia misteriosa percepire contro di me quelle forme così familiari, così simili alle mie eppure tanto diverse; le esploro, le dita che scivolando e cercano, fino a quando il suo respiro si spezza sulle mie labbra. -Signorina Girordi- sussurra – non dovrebbe fare certe cose in pubblico.-

Frugo sotto il cappotto, fino ad accarezzarle i fianchi. Ovviamente, non l'ascolto. -Al massimo mi ritroverò citata in un articolo sul buoncostume di una certa giornalista bacchettona.-

-E se la giornalista bacchettona la invitasse a casa sua?-

-Mmm...- mormoro, toccandole l'orecchio con il naso – penso sarebbe un ragionevole compromesso.-

Corriamo, ridendo e stringendoci la mano; saliamo le scale dell'appartamento di Fiona, e prima di arrivare al pianerottolo stiamo già baciandoci. Sento vagamente un tintinnio di chiavi, lo schiocco della porta; poi siamo dentro, e lei mi guida verso la camera da letto azzurra. Bruscamente, mi spinge sul letto, e rimane in piedi di fronte a me. Con gesti lenti inizia a spogliarsi: vedo cadere a terra il cappotto, le calze, il vestito; fino a quando di fronte a me non rimane che una fata del mare e dei boschi, caduta per caso nel mondo degli uomini. La luce fioca dipinge un mosaico di ombre e argento sul suo corpo; l'attiro a me, fino a quando non mi siede sulle cosce. -Sei la cosa più bella che abbia mai visto- mormoro, ed è vero.

-Anch'io- bisbiglia, e riprende a baciarmi.

Io chiudo gli occhi, e mi getto tra le braccia della fata.


Agata


Dorothea avanzò sotto gli archi vertiginosi della Sala del Trono, la mano stretta a quella di Nebulio. Sopra di loro, il soffitto a volta palpitava delle ali argentee dei Cento Guardiani, i Folletti posti a protezione della famiglia reale. I passi delle guardie risuonavano lontani, perduti nei labirinti ombrosi del palazzo. Si voltò verso il suo amato, cercando il suo sguardo di pioggia e nuvole. -Credi che ci raggiungeranno?-

Il principe attese, serrando le labbra. -Non posso dirlo. Ma non ci dobbiamo fermare. Fino a quando ci sarà una possibilità di raggiungere l'Oracolo Bianco, continuerò a tentare.-

Dorothea si chinò in avanti, sfiorando le labbra fredde di Nebulio. L'Oracolo Bianco, la suprema autorità dei Fairie, la misteriosa signora del tempo, né uomo né donna, né viva né morta, in perenno bilico sul ciglio del mondo. Solo raggiungendola, e chiedendole di spezzare la maledizione, avrebbero potuto stare insieme.

Ad un prezzo difficile.

-Sei davvero pronto a farlo?- chiese la giovane, tirandosi indietro -Sei davvero pronto ad abbandonare tutto questo, tutte le magie e i miracoli e gli orrori della Corte?-

Il principe la osservò, stringendola dolcemente a sè: dietro di lui, le sue ali erano diafane come garza grigia. -Per te, sì- sussurrò – per te, sì.-

Dorothea sorrise, e quel sorriso ripagò il principe di tutte le meraviglie del Sidhe.

Insieme, camminarono tra i sussurri della sala.”


Mordicchio la penna, incerta: il pezzo mi piace, ma non sono sicura della conclusione. Perché è così difficile scrivere certe parti, mentre altre si trasformano in parole con la facilità e la magia con cui si respira? Aggrotto la fronte, tentando di concentrarmi: forse potrei concludere il capitolo così, lasciare che i lettori si smarriscano tra le nebbie come i miei personaggi. In fondo, è quello che vorrei se fossi io a leggere il libro.

Mentre mi accanisco su una frase da migliorare, un profumo dorato mi accarezza le narici.-Ehi, scrittrice. Che ne dici di una pausa tè?-.

Alzo lo sguardo: davanti a me Ginger mi sorride da sopra un vassoio, letteralmente ricolmo di gonfi muffin al cioccolato. Con il lucidalabbra color ciliegia e gli scintillanti orecchini viola, intonati al maglione da pescatore, emana quel fascino distratto che ho cominciato a conoscere: tuttavia, il suo sorriso è tanto ampio e vero da scacciare ogni traccia dell'imbarazzo che mi invade spesso di fronte alle belle ragazze. -No, grazie: ho fatto colazione solo due ore fa.-

Siamo praticamente da sole, nell'ampia luce chiara del locale; è la mattina dopo il mio bizzarro incontro all'abbazia, e, svegliandomi insolitamente presto e trovando solo un laconico messaggio di Bianca, ho deciso di venire qui a tentare di produrre qualcosa, perdendomi poi ovviamente e inesorabilmente ad osservare i pochi avventori passati di fronte al bancone: un vecchietto dal viso ruvido di vento e i cespugliosi baffi bianchi; due turisti tedeschi dagli zaini rigurgitanti e la risata facile; una giovane donna in lacrime vestita in abito da sera. Dal mio tavolino d'angolo, mi sono imbevuta di quelle esistenze appena intraviste. Non mi ero mai resa conto di quanta umanità si potesse trovare in un cafè, di quante vite si scorgano nel tempo di un cappuccino o di una pinta di Guinness: comincio a capire perché Bianca abbia accettato questo lavoro.

Ginger agita il vassoio, premendomelo sotto il naso. -Coraggio, solo un assaggio. Li ho fatti apposta per te: devi provarli.-

Sospiro: come posso tirarmi indietro di fronte ad una proposta simile? -Va bene, va bene. Come mai tanto impegno?-

Il sorriso si fa sornione. -Ho i miei motivi. Forza, adesso mangia.-

Prendo un dolcetto, soffice e invitante sotto le mie dita, prendendone incerta un boccone. E resto immobile, sconvolta.

Il sapore è buono, certamente: un aggraziato impasto di vaniglia, cacao e pasta. Ma non è questo. Se fosse possibile, direi che questo muffin ha il gusto di feste d'inverno, di abbracci sinceri dati di fronte ad un caminetto, di giochi tra le foglie cadute, di guance arrossate dal freddo e dalle risate. Improvvisamente mi sento di nuovo quindicenne, in piedi sotto la neve, avvolta insieme a Bianca in una sciarpa troppo grande, mentre sorridiamo e fantastichiamo sul nostro futuro, i nostri cappotti rossi una chiazza di colore nel bianco. Sento di nuovo l'energia impaziente di quei giorni, la gioia pulita di un momento insieme, la speranza nei propri sogni e nei propri ricordi. Tornare alla realtà è come riemergere da un gorgo. -Ma è..è infredibile!- bofonchio, la bocca ripiena di dolcetti.

L'espressione di Ginger mi dice che non è la prima volta che ottiene una reazione del genere. -Era esattamente per questo che volevo tu assaggiassi.-

-Ma...ma che cos'era?-

L'espressione della mia amica diventa compiaciuta. -Diciamo che i miei muffin hanno delle...proprietà speciali. Quelli che li hanno provati mi hanno detto di aver rivissuto i momenti più belli, o più intensi della loro vita. Un uomo ha affermato di aver rivisto la casa in campagna in cui passava le vacanze da bambino; una ragazza ha detto di aver rivissuto il suo primo bacio; un bimbo si è messo a piangere perché si è ritrovato davanti al primo giocattolo che abbia amato e che i suoi non gli hanno comprato. È una sorta...una sorta di magia, se vuoi. Ma non prendermi per pazza.-

Inarco un sopracciglio. -Stai parlando con una che ha passato la sua prima vacanza in Irlanda a cercare folletti dietro i cespugli. Credo di poter accettare dei dolcetti incantati.-

Ci sorridiamo, mentre divoro sistematicamente gli ultimi resti di muffin. -Ma che cosa ci metti, per curiosità?- domando, raccogliendo le ultime briciole dal tavolo.

Ginger mi agita davanti un dito dalle unghie lilla, sedendosi accanto a me. -Ah-ah, non posso. Segreti di famiglia.-

-Almeno dimmi chi ti ha insegnato, allora.-

Il suo sguardo rimane dolce, ma si vela di un'ombra, impalpabile come un soffio di vento. -Mia madre- sussurra -lei dirigeva un negozio di dolci a Dublino; il “Roses' Shop”. L'aveva chiamato così perché su un lato della casa cresceva un reticolo di rose selvatiche; è da lì che ho preso il nome per il locale. Era piccolo, ma i suoi muffin erano i migliori di tutto il quartiere. Adoravo restare lì dopo la scuola, facendo i compiti nel magazzino, tra i barattoli di cacao e i panetti di burro, e osservando mia madre mentre impastava le torte. Mi piaceva vedere i suoi gesti rapidi e sicuri, l'espressione concentrata e fiera che acquistava in quei momenti: mi sembrava davvero una maga, circondata di ingredienti misteriosi, pronta a trasformare il mondo con le sue creazioni.- si interrompe, giocherellando col braccialetto colmo di sonagli che porta al polso -Non era facile vivere solo del suo stipendio, ma vivevamo bene: io avevo una montagna di fumetti e una vista sul porto, e tutti i dolci ai mirtilli che potessi mangiare. Non potevo desiderare di più.- si umetta le labbra, e il suo tono diventa aspro come uno sbuffo di tabacco. -Poi è arrivato Jeremy, e tutto è cambiato.-

-Jeremy?- chiedo, cauta – chi è?-.

-Il mio patrigno- nella sua bocca, è quasi un insulto – è arrivato quando io avevo tredici anni, e ha cominciato a ingoiare tutte le energie di mia madre. Era violento, avido, e soprattutto stupido. L'ha prosciugata, come un fiore schiacciato tra le pagine.- serra le labbra -Al mio quindicesimo compleanno, mi sono comprata un paio di scarpe nuove: le ricordo ancora, un paio di scarpe alte col cinturino, di un bellissimo azzurro scintillante. Lui mi ha insultata, perché avevo speso tutti quei soldi per una cosa così idiota come un paio di scarpe. Io gli ho risposto che quei soldi erano miei, e che anche lui si beveva tutto il denaro di mia madre in whiskey. Lui mi ha dato un pugno in faccia, e io sono uscita sbattendo la porta. Non sono più tornata.-

Si ferma, distogliendo gli occhi; se non fosse per il tremito delle mani, sembrerebbe che stia raccontando la vita di qualcun altro. Rimango immobile, incerta. Non sono mai stata brava a dare conforto; in me, le carezze conservano sempre un sapore di traduzione: è con le parole che cerco di lenire le ferite che bruciano di più, e di arginare i ricordi troppo dolorosi. Così mi limito a scuotere la testa, sperando che ancora una volta le mie parole siano abbastanza. -Tua madre doveva essere una grande donna, per averti cresciuto così. E sono sicura che stai facendo lo stesso con Sean .-

Quando mi lancia uno sguardo riconoscente, vedo che ha gli occhi brillanti di lacrime: non ho idea del perché si sia confessata proprio con me, una sconosciuta incontrata da due giorni; forse perché è più facile rivelare le proprie ombre a chi non ha ancora incontrato le tue luci, forse perché una scrittrice dovrebbe essere abituata a sondare gli abissi degli uomini, siano essi meravigliosi od orribili. Ma qualunque sia il motivo, ne è valsa la pena, se sono riuscita ad alleviare anche solo un poco il buio che preme su questa giovane donna dal viso forte e le mani delicate.

È in quel momento che sento il trillo della porta, il saluto argentino del nostro folletto di ceramica.

Alzo lo sguardo, e sbarro gli occhi.

Oh, mio dio.

Ginger mi osserva stranita mentre scivolo goffamente sulla sedia, le sopracciglia aggrottate in un cipiglio perplesso. -Oh, accidenti. Questa non me l'aspettavo.-

-Che cosa?- chiede la mia amica, voltandosi -che cosa?-.

Non sono particolarmente turbata, o imbarazzata, o impacciata. La mia mente è limpida, le mie gambe ferme; ma per qualche motivo, dentro di me qualcosa si illumina.

Respiro. -È appena entrato l'uomo che ho conosciuto nell'abbazia.-


  
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