Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Daisy Pearl    20/08/2013    5 recensioni
Finì di parlare e ansimò brevemente, come se avesse fatto una corsa infinita, lo sentii andare avanti e indietro e in qualche modo riuscii a immaginarmelo. Aveva un lungo abito bianco che si adagiava sul pavimento in pietra. La veste ondeggiava con eleganza e sembrava brillare di luce propria. Le lunghe ali erano spalancate sulle sue spalle, candide come il vestito e, a completarne la figura c’erano i classici boccoli oro che gli ricadevano sulle spalle con gentilezza. Potevo quasi vedere gli occhi azzurri come il cielo fissarmi attendendo che fossi in grado di alzarmi, in quel modo mi avrebbe potuta portare dove dovevo stare.
Mi avrebbe portata all’inferno.
- Questa è la storia di Mar e di Dave. Una storia di magia, tradimenti, colpi di scena, pazza, lucidità, amore. Bene e male si intrecciano in continuazione fondendosi in alcuni punti per poi separarsi. Il confine tra bianco e nero non è mai stato così invisibile.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Gioco di...'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 1






“Questa cosa mi sa tanto di appuntamento!” dissi arricciando il naso mentre entravamo in un ristorante fin troppo chic per i miei gusti.
“Ti assicuro che non lo è!” disse Dave assumendo un’aria da santerellino. Poveretto, con tutto il tempo che passava con me ancora non aveva imparato nemmeno a dire una piccola bugia. Mi infastidiva l’idea di avere un appuntamento con lui perché dava un’aria diversa alla nostra storia. Sembrava qualcosa di serio e a me non piaceva pensarla in quel modo, preferivo credere che si trattasse di qualcosa di poco importante che avrei potuto concludere più o meno a mio piacimento. Prima o poi mi sarei stancata di lui dopotutto. Eppure non faceva altro che stupirmi, ero persino arrivata a trovare piacevole la sua presenza costante nella mia vita. Sapevo che lui la reputava una storia seria, Dave era fatto così, ma io ero ben diversa: non sapevo se mi sarei mai potuta abbandonare ad un sentimento come l’amore!
Rabbrividii al solo pensiero. Io innamorata. Non sarebbe mai potuto accadere e nel caso fosse successo sicuramente me ne sarei accorta perché sarei diventata una pappamolle, cosa che ancora, per fortuna, non era successa. Potevo stare tranquilla. Inoltre avevo una specie di sento senso che mi impediva di fare cose stupide o avventate come, appunto, innamorarmi.
Fatto sta che avevo un appuntamento con Dave e la cosa non mi piaceva per niente.
“Me ne vado!” dissi girando i tacchi e posando la mano sulla maniglia della porta.
“Non puoi!” ribattè Dave afferrandomi per il braccio. Lo fulminai con lo sguardo, ma lui non distolse gli occhi dai miei. Era risoluto, ma l’avrei avuta vinta io.
“Non voglio un appuntamento con te!” sibilai disgustata. Lui alzò gli occhi al cielo cercando forse di non mostrarmi il suo dispiacere o la sua ira.
“Non è un appuntamento!” questa volta la bugia gli era riuscita meglio, era serio mentre lo diceva “Verrà anche Emily, puoi stare tranquilla: non sarà una cenetta romantica!”
Ero troppo sconvolta dalla parola ‘Emily’ per prestare attenzione all’aggettivo ‘romantica’. Emily era una mia compagna di università, una persona che sarebbe facile definire con un solo termine: secchiona. Era il classico topo con gli occhiali che leggeva, studiava e credeva nell’amore puro ed eterno. Il genere peggiore. Era senza un briciolo di autostima o di personalità ed era convinta che io fossi sua amica. il punto era che a me non dispiaceva più tanto come all’inizio la sua compagnia, mi ero abituata. Lei aveva la capacità di farmi riflettere, di non farmi agire in modo impulsivo e sfrenato, secondo la mia indole. Non l’avrei mai ammesso ad alta voce, ma era l’unica che riuscisse a calmarmi, probabilmente perché nel momento in cui apriva bocca tutta la mia rabbia si concentrava su di lei mentre lasciavo perdere il resto del mondo.
“Emily?” feci una smorfia “Preferisco mille volte un appuntamento!”
Dave fece un sorriso furbo, di chi la sa lunga e si rivolse al cameriere che da un paio di minuti aspettava che noi rivolgessimo a lui la nostra attenzione.
“Ho prenotato, sono Sullivan!” disse. Il cameriere sorrise e ci condusse al nostro tavolo che, naturalmente, era apparecchiato per due.
Dave mi spostò la sedia per farmi accomodare.
“Puoi evitare?” dissi decisamente scontrosa e minacciosa. Già dovevo sorbirmi una cenetta romantica, poteva anche evitare di fare quei gesti che io non avrei mai apprezzato. Allontanò le mani dalla sedia e le alzò allontanandosi come a dire ‘mi arrendo’ e si andò a sedere al suo posto.
“Non puoi essere gentile per una volta?” sbottò. Da un lato potevo capirlo. Quel posto era davvero splendido: i tavoli avevano lunghe tovaglie che arrivavano fino a terra, la musica era soave e bassa, i camerieri vestiti come pinguini, l’aria profumava di rose. D’altro canto lui sapeva che quello non era il mio ambiente e che mai lo sarebbe stato. Io non ero come le altre ragazze, io ero diversa, speciale da molti punti di vista e l’idea che lui cercasse di impressionarmi con cose banali come una cena in un ristorante di lusso, come se fossi una comune ragazza da sedurre, mi dava davvero il nervoso.
“No!” risposi.
“Non ti piace questo posto?”
“Non mi piace quello che significa!”
“E’ un ristorante, cosa vuoi che significhi?” disse scettico.
“Significa che è un appuntamento!”
Dave scosse la testa “Siamo usciti altre volte fuori a mangiare!”
“Ma qui è diverso!”
“Diverso!” sbottò incredulo.
“E’ serio!”
Alzò lo sguardo e incontrò il mio. I suoi occhi erano meravigliosamente verdi e per un secondo la sua espressione triste mi fece venire voglia di lasciar cadere lì la discussione e fingere che tutto andasse bene. Solo che non potevo, era una questione di principio, ero fatta così.
“Allora vattene!” il suo sguardo si indurì.
Strinsi la mascella. Malgrado tutto era un ragazzo molto furbo e mi conosceva bene. Dicendomi ‘vattene’ mi aveva in qualche modo dato un ordine, peccato che io non eseguivo mai gli ordini. Quindi Dave sapeva che nel momento in cui avrebbe pronunciato tale parola io comunque non me ne sarei andata.
“Perché dovevi complicare le cose?”
“Non credevo di complicarle, volevo solo farti un regalo!”
“Portandomi in questo posto?” alzai leggermente la voce, un paio di persone si voltarono verso di noi incuriosite.
Dave sorrise amaramente. “Non ricordi vero?”
“Di averti detto che odio tutto questo? Credevo fosse ovvio!”
Lui scosse la testa sempre più dispiaciuto.
“E’ successo un mese fa credo. Mi avevi detto che  non eri mai stata in un ristorante di quelli seri, di quelli eleganti. Così ho pensato a come saresti stata bene in un abito elegante invece di quelli che usi di solito…” lanciò uno sguardo al mio lungo vestito attillato verde che mi fasciava le curve in modo grazioso e provocante al tempo stesso, sorrise.
 “Mi sono immaginato i tuoi lunghi capelli neri che incorniciavano il tuo viso e ho pensato a quanto saresti stata bella, perfetta per un posto così, l’unico luogo degno della tua bellezza.”
Stavo per vomitare per quanto erano banali le sue frasi, anche se sapevo che tutto ciò che diceva lo pensava davvero “Infine ho pensato al tuo sorriso, a quanto saresti stata felice di essere qui…” omise il ‘con me’ anche se sapevo che lo aveva sulla punta della lingua.
Ero combattuta. Da un lato volevo alzarmi da quella dannata sedia, rovesciargli il tavolo addosso e forse anche prenderlo a calci, d’altra parte volevo rinunciare ai miei principi, al mio disappunto e al mio cinismo per godermi la serata senza pensarci troppo. Lo guardai negli occhi.
“Dave, andava tutto bene, credo che ciò che avevamo fosse perfetto. Eravamo liberi, felici, perché dovevi complicare tutto così?”
“Non volevo complicare le cose Mar! Ci ho pensato a lungo e ho deciso di mostrarti come sono io realmente! Io sono un tipo sdolcinato, forse monotono, passerei tutta la serata a fissarti senza chiedere nulla in cambio, ti offrirei mille cene, ti farei ridere e ti direi cose stupide per renderti allegra. Ti regalerei un mazzo di fiori ogni sera, ma non l’ho mai fatto perché so che tu non sei così. Per te tutte queste cose sono banali, sdolcinate, patetiche!”
Annuì convinta soprattutto di fronte all’ultima parola. Erano proprio patetiche.
“Il problema è che io non so più come comportarmi! Per me la nostra relazione è qualcosa di fantastico, ma soprattutto qualcosa di serio, per questo non voglio trattenere le parole, ma soprattutto non voglio più trattenere i miei sentimenti…”
Sbarrai gli occhi: il momento che più avevo temuto negli ultimi mesi stava arrivando. Avevo sperato con tutto il cuore che la parola ‘sentimenti’ non uscisse mai dalle labbra di Dave, ma infondo lo sapevo che lui era un tipo sentimentale e che prima o poi l’avrebbe mostrato. Lui era il tipo che tutte le ragazze volevano, tutte tranne me, eppure mi aveva conquistata in un  modo o nell’altro, ma sicuramente non ero pronta a parlare di sentimenti, anzi, non lo sarei stata mai!
“Non andare avanti!” lo guardai minacciosamente sperando che il mio sguardo gli incutesse timore e che gli facesse capire quanto fossi seria in quel momento.
Mi prese la mano nella sua. La strattonai cercando di liberarmi dalla sua presa, ma era troppo forte. Mentre apriva la bocca per prendere fiato e reiniziare a parlare mi venne voglia di tapparmi le orecchi con le mani, come una bambina, e iniziare ad urlare cose tipo ‘lalala’, ma non potevo, non con una mano bloccata nella sua.
“Mar, ti amo!”
Alzai gli occhi al cielo. Era comprensibile che lui si fosse innamorato di me, ero bella, ero intelligente, furba, brava a letto, simpatica, ero perfetta insomma, quindi non vedevo come avrei potuto evitare ciò. Tuttavia mentre pronunciava quelle parole fu come se il mondo mi cadesse addosso. Mi ero illusa che quell’idillio potesse durare per sempre. Stavamo bene insieme ed erano mesi che mi sentivo poco attratta da qualsiasi uomo che non fosse Dave, il che per me era davvero straordinario. Ero in pace con me stessa, col mondo. Alan era in prigione e Robert pure, quindi la mia vita era priva di pericoli. Caren era semplicemente sparita. L’unica nota dolente era Emily, ma avevo imparato, col tempo, ad abituarmi alla sua fastidiosa presenza. Avevo una vita perfetta, perché lui doveva rovinarla con due parole? Non poteva tenersele per se?
Dirmi che mi amava era come dirmi che ero più importante di qualsiasi altra cosa al mondo, ma soprattutto significava che si aspettava qualcosa di più serio, qualcosa di ufficiale come il mettersi insieme, per esempio. Per Emily noi eravamo praticamente come fidanzati e il fatto che non ce lo fossimo detto ufficialmente non faceva una gran differenza, ma per me era diverso. Non dirlo equivaleva a vivere nell’illusione di essere felice e in pace con me stessa senza essere debole, perché l’amore è per gli stupidi e i deboli, per quelle persone che da sole non contano poi così tanto. Dicendomi che mi amava Dave ammetteva che lui non era nulla senza me, e io non potevo sopportare quest’idea. Avevo sempre considerato Dave un ragazzo con le palle, deciso, qualcuno da stimare, ma dopo quelle parole come poteva ancora avere il mio rispetto.
Senza una parola tirai con più forza la mia mano, portandola lontano dalla sua stretta. Lui mi guardò con tristezza: era come se si stesse pentendo di ciò che aveva appena detto.
“Farò finta che tu non l’abbia mai detto!” sibilai a denti stretti. Abbassò lo sguardo sconsolato, come se avesse perso la speranza.
Mi alzai e spedita mi diressi verso la porta del ristorante ben decisa a non mettere mai più piede in un posto del genere.


“Cosa sarebbe meglio tra gin e vodka?” domandai  ad una barista qualsiasi di un bar qualsiasi abbastanza lontano dall’inferno in cui mi aveva portato Dave.
“Stupido da parte tua farmi una domanda del genere!”
Alzai un sopracciglio. Odiavo essere contraddetta, soprattutto se di fronte a me c’era una persona qualsiasi.
“E come mai?” domandai beffeggiandola.
Lei sorrise cortesemente.
“Sicuramente ti direi che è meglio quello che costa di più, o quello meno alcoolico. In entrambi i casi lo farei per guadagnare di più!”
Piegai la testa di lato, come a darle ragione.
“Vada per la vodka!”
“Ottima scelta!”
“Perché costa di più?”
La barista sorrise.
“Fa dimenticare più in fretta!”
Scossi la testa mentre lei riempiva un bicchierino di quella sostanza così simile all’acqua.
Ingurgitai il liquido tutto in un sorso e ne chiesi un altro.
“Allora? Cuore infranto?” mi domandò poggiando i gomiti sul bancone. Non capivo perché, per le persone comuni, fosse così facile giudicare. Non potevano semplicemente farsi i fatti loro?
Aggrottai le sopracciglia.
“Perché dovrei dirlo proprio a te?”
Trangugiai il secondo bicchiere e lei me lo riempì nuovamente senza che io le avessi detto niente.
“Perché sentire le storie altrui mi fa sentire meno misera!”
“Sincera e stupida!”
Sorrise amaramente. “Perché sarei stupida?”
Ridacchiai un po’ inebriata dall’alcool.
“Primo perché tu prima mi hai dato della stupida. Diciamo che restituisco sempre un ‘complimento’. E secondo perché adesso che so che vuoi sapere delle disgrazie altrui solo per sentirti meglio, ti racconterò di quanto stiamo bene il mio ragazzo ed io!”
Nella mia mente si era già formato il film di una storia d’amore perfetta, un perfetto idillio che l’avrebbe fatta sentire ancora più misera di quello che era. Pregustavo già la faccia che avrebbe fatto quando le avrei detto una qualsiasi balla romantica.
“Non puoi mentirmi, stai bevendo! L’alcool scioglie la lingua!”
Sorrisi meschinamente. Povera illusa, non sapeva chi aveva davanti.
“Io e il mio ragazzo siamo follemente innamorati!” iniziai.
“Allora perché bevi?”
“Perché mi piace bere!”
Scosse la testa, come se fosse insoddisfatta. Poi alzò lo sguardo e incontrò i miei occhi. Che sciocca.
Avevo passato una vita a soggiogare le persone semplicemente guardando le loro iridi. Mi ero messa in sintonia con le loro emozioni, le avevo fatte mie. Dopo di che avevo preso delle decisioni per loro, scelte che loro credevano di aver preso da soli, in modo arbitrario. Ero una burattinaia che teneva dei fili invisibili, un’imperatrice con un mucchio di sudditi.
Tutto questo prima che il libro andasse distrutto. Si intitolava ‘Gioco di sguardi’ ed era la fonte del mio potere, del potere di tutti noi. Non c’ero stata solo io ad avere quelle facoltà, il primo fu Alan Black, quello che prima era il mio tutore e dopo era diventato il mio peggior nemico.
Circa vent’anni prima aveva perso sua moglie. Era morta dando alla luce loro figlio. In realtà non era trapassata per via del parto, ma a causa di un’antica maledizione che colpiva tutte le generazioni di custodi del libro, una maledizione lanciata da una strega che faceva in modo che una volta che il nuovo custode fosse giunto al mondo, quello vecchio doveva semplicemente morire.
Lei si chiamava Grace, e suo figlio era proprio il Dave Sullivan dal quale fuggivo.
Dopo la morte della moglie Alan scoprì che lei era innamorata di un altro, un certo Alex Greenwood, colui che si sarebbe preso cura di Dave negli anni a venire e che avrebbe tentato in tutti i modi di rompere la maledizione che gravava su di lui. Fatto sta che Alan trovò il libro, un volume con una copertina nera e una bianca simbolo, rispettivamente, del male e del bene. Aprì la parte nera e il potere si riversò in lui. Cercò dei bambini a cui insegnare l’arte del corrompere e istigare e fu così che mi portò via da mia madre all’età di  quattro anni. in realtà fece uno scambio: Jaqueline Jones era una prostituta con una figlia indesiderata, lui le offrì un lavoro, dei soldi e la corruppe con le sue facoltà, tutto in cambio di me. Fu così che crebbi seguendo una linea di principio che tutti considererebbero immorale, ma che per me era giusta e mi faceva sentire forte e invincibile. Io, Robert, Caren (anche se in misura minore) e Alan potevamo dominare il mondo. Noi e altri tre ragazzini eravamo quella che potrebbe essere considerata una famiglia, almeno finchè non aprii anche io il libro, fu allora che il potere di Alan si dimezzò perché in parte era diventato mio, fu allora che decise di volermi morta per riprendersi tutta la sua forza. Nel frattempo conobbi Dave, colui che invece aveva aperto la parte bianca del libro. Lui risvegliò la mia coscienza battendomi ad una partita del gioco di sguardi, grazie a lui non ero più immorale e quello che facevo fare agli altri, in qualche modo, ricadeva su di me. Mi sentivo in colpa, anche se ci misi molto ad ammetterlo.
Diventammo amici, lottammo insieme e alla fine riuscimmo a distruggere il libro e con esso i poteri  e la maledizione. Il libero arbitrio fu ristabilito, ma non potevo dire che non mi mancasse quella inebriante sensazione di poter fare ciò che volevo. Ero forte e sapevo di esserlo indipendentemente dall’esistenza di certe facoltà paranormali, ma sicuramente esse avevano facilitato la mia vita.
“Raccontami perché bevi! Dimmi la verità!”
Sorrisi e mandai giù l’ennesimo bicchiere, mentre la barista  continuava a fissarmi interessata. Aprii bocca, pronta a raccontare la mia bugia.
“Il ragazzo con cui ho una storia mi ha appena detto che mi ama, ma io non voglio una cosa seria. Voglio divertirmi, ho paura di avere legami perché so che questo mi farà soffrire e temo di non essere abbastanza forte da sopportarlo!”
Sbarrai gli occhi, incredula delle parole che mi erano appena uscite dalle labbra. Mi portai una mano alla bocca, come se questo potesse servire a ricacciarle indietro. Dovevo dire una bugia, mentre invece mi era venuta fuori la verità, peccato che fosse una verità che nemmeno io ero pronta ad accettare.
La ragazza sorrise comprensiva. Digrignai i denti. Non volevo la sua comprensione, volevo la sua invidia, la sua ammirazione, il suo odio, non la compassione. Mi odiai per ciò che avevo appena detto.
“Visto? La vodka fa miracoli!” disse scuotendo la bottiglia e riempiendomi nuovamente il bicchiere, come se fossi una persona qualsiasi in un bar qualsiasi.
Col dorso della mano allontani con forza il bicchiere rovesciandolo. Osservai il liquido trasparente espandersi sul bancone in ogni direzione.
“Non sono così debole!” dissi più a me stessa che a lei.
“Oh sì che lo sei!”
Alzai lo sguardo e la vidi sorridere, ma il suo sorriso era qualcosa di raccapricciante, era meschino e mi fece venire i brividi lungo tutta la spina dorsale. Inziai a sudare e il mio respiro accelerò, come se il mio corpo si fosse reso conto di andare incontro ad un pericolo incombente.
Chiusi gli occhi per un istante cercando di calmare i battiti frenetici del mio cuore.
“Cos’hai detto?” sibilai riaprendo le palpebre.
“Che sei umana! Se provi tutto ciò è un buon segno! Vuol dire che non sei morta!”
La guardai incredula, era tornata ad essere la persona gioviale che mi era sembrata all’inizio. Ogni traccia del sorriso malefico era sparita dal suo volto. Scossi la testa mentre la sudorazione scompariva e il respiro tornava normale. Probabilmente mi ero immaginata tutto.
Mi portai una mano alla testa e me la massaggiai.
“Serve un’aspirina?”  non era la barista ad aver parlato, ma un ragazzo che si era seduto accanto a me.
Gli sorrisi, memore della cacciatrice di uomini che ero stata fino a poco tempo prima.
“Direi che sto bene!”
“Non sembrerebbe!” sembrava leggermente preoccupato, ma anche un po’ divertito.
“Che ti porto?” gli chiese la barista sorridendogli.
“Quello che ha preso lei!” mi sorrise e mi ritrovai a pensare a quanto fosse carino quel ragazzo. Era normale. Niente fisico supermuscoloso, niente sigarette, niente casco. Insomma niente di che il che lo faceva una distrazione perfetta e la prova che io non ero debole, ero ancora in grado di attrarre ragazzi carini nella mia rete per poi sedurli.
La barista, vedendolo interessato a me, mi fece l’occhiolino, come se fossimo state amiche, dopo di che si allontanò, probabilmente per lasciarci un po’ di privacy. Se non altro mi ero liberata di quella ficcanaso.
“Ciao!” lo salutai.
Sorrise, come lusingato dalle mie attenzioni.
“Ciao! Io sono Tyler!”
“Un gran bel nome!”
“Mentre il tuo qual è?”
“Perderei il mio vantaggio su di te se te lo dicessi!” assunsi un’espressione furba e mandai giù un piccolo sorso di vodka.
“Ma così non vale!” fece il finto offeso, anche se in realtà si vedeva che lo intrigavo. Bella e misteriosa, un mix esplosivo.
“Sì che vale se giochiamo secondo le mie regole!” gli feci l’occhiolino.
“E se non volessi giocare secondo le tue regole?”
“Devi?”
“Altrimenti?”
Mi  morsi il labbro inferiore e accennai un sorriso prima di avvicinarmi a lui quel tanto che bastava a fargli avere il mio respiro sulle labbra.
“Mmm credo che dovrò costringerti!” ribattei sensualmente.
“Non vedo come!” faceva il finto scettico e il suo respiro era lievemente accelerato.
“Ho molti metodi!”
“Tipo convincermi con uno sguardo?”
Mi bloccai, perché doveva proprio ricordarmi che non potevo più convincere loe persone a fare delle cose solo guardandole?  Alzai gli occhi per incontrai i suoi. Erano leggermente socchiusi, mi guardava con dolcezza mista a desiderio.
Cercai di ricacciare quello che aveva detto nei recessi della mia memoria per poter continuare la mia opera di seduzione.
“Oppure potrei fare questo!”
Posai le mie labbra sulle sue con passione e forse anche con un pizzico di disperazione. Lui si muoveva con me, ma ad ogni contatto io non sentivo niente. Se all’inizio avevo pensato che avesse delle bella labbra, in quel momento mi si chiuse lo stomaco, ma quella non era eccitazione. Era rimorso, disgusto, rifiuto. Io non volevo baciarlo eppure continuavo muovere le mie labbra sulle sue.
Percepivo la forte stretta delle sue mani sui miei fianchi, ma allo stesso tempo le sentivo lontane. Io ero forte, dovevo continuare a fare ciò che stavo facendo, per il mio bene, per dimostrare che non dipendevo in alcun modo da Dave. Per provare a me stessa che il suo sguardo non faceva saltare i battiti al mio cuore, che la sua risata non mi rallegrava la giornata, che i suoi abbracci non mi facevano sentire al sicuro, che lui non baciava come Tyler, che lui non era meglio.
Mi staccai quasi con forza. Tyler mi guardò confuso e io uscii di fretta dal bar, quasi fuggendo via. Una volta fuori mi misi a correre. Il rumore dei battiti del mio cuore nelle orecchie mi impediva di pensare con lucidità, quindi ero ancora in balia delle emozioni che avevo provato poco prima. Mi sentivo sporca, come se avessi tradito Dave, ma non si può tradire una persona con la quale non si sta insieme. Non si può tradire un’avventura, non si può tradire qualcuno a cui non tieni.
Era sbagliato che io mi sentissi in quel modo. Da quando mi ero rammollita così tanto?
Mi fermai e tentai di riprendere fiato. Cercai di tranquillizzarmi, dopotutto ero solo sconvolta perché Dave mi aveva detto di amarmi, tutto qui. Mi sarebbe passata e il giorno successivo sarei stata come sempre, felice, spensierata, sexy e senza problemi. Dovevo solo dimenticare due semplici parole, le cinque lettere che avevano rovinato tutto.
In quel momento il cellulare squillò, guardai il display e sbuffai quando vidi che si trattava di Emily.
“Che vuoi?” risposi scontrosa.
“Mar che hai? L’appuntamento non è andato bene?”
Come facevo a dimenticare le parole di Dave o i suoi sentimenti per me se ogni volta Emily me li ricordava con la delicatezza di un elefante?
“Che vuoi?” sibilai. Emily non era una persona permalosa e diciamo che era abituata ad essere trattata male dal prossimo e se il prossimo ero io tanto meglio, era convinta che le volessi bene quindi mi faceva sfogare come meglio credevo, a lei poco importava. Era un ottimo capro espiatorio.
“Ho appena saputo! Il processo si terrà domani!”
Mi venne da sorridere, tutta la tensione, la rabbia e le paranoie svanirono: finalmente una buona notizia.
“Dovrò testimoniare?”
“Probabile!”
Il sorriso si tramutò in un ghigno.
“Non vedo l’ora!”



Grazie a chiunque sia arrivato a leggere fin qui.
Ora scusatemi, ma ho una domanda da porre a chiunque sia interessato a continuare a leggere questa storia: vi vanno bene i capitoli di questa lunghezza?
Si tratta mediamente di 4000 parole, ma dato che in 'Glances Game' alcuni lettori mi hannno fatto notare che erano troppo lunghi, vorrei chiedervi se li preferite così oppure smezzati. Purtroppo per poter scrivere in modo decente ho bisogno di fare i capitoli di questa lunghezza, ma volendo potrei spezzarli in due. Ditemi voi.
Vorrei anche chiedere a chi ha letto la precedente storia se i personaggi sono coerenti o meno con gli altri. E' difficile immedesimarsi in Mar dopo quasi un anno!
Per qualsiasi critica, correzione io sono qui!
Grazie per l' 'ascolto'.

Daisy
mi trovate su questa pagina facebook https://www.facebook.com/pages/Non-ho-parole/116255365194270?ref=hl
Ps. l'eccessivo utilizzo delle parole 'qualunque' e qualsiasi' è voluta.




   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Daisy Pearl