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Autore: Noemi Bieber    20/08/2013    2 recensioni
Quella sera senza sapere come si ritrovò sotto il ʻBalcone di Giuliettaʼ.
«Ride delle cicatrici, chi non ha mai provato una ferita.» Disse Marco atteggiandosi come fosse Romeo.
Inaspettatamente, però, la sua Giulietta si affacciò.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il Balcone di Giulietta. 

3.

Marco arrivò a casa. Era distrutto. Era nero.
 
Ma alla fine cos’è il nero
Nero è violenza.
Nero è delusione.
Neroè tristezza.
Neroè guerra.
Nero è morte.
 
E Marco combatteva una guerra ogni giorno. Con sé, con gli altri.
 
Aprì il frigo e prese più alcol che poté.
Iniziò a bere.
Una.
Due.
Tre.
Otto.
Quattordici.
Ventuno.
Bevve ventuno bottiglie tra vodka, rum, liquore e anice.
 
Stava male da far schifo.
Guardò per caso l’orologio.  Mezzanotte.
«Un attimo... Sono un idiota! Sono uscito troppo presto!» si alzò di corsa dal divano ma cadde, essendo troppo ubriaco.
 
Andò piano, con calma, barcollando per la strada.
Prima destra. Poi sinistra.
 
Ad un tratto vide una luce puntargli dritta addosso. Si mise una mano davanti agli occhi per ripararseli, ma non si spostò di un millimetro. Le sue gambe erano immobili, ferme.
Solo un tonfo vuoto risuonò nel quartiere.
Marco, stavolta, vide il nero più vicino che mai.
Lo sentiva addosso, che strusciava lentamente sulla pelle. O forse era solo il sangue, troppo rosso per sembrare tale. Come il vino che noi chiamiamo rosso ma in realtà è quasi nero.
 
«Ti senti bene?» sussurrò una voce calma, più lontana che vicina.
Una smorfia comparve sul viso di Marco.
«Dalla tua smorfia deduco di no.» quella voce rise «Allora, vediamo, riesci a dire il tuo nome?»
Marco scosse la testa.
«Però capisci ciò che dico.»
Annuì.
«Ti chiami Marco?»
Annuì di nuovo, aprendo gli occhi stavolta. La figura della persona che parlava non gli apparve ancora chiaro, però comprese che si trattava di un uomo.
Pian piano sembrava mettere a fuoco quella figura ancora sfocata ai suoi occhi.
Era il suo opposto: capelli neri, occhi scuri, pelle abbronzata, robusto e basso, almeno a suo confronto.
 
Marco aveva sempre avuto capelli biondissimi, sin da bambino, occhi cangianti, tra verde e azzurro cielo, pelle così chiara da far invidia al latte e un corpo minuto ma alto. Era da sempre considerato il ʻbambino stranoʼ perché con ideali diversi dagli altri bambini. Aveva un sogno: quello di amare la sua principessa per sempre, amarla diversamente dagli altri, perché Marco aveva un’idea diversa dell’amore.
Era strano, e lo sapeva, ma non voleva cambiare, anzi, voleva trovare chi apprezzasse il suo modo di essere strano.
 
«Riesci a parlare adesso?» i suoi pensieri furono interrotti da quell’uomo che lo stava portando giù dall’ambulanza in barella.
«Ci provo.» rispose in un sussurro «Ma dove sono?»
«In ospedale. Sei stato investito e ci hanno chiamato perché lui o lei è scappato.»
«Chi vi ha chiamato?»
«Una passante che ti ha prestato soccorso.»
«E dov’è lei adesso?»
«È in caserma per deporre. Verrà in ospedale più tardi perché deve rilasciare delle dichiarazioni anche a noi.»
«Cos’ho? Mi fa male la testa e la mia schiena è a pezzi.»
«Dobbiamo farti degli accertamenti, ma per il momento crediamo tu abbia solo un lieve trauma cranico.»
«Come ti chiami, amico?»
«Giuseppe, ma per gli amici Peppe, amico.»
«Non farmi ridere, mi fanno male le costole!» disse tirandogli un lieve pugno.
 
Stette delle ore su quella barella aspettando che la sua salvatrice arrivasse.
L’orologio del pronto soccorso segnava le 4.32.
«Che fine ha fatto la ragazza che mi ha salvato?» chiese Marco a Peppe.
«Non è venuta. Stiamo cercando di rintracciarla, ma ha il cellulare spento.»
«Come si chiama?»
«Ci ha detto di dirti che si chiama Giulietta, ma il suo vero nome non ce l’ha detto.»
Marco restò senza parole...
«Sai che c’è, amico? Mi sento meglio, posso andarmene?» disse Marco guardando in faccia Peppe che scoppiò a ridere.
«Mi prendi in giro?»
«No.»
«Beh, dalle analisi risulta che stai bene, ma devi restare almeno un giorno in osservazione.»
«Sto bene.» Marco fece per alzarsi, ma qualcosa glielo impediva. Si sforzò, ma niente.
«Amico, cos’hai?» chiese Peppe, cercando di aiutarlo.
«Le mie... gambe. Non si muovono!» disse tirandosi dei pugni sulle cosce. 

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spazio autrice.

Voglio ringraziare tutti quelli che abbiano letto i capitoli precedenti, e mi scuso per il ritardo, ho avuto dei contrattempi. 
Spero vi piaccia. 
Voglio tante critiche per migliorarmi. 

Grazie per aver letto. 
Noemi. 
  
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