Note: Ho scritto questa storia per Virginia Daniele, che me l’aveva chiesta sul gruppo Fanfiction su Commissione sul FacciaLibro. Mi dispiace averci messo quattro mesi a scrivertela, davvero. D: (Che per me in qualche modo sono un record POSITIVO, di solito impiego molto più tempo per scrivere storie ben più corte e meno impegnate, quindi… evvai! :D Ehm.)
Se ci ho messo tanto, tuttavia, è per una ragione. Non solo per questioni legate alla maturità e alle vacanze, ma più che altro perché ho tentato veramente di metterci il cuore in questa storia. Non a caso ho inserito nella fanfiction l’emorragia al dente di Rock Lee (che ovviamente qui è il personaggio principale, come richiesto). Volevo inserire delle esperienze mie, qualcosa di “vero”… Rendere la storia qualcosa di mio. Orbene, spero d’esserci riuscita. Anche perché l’argomento mi sta molto a cuore (è da quando ho letto i capitoli 612 e 615 che volevo scrivere qualcosa del genere ;_; Neji ;_; Il mio amato team Gai ç____ç).
Bene.
Questa storia è un po’ dedicata anche ad Angela, che mi ha dato preziosi consigli, e alla Odu.
Era da molto, molto tempo che non mi cimentavo in una long fiction. Spero vi piaccia.
Tutto mi ricorda te. Ma più di “tutto”, io stessa mi ricordo te.
E se non riesco a lasciarti andare è un po’ anche per questo.
Come si fa a lasciar andare un pezzo di se stessi? Tra l’altro, il pezzo migliore che ho.
(Lost Memories)
Everything will break
People say goodbye in their own special way
Everything will change
Nothin' stays the same
And nobody here's perfect
Oh but everyone’s to blame
All that you rely on
And all that you can fake
Will leave you in the morning
But find you in the day
Oh you're in my veins
And I cannot get you out
(In my Veins, Andrew Belle)
L’Araba Fenice
- Prologo -
Giravano in tondo. Ognuno di loro era un’anima sperduta che delirava nella nebbia della sua stessa confusione e che sbatteva il capo ripetutamente nell’assoluta chiarezza ed evidenza del lutto.
Solo Rock Lee esprimeva fisicamente il delirio che lo aveva preso, camminando avanti e indietro per piccoli tratti, torturandosi le mani e le bende, parendo quasi in preda alla follia.
Gai e Tenten stavano in piedi davanti alla tomba, in silenzio.
Avevano provato a continuare le loro missioni e i loro allenamenti come sempre, ed avevano disperatamente evitato – senza che l’uno lo mostrasse apertamente all’altro – di convergere in quel punto, di tornare sulla tomba di Neji dopo il funerale.
Forse per il potere derivatogli dal fatto di essere il più talentuoso degli Hyuuga, Neji, oltre alla lapide dei caduti nella Quarta Guerra, aveva avuto il suo nome inciso anche su una tomba. Il suo corpo era stato portato a casa. Grama consolazione.
“Stiamo cedendo all’omertà.” Disse Tenten, voltandosi verso Lee e il suo maestro. Il suo tono era tra il disperato e il rabbioso, e i suoi occhi erano lucidi.
“Non ci diciamo più nulla. E questo è peggio che disperarsi per la caduta di Neji e basta. Non ci siamo più di alcun aiuto, anzi ci rifiutiamo di aprirci tra di noi. È orrendo.”
Gli occhi a palla di Rock Lee erano enormi, e tutto nel suo viso comunicava stanchezza. Gai ascoltò la sua allieva con aria greve, poi le si avvicinò, mettendole una mano su una spalla.
“Saremo forti.” Le disse, guardandola negli occhi. Tenten annuì e, finalmente, pianse. Mentre le sue spalle si alzavano e poi abbassavano ritmicamente, il suo sguardo rimase fermo su Rock Lee. Lui continuò a ricambiarlo fino a che lei non ebbe finito.