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Autore: Rouge e Minori    20/08/2013    1 recensioni
Salve, noi siamo Rouge e Minori, siamo due autrici che cercano di sfondare in questo fandom per cui, siate clementi. Allora... parliamo della storia. Come tutti ben saprete Korra ha succeduto ad Aang, salvando il mondo etc etc. Ma noi due ci siamo chieste: "E dopo Korra?" Ok, premettendo che Korra abbia avuto una vita lunga e felice insieme a Mako e compagnia cantante noi abbiamo voluto spostarci nella Nazione della Terra dove, secondo il ciclo dell'Avatar, dovrebbe nascere il successivo protettore del mondo.
Atlas è nato nella Nazione della Terra e, dopo un'incidente da bambino, è naufragato sull'isola di Kyoshi. Da li inizia la sua avventura per imparare i domini di Acqua, Fuoco e Aria assieme all'amica di sempre e a nuovi, stravaganti compagni. Ma non tutti sono contenti del nuovo Avatar, chi andrà a disturbare la missione del giovane Atlas?
P.S. Premettiamo che le nozioni in merito a "La Leggenda di Korra" in nostro possesso sono imprecise dato che non ricordiamo bene la serie e ci è impossibile riguardarla (non troviamo gli episodi) quindi potrebbero esserci incongruenze con la storia originale in tal caso, fatecelo sapere, correggeremo il più in fretta possibile. Speriamo di avervi incuriosito!
Genere: Avventura, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

La nave aveva attraccato al porto di Città della Repubblica al sorgere del sole. Atlas si era svegliato prima del tempo, quando ancora la luna splendeva alta nel cielo, era in estasi. Voleva visitare la Repubblica da quando era bambino, gli zii avevano raccontato spesso le avventure dell’Avatar Korra e dell’unione delle colonie da parte del signore del fuoco Zuko e dell’Avatar Aang. Erano due giorni che non vedevano la luce del mattino, erano tutti accalcati e c’era un forte odore di marcio e chiuso che echeggiava sotto coperta. Atlas aveva svegliato Meissa ignorando il suo mal di mare e l’aveva condotta fino al ponte, sporgendosi leggermente riuscivano a scorgere la grande città, ma il sorriso era lentamente morto sui loro volti. Un grande muro di pietra divideva la metropoli a metà. La parte Est aveva il filo spinato a circondare il porto, per non parlare delle case; la parte Ovest era esattamente come i due ragazzi si erano sempre immaginati Città della Repubblica. Atlas era sceso sotto coperta ed aveva fatto uscire Leda dalla gabbia per condurla fuori, appena in tempo per vedere il tempio dell’Avatar Aang e la grande statua che lo rappresentava. Atlas era felice di notare che almeno quello era rimasto fedele ai racconti dello zio. Attraccati nella parte Ovest Meissa aveva esultato.
  «Che bella la terra ferma!» aveva esclamato lei entusiasta «Ora visitiamo questa parte di città, era da quando avevo sette anni che voglio visitarla» aveva proferito lei stiracchiandosi.
 «Tu corri troppo» aveva detto Atlas rompendole le uova nel paniere «Sono venuto qui per parlare con i consiglieri, per quanto vorrei visitarla, credo dovremmo rimandare a dopo il giro turistico» aveva concluso lui in tono autoritario, per poi salire sulla sella di Leda e porgerle una mano.
  «Uff» aveva sbuffato lei «Detesto quando hai ragione» ma anche continuando a brontolare era salita in groppa a Leda. Lo zio raccontava delle Sato-mobili che vagavano per la città, ma non c’era la minima ombra di esse per la città, bensì c’erano mezzi pubblici che andavano ad elettricità, come i Tram creati dall’ingegnere Asami e dall’Avatar Korra. Avevano percorso parecchi metri, a quasi un chilometro dal porto, Atlas riusciva a scorgere il palazzo del consiglio. Atlas era sceso dalla sua Ligre ed aveva umilmente bussato alla porta. Ad aprirgli era giunto un uomo alto, smilzo, dai lunghi baffi neri e folti, anche se il resto del capo era calvo; era vestito con uno smoking nero e con il farfallino nero ben sistemato al centro del colletto bianco. Si era sistemato i piccoli occhialetti tondi sulla grossa appendice nasale, attraverso i tali occhiali s’intravedevano due occhi porcini particolarmente vispi .
   «Desidera?» aveva detto l’uomo a gran voce.
«Buon giorno, mi chiamo Atlas e dovrei conferire con i consiglieri» aveva risposto lui cercando di apparire simpatico ed aperto. Il portiere si era messo a ridere senza il benché minimo ritegno.
   «Un ragazzino che chiede di conferire con i grandi consiglieri? Che assurdità!» aveva esclamato l’uomo, ancora ridendo.
«Non è come crede» aveva replicato Atlas offeso « Io sono l’Avatar» aveva concluso lui a braccia conserte.
   «Oh l’Avatar!» aveva esclamato ostentando paura, con insuccesso «Santi numi fuggiamo! » iniziava a diventare irritante e Atlas era sull’orlo del baratro, stava esaurendo la pazienza « Ne ho visti sei solo in una giornata, di Avatar» aveva risposto lui piccato, stava per sbattere la porta in faccia al ragazzo quando una voce femminile, non certamente appartenente a Meissa, aveva richiamato all’ordine il portinaio.
    «Gerard» aveva chiamato «Chi bussa alla nostra porta verrà sempre accolto» era una donna alta e magra, avvolta in delle vesti rosse e ocra; gli occhi erano castani e grandi, esattamente come i capelli lunghi e lisci. Nonostante alcune ciocche fossero legate in un mugno in cima alla testa, un ciuffo sbarazzino le copriva l’occhio destro.
   «C-Consigliera Jinora!» aveva esclamato l’uomo, preso alla sprovvista «Costui insinua di essere l’Avatar»
    «Sei stato più che esauriente Gerard, prego, conduci la ligre del ragazzo alle scuderie del tempio dell’aria grazie» aveva conferito lei in tono mellifluo e con un caldo sorriso.
   «M-Ma illustrissima Jinora, il tempio dell’aria è parecchio lontano da qui, dovrei prendere la barca e…» la consigliera lo aveva bloccato con un elegante cenno della mano.
    «Non credo che ti dispiacerà portare la Ligre dell’Avatar Atlas sin laggiù, potrebbe essere anche un’occasione per te per mettere su qualche muscolo e provare ad interagire col mondo animale» aveva concluso lei mettendogli una mano sulla spalla e sorridendo complice ai due ragazzi. Atlas aveva porto le briglie di Leda all’uomo, quest’ultimo le aveva prese con trepidazione e con circospezione. Leda aveva mostrato i grandi canini bianchi, cominciando a ringhiare ponderosamente.
«Buona Leda, il signore non ha alcuna intenzione di affrontarti, vuole solo condurti al tempio dell’aria. Mi raccomando, non azzannare nessuno mentre sono via» sulla schiena del povero Gerard era percorso un lungo brivido freddo. Si era lisciato nervosamente i baffi e deglutendo aveva chiesto al ragazzo:
   «Chi l’ha affrontata, se mi è concesso chiedere?»
«Un uomo, molto poco furbo, se devo dire la mia» aveva risposto il ragazzo quieto.
   «E-E che fine ha fatto quell’uomo?» aveva domandato lui, nonostante le gambe gli tremassero. Il volto del sedicenne si era fatto serio e il tremolio era cessato.
«Nessuno lo sa, da quel giorno, non si è più visto » il volto del ragazzo era leggermente inquietante e scatenava in Gerard parecchie paure che credeva sepolte.
   «L-La porterò sino al tempio dell’aria signore, si fidi, non le mancherà nulla» «Ne sono certo» aveva detto Atlas, per poi congedarsi dell’umile valletto. Aveva silenziosamente seguito Jinora e Meissa attraverso un corridoio stretto e decorato. Sul tetto erano presenti affreschi riguardanti gli Avatar Aang e Korra, e, a dividere le loro grandi imprese vi erano modanature perlate ben rifinite. Alla fine del corridoio si erano aperte due imponenti porte in vetro, che dividevano il androne dalla sala del consiglio. Era una grande stanza con al centro, posto su un rialzo, un grande tavolo circolare a cui erano seduti i consiglieri, c’era solo un posto libero, riservato a Jinora. Quest’ultima si era seduta ed aveva invitato Atlas ad avvicinarsi.
«Io sono l’Avatar Atlas, molto piacere» aveva cominciato lui accennando un inchino.
    «Lo sapevamo» aveva replicato Jinora ridendo «E sappiamo che sei in compagnia della tua amica e, di fatto, diamo il permesso anche a lei di assistere alle richieste della corte» Meissa si era avvicinata all’amico, aveva accennato un inchino ed aveva atteso che la consigliera cominciasse a parlare
    «Io, come avrete intuito, mi chiamo Jinora e sono la nipote dell’Avatar Aang, nonché portavoce degli accoliti dell’aria» Un uomo alto, con i capelli neri e gli occhi ambrati si era alzato e sistemandosi la folta barba nera, si era presentato:
     «Io sono Dheneb, rappresentante della Nazione del Fuoco, è un onore conoscerti Avatar» la voce dell’uomo era rauca e profonda, quasi avesse il mal di gola.
«Piacere mio» aveva educatamente risposto il ragazzo. Dopo si era alzata una giovane donna, che aveva all’’incirca l’età di Jinora, era snella e con un volto giovane e fresco. Sembrava più giovane di quello che in realtà era.
      «Il mio nome è Agena, mio Avatar, e sono l’ incaricata del Regno della Terra» aveva detto lei scostando i lungi capelli neri dalla spalla.
«È un onore» si era alzato inoltre un uomo sulla trentina, con i capelli castani raccolti in due lunghe trecce e la carnagione scura, metteva in risalto gli occhi azzurri come le acque degli oceani.
        «Sono Achenar, provengo dalla tribù dell’acqua del Sud, in nome dei due clan gemelli» aveva detto lui inchinandosi «Onorato»
-Non possono risparmiarsi le carinerie?- si domandava il ragazzo, mentre ringraziava. Infine si era alzato l’ultimo consigliere, un uomo altero, con i capelli corvini e laccati, gli occhi erano anch’essi neri e rigidi. Era quello che, ad Atlas, piaceva di meno… A primo impatto.
        «Buon giorno Avatar, io sono il rappresentante dei non-dominatori, mi chiamo Grafias» gli aveva porto la sua mano callosa e nodosa, che Atlas aveva stretto solo per educazione, ma quel tipo non gli andava a genio.
«Felice di aver fatto la vostra conoscenza, vostro onore» aveva borbottato Atlas ostentando gioia.  
    «Torniamo ai fatti attuali» aveva incominciato Jinora «Come avrai notato arrivando qui, la nostra città è stata divisa. Già l’Avatar Korra aveva constatato disguidi forti, credendo di fare un bene a Città della Repubblica, ella innalzò una grande muraglia di pietra che divideva la città tra: dittatoriale e democratica. Il persecutore dell’ Est si chiama Alcor, è un uomo infido e vile. Sfortunatamente Korra è morta prima di poterlo fermare e impedirgli di conquistare la parte Est della città. Alcor tratta la sua gente con tirannia, li affama, li fa vivere nella miseria, già diverse volte gli abitanti dell’Est hanno appiccato rivolte, ma nessuna si era rivelata efficacie; sta di fatto che il tiranno non si è fermato a Città della Repubblica, egli ha formato un esercito di mercenari e assassini provetti, che ora marcia nelle lande del Regno della terra e come se non bastasse, circola voce che ci siano dei traditori che confabulano con Alcor per spodestare la democrazia»
«Io cosa centro con tutto ciò? In cosa potrei aiutarvi? Conosco solo il dominio della terra» aveva confessato lui mesto.
    «Atlas, nessun Avatar è nato imparato, col tempo imparerai i quattro domini» lo aveva rassicurato Jinora, con un sorriso incoraggiante «Noi vorremmo che tu spodestassi il tiranno. Può sembrarti una cosa da nulla, ma non è così. Lui è un potente dominatore della terra e del metallo, inoltre è un pluriomicida»
«Fantastico!» aveva esclamato «Sono morto»
      «No» lo aveva esortato Agena «Ma ti converrebbe imparare in fretta gli altri domini. Devi cominciare dal fuoco, poi l’aria ed infine l’acqua. Io proporrei di affidarlo ai maestri del Loto Bianco, loro addestrarono Korra nei domini del fuoco e della terra» aveva suggerito la consigliera.
«Potrei dissentire?» aveva bisbigliato Atlas, anche se non voleva farsi sentire, tutti lo avevano udito e si erano zittiti per ascoltare le sue parole «Io vorrei cercare da solo i miei maestri. So che perderò tempo prezioso utile alla causa, me ne rendo conto, ma devo essere io a tracciare la mia strada. Come Gli Avatar precedenti a Korra, sento di dover girare il mondo per capire chi sono e da chi voglio imparare»
    «Concordo con l’Avatar» aveva proferito Jinora spezzando l’increscioso silenzio che si era venuto a creare «Noi non dobbiamo forzarlo e comunque, potrebbe comunque esserci utile a distanza, basta che tenga conto degli attacchi di Alcor e che tenti di rallentarli, se non addirittura di respingerli. È un ragazzo sveglio e sono certa che potrà diventare un grande Avatar solo seguendo il suo cuore. Chi concorda con me?» aveva domandato infine la donna, facendo alzare le mani di tre consiglieri (sua compresa), contro quelle abbassate di due.
     «Non condivido» aveva confessato Dheneb «Ma se il consiglio suppone si meglio così, allora saprò farmene una ragione» aveva concluso lui sistemandosi l’ispida barba nera.
      «Io continuo ad essere contro questa sentenza» aveva proferito severa Agena «La gente dell’Est muore e patisce, subisce l’ira di Alcor mentre l’Avatar impara i domini. Se si esercitasse qui, con i grandi maestri del Loto Bianco, sono sicura che potrebbe battere il dittatore molto prima»
    «Ci metterebbe tanto ugualmente» aveva replicato Jinora «Rammento quando Korra venne da mio padre per farsi insegnare il dominio dell’aria, ci volle tempo, molto più di quanto Korra non desiderasse. Ogni cosa ha il suo tempo Agena, non sappiamo nemmeno quale dominio gli risulterà più difficile rispetto agli altri ed inoltre, se lui vuole tornare alle mere origini dell’Avatar, ben venga. E con questo, la sentenza è chiusa: l’Avatar Atlas girerà il mondo alla ricerca dei maestri per il dominio, affinché possa battere il tiranno Alcor, ma durante i suoi viaggi egli continuerà a tenerci informati sugli spostamenti dell’esercito nemico. L’assemblea è sciolta, se l’Avatar è d’accordo» la dominatrice dell’aria, si era voltata verso di lui alla ricerca di un consenso.
«Sono a favore della sentenza data, l’assemblea può sciogliersi» aveva assecondato lui. Gli uomini si erano alzati dalle loro sedie, per poi dirigersi in quattro direzioni differenti, tranne Jinora che era rimasta seduta al suo posto.
    «Ottimo inizio Atlas, è giusto dar fede ai propri ideali, scommetto che questa caratteristica ti sarà utile» aveva detto lei alzandosi calma.
«La ringrazio. Onorevole Jinora» aveva cominciato Atlas inchinandosi «Vorrei chiederle se acconsentirebbe a divenire la mia insegnante di dominio dell’aria»
    «Allievo Atlas raddrizzati, o ti verrà male alla spina dorsale. Ora tu e la tua amica seguitemi» Atlas si era lasciato sfuggire un “sì” molto entusiasta, che aveva scatenato l’ilarità dell’amica e della nuova maestra. Usciti dal palazzo, Jinora aveva soffiato in un fischietto e dopo qualche minuto, era atterrato ai loro piedi un bisonte volante, munito di sella e briglie.
  «Wow!» aveva esclamato Meissa « non aveva mai visto un bisonte volate prima d’ora. Davvero un poderoso maschio della specie»
    «È una femmina » aveva corretto Jinora «Il suo nome è Gienah. Accarezzala pure» l’aveva invitata lei. Meissa aveva poggiato cautamente la mano, ma poi si era liberata del suo piccolo timore per accoccolarsi sul morbido pelo della bisonte. Dall’alto Città della Repubblica sembrava ancora più segnata dalla dittatura e ad Atlas dispiaceva, se si fosse rivelato prima, se avesse cominciato il suo viaggio qualche tempo addietro, forse, avrebbe potuto evitare tutto ciò.
  «Atlas, non ci pensare, aiuteremo quella gente, ma non ora. Prima devi apprendere gli altri domini» aveva detto Meissa, cercando di confortarlo.
«Lo so» aveva detto lui «Ero semplicemente sovrappensiero» Il bisonte era atterrato al tempio dell’aria, un monaco era arrivato, aveva preso le briglie e lo aveva condotto fino alle stalle, dalle quali era uscita Leda con in groppa due bambini esagitati. La ligre era saltata addosso al suo padrone, leccandolo e , di conseguenza, bagnandolo.
«Leda seduta» aveva ordinato Atlas per poi rialzarsi.
     «È tua?» aveva domandato una bambina, dagli occhi grigi e vispi, il cui naso era piccolo e all’insù, capelli erano castani e legati in una lunga treccia.
«Sì» aveva confermato l’Avatar «Si chiama Leda, è un esemplare di Ligre»
       «Woow!» aveva sospirato sognante anche l’altro bambino, con gli occhioni castani sgranati. Come il resto degli accoliti dell’aria maschi era pelato, ma non aveva alcun tatuaggio, era probabilmente troppo piccolo per farselo.
    «Rigel! Merope! Scendete dalla Ligre dell’Avatar e presentatevi come si deve, mostrate agli ospiti le loro stanze e il tempio il generale»
«Va bene mamma!» avevano esclamato in coro i bambini, di al massimo dieci anni, che erano saltati giù da Leda atterrando su una palla d’aria.
     «Tu quindi sei l’Avatar?» aveva domandato la bambina «Io sono Merope, tanto piacere»
 «Atlas e il piacere è tutto mio»
      «Ed io sono Rigel!» aveva esclamato l’altro, spintonando la sorella «e io sono il maggiore»
      «Smettila!» aveva gridato l’atra «Sei nato solo un’ora prima»
      «Sono comunque più grande»
     «Hai la mia stessa età mongolo» erano sul punto di pestarsi, ma una voce li aveva fermati.
       «BASTA!» aveva gridato una voce maschile sulla porta «Disturbate ragazzi. Vi sembra modo? Vostra madre non è in condizione di sculacciarvi, ma io sì. Fate quello che vi ha detto» l’uomo aveva i capelli lunghi e legati in una coda, indossava le vesti degli accoliti dell’aria, ma Atlas intuiva che egli non fosse un dominatore di alcun genere. Gli occhi dell’uomo erano grigi e profondi e il viso era massiccio, ma non appariva severo.
«Sì papà» avevano detto i due in coro, con aria afflitta.
    «Lesath, lui è Atlas, il nuovo Avatar» aveva detto Jinora, una volta raggiunta dal marito, la cui bocca, nel vedere il ragazzo, si era aperta in un largo sorriso.
       «È meraviglioso averti qui, ora i miei due piccoli demoni, che fra qualche mese saranno in tre, vi faranno fare il giro del tempio» a quel “tre” Atlas era rimasto spiazzato.
«Maestra Jinora, siete incinta?» aveva domandato Atlas in tono scioccato.
    «Sì» aveva risposto lei sorridente «Da ben due mesi oramai»
«Allora dovrò trovare un’altra maestra, o maestro del dominio dell’aria, lei deve rimanere a riposo»
    «Tranquillo Atlas, il dominio dell’aria è basato sulla meditazione, non c’è nulla di più rilassante e inoltre, tu dovrai cominciare la tua istruzione dal dominio del fuoco» le aveva ricordato lei «Ora segui Merope, lei ti condurrà nei tuoi alloggi. Mentre tu Meissa, segui Rigel» Atlas aveva ringraziato e si era diretto con Merope nelle sue stanze. Era una camera umile e semplice, molto simile a quella che aveva sull’isola di Kyoshi, in un certo senso aveva sapore di casa. Le pareti erano intonacate di bianco, c’era una scrivania in legno d’acacia, un armadio nello stesso materiale, un letto attaccato la parete con lenzuola in lino ed infine una finestra dalla quale si riusciva a scorgere il santuario dedicato all’Avatar Aang. La cena vegetariana non era male, ma Atlas era un carnivoro convinto e si era tenuto da parte qualche avanzo di carne essiccata, per lui e per Leda. Il piccolo Rigel aveva preso anche lei per vegetariana, ma a Leda il fieno proprio non andava giù.
  «Allora Atty» aveva detto Meissa alle sue spalle «Domani che facciamo di bello? La città è grande e aspetta solo noi» aveva detto lei sedendosi affianco a lui e Leda.
«Stavo pensando di andare nella parte Est della città» aveva confessato lui.
  «Che cosa?!» aveva gridato Meissa scioccata «Dico ma ti è dato di volta il cervello fratello? Quello è territorio nemico, se scoprono chi sei metteranno una taglia sulla tua testa»
«Vero, ma devo correre il rischio. Sento che là troverò il maestro del fuoco di cui ho bisogno, e poi devo rendermi conto a pelle di quello che accade laggiù» si era spiegato lui.
  «Atlas, capisco, ma questa è senz’ombra di dubbio la cosa più scema e avventata che tu abbia mai fatto in vita tua!» lo aveva rimproverato lei.
«Vero anche questo, ma tu, lo farai con me» aveva detto lui con un sorrisetto sornione.
  «Certo, checché ne dicano tu sei come un fratello per me, non ti abbandonerò ora»
«Lo so» La notte era passata tranquilla, peccato che i materassi fossero duri come le pietre, tanto da provocare un forte mal di schiena ai due ragazzi. Avevano fatto una silenziosa colazione, avevano preso qualche mantello ed erano salpati con Leda alla volta della parte Est. Il muro era alto e grigio, circondato da filo spinato, dalle postazioni di vedetta, un poliziotto, ai tempi di Korra era una grande autorità, vigilava il muro. In poco tempo li aveva notati e gli aveva puntato contro un poderoso masso.
«Vorremmo transitare nella parte est della città, il mio nome è Lee e lei è mia sorella Jin» aveva urlato Atlas, cercando di nascondere il volto col cappuccio del mantello arancione.
 «Siete dominatori?» aveva domandato indagatore.
«No signore, umili commercianti del Regno della Terra, signore» aveva mentito Atlas, convincendo la guardia, che aveva aperto loro un varco nella grande muraglia armata. Le strade erano sporche di sputo e sangue, odoravano di urina e fumo. Molta gente elemosinava e viveva alla mercé della carreggiata, tra lo sporco e la miseria. Le guardie frustavano i coloro che non stavano alle regole, negli sguardi della gente Atlas vedeva la voglia di rinascere, vedeva la ribellione, vedeva la loro impossibilità di farcela con le loro uniche forze.
  «È uno spettacolo orrendo Atlas, ti scongiuro, andiamocene» aveva proferito Meissa con voce grave, stringendosi al ventre dell’amico.
«Cerchiamo in un altro posto, qui ho visto abbastanza» aveva concordato Atlas. Avevano fatto svoltare Leda un paio di volte a destra ed un paio a sinistra, credevano di essere ritornati al muro, ma erano finiti nel pieno di una rissa organizzata. Era un grande piazzale, dove tanta gente si era adunata per vedere due uomini che se le davano di santa ragione in una gabbia.
  «Forte!» aveva esclamato Meissa «finalmente qualcosa di interessante in tutto questo sudiciume depressivo»
«Mah sì, stiamo a vedere» l’aveva assecondata Atlas. «Alla mia destra, con un peso effettivo di 78 chilogrammi, Il Distruttore!» era un classico omone tutto muscoli e niente cervello, con solo le donne e i soldi in testa «Contro il campione in carica alla mia sinistra, con un peso di 50 chilogrammi, l’uomo senza identità!» era un uomo mingherlino, senza muscoli, nascosto da un mantello rosso. Atlas aveva intuito che il suo punto di potenza era l’arguzia e non la forza bruta.
  «Pfft…» aveva cercato di contenersi Meissa «Quel secchettume non lo batterà mai, è una battaglia vinta in partenza. Sembra Thop Beifong quando si spacciava per la bandita cieca»
«Non credo sia un dominatore Meissa, ritengo sia solo furbo» il campanello dell’inizio era suonato e il distruttore, come volevasi dimostrare si era subito accanito contro l’avversario, che rimaneva immobile.   
  «Pazzo!» aveva gridato Meissa «Quello è pazzo, verrà massacrato! Lo spezzerà in due come uno stuzzicadenti» L’uomo col mantello si era scansato ed aveva tirato un poderoso calcio al ventre dell’avversario.
«Ahia!» aveva esclamato Atlas, provando dolore al posto del Distruttore, gli aveva tirato un colpo parecchio poderoso. Ma non si era certo fermato lì, anzi! Il ragazzo col mantello aveva preso a tirargli pugni sul viso, fino a fargli perdere un dente e procurargli un occhio pesto. Aveva concluso con una botta in testa, con conseguente nasca sanguinante, facendolo cadere a terra sfinito.
«Ancora una volta vince… L’uomo senza identità!» aveva gridato il cronista dal microfono. Il distruttore si era rialzato ed aveva puntato contro il dito all’uomo col mantello.
   «Cacciatela, è una donna! Ho visto attraverso il suo cappuccio, non merita i soldi che le date! I nostri!» l’uomo dal viso nascosto era rimasto in silenzio, muto, senza ribattere.
  «Hanno mangiato la lingua a quell’uomo? O-O donna che sia?» aveva domandato Meissa, ma Atlas non la stava ascoltando, perché credeva alle parole del Distruttore.
  «Che sciocchezza!» aveva esclamato il cronista «Abbiamo già esaminato è un uomo»
   «Chi, se mi è permesso chiedere, gli ha mai tirato un calcio al ventre? Nessuno, vero? Costui, o meglio dire, costei è una bugiarda» Il cronista era scoppiato in una risata isterica
   «Vai pure ragazzo, portati a casa i soldi, non dar retta a questo stolto» il ragazzo col mantello aveva preso la grana ed era uscito dalla gabbia di metallo.
    «Stolto io?» aveva gridato offeso il Distruttore.
   «Costui semplicemente è più svelto dell’avversario, se si tiene ben stretti i gioielli di famiglia fa solo che bene»
    «Vi dimostrerò che costui è una donna! Parola mia!» era corso fuori dalla gabbia ed aveva cominciato a seguire l’uomo senza identità ed Atlas lo aveva imitato.
  «Che stai facendo? La muraglia, è dall’altra parte Atlas» aveva ricordato Meissa.
«Ma io non sto andando alla muraglia» aveva confessato lui «Io sto seguendo l’uomo col mantello»
  «Din-din-din! Altra pessima mossa per l’Avatar Atlas, è qui già da due giorni e ha combinato solo casini. Dammi retta, squagliamocela» aveva proposto lei.
«No. Io devo scoprire chi è» si era intestardito lui. Al crocevia di due strade il Distruttore era andato a destra, ma non si era accorto del lembo di mantello rimasto incastrato nella parte sinistra. Lo aveva fatto pazientemente annusare a Leda, che aveva subito seguito la pista fino ad una vecchia locanda diroccata, in cui l’uomo senza identità era appena entrato. Meissa ed Atlas si erano affacciati alla finestra del locale: potevano vedere ed udire tutto. Il ragazzo col mantello aveva nascosto i soldi dietro una fessura nel muro, in modo da non destare sospetti.
   «Arawen, sei tu?» aveva detto una poderosa voce maschile. Dalle scale era sceso un uomo grasso e baffuto, i capelli anche se radi erano grigi come i baffi, gli occhi porcini erano nascosti dietro due piccole lenti tonde. Egli scendeva goffamente le scale per via di una gamba di legno al posto del piede destro.   
  «Arawen?» aveva ribadito Meissa, rimarcando bene il nome «Non mi sembra un nome maschile» aveva commentato lei. Atlas aveva fatto un cenno d’assenso, perché concordava con lei, quello era un nome tutt’altro che maschile.
 «Sì Avior, sono io» aveva confermato una voce suadente, fresca, ma allo stesso tempo calda come le fiamme. Quella non era la voce di un uomo.
  «Allora ce l’ha la voce la bastarda!» aveva commentato Meissa furiosa.
«Abbassa i toni Meissa» l’aveva rimproverata Atlas.
  «Scusa…» La ragazza si era tolta i l cappuccio mostrando il volto, finalmente. Era un viso snello, quello di una classica sedicenne, gli occhi erano color dell’ambra caldi e profondi come gli ignoti tesori della Nazione del Fuoco, ma quella ragazza aveva qualcosa di diverso rispetto a qualsiasi altra: era bionda. Aveva dei lunghi capelli lisci raccolti in una coda. Con soffio aveva spostato il ciuffo di capelli biondo cenere qua e là, tanto per toglierseli dagli occhi; le labbra erano sottili, ma piene e carnose. Atlas doveva ammettere che era davvero bella, con la sua data quantità di fascino femminile.
  «Ehy» lo aveva richiamato Meissa «Sei ancora in preda agli ormoni, o ti si può parlare?»
«In preda agli…Meissa! Non sono in preda proprio ad un bel niente!» si era messo lui sulla difensiva.
  «Okay, okay, ma se non lo fossi realmente stato non te la saresti presa Atty… Comunque» aveva continuato lei, mentre Atlas tentava di ricomporre i nervi «Direi di entrare e pigliarci qualcosa da bere, presentiamoci, conosciamola, forse lei può darci informazioni sul tiranno»
«Hai avuto un idea geniale!» aveva esclamato Atlas sorpreso.
  «Lo so» aveva detto lei atteggiandosi. I due avevano legato Leda ad un palo, Atlas aveva fatto dei nodi impossibili vista la gente che girava nei dintorni aveva preferito legarla stretta. Poi erano entrati nella locanda, che nel mentre facevano i nodi si era riempita. Era pieno di uomini e ragazzini dell’età sua e di Meissa, si erano seduti all’unico tavolo libero infondo alla sala. Non capivano, soprattutto Meissa, perché così tanta fauna maschile radunata in un solo luogo. Era un posto carino, molto più all’interno che non all’esterno, il lampadario in vetro illuminava la sala e la radio passava la musica ad alto volume. Al loro tavolo si era presentata una cameriera, e non una qualsiasi, era la ragazza del mantello. Atlas aveva capito perché i maschi si erano radunati a fiotti: quella ragazza era vestita in modo a dir poco provocante. Portava una camicia bianca che le lasciava i seni in gran parte scoperti, sostenuti da un corsetto che le arrivava all’incirca a metà busto, che era lasciato anch’esso scoperto lasciando in vista il fisico snello e atletico. La gonna le arrivava a metà delle gambe sottili e allenate, infine portava ai piedi dei bellissimi sandali in cuoio.
 «Vuole ordinare signore o vuole fare entrare le mosche in bocca tutta la sera? Ho altri clienti, io» aveva detto lei sorridendo calma, cercando di nascondere il tono seccato.
«Fiocchi di fuoco, grazie» aveva detto Atlas, era certo di averlo detto alla velocità della cometa di Sozin. Si vergognava come un cane.
 «Molto bene, un tè al gelsomino e dei fiocchi di fuoco in arrivo al tavolo 19» aveva detto lei tranquilla.
  «Ti ho capito sai?» aveva detto Meissa dando un pugnetto amichevole sul gomito dell’amico «Lei, ti piace»
«Cosa?!» aveva detto quasi in falsetto.
  «Hai capito: lei-ti-piace!» aveva ribadito Meissa scandendo bene le parole.
«Non essere ridicola!» aveva esclamato lui «L’ho appena conosciuta, manco so il suo nome, come fai ad affermare una cosa del genere?» La ragazza era tornata col loro vassoio, aveva premurosamente poggiato i fiocchi di fuoco sul tavolo ed Atlas era rimasto a guardarla assorto. La locandiera aveva poggiato anche il tè di Meissa ed aveva levato le tende.
  «Credo che tu possa risponderti da solo faccia da triglia» aveva proferito lei , mentre sorseggiava il suo tè
  «Chiedile il nome, anche se lo sai già» Atlas l’aveva fermata
«Scusa, ehm…Non so il tuo nome»
 «Arawen» aveva risposto lei laconica.
«Giusto, ehm…Arawen, volevo chiederti un altro tè al gelsomino al tavolo 19» aveva proferito lui, cercando di trattenersi ed evitare di parlare a macchinetta.
 «Arriva, tu vai pure a sederti al tavolo….Nome?» aveva domandato lei sorridente.
«Atlas, mi chiamo Atlas»
«Bene, Atlas, che ne diresti di sederti e smetterla di toccarmi la gonna? Sai, è leggermente irritante»
«Sì, scusa» ed era velocemente tornato al tavolo, con Meissa che rideva silenziosamente.
  «Sei davvero pessimo»
«Che bell’incoraggiamento» aveva detto tenendosi sfacciatamente il capo. La porta della locanda si era aperta di botto, lasciando entrare tutto il vento gelido di Febbraio. Arawen ed Avior erano accorsi in sala ed anche Atlas era stupito nel rivedere il Distruttore lì, che si era subito accanito contro Arawen.
   «Dimmi dove lo nascondi donna!» aveva gridato lui.
 «Nascondere chi, alito che uccide?» aveva detto lei con strafottenza.
   «O forse sei tu l’uomo senza identità?» aveva continuato a sbraitare lui.
 «Non l’ho mai sentito nominare, né io, né il mio titolare. Ora, fuori dalla locanda» aveva detto lei seria e velenosa. L’uomo era uscito a testa bassa con un ghigno feroce disegnato sul volto, non sarebbe finita lì. Atlas e Meissa si erano capiti solo con uno sguardo: tenere d’occhio Arawen. Anche se era perfettamente in grado di cavarsela da sola. Come sospettavano una volta chiusa la locanda, Arawen aveva ripreso il malloppo guadagnato nella gabbia, si era rimessa il mantello ed, una volta uscita, il Distruttore aveva iniziato a pedinarla. Atlas e Meissa erano saltati in groppa a Leda, che aveva seguito la traccia dell’odore di Arawen fino ad un piazzale. Era circondato da catapecchie che cadevano a pezzi, stavano in piedi per miracolo, i panni sporchi non venivano lavati, ma utilizzati come coperte. Non circolava acqua potabile. Atlas e Meissa erano nascosti negli anfratti di un vicolo, ad osservare.
  «Che ci fa in un posto simile?» aveva domandato lei.
«Non ne ho idea» I bambini erano vestiti di stracci, ma le venivano incontro con i volti illuminati di gioia, Arawen dava loro parte del compenso della gabbia. Dava denaro a tutti, finché il sacchetto di iuta che li conteneva era rimasto vuoto.
  «Però» aveva commentato Meissa a gran voce « In gamba per essere una non-dominatrice»
«Già…» aveva concordato Atlas, a bassa voce.
«Attenta Arawen!» aveva gridato una bambina «Alle tue spalle!» Arawen non aveva fatto in tempo a difendersi che il Distruttore le era piombato addosso come una fuia cieca, l’aveva attaccata al muro prendendola per il collo.
   «Avevo detto che eri una donna, ma nessuno mi ha creduto. Maledetta, ti sei nascosta bene, ma cosa volevano verificare, con un po’ di carta nei pantaloni si fa tutto non è così?» le aveva sbattuto la testa contro il muro, stentava a respirare. Come Atlas immaginava, l’aveva presa in contropiede
   «Guardati come se forte ora» un forte masso aveva colpito la testa dell’uomo, facendolo cadere a terra sanguinante. Atlas era corso incontro ad Arawen che tossicchiava a malapena.
«Stai bene?» aveva detto lui porgendole la mano.
 «Mai stata meglio, Atlas» aveva detto lei rialzandosi da sola. Lo guardava fisso negli occhi e lui non poteva fare altro che fissarli a sua volta. Anche perché si era ricordata il suo nome!
 «Stupido fai attenzione!» aveva gridato lei, facendogli riprendere il controllo della situazione. Aveva fatto un gesto con le mani che aveva diviso loro dal Distruttore, ma non era bastato. Il Distruttore aveva saltato il muro, e stava per tirare un pugno ad Atlas, ma era stato bloccato da un colpo di fuoco. Alle sue spalle Arawen lo stava distruggendo a colpi di dominio. Si muoveva sinuosamente, attaccava la radice dei piedi, fino a far cadere l’avversario. Atlas gli aveva dato il colpo di grazia, bloccandolo tra degli spuntoni di roccia.
   «C-Chi siete?» aveva domandato quasi spaurito lui.  
 «Io sono Arawen, sono una dominatrice del fuoco»
«Ed io sono l’Avatar Atlas….Direi che dicendo questo ho spiegato tutto, no?» si era voltato verso Arawen alla ricerca di un consenso, ma si era appena reso conto, grazie alla faccia sbalordita della ragazza, che aveva sbandierato il suo nome e la sua identità ai quattro venti. Aveva fatto salire Arawen su Leda ed insieme erano arrivati nella locanda, erano scesi nei sotterranei dove alloggiava la giovane dominatrice del fuoco. Era una stanza piccola e buia, senza finestre, con solo delle candele ad illuminare la camera. Una branda di paglia con un lenzuolo in lino sopra era quello che Arawen definiva letto e non aveva scrivanie.
 «Quindi» aveva cominciato lei «Tu sei l’Avatar»»
«Esatto, sono proprio io» aveva confermato lui fiero.
 «Sei il più stupido di tutti» aveva detto lei facendo ridere Meissa e smorzando l’entusiasmo del diretto interessato «Come ti viene in mente di dire, ad un ceffo come quello soprattutto, di essere l’Avatar?! Sai che ti metteranno sui manifesti»
«Forte, spero mi ritraggano bene»
 «Lo faranno, dato che ci sarà una taglia sulla tua testa, razza di incosciente!» lo aveva rimproverato lei, mentre accarezzava un falco che si era appollaiato sulla sua spalla. Atlas prima non lo aveva notato
 «Oh, ragazzi, lui è Avalon, il mio falco messaggero»
«Carino…Cioè, volevo dire: hai ragione, ma ora che sono qui vorrei chiederti una cosa importante» aveva cominciato lui.
 «Sarebbe?»
«Vorresti essere la mia insegnate di dominio del fuoco?» aveva domandato lui ritornando all’entusiasmo iniziale.
 «Io? Non ti converrebbe scegliere qualcun altro?» aveva domandato lei.
«No, io sento che tu sei la migliore, sia per come combatti, sia per come affronti la vita» Arawen aveva fatto un sorriso complice e nel vedere la mano di Atlas tesa verso di lei non aveva esitato nel stringerla.
 «E sia Avatar, dammi il tempo di salutare» Arawen aveva salutato il titolare della locanda e si era scusata per il licenziamento. Poi era salita su Leda e, tutti e tre, erano tornati nella parte Ovest, a nuoto, a parte Avalon che volava fiero sopra le loro teste. Ma nessuno di loro poteva sapere, che cosa stava accadendo all’interno del palazzo della signoria.
      «Come hai detto che si chiama?» aveva proferito una voce guardinga e malvagia.
   «Atlas signore, Avatar Atlas» aveva confessato il tanto temuto Distruttore, ora ammanettato. Con un gesto della mano l’uomo aveva richiamato le guardie:
     «Portatelo nelle segrete, non mi serve più»
   «No la prego Alcor signore» gridava esasperato l’uomo, ma il tiranno ignorava le sue grida tormentate.
    «Shedar! Shayla! Venite qui, oh miei fedeli, ho una missione per voi» dall’ombra dei tendoni in velluto rosso erano apparsi due loschi figuri, di non si vedeva il volto «Trovate l’Avatar, portatemelo qui voglio ucciderlo con le mie stesse mani» una profonda risata aveva riempito la sala del trono, se non tutto il palazzo.


Appa's Corner:
Rouge: Fiu, meno male, anche questo è andato
 Minori: Forse ti peserebbe di meno lavorare se non lo facessi alle due del mattino!
Rouge: Non ho sonno, sfrutto la cosa in maniera utile non come te che ti acciambelli contro Appa e dormi!
 Minori: Ehi, non tirarlo in mezzo, lui è innocente! Comunque, di solito di notte si dorme.
Rouge: Io sono una sovversiva, e comunque il prossimo capitolo è tutto tuo quindi... 
 Minori: Ah, è vero...Beh salutiamo... Un ultima cosa, vi mostriamo i personaggi come ce li siamo immaginati noi con qualche informazione, speriamo sia cosa gradita.
Rouge: Si, si, bla-bla... Arrivederci gente, fateci sapere che ne pensate!


Nome: Atlas
 Dominio: E' L'Avatar... Non c'è molto da dire
Nazione: Della Terra
 Compleanno: 7 Febbraio

 

  
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