CAPITOLO
9
Erano le sei del mattino. Una
sveglia suonò e un ragazzo si alzò dal letto, contrariato dal dover andare a
scuola.
Si vestì lentamente, con
calma, come poche mattine. Si lavò la faccia e i denti e si fiondò in cucina per
fare colazione. La mamma non c’era, non c’era più da cinque anni precisi. Il
padre era già andato al lavoro e non gli aveva neanche preparato la colazione,
non l’aveva mai fatto. Da quando la mamma se ne era andata, Daniele non trovava
mai la colazione pronta.
Mise la caffettiera sui
fornelli e tirò fuori dalla dispensa una brioche confezionata. La addentò
affamato e la divorò del tutto prima ancora che la caffettiera
fischiasse.
Prese una tazzina e ci versò
dentro qualche goccia di quel caldo e amaro caffé appena uscito; lo bevve tutto
d’un fiato e uscì di casa, diretto verso la scuola.
Il cielo era ancora scuro e
non preannunciava una giornata di sole.
Mentre camminava, passando
davanti alla biblioteca civica si rese conto di quanto tempo era passato
dall’ultima volta in cui vi aveva messo piede e aveva letto un libro che non
fosse di scuola.
Era da quando aveva litigato
con Giulia che non aveva aperto un libro. Quando andava in biblioteca o ne
andava a comprare uno, ci andava sempre con lei che gli consigliava i suoi
preferiti.
Da quando avevano litigato,
lui aveva smesso di fare molte cose. Non perché non volesse, ma perché non le
trovava più interessanti. Senza di lei non lo erano
più.
Era da quando aveva preso atto
di questo particolare, quando si era reso conto che per lui, lei era troppo
importante, che aveva anche capito quanto l’amava.
Scacciò dalla testa qual
pensiero e camminò più veloce.
Mentre quasi correva sul
marciapiede scuro, lo stesso che lei aveva calpestato tre giorni prima, dopo
averlo lasciato solo, solo per sempre, gli venne in mente quella sera,
quell’orribile sera in cui lei si era messa sotto il suo balcone e gli aveva
urlato
- Addio! Per
sempre!
L’aveva vista fragile, avrebbe
voluto consolare le piccole lacrime che le rigavano il volto, ma quelle parole
lo avevano pietrificato del tutto, le sue orecchie non credevano che fosse
vero.
Anche quel pensiero era troppo
doloroso per i suoi gusti. Insomma, tutti i pensieri che gli venivano in mente
riguardavano lei.
Era arrivato a scuola, era
davanti al portone d’ingresso e stava lì, fermo.
Lei era davanti a lui, come la
sera prima, quando l’aveva incontrata alla piazzetta sotto casa
sua.
Lo guardava dall’alto in
basso, con un viso senza espressione, non ne dimostrava
alcuna.
Lui non parlò, non ce n’era
bisogno, i suoi occhi azzurrissimi parlavano da soli, incontrando quelli di lei,
neri come il carbone, oggi senza espressione, ma un giorno dolcissimi e
insicuri.
Lei non distolse lo sguardo
dal suo viso, lo guardava, come a cercare se le sue parole della sera prima
avessero lasciato qualche segno indelebile.
- Ciao Giuli, come
stai?
Giulia non rispose, era troppo
occupata per dare corda anche a Sara.
- Oh Giuli, che
c’hai?
Sara non si rese subito conto
che gli occhi della sua migliore amica erano rivolti verso quelli di
Daniele.
- Giulia, sei arrabbiata con
me? Dimmelo subito invece di fare ‘sta scenata
patetica!
Giulia non si voltò, ma le
disse
- Non con te, sto facendo
capire ad una persona, probabilmente troppo ottusa, che quello che dico, lo dico
seriamente e che deve, quindi, smettere anche solo di sperare che io gli
parli.
Solo quando ebbe terminato la
frase, si voltò verso Sara e le fece capire che era ora di entrare a
scuola.
-*-*-
Passi, passi sommessi
attraversano il corridoio, fino a raggiungere la camera da letto, la
sua.
- Sei arrivato, finalmente, ma
quanto ci hai messo?
- Scusa se ti ho fatto
aspettare, ma Sara rompeva, non voleva che me ne andassi prima delle
dieci.
Michele si avvicinò cauto a
quella figura dal profilo pronunciato.
- Perché non la lasci
quell’idiota?
Michele continuava ad
avvicinarsi.
- Mi sa che mi lascerà
lei.
- Ti vuoi far mettere i piedi
in testa dalla tua ragazza, se così si può dire?
Il ragazzo era arrivato alla
sedia su cui Mariangela era seduta con le gambe accavallate l’una
sull’altra.
- Chiudiamo il discorso, ok?
Ora sono qui con te, non ci pensiamo più.
- Va bene, ora
baciami.
Michele appoggiò le sue labbra
su quelle di Mariangela e poi fu lei a fare il
resto.
Michele sentì un brivido
percorrergli il corpo, Mariangela sapeva come farlo
emozionare.
- Promettimi solo che la
lascerai.
- Sei
gelosa?
I due erano rimasti immobili,
nella stessa posizione di prima, lei fra le braccia di lui e lui seduto sulla
sedia girevole della stanza da letto.
- Io non sono mai gelosa, lo
dico solo per te.
- Ti sei
offesa?
Mariangela si staccò da
Michele che la squadrò dalla testa ai piedi.
- Quando fai così sei proprio
stronzo!
Michele si alzò dalla sedia e
la raggiunse, in piedi nel bel mezzo della stanza.
- E tu li ami gli
stronzi?
- Se si sanno far
amare....
Michele la baciò di nuovo, con
passione.
-
Michele....
- Cosa
c’è?
Un trillo forte, quello delle
suonerie del cellulare, risuonò nella stanza.
Il ragazzo spostò le mani dal
corpo della ragazza alla sua tasca ed estrasse il
cellulare.
-
Pronto?
- Dove
sei?
Una voce forte, grintosa
proveniva dal piccolo telefonino.
- Cosa vuoi
Sara?
- Sapere dove sei! Sono tre
ore che ti chiamo a casa e nessuno mi risponde!
- Non avrò sentito il
telefono.
- Non mi dire stupidaggini,
Michele! Tanto lo so che sei a casa di quella stronza, magari nel suo letto,
vero?
Michele si pietrificò, come
poteva sapere?
- C’ho preso,
vero?
- Cosa vuoi,
Sara?
- Michele, voglio solo che tu
metta fine alla nostra storia, se non mi ami più come una
volta!
- Cosa devo
dirti?
- Che non mi ami più, se è
così. Che sei a casa di Mariangela e che mi stai tradendo con lei, se è la
verità.
Michele
sospirò.
- Sono a casa di Mariangela,
la sto baciando perché non amo più te, ma lei.
Per tutta risposta Sara gli
attaccò il telefono in faccia, dopo avergli detto che era uno
stronzo.
-*-*-
Sara scoppiò a piangere a
dirotto fra le braccia di Giulia, che non sapeva cosa dirle. Aveva sentito tutta
la telefonata ed era rimasta a bocca aperta.
-
Piangi.
Sara non aveva bisogno di
quell’ordine per farlo, ma Giulia glielo aveva detto per farle capire che le era
vicina.
La ragazza dai lunghi capelli
biondi pianse fino a che non ebbe più lacrime e, a quel punto, si addormentò.
Giulia la guardò. Come poteva
Michele averle fatto un torto simile, come poteva non aver provato niente nel
dirlo. Aveva avuto ragione, Sara, nel dirgli che era uno stronzo. Se lo meritava
proprio.
La abbracciò. Ora era Sara ad aver bisogno del suo appoggio, e lei non glielo avrebbe negato.
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