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Autore: Friedrike    21/08/2013    1 recensioni
[Ispirata al film di titolo "Der Verdingbub."]
 
Campagne italiane, inizi del '900.
Ormai mandare avanti la fattoria da soli, sembra impossibile: è per questo che una coppia di coniugi non più giovani decide di farsi aiutare. Il parroco del piccolo villaggio in cui vivono affida loro due ragazzi, Ludwig e Felicia. 
Ben presto però i due adulti si riveleranno sfruttatori senza scrupoli che li umilieranno continuamente. 
-Tienimi con te- lo supplicò. -Non mi fido di nessun altro.- 
-Lo prometto- le rispose. -Rimarrai qui con me.-
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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[ Chiedo venia per il ritardo, ma!, è estate per tutti. 
Ho fatto quello che in molti mi hanno chiesto: l'idea mi è piaciuta e l'ho semplicemente messa in atto. Buona lettura! = )
P.S. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo! ]




CAPITOLO VI.




La ragazza iniziò a canticchiare tra le labbra mentre con la penna abbozzava un disegno sulla carta. Forse non sapeva scrivere, ma quando la punta sottile di quello strumento toccava il pallido foglio, si sposava con esso così bene da parer quasi che fossero nati insieme, come una cartolina.
Flavia si complimentava spesso con lei, era brava in molte cose e aveva un gran cuore e molto coraggio. Cercò sempre di trattarla bene ed ogni tanto guardava il suo profilo e la riconosceva così simile ad un'altra persona...
"Vargas" si ripeteva. "Sarà lei? Devo scoprirlo."
Le si avvicinò e sbirciò il suo foglio, un giorno. Stava facendo un ritratto di Ludwig, segno che non smetteva mai di pensarlo, e l'insegnate si lasciò scappare un sorriso addolcito notandolo. Era così realistico! 
-Sei davvero molto brava.-
La ragazzina arrossì e con le mani cercò di coprire il foglio e nascondere il carboncino che aveva usato per realizzare quella piccola opera d'arte. 
Decise di concentrarsi sulle sue successive parole, per dimenticare quell'imbarazzo. -Mh? La mia vita prima della fattoria? Beh... io avevo un papà, una mamma ed una sorella maggiore. Lei mi voleva tanto bene... la sera mi pettinava i capelli e se avevo un incubo mi accoglieva nel suo letto. Mi sgridava, però era buona... mi manca così tanto...- disse sospirando appena.
-E se ti dicessi che... Tu aspettami qui. Ho da fare una cosa- concluse lei.
Lasciandola nel dubbio sistemò sulle labbra un poco di rossetto e intrecciò i capelli sistemandoli poi di lato. Infine, uscì di casa.
Si mise in sella alla bicicletta ed iniziò a pedale, il vento le toccava il viso delicato, la gonna svolazzava appena, e le ruote continuavano a girare; alla sua destra e alla sua sinistra solo campagna, qualche mucca mangiava l'erba, qualche pecora la imitava. Due cavalli vecchi e con gli zoccoli incrostati di fango erano fermi l'uno davanti all'altro, come se si fissassero, intorno a loro la paglia bruciata dal sole che poco a poco ritornava a vivere grazie alla pioggia.
Giunse in paese e trascinò con sé la bici, scendendo in fretta da essa. Girò un angolo, ne svoltò un secondo, percorse una stretta strada ed ignorò lo sguardo incuriosito dei paesani che fissavano come inorriditi la straniera. 
Trovò la fonte della sua ricerca, un'osteria, vecchia, in legno, con un'insegna ormai marcia scritta con un errore, la agirò e chiamo: -Lovina? Lovina, sei qui?-
Nessuna risposta. Alzò un poco la voce. 
-Se n'è andata- le disse qualcuno. Parlava un uomo, sulla quarantina, grasso, con le mani che gli puzzavano di vino.
-Come andata? E dove?- 
-Non lo so. Forse la trova alla stazione. E' partita un'ora fa. Ha detto che doveva cercare una persona. Poco male! Combinava solo guai, quella ragazzina, così goffa! E che caratterino!- continuò scuotendo la testa con disapprovazione. 
La donna lo ringraziò appena, stringendo le labbra e si rimise in sella alla bicicletta. Sperò di cuore di trovarla e ri-iniziò a pedalare veloce, finché il fiato s'accorciò ed il polmoni non le fecero male. 
Ma di nuovo campagna, fattorie, maiali (di ogni tipo), cavalli, mucche, cani e pecore trovò sulla strada. E d'un tratto un gregge le bloccò completamente il passeggiò ed un enorme bestiaccia nera iniziò ad abbaiarle incontro. 
-Scusi?- chiamò un vecchio uomo. Lui si voltò solo dopo un po', facendosi largo a suon di bastone sul dorso di quelle povere nuvole bianco sporco col sedere incrostato dai loro escrementi -che stupidi animali, le pecore! Sbraitò un poco e le liberò un piccolo passaggio, le a fatica s'introdusse e andò via. Quest'incedente, seppur piccolo, le fece perdere del tempo prezioso. 
Quando arrivò alla stazione, il treno già sbuffava e lei si sporse per cercar di vedere la ragazza. -Lovina!- 
Una figura esile dagli occhi verdi grandi ed i capelli sciolti, scuri, sulle spalle, si volse verso la direzione dalla quale proveniva la voce, sorpresa. "Chi accidenti mi cerca? Dannazione... dovevo prendere il treno di prima!" si rimproverò tra sé sbuffando appena. Prese la sua umile valigia e si avvicinò ai binari, magari poteva prende il successivo. Questo era appena partito, fumando rumoroso. 
La ragazza aveva indosso un vestito azzurro pallido ed una giacchetta nera. Non era un abbigliamento che le piaceva, ma non aveva trovato di meglio e doveva accontentarsi. Con sé, a parte la valigia, aveva un cesto di pomodori. Li aveva rubati e non se ne vergognava. Era l'unica cosa che potesse mangiare! L'unica da prendere... che aveva avuto la possibilità di prendere. 
-Lovina! Non farlo!- la chiamò Flavia, avvicinandosi a lei. 
Lei si voltò e la guardò negli occhi, freddamente. -Non avvicinatevi. Devo farlo! Mia sorella non è qui, ho raccolto dei soldi con fatica, ed ora posso prendere il treno. Devo trovarla, voi non capite!- Fece un passo ed appoggiò il piede destro, avvolto da una scarpa logora marrone (non le piaceva l'accostamento di colore, ma non aveva trovato di meglio), sul primo gradino del treno.
-Aspetta! L'ho trovata io- le disse l'insegnante sorridendole appena. Sistemò gli occhiali sul naso diritto, non importava se il suo titolo, adesso, non contava. Era solo una persona come tante, che avesse un'istruzione o no non era nulla. Doveva semplicemente aiutare quella ragazza, la quale, sentendola dire ciò, spalancò gli occhi ed il cesto quasi le scappò di mano. Sicuramente, qualche pomodoro le cadde ma lo stupore sovrastò il dispiacere. -Co..come?- ripeté scettica. 
-Allora!, ti smuovi o no?!- la rimproverò un uomo più grande che aveva fretta di salire. La spinse facendola cadere e le passò accanto senza aiutarla.
-Lei è un cafone! Si vergogni!- lo rimproverò Flavia. 
Lovina strinse i denti e lo fissò con odio. Raccolse poi, umiliata, i pomodori riportandoli nel cesto con l'aiuto della donna e riprese la valigia. Si sedette con le su una panchina e si fece raccontare ognì cosa. Urlò la sua rabbia, vomitò le sue emozioni, tutte quante, quando seppe tutto ciò che la sorellina aveva passato e la pregò -con molta, molta fatica- di portarla da lei. 
Si misero in cammino insieme. 
 
 
 
 
Flavia aveva detto a Felicia di stare molto attenta quando qualcuno bussava a quella porta, che non doveva mai fidarsi, e che avrebbe dovuto aprire soltanto a lei e a Ludwig. 
Quando lei e Lovina bussarono alla porta d'ingresso della modesta abitazione -modesta per quella donna di mondo, non certo per chi vive nel porcile coi porci o serve a maniaci ubriachi all'osteria- Felicia esitò un po' ad aprire. 
-Chi è?- chiese, debolmente, e a sentir la risposta lentamente aprì la porta. 
Spalancò gli occhi nocciola che subito si riempirono in un pianto quasi nervoso quando vide la sorella e si strinse forte al suo petto. -Sorellona! Sorellona!- continuò a chiamarla.
Anche gli occhi di Lovina si inumidirono, ma lei badò bene a non versare una lacrima. La strinse a sé e le carezzò la testa. "Quanto mi sei mancata..." pensò ma non disse una parola almeno per dieci minuti abbondanti. Poi le asciugò le sue, di lacrime, e la guardò portando le mani sui fianchi.
-Allora! Stai ancora a piangere? Su, smettila. Ora dimmi: ti sono mancata, mh?- 
-C-certo che sì!- confermò l'altra. Le prese la mano, dolce, e si girò verso Flavia. -Non avete... notizie di Ludwig?- chiese d'improvviso rattristata. La donna scosse la testa e lei chinò la sua. -Amore mio... ma cosa ti hanno fatto...?- sussurrò tra sé con dolore. Si lasciò di nuovo andare al petto della sorella, la quale, capì di dover intervenire. 
Sbuffò appena, un po' teatrale, ed annunciò: -Andiamo a cercarlo, stupida.- 
-Cosa? Dici... davvero, sorellona?-
-Mh.-
-Ah! Lo sapevo! Sei la migliore...- commentò lei sinceramente grata. Prendendo una mantellina ciascuno tra quelle di Flavia, uscirono di casa tenendosi strette per risalire in fattoria. 
Si guardarono attorno, ricordando bene le raccomandazioni dell'insegnante, e lentamente percorsero quella salite che avrebbe portato poi a quella sorta di "casa." 
Ludwig però sembrava scomparso. Non si vedeva da nessuna parte, stando nascoste lì dietro i cespugli, né alla piantagione di patate, né vicino ai maiali... ma dov'era, allora? D'un tratto lo videro. 
-Amor...- sorrise dolcemente Felicia. -Guardalo! E' lui! E' così bello...- 
Ritrovandosi a riflettere su quel pensiero le sue guance si imporporirono. L'altra roteò lo sguardo, le afferrò la mano ed uscì dal nascondiglio. Si avvicinarono al ragazzo, lui, non appena le vide, fece cenno di nascondersi nel porcile. 
Poco dopo uscì il padrone.
-Stai ancora a non fare niente?! Schifoso! Bastardo! Sempre a perder tempo stai, ah!, maiale!- un'altra bella serie d'insulti accompagnati a qualche scappellotto e lui fu di nuovo libero. Si rifugiò ancora al porcile, si avvicinò all'amata e l'abbracciò forte. -Scusami... Scusami, non volevo abbandonarti. Hai corso un grande rischio a venire fin qui, mi farai preoccupare...- sospirò. 
Lei scosse in fretta la testa appoggiando le mani sul suo petto. -Non importa, mi mancavi così tanto! Perché non sei venuto da me, amore mio?- 
-Non me l'hanno lasciato fare; ed ho una cosa per noi. Adesso andate via, ci vediamo dopo. Verrò io a casa della maestra e porterò con me una cosa. Ma tu prepara la valigia, perché oggi stesso andremo via.- 
Poi vennero fatte le presentazioni, Lovina mugugnò sottovoce il proprio nome, con le braccia incrociate al petto, rivolgendogli quasi le spalle e guardandolo -male- con la coda dell'occhio. 
Che tipo, quel tale. Toccare sua sorella così. Ma come osa?
E' tornata, lei, ora; con tutta la sua gelosia. 
 
 
 
La luna era alta nel cielo e abbagliava le nuvole vicine col suo splendore. Di Ludwig nemmeno l'ombra, ancora. Le due ragazzine erano sedute sul divano, la più grande si era addormentata stanca mentre Felicia stava compostamente appoggiata al bracciolo, il corpo fasciato dal suo più bel vestito. I capelli le erano ormai ricresciuti e lei li aveva lasciati liberi sulle spalle e sul petto. 
"Tesoro, ma quando vieni? Ho bisogno di te come l'aria per respirare, come i pesci del mare, come l'estate del sole. Ho bisogno di toccarti ancora e di sentire le tue labbra sulle mie. Voglio il tuo petto, mi sento così bene quando posso ascoltare il tuo cuore battere allo stesso ritmo del mio!" pensò con un sospiro appoggiando una mano proprio sulla sinistra, in direzione del cuore. 
Sentì bussare quattro volte. Era il tedesco, doveva essere per forza lui! 
Quando lo vide lo abbracciò forte e casta gli baciò una guancia. Lui arrossì ed entrò in casa. Le mostrò una busta. Le disse di aprirla. C'erano dentro dei soldi. Un po' se li era guadagnati facendo dei lavoretti di nascosto era già molto che li metteva da parte, prima che lei arrivasse lì, ma non gliene aveva mai parlato. Per quanto ricorda, l'aveva sempre fatto. Una volta lo scoprirono e lo frustarono severamente finché non perse conoscenza, ma lui aveva ripreso a farlo. Erano soldi guadagnati onestamente. 
Il volto per la prima volta era privo di tagli, lividi o graffi, ma le mani erano distrutte. Arrossate, spaccate, il segno di un morso tra pollice ed indice. 
L'unico che aveva salutato era stato Cesare, il cane, che gli aveva dato tanto affetto in quegl'anni. Aveva lasciato alle spalle le attenzioni della padrona, che non l'aveva mai toccato, ma che avrebbe gradito per certo che Ludwig la guardasse almeno una volta come guardava Felicia; aveva dimenticato alle sue spalle le violenze del padrone e della sua cinghia, il letto scomodo, la puzza dei maiali, le patate marce, i fiori secchi, tutto quanto. Adesso era libero. 
Lovina si strofinò gli occhi e si mise seduta. Si avvicinò subito a loro. -Felicia... dove vai? Mi lasci sola?- le chiese, quasi istintivamente, infatti si pentì subito di questa sua sorta di "debolezza." Ma non era riuscita a zittirsi. 
La più piccola guardò negli occhi Ludwig per un lungo istante. Lui annuì ed accennò uno dei suoi piccoli sorrisi. Così, lei, Felicia, le si avvicinò e le prese la mano. -No. Non ci lasceremo più. Verrai con noi. Hai detto di avere dei soldi, vero?- 
L'altra, incerta, annuì e andò a prendere la sua valigia. Tirò fuori dei soldi. Non era molto, ma per lei sarebbero bastati per un po'. 
Flavia uscì fuori dal suo nascondiglio, un muro, e li guardò stretta nella sua giacca da camera viola-azzurro. Si avvicinò alla ragazzina che aveva preso in custodia e la strinse a sé svelta. -Abbi cura di te- le disse. 
Volse la sua attenzione all'indirizzo dell'altra. -Lovina...- abbracciò anche lei. -Mi raccomando, non fare sciocchezze, usa la testa per pensare e non per pensare a qualche nuova maledizione da lanciare! E tu, Ludwig...-
Si fece largo verso il ragazzo ed osservò le sue mani. -Sei diventato un uomo troppo presto. Ma adesso è compito tuo prenderti cura di loro.-
-Io mi prendo cura da sola di me e della mia sorellina!- interruppe Lovi. 
Flavia continuò: -Non far che accada nulla a nessuna delle due- gli sussurrò. Lui lo promise.
Uscirono di casa. 
 
 
 
Il sole era ancora nascosto e quella luce soffusa faceva male agli occhi chiari e delicati del tedesco, ma lui non se ne curò. Disteso sulla paglia, il volto della sua bella appoggiato al petto, continuava ad accarezzarle distratto i capelli, stringendola a sé ogni tanto. La paglia gli sembrava il posto più comodo e quel caretto che li trasportava fuori paese, portato da quel simpatico omino vecchio sdentato era per loro meglio di una carrozza da re e regina. 
Lovina era seduta in un angolo un poco distante, le ginocchia al petto, a sgranocchiar pomodori. E li osservava, un po' melanconica, un poco invidiosa, ma felice per la sorella.
-Ich hab dich so lieb...- 
-Cosa.. significa?- 
-"Ti amo così tanto."-
-Quanto?- chiese lei.
Lui appoggiò delicato le labbra sulla sua fronte. -Molto. Moltissimo. Und du? Mi ami?- 
-Più di quanto riesca a dirti- confessò. 
Il carretto incontrò una buca e sobbalzò. I pomodori finirono addossi ai tre, i quali erano attorniati da enormi sacchi di patate. Risero, spensierati, tutti e tre, finalmente felici. Sì, risero. Forse non l'avrebbero mai più rifatto, ridere così tanto per una cosa così sciocca, ma la vita gli aveva appena dato una nuova strada da percorrere e loro avevano finalmente voglia di vivere davvero. 






 
  
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