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Autore: Prophet    21/08/2013    1 recensioni
"Signor Jenkins. È un onore conoscere il brillante novellino a cui è stato affidato il caso più importante degli ultimi dieci anni, senza che facesse niente di eclatante. Sospetta come cosa, oserei ."
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Numeri. Una quantità spropositata di numeri. Nessun filo logico, nessun codice, nessun rompicapo. Solo numeri. Niente su quelle tre pareti, che possa ricondurre al brutale omicida che affligge Londra da ormai dieci anni. Sono lì, appena oltre la porta, che continuo a fissare quei numeri.

"Signor Jenkins. È un onore conoscere il brillante novellino a cui è stato affidato il caso più importante degli ultimi dieci anni, senza che facesse niente di eclatante. Sospetta come cosa, oserei ." È l'ispettore Bell. Charles Bell. Uomo senza dubbio brillante, e con una carriera di 40 anni alle spalle, che lo è altrettanto. Ha settant'anni ormai, e la vecchiaia l'ha reso sospettoso e scorbutico. Oddio, non che sia un male, visto il lavoro che fa, ma ultimamente sta sfiorando la paranoia.
"Preferirei che mi chiamasse Aaron. Non mi piace il mio cognome." Gli dico io, con un tono un pizzico infastidito.

"Aah sì, ho sentito del risentimento che prova per suo padre. Eppure è lui che vi ha dato il lavoro, vista la posizione che occupa."

"Sono stato io a darmi questa posizione, ispettore. La infastidisce che abbiano pensato che lei avesse bisogno del mio aiuto, per risolvere un caso che la cruccia da dieci anni?"

Mi guarda, come un cane guarda un nero. Se avessi ascoltato meglio, probabilmente avrei potuto sentirlo ringhiare.

"Ora, caro Bell, gradirei che mi lasciassi solo con questo posto." Gli dico con tono autoritario, mani dietro la schiena. Lo guardo con la coda dell'occhio mentre sale le scale dello scantinato e sbatte la porta di ferro.

Avanzo nella stanza e mi fermo davanti alla parete che da di fronte alla porta. Faccio scivolare la mano sui numeri, come se sentissi di poter cogliere qualcosa semplicemente toccandoli. E in un certo senso, lo faccio. Sento come se uno spillo pieno di malinconia e dolore mi punzecchiasse l'anima. Mi torna in mente la mia infanzia. La vecchia villa dove ero andato ad abitare con mio padre, dopo che mia madre era morta, quando ancora, non ero nemmeno in grado di parlare. Mi ricordo le botte di mio padre, i suoi insulti. Diceva sempre che era un modo per spronarmi, per aiutarmi a crescere e ad imparare come era il mondo là fuori. E c'è riuscito. Ora sono a capo dell'indagine più importante di questo paese. Ha creato una macchina quasi perfetta, ma ha perso un figlio. Non sono mai riuscito a perdonargli tutte quelle bastonate e tutte quelle offese. Mi è rimasta una cicatrice che si riapre ogni volta che sento la sua voce, e vedo il suo volto.

Metto la schiena contro il muro, e mi faccio scivolare, fino ad arrivare a sedermici contro. Non sono solo i numeri, è questa stanza in se che mi fa sentire strano. È come essere nell'occhio di un ciclone fatto di emozioni. Emozioni negative.

Il mio sguardo si posa per pure caso, nella parte della parete che sta sopra la porta. C'è scritto qualcosa, ma non sembra grafite. Almeno, non la stessa con cui sono stati fatti i numeri sui muri. Mi do una goffa spinta verso l'alto e tento di avvicinarmi il più possibile alla scritta.

" Durb – Gimb -Thrak -Krimp"

Che diavolo vuol dire? È un anagramma? Passando un dito sulla scritta mi accorgo che è incisa sul muro, non scritta. Prendo immediatamente una matita e strappo un foglio dal mio blocco. Appena finito, volo la rampa di scale che mi separa dall'uscita e prendo un taxi per farmi portare a casa.
Non saprei dire da quanto tempo sto tentando di capire, con vocabolari di ogni lingua, cosa significhino queste parole. Mi passo le mani nella folta chioma bionda e mi accendo una sigaretta. Sono un indizio lasciato dal killer? Oppure qualcuno si è divertito a incidere cose senza senso su un muro? Non so più che pesci prendere nemmeno io. Nemmeno io, che ero ritenuto il più intelligente di qualunque corso frequentassi in età scolara, riesco a capire cosa significhino le incisioni.

Qualcuno bussa alla porta. Chi potrebbe mai essere? Un collega? No. Potrebbero avermi benissimo telefonato, se avessero voluto dirmi qualcosa riguardo al caso. Postino? Lo escluderei. A meno che non abbiano cominciato a consegnare la posta a notte fonda. Un amico? No, questo è ancora più improbabile del postino. Non ho amici, purtroppo (?)

Allora potrebbe essere qualcuno mandato ad uccidermi. Magari il killer stesso.

Prendo il mio revolver dal cassetto e scosto la tendina della finestra, per sapere se tenermi pronto a far fuoco. È un uomo alto, capelli scuri e pizzetto. Indossa un impermeabile grigio e un cappello.
Scivolo sul muro fino ad arrivare alla porta

"Chi sei?" Urlo.

"Mi invia tuo padre. Sono qui per aiutarti con quelle parole che hai trovato nella stanza."

Mi si gela il sangue. Non ho detto a nessuno di quelle parole. L'unico che avrebbe potuto saperlo, in un remoto caso, sarebbe stato il tassista, visto che ci rimuginavo sopra sin dall'inizio del tragitto. Forse quel tassista era proprio l'assassino. Forse mi controllava. Decido di osare.

"Non ho detto a nessuno di quelle parole. Non l'ho detto a nessuno, e sono armato. Due buone ragioni per cui ora mi devi dire chi diavolo sei, e cosa diavolo vuoi da me."

Scosto lo spioncino della porta per vedere la sua reazione.

"Ma io sono te, piccolo Aaron. O meglio, non sono proprio te, sono qualcosa di represso, dentro di te."
"Mi dicevano che sarei potuto diventare un tiratore scelto per la mia mira, lo sa?" Gli dico, con tono arrogante.

"Oh, ma dai, adesso mi minacci? Non credi che sia meglio-"

La voce si interrompe, e sento un suono strano, come quello che fa una mazza che quando un battitore non colpisce la palla, e la mazza fende l'aria.

"N-non credi che sia meglio, cosa?!" Gli urlo, distogliendo lo sguardo dallo spioncino per l'impeto.

Sento un respiro sul collo, seguito da una risatina isterica soffocata.

"Non credi che sia meglio farmi entrare?" Sussurra.

Capisco che è dietro di me. Ma come diavolo ha fatto? Come è possibile? Non ho aperto la porta e le finestre erano ben chiuse. E anche se fossero state aperte entrambe, l'avrei visto entrare. Eppure è qui, dietro di me. Trovo il coraggio di girarmi, per trovarmi davanti al volto più raccapricciante che io abbia mai visto. Un sorriso fatto da denti che sembrano aghi, che parte da uno zigomo, per terminare sull'altro. Degli occhi neri, vuoti. La faccia grigia e piena di cicatrici e simboli esoterici.
Non reggo la vista dell'essere, e cado a terra, svenuto.

 

  
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