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Autore: ely_trev    22/08/2013    2 recensioni
[Hélène e i suoi amici]
Avviso subito che la storia sarà comprensibile anche a chi non conosce questo telefilm che Mediaset ha improvvisamente sospeso per non si sa quale motivo ormai più di dieci anni fa. Quest'estate, girovagando su internet, ho scoperto che ne sono stati fatti ben tre seguiti (l'ultimo dei quali, per giunta, in patria, ancora in programmazione a distanza di 20 anni dall'inizio della serie) mai arrivati in Italia; dopo essermi informata a grandi linee sullo svolgimento della storia, ho deciso di riprenderla dal punto di vista di uno dei miei protagonisti preferiti - Christian - provando a portare avanti un mio personalissimo "e se...?".
E se il suo amore verso la fidanzata storica non fosse mai svanito?
E se quell'inaspettato ritorno avesse risvegliato tutti i suoi sentimenti?
E se si fosse reso conto di non essere innamorato della sua attuale fidanzata?
Alcuni personaggi sono stravolti rispetto all'ambientazione originaria, altri (che non conosco bene, non avendo avuto modo di vedere il telefilm tradotto) sono stati eliminati per semplificarmi un po' la vita (anche perché i protagonisti della mia storia sono Johanna e Christian).
Per chi non ha conosciuto la serie, prenda il mio racconto come un originale. Buona lettura!
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Arrivò in ospedale la mattina presto, accompagnato solo da Hélène. Provarono a chiedere informazioni di Johanna, ma fu risposto loro che avrebbero potuto parlare con un medico non prima dell’ora di pranzo. Christian si sentì leggermente deluso: voleva solo sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene. Ma il dottore era stato chiaro: ci sarebbe voluto un po’ di tempo. Si rassegnò, quindi, ad attendere ancora qualche ora per avere aggiornamenti e si diresse da sua figlia. Dormiva, sotto quel vetro anomino, anche se, in un certo senso, non sembrava tranquilla: smaniava, come se fosse alla disperata ricerca di qualcosa. Si avvicinò all’incubatrice e cercò di tranquillizzarla come meglio poteva: le parlò e le sfiorò le manine con un dito. In realtà, non era tranquillo nemmeno lui, e non soltanto perché gli si stringeva il cuore a vederla là dentro. Non ci sapeva fare con i bambini. Non aveva mai avuto l’occasione di mettersi in gioco con loro, ma sentiva che non ci sapeva fare con i bambini. Si sentiva terribilmente insicuro.
Una voce richiamò all’improvviso la sua attenzione: era la dott.ssa Sullivan.
Che succede? Ci sono problemi con la bambina?” le chiese preoccupato.
No, assolutamente no” lo tranquillizzò immediatamente la dottoressa. “La stavo osservando e ho pensato che fosse giusto parlare un po’ con lei”.
E, così dicendo, si fece seguire lungo un corridoio che sembrava interminabile, mentre lui dava libero sfogo a tutte le sue paure.
Il primo figlio mette sempre una certa agitazione, specialmente se non nasce in circostanze del tutto serene. Non creda di essere il primo padre spaventato, sig. Roquier” gli disse, a un certo punto, la dottoressa, sorridendogli, come se non ci fosse niente di più ovvio del pensiero di Christian. “Anzi, credo proprio che non sarà né il primo né l’ultimo. È anche per questo che ho deciso di portarla qui” continuò, mentre entravano in una stanza dalle luci soffuse. “Si tolga la camicia e si sieda lì” gli ordinò, subito dopo, indicando una sedia a dondolo in un angolo della camera.
Christian rimase decisamente sorpreso dalla strana richiesta.
Non si preoccupi, non ho nessuna intenzione di saltarle addosso” scherzò la dottoressa. “Faccia come le ho detto. E chiuda gli occhi non appena si sarà accomodato” proseguì, abbassando ancora di più le luci. “Si fidi di me, so bene quello che faccio”.
Christian non riusciva a capire quali fossero le intenzioni della dottoressa. Dove voleva arrivare? Cosa stava per fare? Si era innervosito, ma non se la sentiva di rifiutare. In fondo, una motivazione ci doveva pur essere. Come richiesto, si tolse la camicia, restando a torso nudo, e si accodò sulla sedia a dondolo, chiudendo gli occhi.
Così?” chiese poi, perplesso.
Così, benissimo” gli confermò la dottoressa.
Un attimo dopo, avvertì che il medico si stava avvicinando di nuovo, lentamente, e sentì che stava poggiando qualcosa sopra il suo petto. Sobbalzò, aprendo gli occhi: era la sua bambina. La dottoressa gli aveva messo in braccio la sua bambina. Il cuore prese a battergli forte e il petto sembrava non essere più in grado di contenerlo.
Ecco, così” disse la dottoressa, facendo in modo che la bimba, prona, poggiasse l’orecchio esattamente sul petto di Christian. “Deve sentire battere il suo cuore. Di solito, questa è una terapia che viene eseguita con la mamma” spiegò “ma risulta molto utile anche se fatta con il papà. Innanzi tutto, servirà a lei. So che non è stato presente durante la gravidanza: questo l’aiuterà a stabilire più velocemente un contatto con la bambina, per imparare a convivere con questa nuova realtà. E non abbia paura: la bambina è piccola, ma è molto più forte e resistente di quanto possa sembrare. E poi servirà a lei” continuò, indicando la bambina, “per superare meglio un numero considerevole di problematiche. Secondo diversi studi, passare qualche ora al giorno così, in questa posizione, dona un senso di tranquillità, permettendo un sonno più tranquillo dei neonati, specialmente quelli nati prematuramente, in modo che possano dormire meglio e più profondamente e possano, quindi, convogliare tutte le energie per mettersi in forza, riducendo il periodo di ospedalizzazione. Inoltre, è stato dimostrato che questa terapia aiuta la termoregolazione dei bambini e anche il superamento di situazioni di distress respiratorio e problemi circolatori. Insomma, tutto di guadagnato” concluse, lasciandolo solo, a cullare quella minuscola creatura, che adesso, al contrario di prima, dormiva placidamente tra le sue braccia. La dottoressa aveva ragione: improvvisamente, niente gli sembrò più naturale che abbracciare la sua piccolina, ascoltare il suo respiro, divenuto lento e regolare, e scaldarla con il proprio corpo, mentre accarezzava la sua testolina che spuntava dalla coperta che li avvolgeva entrambi. Marsupio terapia, veniva chiamata: uno strano modo di fare medicina. Ma chissà, magari era più efficace di tante altre cure…
Zoé!” esclamò piano. “La mamma aveva ragione. Anche su questo. Il nome che ha scelto per te significa vita. E tu, amore mio, rappresenti la nostra vita, il nostro futuro. Vedrai che andrà tutto bene. Presto anche la mamma ti stringerà tra le sue braccia, te lo prometto” le bisbigliò, abbracciandola sempre più forte.
Restò in quella stanza per quasi due ore, durante le quali non fece altro che sussurrare parole dolci a quel piccolo esserino, completamente abbandonato tra le sue braccia, fin quando un’infermiera non venne a riprendersi la bimba, per riportarla in reparto. Non avrebbe voluto lasciarla andare, ma sapeva che non poteva restare lì per sempre. Tra le altre cose, c’erano altri genitori che aspettavano di godersi il loro momento. A malincuore se la vide portar via, mentre lui si rivestiva e andava a chiedere informazioni sullo stato di salute di Johanna.
Non va bene” disse il medico addetto alla sala rianimazioni, mentre chiamava, ad uno ad uno, i parenti dei ricoverati. “Gli organi vitali fanno fatica a riprendere la loro funzionalità. E, in più, ha la febbre e questo può significare che c’è un’infezione in atto. Per adesso è sotto antibiotici; possiamo solo cercare di tenere sotto controllo la situazione. Ma, se i reni non tornano a funzionare in tempi brevi, saremo costretti a metterla anche sotto dialisi”.
Al contrario di prima, adesso il cuore di Christian smise battere per un lungo istante. Aveva voglia di mettersi a urlare e di spaccare qualcosa, come avrebbe fatto a vent’anni, se le cose non fossero andate come lui le aveva programmate. E, invece, l’unica cosa che riuscì a fare è sussurrare parole di incitamento, dietro quel vetro divisorio che non gli permetteva neanche di fare una carezza alla donna che amava tanto profondamente.
Forza, amore mio! Lo so che puoi sentirmi, in qualche modo. Avanti, sii forte! Non vorrai mica arrenderti proprio ora, no? Non puoi lasciarci senza di te, non ce la faremmo. Io e Zoé abbiamo un gran bisogno di te e lo so che tu non vedi l’ora di stare con noi. E allora, andiamo! Torna! Torna da noi, amore. Non desidero nient’altro che poter stare noi tre, insieme. E lo vuoi anche tu, ne sono certo” la incoraggiò Christian, prima di essere invitato a uscire. Di nuovo. La severità di quel reparto era massima. E sì, avevano ragione, dovevano pensare innanzi tutto ai malati che giacevano in quei letti, ma, per chi restava fuori, dietro una porta chiusa, era estremamente doloroso non avere neanche l’opportunità di vedere il proprio caro. Osservare quella porta lo faceva sentire doppiamente imponente.
Dai, andiamo, Christian” lo smosse Hélène. “Torneremo più tardi per avere aggiornamenti” concluse, dirigendosi verso l’uscita.

   
 
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