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Autore: HuGmyShadoW    27/02/2008    1 recensioni
E' una vita davvero fantastica, quella dei Tokio Hotel... Fra concerti, interviste, passaggi da un albergo all'altro, non hanno quasi il momento di riposare. Ma ecco che un giorno, proprio a Bill Kaulitz càpita l'incontro più importante della sua vita, che da quel momento, non sarà più fantastica: sarà meravigliosa, unica ed inimmaginabile. Non mancheranno però gli intrighi, le cospirazioni, le passioni e le gelosie... Perchè la vita, in fondo, non è mai solo rose e fiori....
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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[NOTA: A mio avviso, questo sarà un capitolo un po'... idiota... Ma è importante per la trama, quindi... ENJOY IT! ^_^)


Attesa. Ancora attesa. Snervante, angosciosa, infinita attesa. Un unico interminabile momento e uno che invece non arriva più...
Tom aspettava. Ad occhi chiusi si chiedeva se fosse già troppo tardi. Ma non era possibile, il profumo della sera gli riempiva ancora invitante le narici, i rumori della strada lo assordavano, e i piedi se li sentiva tuttora ancorati al pavimento! Rimase così, leggermente rannicchiato indietro, con le mani davanti al viso, per diversi secondi, ma considerando infine che niente stava accadendo, socchiuse piano un occhio e abbassò le dita. Davanti alla sua pupilla una specie di piccolo tunnel scuro sembrava fissarlo. Il ragazzo era veramente sbalordito. Spalancò entrambi gli occhi nocciola, che gli diedero subito una buffa aria da strabico quando si concentrarono sull’oggetto misterioso che non somigliava ad una pistola, come invece aveva creduto Tom fino a poco tempo fa, puntata a pochissimi centimetri dal suo naso.
Tom ancora non riusciva a capire che cosa fosse in realtà quella “roba” argentea. Alzò lo sguardo e quello che vide lo fece immediatamente arretrare, impallidendo.
Un uomo enorme, chinato in avanti, il volto contratto in una folle espressione omicida lo guardava furioso. Il ragazzo si ritrovò decisamente inclinato all’indietro per allontanarsi il più possibile dall’energumeno, stretto nelle spalle, cercando di farsi il più piccolo possibile.

Poi, con un sorriso a trentadue denti, assolutamente forzato, Tom alzò piano una mano, timoroso, e muovendo le dita in segno di saluto, cinguettò:
-... Ciaaaaaao, Saaaaakiiii!!!-.
Saki, in risposta, ruggì:
-Ah, adesso fai il ruffiano, eh?! Non ti sei preoccupato di farmi girare mezza città, ieri, eh?! Ma me la pagherai! Io ti... ti...!-.
-Ehm...-. Tom, sempre esibendo quel sorriso finto e stirato, sollevò il braccio per chiedere la parola come un bimbo delle elementari. -Posso ricordarti che tu, in teoria, almeno mi pare, dovresti proteggermi, invece che cercare di polverizzarmi con quelle occhiate di fuoco o di farmi venire un infarto puntandomi addosso una... una...-. Tom sgranò gli occhi, spalancando assurdamente la bocca. Aveva finalmente riconosciuto l’ignoto oggetto che tremava nella manona dell’energumeno traboccante d’ira.
-... Con una teiera?!? Ma che cappero ci fai con una teiera in mano, in giro per la città a terrorizzare la gente?!-.
Saki sembrò arrossire nell’ombra, e mentre finalmente allontanava la teiera argentata dal naso del ragazzo, distolse lo sguardo e borbottò pianissimo al marciapiede:
-... Ho l’hobby dell’antiquariato, va bene?-.
Tom rimase a fissarlo con la bocca aperta del tutto e gli occhi sgranati, tanto che pareva che quest’ultimi gli stessero per schizzare fuori dalle orbite da un momento all’altro e che la mascella gli fosse in procinto di staccarsi. Poi esclamò, con una vocetta resa acuta dall’incredulità:
-Cosa?!-.
-Mi hai sentito!!-, sbraitò Saki, non riuscendo a nascondere del tutto nell’oscurità la sua faccia color ciliegia.
La faccia di Tom sembrava quella di un clown. Nei secondi che seguirono, la sua espressione continuò a cambiare: da assolutamente incredula, a divertita, a ‘mi-sto-sforzando-di-non-riderti-in-faccia’, poi di nuovo composta, e stupita, e poi il giro ricominciava.
Infine Saki, seccato, prese in mano la situazione, e mettendo fine a quella assurda lotta interiore, domandò minaccioso:
-Ma tu che caspita ci fai qua fuori da solo, eh?-.
Tom di ricompose all’istante, e improvviso come una secchiata di acqua gelida, il ricordo dell’appuntamento lo investì.
Guardò di sbieco l’omaccione, che intuite le sue intenzioni, era già pronto a riacciuffarlo nel caso avesse provato a scappare. Aveva in mente di rispondere con strafottenza alla domanda della sue guardia del corpo, ma alla vista di Saki che si scrocchiava lentamente e minacciosamente le dita (aveva finalmente riposto nella tasca la teiera), cambiò idea. Deglutì, e decise di prenderlo con le buone.

Tirò fuori da un lontano, polveroso passato lo sguardo più dolce e supplicante che riuscì a trovare. Sbatté più volte le lunghe ciglia e, ricordando il modo di fare del fratello, fece sporgere leggermente il labbro inferiore, in fuori. In quella precisa situazione e in quel preciso momento, lui, proprio lui, Tom Kaulitz, lo si sarebbe potuto confondere facilmente col gemello (specie quando chiedeva una nuova scatola di orsetti gommosi), se non fosse stato privo di trucco e con i rasta.
Giunse anche le mani, come nell’atto di pregare, quasi si inginocchiò a terra (ma evitò per non sporcarsi i jeans) e con una vocina tutta zucchero, cinguettò:
-Ti prego Saki... Sakuccio mio! Ti chiedo una sola serata, una! di libertà, senza il tuo pignolo ed efficientissimo occhio vigile puntato addosso per tutto il tempo! Ti prometto che starò lontano dai guai, non mi ubriacherò, non fumerò nessun tipo di cannoni, non prenderò botte da nessuno! Devo incontrare una ragazza... E questa potrebbe essere la svolta più importante di tutta la mia vita!-. Pausa enfatica. - Non desideri anche tu, forse, la mia felicità?!-.
E con questa frase disgustosamente teatrale e evidentemente falsa, Tom Kaulitz terminò il suo breve spettacolino, concludendo inoltre, per un maggiore incentivo, con la comparsa di una lacrimuccia dall’angolo dell’occhio, e attese.
Saki pareva persuaso: i suoi occhi sembravano lucidi, il suo mento forse tremava dalla commozione, e la sua espressione appariva quasi addolcita. Tom, sicuro di essersi conquistato la sua vittoria, decise di sferrare il colpo finale. Mostrò un timido sorriso e sussurrò:
-Allora? Posso... posso andare?-.

Saki sospirò, senza distogliere lo sguardo da lui. Poi un sorriso si allargò sul suo volto, e stringendo gli occhi a fessura, affermò a sua volta nel modo più dolce possibile:
-... No...-. E rimase ad osservare il ragazzo, malevolo.
Tom restò anch'esso immobile nelle medesima posa da suora davanti alla statua della Madonna, poi, le sue sopracciglia si aggrottarono lentamente e la sua bocca assunse la forma di una ‘o’ perfetta. Ogni traccia di amabilità era svanita:
-Che cosa?!?-.
Senza abbandonare il suo perfido sorriso, Saki avanzò lentamente,  prendendo per il colletto il ragazzo scalciante, che si rizzò immediatamente in piedi per non finire soffocato, e prese a trascinarlo verso l’albergo, sordo alle sue proteste:
-No!! Tu non puoi...! Sono maggiorenne!! Non hai il diritto di...!! SAKIII!!!-.
E subito dopo, le porte a vetri dell’hotel si chiusero.


Pochi minuti dopo, un piano più su.
Tom aprì con attenzione la porta della sua stanza. Lasciandola schiusa appena lo spazio per farci passare la testa, si guardò attorno con circospezione, cercando di imitare l’atteggiamento degli agenti segreti.
Il corridoio era vuoto. Un sorriso si allargò sul suo volto mentre scivolava nel pianerottolo e chiudeva con estrema attenzione la porta, tirando fuori la lingua dalla concentrazione.
Si guardò ancora  intorno, attento, e per un momento desiderò di essersi portato i suoi Rayban: ormai gli mancavano solo quelli e il giubbotto scuro per diventare come 007!
Una breve, arrogante risata lo scosse per un momento, mentre correva verso la libertà, appena dietro l’angolo e dopo una insignificante rampa di scale. Si trattenne a stento dall’urlare la sua vittoria, ed esclamò solo a mezza voce:
-Arrivederci, caro fesso di una guardia del corpo!-.
Era quasi arrivato.    
“Manca poco... Solo un angolo alla libertà...! Ecco, adesso pochi passi... Ci sono!!!”.
Il ragazzo stava ancora gustandosi il tanto agognato profumo di vita che lo attendeva, quando...
Un qualcosa di grosso e pesante fermò la sua folle e scatenata corsa:
-Ahia!!!-.
Tom alzò lo sguardo lucido, massaggiandosi il naso dolorante, e i suoi occhi incontrarono quelli più scuri del suo bodyguard.
Sul viso di Saki non c’era nemmeno l’ombra di un sorriso, stavolta. Neanche di uno finto.
Tom rimase paralizzato dalla sorpresa, poi l’ira della sconfitta lo prese, e...

Sbatté con rabbia un piede a terra, vinto, e agitando le braccia, mugolò un disperato:
-Eddai!!!-.
Di nuovo, senza dire una parola, Saki lo afferrò per il cappuccio della felpa, e lo prese a strattonare verso la sua stanza, per la seconda volta in neanche un quarto d’ora.
Tom, imbronciato, incrociò le braccia sul petto, serrandole come una morsa, e completamente restio a collaborare, fece cedere di proposito le ginocchia, e si lasciò crollare a terra. L’uomo, indifferente, quasi non se ne accorse, e continuò a trascinare, anche se praticamente steso a terra, il giovane, sollevando dietro di lui nuvolette di polvere ad ogni passo.
Arrivarono davanti alla lucida porta di legno scura, la numero 329, che in quel momento, a Tom sembrò più il macabro coperchio di una bara. Saki la spalancò, e senza troppi complimenti, vi gettò bruscamente dentro il chitarrista, che atterrò con il sedere e passò diverso tempo a massaggiarselo, fra gemiti di dolore e imprecazioni.
Prima di uscire, il bodyguard, livido, puntò contro il naso ancora offeso di Tom un dito di colori e dimensioni simili ad un grosso wurstel, e cupo, minacciò:
-Prova un’altra volta a mettere un solo piede fuori da questa porta e ti taglierò i fondi alimentari per un periodo di tempo indeterminato!-.
Con un ultimo inquietante sguardo di avvertimento, uscì, chiuse la porta a chiave e marciò giù con passi pesanti che risuonarono per tutto l’albergo.
Tom, furioso, rimase seduto a terra a fissare le venature del semplice e impossibile da sfondare pezzo di legno, che chiudendosi, aveva chiuso fuori anche ogni speranza del ragazzo di uscire.
Si alzò, scrollandosi di dosso la polvere dai pantaloni. Poi si erse in tutta la sua altezza, prese fiato e...
-Blaaaaaah!!! Và a quel paese!-... fece una linguaccia alla porta chiusa, e anche un gesto ben poco pulito, a dir la verità. Poi, soddisfatto, si sistemò il cappello, finitogli un po’ di traverso, e si trascinò nella sua camera da letto.
Si gettò a sedere sul materasso, e sostenendosi la testa con entrambe le mani, sbuffò, sentendosi più che mai un topo in trappola.
Pensò, pensò, pensò...
Ad un certo punto, il suo sguardo frustato cadde sulla finestra dalle tapparelle ancora mezze alzate da quella mattina. Un lampo gli si accese negli occhi sconsolati. Si alzò di scatto, corse alla finestra, la aprì e sollevò completamente le persiane che arrestarono con un clangore sordo contro il muro. Poi si sporse fuori sul davanzale, e voltò la testa a destra e a sinistra, rischiando di cadere di sotto più volte.
Fece dei brevi calcoli mentali, assaggiò la direzione del vento, osservò il marciapiede non troppo affollato sotto di lui e provò a misurare la distanza tra lui e un albero che cresceva proprio vicino alla finestra. Si ritrasse, e guardando le stelle occhieggianti, sorrise, furbetto:
-Saki ha detto... porta, giusto?-.

-Uuuff!! Ma guarda te cosa mi tocca fare! A che mai sarà capitato di fare tutta ‘sta fatica per uscire dalla propria stanza?!-.
Tom era attaccato al davanzale della sua stanza. Fuori, però. I suoi piedi penzolavano nel vuoto, distanti un po’ di più dei “due metri scarsi” da terra, al contrario di quello che aveva supposto il ragazzo. I suoi calcoli, evidentemente, non erano stati proprio così precisi...
Il ragazzo guardò in giù, sperando che nessuno si accorgesse della sua presenza. Le dita cominciavano a fargli male dallo sforzo di rimanere aggrappato al freddo marmo, e iniziava a perderne la sensibilità. Si voltò a destra, cercando con lo sguardo il ramo che a cui avrebbe potuto aggrapparsi. Lo trovò. Robusto, verde, forte e... lontano! Ma di più a portata di mano non ce n’erano, e il tempo stringeva. La sua presa cominciò a scivolare dal davanzale. Non poteva più aspettare. Tirò su le gambe, e appoggiandosi al muro, si diede la spinta, lasciò le mani e saltò...
Tom chiuse gli occhi, “ringraziando” mentalmente Saki per averlo costretto a quei numeri da circo. Passarono diversi secondi, sospesi fra il terrore di essere caduto e il sollievo di essere arrivato. Sollevò piano una palpebra, poi l’altra e... sorrise! Le sue braccia erano saldamente avvolte attorno al ramo dell’albero, e i suoi piedi intrecciati al tronco.
Tom cominciò a ridere come un matto, adesso indifferente alle occhiate di stupore della gente che, passando, guardava incredula quell’inusuale ragazzo-scimmia agitare il pugno verso una finestra aperta e urlare:
-Alla faccia tua! Ah ah ah! Tom ce l’ha fatta ancora una volta! E adesso prendimi se ci riesci!!-, esclamò scivolando agilmente a terra il giovane. Arrivato sano e salvo sul marciapiede, tutto intero soprattutto, si scrollò frettolosamente di dosso polvere e foglie. Guardò subito l’ora, ansioso, e sussultò: era in ritardo di un’ora per l’appuntamento con Layla!
Fece il giro dell’hotel, dato che la sua camera si affacciava sul retro dell’albergo, e arrivò affannato davanti all’entrata principale, di nuovo.
Stavolta si guardò bene intorno, nel caso Saki fosse stato ancora nei paraggi. Sospirò di sollievo non vedendo nessuna sagoma grossa e minacciosa tra i pochi ancora in giro in quella zona della città,  e si dedicò subito alla ricerca della ragazza.
Scrutò per bene, alla luce fioca dei lampioni qualunque donna che fosse alta, magra e scura di capelli, ma per quanto ricordasse lui, nessuna corrispondeva alla giovane che gli aveva raccontato di un viaggio alle Hawaii, tanto tempo fa, quasi una vita prima.
Aspettò altri cinque minti, poi, scoraggiato, si diresse verso l’albergo, seccato di tutta quella perdita di tempo e fatica.

All’improvviso, dei singhiozzi sommessi attirarono la sua attenzione. Tom si bloccò nell’atto di aprire le porte e tese le orecchie, curioso.
I gemiti sembravano provenire da dietro l’angolo. Tom rimase immobile, indeciso, ma visto che i singulti cominciarono ad aumentare di frequenza ed intensità, decise di andare a vedere. Si avviò lentamente verso l’unico cantuccio nell’ombra, vicino ad un enorme albero frondoso. Con il cuore che gli pulsava nelle orecchie, scostò un ramo basso che gli copriva la visuale, e trasalì. Una figura, rannicchiata, piangeva sommessamente e disperatamente. Alla luce, quasi inesistente, della luna e delle stelle attraverso i diversi rami, osservò solo che la ragazza indossava un corto vestito blu e aveva un elaborata acconciatura che le raccoglieva i capelli in cima alla testa. Tom aguzzò di più lo sguardo, desideroso di conoscere chi fosse quella giovane.
All’improvviso, un argenteo raggio lunare filtrò attraverso il fitto baldacchino di rami e foglie, e colpì la figura, donando riflessi perlacei ai suoi lunghi capelli castani e facendo rilucere nell’ombra i variegati braccialetti che adornavano le sue lunghe, pallide braccia.
A Tom si gelò il sangue nelle vene. Trattenne il respiro, sbalordito, e mormorò con un filo di voce, scioccato:
-... Layla?!-.

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ANTICIPAZIONI: Nel prossimo capitolo: "Il sogno di Bill" ^_^


   
 
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