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Autore: WeLoveJorgeBlanco    22/08/2013    5 recensioni
E' il giorno dell'estrazione dei partecipanti agli Hunger Games, un reality show organizzato ogni anno da Capitol City con una sola regola : uccidi o muori.
Ognuno dei distretti deve sorteggiare un ragazzo e una ragazza dai 12 ai 18 anni che verrà gettato nell'arena a combattere fino alla morte. Ne sopravvive uno solo, il più bravo, il più forte, ma anche quello che conquisterà gli sponsor e il pubblico.
Violetta e Leon si innamorano e per una sfortunata scelta del destino vengono estratti entrambi per andare nell'arena.
Loro si amano, ma negli Hunger Games non esistono affetti, bisogna rinunciare alle amicizie e all'amore e bisogna saper scegliere e di conseguenza perdere.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Leon e Violetta si guardarono per un attimo negli occhi.

Violetta stava male perchè non poteva andare agli Hunger Games un ragazzo così talentuoso come lui.

Leon invece, aveva gli occhi gonfi di lacrime.

Violetta non meritava di andare nell’arena.

Giurò a se stesso di proteggerla.

“Bene, che la fortuna possa essere sempre a vostro favore” applaudì un uomo mentre saliva la pedana.

Violetta si girò poiché era di spalle.

Un uomo sulla quarantina, sbronzo.

Aveva i capelli lunghi fino al mento biondi piastrati.

Una barba rozza gli copriva il mento.

Violetta e Leon realizzarono che era il loro mentore.

“Mi chiamo Haymitch” disse l’uomo alitando su Leon.

Leon fece una smorfia di disgusto e si voltò dall’altra parte.

“…e sono il vostro mentore” concluse aprendo una bottiglia di Tequila.

Margot fece un sorrisino falso.

“Ehm Haymitch è il mentore del distretto 12, ma quest’anno rappresenterà noi” disse la signora guardando la folla.

“Mia cugina Effie è stata molto entusiasta di dirmelo”

Effie è l’accompagnatrice del distretto 12.

“Bene, ora è il momento di andare. Oggi partiremo e il viaggio sarà lungo” concluse la donna.

Violetta si girò cercando di incontrare gli occhi del padre e della domestica.

Olga aveva le ginocchia tra le mani e stava piangendo.

German invece cercava di calmarla, ma lui era più distrutto dentro.

La ragazza si asciugò le lacrime e si diresse nel Municipio per vedere un’ultima volta i suoi cari.

Non era mai entrata al municipio poiché potevano entrare solo pacificatori e funzionari.

Nonostante ciò, conosceva il sindaco e addirittura barattava frutta con lui.

Quando entrò fu colpita da tante statue d’arte e quadri giganteschi che ricoprivano intere pareti.

Leon aveva lo sguardo basso e molte volte la guardava di sottecchi.

Furono scortati fino ad una sala completamente arredata in legno e restarono lì fermi una mezz’ora senza spiccicare alcuna parola.

Non dopo quello che era successo.

Non dopo che la loro morte era vicina.

Una mezz’ora dopo entrò un pacificatore e dietro di lui c’era Olga e German.

Entrambi avevano le mani legate dietro la schiena perchè avevano osato ribellarsi per arrivare a Violetta nel Campo.

Olga strattonò violentemente il pacificatore e si diresse da Violetta abbracciandola.

“E’ una cosa assurda, non posso crederci” disse la domestica singhiozzando.

“Neanche io posso crederci” rispose Violetta affondando il suo viso tra le braccia della donna.

La donna, che a quel punto tremava, prese il viso di Violetta tra le mani.

“Tu sai cavartela, devi solo avere astuzia” disse la donna.

Violetta invece perdeva ogni minuto di più le speranze.

Olga a quel punto si sfilò una catenina e gliela porse.

“Vai in arena e vinci” concluse la donna.

Violetta prese la collanina con inciso il suo distretto e la strinse tra le mani per respirarne l’odore

Olga incominciò a singhiozzare rumorosamente e German le cinse le spalle.

“Ti prego Olga” la supplicò di non piangere.

“Tranquillo” lo scostò freddamente.

German si avvicinò alla figlia.

“Cerca di vincere, so che ce la farai” disse il padre.

Nei suoi occhi però non si leggeva speranza, ma solo amarezza e sofferenza.

Fra qualche giorno avrebbe sicuramente visto sua figlia, morta. In una bara.

Non riusciva a piangere però.

Il dolore che aveva se lo teneva dentro per poi dar sfogo dopo.

“Le probabilità sono poche” disse Violetta abbassando lo sguardo.

“Non so fare niente” urlò Violetta facendo voltare anche Leon che era a qualche metro dalla sala.

“Tu sei brava con le piante e sono sicuro che troverai un rifugio” concluse il padre lasciandole un bacio sulla fronte.

Violetta scoppiò in un pianto nervoso e dopo pochi secondi entrarono alcuni pacificatori che portarono via Olga e German.

Violetta li seguì piangente fino alla porta e lasciò la mano della domestica forzatamente.

Non voleva morire.

Non aveva fatto niente di male.

Si raggomitolò per terra e si appoggiò con il viso sulle sue ginocchia piangendo.

Leon invece si era calmato ma aveva uno sguardo fisso nel vuoto.

Quindici minuti dopo si sentì bussare alla porta ma nessuno dei ragazzi risposero.

Erano entrambi impegnati a pensare.

“C’è nessuno?” chiese Margot da fuori la porta.

Sbuffò sonoramente.

“So che siete lì” disse aprendo la porta.

Camminò lentamente e si sentiva solo lo scricchiolare dei suoi tacchi.

“Come siete simpatici ed educati” disse sottovoce.

Si accigliò vedendo la ragazza piangente lì terra.

“Oh no, il pavimento nuovo” disse coprendosi la bocca con una mano.

“Su, alzati ragazzina” urlò.

Violetta si alzò bruscamente, era fuori di sé.

Certo, non era lei quella che tra due settimane sarebbe andata nell’arena a morire.

Lei era una stupida riccona di Capital City.

Violetta si buttò bruscamente sul divano togliendosi le scarpe e appoggiando i piedi sul cuscino.

“Così va meglio?” disse sfrontatamente Violetta.

Margot ebbe un tic all’occhio.

“Se ti lavassi sarebbe meglio” concluse la donna incrociando le braccia.

Violetta si stava alzando dal divano ma fu fermata da Leon.

“Basta” disse seccamente il ragazzo.

Le due si guardavano furiosamente.

Leon indicò Margot.

“Tu. Si tu. Non devi andare a morire tra una settimana in un’arena quindi lasciale vivere questi momenti in pace” disse il ragazzo minacciosamente.

Margot fece qualche passo indietro.

Lo sguardo di Violetta si stese in un debole sorriso.

La donna andò sulla soglia della porta.

“Fra dieci minuti vi voglio fuori di qui” concluse andando via.

I due si guardarono timidamente.

“Scusa, tu non c’entravi” disse Violetta.

“No, io difendo la ragione” disse il ragazzo abbassando lo sguardo.

“Non è giusto che Capital City non affronti gli Hunger Games” ammise la ragazza incrociando le braccia.
“Tsk, codardi” disse Leon.

Violetta rise debolmente.

I dieci minuti passarono lentamente e Violetta incominciò a singhiozzare di nuovo.

“Non devi piangere, ormai non ne vale la pena”disse Leon permettendosi di prendere una lacrima con un dito.

Violetta annuì debolmente e lo guardò intensamente concentrandosi sui suoi occhi verdi.

Aveva bisogno di affetto.

Di slancio lo abbracciò e Leon la strinse vicino a sé.

Lui respirò il profumo dei suoi capelli pregando il cielo di rimanere così in eterno.

 

   
 
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