CAPITOLO 3
«Io… io… non so cosa è successo, è stato come se un peso mi avesse schiacciata e mi si è stretto il cuore, Nochi, ti prego, aiutami», singhiozzò la ragazza. Nochi la prese per un braccio e l’aiutò ad alzarsi. «Adesso come stai?», chiese preoccupata. «Sento ancora quel peso, lo sento addosso», rispose cercando di asciugarsi le lacrime. «Shh, vieni qui, è tutto finito», sussurrò abbracciandola. «Adesso usciamo di qui e ti accompagno a casa, così ti preparo una bella cioccolata calda con la panna, come piace a te», la rassicurò. Ziku annuì, e in fretta si allontanarono dal negozio, cercando di dimenticare quell’episodio singolare. Si diressero in totale silenzio verso l’appartamento di Zikutateka, ché la sua amica potesse aiutarla a calmarsi. Le porse la sua tazza preferita, con un alto strato di panna, e la guardò: aveva gli occhi lucidi, le mani le tremavano, così come le labbra pallide. Si chiedeva cosa fosse successo, era avvenuto tutto così in fretta! Cos’era quell’ombra? Cosa aveva a che fare con Ziku, se ne aveva qualcosa? Non sapeva come comportarsi, né come sentirsi, così pensò di lasciare un po’ l’amica sola: magari la vittima stessa avrebbe saputo darle delle spiegazioni, riflettendo in pace. Terminata la cioccolata calda, Nochi-Chan si alzò. «Beh… è ora di andare, per me. Chiamami se c’è qualcosa che non va», si raccomandò. Ziku annuì e l’accompagnò alla porta, dopodiché andò a distendersi sul suo letto, dove Arimoto (che la salutò con un miagolio) ancora riposava. Si strinse nelle coperte, cercando di evitare che l’immagine dell’ombra e l’improvvisa morsa si ripresentasse di nuovo nella sua mente. Tuttavia dimenticare si rivelò impossibile; l’ansia l’assaliva, nonostante non fosse neanche sicura di cosa fosse successo. Sperava tanto che si trattasse solamente di suggestione, e che presto non avrebbe più ricordato quell’orribile mattinata.
Proprio in quel momento, quel peso che la opprimeva svanì.
Si sentì sollevata, almeno finché di fronte a lei non apparve nuovamente l’ombra. Questa volta aveva una sagoma ben delineata: Ziku poté distinguerne gambe e braccia piuttosto muscolose; i lineamenti del volto erano ben definiti, le labbra carnose, il naso perfetto. Nel panico riuscì solo a chiedersi (nuovamente) cosa fosse, e come potesse individuare così tanti dettagli in un’ombra. Non riusciva a muoversi, non sapeva cosa le sarebbe accaduto se avesse tentato di scappare. Piangeva, e tra i singhiozzi sussurrava «Ti prego, ti prego… cosa vuoi? Non farmi nulla, ti prego». In quel momento l’ombra parve aprire gli occhi; erano luminosi, a differenza del resto del corpo, e avevano una bellissima forma: non si poteva dire assomigliassero a un tipico paio di occhi a mandorla, eppure conferivano al suo sguardo quell’aria dominante, coinvolgente, inquietante, ma allo stesso tempo spaventato, timido, supplichevole. Laddove il bagliore dei suoi occhi scemava, in bilico tra luce ed ombra, Ziku notò una leggera piega sulle palpebre inferiori.
Tentò di rifugiarsi nelle coperte, sperando che in quell’inferno fatto di follia, il loro calore potesse proteggerla.
Nella stanza si potevano udire i lamenti del vento, simili all'ululato di un lupo la notte fonda. L'ombra schiuse le sue labbra carnose, e in un sussurro ben scandito esordì: «Sono un'anima. Non ti farò del male». Ziku tremava. «E... e prima, a-allora? C-cosa era s-successo?», singhiozzò, abbassando man mano il tono di voce.