“Si può sapere perché mi hai trascinato via così?”
Cheryl
camminava nervosamente un passo avanti all’investigatore, e gli rivolgeva la
parola senza guardarlo, con i pugni serrati. Douglas invece non si scomponeva
più di tanto.
“Aveva
ragione, no?! Ormai è tardi, avete bisogno di mangiare entrambe, e a te fa bene
prendere un po’ d’aria, che non sia quella di casa tua o quella di una cella
umida.”
“So io
quello che fa bene a me, e ti assicuro che mi farebbe molto bene sapere che cosa
è successo a quella donna dodici anni fa.”
L’uomo
rallentò per accendere una sigaretta; quando Cheryl se ne accorse si innervosì
ancora di più, ma si fermò a sua volta per aspettarlo. Quando fu di nuovo
vicino, riprese il discorso.
“Anche
quella volta mio padre uccise un dio, o, meglio, quel demone. Ma questo non li
ha fermati. E se non li avessi fermati neppure io?! Se tutta questa storia non
fosse finita così, se ce ne fossero altri e quella donna fosse in grado di
aiutarmi ad eliminarli una volta per tutte?”
“Non credo
che possiate farlo proprio stanotte, e in ogni caso ti sconsiglio di provarci a
stomaco vuoto. Una volta ho lavorato senza mangiare per ventiquattro ore, e
indovina un po’?! Quando mi trovai sul posto, con la pistola nella mano, svenni
nel cassonetto dove mi ero nascosto in attesa di arrestare quel tipo. È stata
una pessima esperienza…”
“Insomma
Douglas, mi vuoi dire perché lo hai fatto?!”
La voce
della ragazza si era imposta prepotentemente, e questo fece rabbuiare il viso
dell’uomo che la guardò seriamente negli occhi.
Restò
immobile in silenzio per qualche secondo, poi con un tono molto più basso
disse:
“Credi di
essere l’unica ad aver perso qualcuno di molto
importante?!”
Cheryl
trasalì.
Si voltò
per guardarlo negli occhi, quasi offesa, ma nell’incrociare il severo sguardo di
rimprovero di Douglas finalmente capì. Cominciò a metabolizzare il racconto di
Cybil, estrapolando le informazioni che a primo impatto le erano sembrate
secondarie. Harry Mason non era solo suo padre; era prima di tutto un uomo. Un
uomo che aveva vissuto qualcosa di unico insieme ad un'altra persona e che, per
questo motivo, era rimasto indissolubilmente legato a lei. E Cybil era quella
persona.
Era troppo
piccola per capire? O forse era…gelosa?!
Gelosia…un
esasperato senso di proprietà! Quello era Suo padre, Suo amico, Suo dio. Erano
sempre stati solo in due e, si, a volte poteva sembrare una splendida storia
d’amore, una di quelle perfette.
Improvvisamente
le tornò alla mente un momento della sua infanzia. Erano appena tornati dalla
scuola; suo padre andava sempre a prenderla, anche se distava solo poche
centinaia di metri da casa, e quando se lo trovò di fronte, in mezzo a una
moltitudine di donne che aspettavano gli altri bambini cominciò a
riflettere.
“Papà,
dov’è la mia mamma?”
La domanda
sorprese l’uomo, che interruppe quello che stava facendo. All’epoca Heather
aveva 8 anni e gli occhi risplendevano enormi sotto i capelli neri come la pece.
Lo guardava con l’innocenza di chi reagisce solo alla curiosità. Harry sorrise,
ma alla bambina non sfuggì il nervosismo di quel sorriso
tirato.
“Purtroppo
la tua mamma è in un posto lontano…”
“E perché
non viene mai a trovarci?”
“Oh, lo
vorrebbe piccola mia. Lo vorrei anche io, in realtà, ma non
può.”
“Come
mai?”
Harry
sorrise prima di rispondere. È sempre così quando si sta
mentendo.
“Perché ci
protegge dal posto dov’è!”
Anni dopo
Heather trovò le fotografie di Jodie che il padre teneva conservate nella sua
scrivania. Per tutto quel tempo pensava che si stesse riferendo alla sua defunta
moglie. Da qualche giorno, invece, sapeva come era nata, e credette che le
parole del padre fossero per la piccola Alessa, che in qualche modo cercava di
proteggere sé stessa e quindi anche lei. Ma ora il dubbio si insinuò di nuovo
nella sua testa, e cominciò a credere che dopo tutto quel tempo Harry non avesse
dimenticato la giovane Cybil, ed era convinto che la sua testardaggine la
spingesse ancora a cercare la verità anche per lui.
Douglas non
sapeva leggere la mente, ma riusciva ad interpretare gli sguardi. E ciò che vide
sul volto di Cheryl lo rassicurò e gli fece tornare il sorriso sulle labbra.
Ripresero a camminare in silenzio, mentre l’oscurità si imponeva sempre di più
nelle strade, costringendo i negozianti ad usare la luce artificiale dei
neon.
Douglas
entrò per davvero in un negozio di cucina italiana. Cheryl non lo aveva mai
visto, nonostante abitassero in quella zona da 12 anni ormai. Non si stupì però.
Il posto era una topaia, e stava in un vicolo poco illuminato. Aveva solo un
cartello all’ingresso che per il resto si presentava come un’anonima porta in
vetro con saracinesca alzata. L’insegna recitava “da Giuseppe” e c’era
l’immagine di un uomo con una folta barba e un colletto di camicia
rossa.
Dentro
l’ingresso era separato idealmente dalla sala per mangiare da alcune panche in
legno. Il parquet era graffiato in molti punti, e il bancone era uno scarno
tavolo lungo su cui era appoggiato il registratore di
cassa.
A un tavolo
erano seduti due uomini in doppiopetto, e poco più in là un ragazzetto con una
camicia bianca con le maniche arrotolate fino al gomito se ne stava sbracato su
una sedia fissando i nuovi arrivati, ponendo particolare attenzione alla ragazza
che era ancora vestita di nero dalla mattina.
“Ma dove mi
hai portato?!” chiese Cheryl a bassa voce, cercando di non attirare troppo
l’attenzione.
Douglas dal
canto suo si comportava come se nulla fosse, e consigliò alla ragazza di fare
altrettanto e di stare tranquilla.
“L’importante
qui è il cibo!” concluse consultando un foglio plastificato unto che doveva
essere un menu.
Una donna
si avviò dietro al bancone da una porta che evidentemente dava alla cucina, e si
avvicinò agli ospiti. Portava un vestito che metteva in risalto tutte le sue
curve, con le spalle scoperte e una vertiginosa scollatura. Teneva una mano su
un fianco e una sul bancone, e in quella posa l’abbondante seno veniva messo
ancora più in mostra. Il tutto risultò molto volgare agli occhi della ragazza,
mentre Douglas non si scompose e con voce sicura ordinò senza fare una
piega.
Cheryl ne
approfittò per dare ancora un’occhiata in giro. L’arredamento era molto povero,
se non per qualche quadro appeso, ma ogni tavolo aveva una tovaglia bianca e una
rosa in un bicchiere al centro, il ché un po’ stonava con l’atmosfera
tutt’attorno. Nascosto a prima vista, c’era poi un caminetto. Era chiaramente
spento, vista la temperatura, ma a Cheryl sembrò quasi che fosse finto, e fosse
stato montato con il solo scopo ornamentale. Magari
dentro ci sono delle lampade che fanno l’effetto di una
fiamma.
Nello spostare lo sguardo dal camino, la ragazza incrociò di
nuovo gli occhi del ragazzetto seduto al tavolo. Si accorse solo in quel momento
che anche i due uomini avevano smesso di parlare tra di loro per fissare i
due.
Cheryl
cominciò a innervosirsi, e supplicò con lo sguardo
Douglas.
“Andiamo,
ci metteremo poco, il tempo di prendere la cena e siamo fuori di
qui.”
Ma a Cheryl
sembrava sempre troppo.
Uno dei due
uomini si alzò e si avvicinò al bancone. Si muoveva disinvolto, quasi come se
fosse dentro il salotto di casa.
“Doreen!”
Urlò per
attirare l’attenzione della donna che nuovamente si affacciò dalla
cucina.
“Il conto
per favore. Dobbiamo andare via.”
Doreen non
si scompose minimamente, e rispose con voce ferma e
sicura.
“Te lo
porto al tavolo dolcezza” e rientrò lasciando volteggiare la porta a vento più
volte.
L’uomo
rimase appoggiato al bancone, continuando a fissare i due ospiti, mentre con una
mano cercava dietro al registratore di cassa un barattolo in vetro che conteneva
delle liquerizie rosse. Cheryl si accorse dello sguardo puntato, mentre Douglas
sembrava distratto a leggere qualcosa su di un volantino. Allora si avvicinò di
più al detective sperando di attirare la sua attenzione o quantomeno di far
capire a quell’uomo che erano insieme, sperando che questo in qualche modo gli
facesse distogliere quello sguardo insistente. A quel gesto l’uomo sorrise
spavaldo e si rialzò dirigendosi verso il tavolo.
Dopo poco
tempo la donna uscì con delle buste fumanti che appoggiò con poca delicatezza
sul banco.
“Ecco a te
dolcezza”
“Credi che
io sia troppo piccola per capire certe cose?”
La domanda
balenò dal silenzio più assoluto. Stavano tornando a casa in assoluto silenzio,
e Cheryl non aveva nemmeno commentato l’esperienza del ristorante appena
vissuta. Poi d’improvviso quelle parole, così fulminee da risultare assai
ragionate.
Douglas non
rispose immediatamente. Guardò la ragazza che procedeva ora a testa bassa,
aspettando una triste verità. Certe domande vengono poste solo per cercare
conferma.
Ma il
detective sorrise.
“Penso che
tu sia dovuta crescere troppo in fretta e che per la tua età sei fin troppo matura.
Così hai nascosto una parte della tua infanzia in piccole cose, la paura per gli
specchi ad esempio, oppure la tua spontaneità nel trattare le persone. E il
legame con tuo padre fa parte della tua infanzia, perciò ti risulta difficile
accettare che questo tuo legame non sia puro come pensavi e che qualcun altro
possa frapporsi tra quello che c’era tra te e lui. Ma sei anche una persona
comprensiva e intelligente, e nonostante la tua indole aggressiva sai
riconoscere un tuo errore. Ed è per questo che mi stai facendo questa
domanda…non è vero?!”
La ragazza
continuò a fissare i suoi passi, senza dire nulla. Sentiva le lacrime agli
occhi, ma al tempo stesso quella risposta l’aveva rincuorata. Poi, d’improvviso,
alzò la testa con uno scatto, sforzandosi di sorridere.
“Sbrighiamoci…Cybil
avrà fame!”
Ho deciso, i capitoli
saranno più brevi, sperando così di ottenere aggiornamenti in tempi minori.
Quindi vi propongo questo nuovo capitolo, chiedendovi come al solito pareri,
consigli e commenti vari!
Un grazie a chi legge e a
chi commenta
Leo