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Autore: Kalyptein    23/08/2013    7 recensioni
Charlie Undersee è la ragazza tipica americana per antonomasia: passa le sua mattine a giocare a Call of Duty, guarda le repliche di Dottor Who con sua madre sul divano del loro appartamento in affitto nel Queen e si strafoga di gelato al pistacchio. Chiaramente, una ragazza del genere è destinata a vivere una vita del tutto normale.
Ed era così che la pensava Charlie, fino a quando alla morte della madre non trova una lettera che la indirizza al Campo Mezzosangue di Long Island.
«Allora, fantomatici eroi [...] prima che il vostro deficit di attenzione - che a mio parere è solo stupidità acuta - inizi a farvi perdere colpi, voglio informarvi nel nostro nuovo arrivo. La piccola Comesichiama, figlia di Nessuno»
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera/giorno/notte/pomeriggio/minuto/secondo a tutti quanti!
E' la prima volta che pubblico sul fandom di Percy Jackson ed è da poco che ho iniziato a leggere - amare - questa saga. E da brava schizzata quale sono ho deciso di buttarmici a capo fitto con un bella long impegnativa, yei! Poi diciamo che l'ispirazione mi ha fatto venire questo senso di gasatezza e non ho potuto fare a meno di scrivere. Sul serio, ho scritto più di cinque capitoli in un paio di giorni. Quindi spero che vi piaccia l'angst all'inverosimile, i triangoli amorosi non definiti, i capelli rossi e i badass. Spero vi innamoriate della mia Charlie come sto imparando ad amarla anche io.
Detto questo, prima di lasciarvi al prologo, ho qualche precisazione da fare.
- La storia si svolge una decina di anni dopo la caduta di Crono.
- Non ho letto tutti i libri (cosa a cui sto provvedendo alla svelta) quindi se scrivo qualche fesseria fatemelo notare subito, sono pronta - purtroppo - agli spoiler.
- Vi lascio il prestavolto della mia Charlie, che è la stupenda Kathryn Prescott.
- Enjoy!

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Stringo al petto la borsa da viaggio, fissando la fattoria situata sulla collina di Long Island. Non che ci siano oggetti di valore o di particolare importanza, però è l'unico contatto tangibile con casa mia. Me la lascio ricadere sulle spalle, strizzando un po' gli occhi per aggirare la Foschia. Riesco a vedere gli edifici in stile greco antico, i boschi che lo circondano e della gente che corre indaffarata da una parte all'altra.
Cosa dovrei fare? Aspettare che qualcuno venga a recuperarmi? Bussare? Lanciare qualche tipo di segnale di fumo? Mi chiedo distrattamente se i semidei abbiano un galateo specifico, prima di sbuffare e camminare verso il Campo Mezzosangue.
Una volta mia madre mi ha detto che solo chi ha la certezza di essere un buono a nulla cammina a testa bassa, così sollevo la testa e cammino in posizione ben eretta. La verità è che mi fanno talmente tanto male le gambe che vorrei buttarmi per terra e rimanere seduta per tutta la vita, dopo aver camminato dal Queens fino a Long Island, però so che mia madre lo considererebbe un fallimento. E io non voglio deluderla.
Quando arrivo all'entrata del Campo, faccio del mio meglio per non urlare o dare di matto. Un uomo sulla quarantina, con una giacca scura gessata a fasciargli il busto, gioca a carte con un tipo che mi sembra fuori di testa. Ma la cosa che mi lascia a bocca aperta, oltre al discutibile gusto in fatto di stile dello svitato, è il resto del corpo dell'uomo. Un cavallo. Faccio un passo istintivo indietro, attirando l'attenzione del uomo-cavallo, che sembra alquanto sconcertato dalla mia presenza. Mentre il tipo in camicia tigrata si limita a sollevare un sopracciglio.
«E tu chi sei?»
Respira, incrocia le braccia al petto, smetti di tremare Charlie. «Sono Charlie Undersee e sono una semidea»

Okay, non che mi aspettassi un'accoglienza da hotel a cinque stelle, però è piuttosto seccante essere stati scaricati a guardia di un paio di, come li hanno chiamati?, satiri fuori dalla Casa Grande.
Ripesco la lettera mezza distrutta dalla sacca, accarezzando la carta piegata. Onestamente ho letto quella lettera così tante volte che potrei recitarla a memoria, però accarezzare la grafia disordinata di mia madre mi da un certo senso di sicurezza. L'ho trovata appena qualche giorno dopo che è morta, il che risale ad almeno una settimana fa. Quando l'avevo trovata nel mio cassetto, quando i servizi sociali erano venuti a prendermi, mi ero sentita così stupida per non averla notata prima, sotto i calzini. Qualche pagina riguardo a chi sono davvero, una figlia di un dio greco - anche se non ha detto chi; il Campo, dove trovarlo e come vederlo; informazioni sul mondo a cui appartengo. E per ultimo, poche righe personali.

Charlie,
mi piacerebbe dirti che sarà tutto più facile, che sarai felice e vivrai una vita serena. Ma noi non ci diciamo bugie, giusto?
Ora che non ci sono più io a proteggerti devi pensarci da sola. Non avere paura. Rimani viva.
Ti voglio sempre bene, mamma.


Mi massaggio le tempio per lo sforzo della lettura, serrando gli occhi ed impedendo alle lacrime di uscire. Le immagini degli ultimi momenti della vita di mia madre mi sfrecciano sotto le palpebre. Apro gli occhi e non è meglio.
Circondo le ginocchia con le braccia, lasciando che la morsa del senso di colpa intorno al mio cuore molli lentamente la presa. La verità è che se il mio odore non avesse attirato quel.. quel coso mia madre non sarebbe mai morta. Ed io starei attaccata al mio pc portatile o giocando a Call of Duty invece di aspettare che un gruppo di sconosciuti decida se possa restare o meno in questo posto dove, per inciso, non voglio stare. Però è la volontà di mia madre. Noto lo sguardo di un satiro e mi costringo a lasciarmi le gambe e sollevare la testa.
«Charlotte Undersee?»
«Charlie» correggo subito, girandomi al suono del mio nome completo. L'uomo-cavallo - che poi ho scoperto chiamarsi Chirone - mi fa quello che dovrebbe essere un sorriso rassicurante. «Nessuno mi chiama Charlotte»
«Okay, Charlie. Il Gran Consiglio ha preso una decisione»
«Mi rimandate a casa?»
Da una parte quasi spero che dica di sì e mi rispediscano sul serio a casa. Però non ho nessuno da cui tornare, sicuramente la proprietaria del mio appartamento nel Queens l'avrà già affittato a qualche disperato e non ho parenti. Rimango in silenzio, scrutando Chirone con i miei occhi color nocciola.
«Bhe, sei una semidea a tutti gli effetti. Il tuo sangue ti da il diritto di rimanere e non possiamo opporci, ma..»
Annuisco lentamente, preparandomi al rifiuto che mi ero aspettata. Mi alzo lentamente, pulendomi le mani sudaticce sul jeans. Poi Chirone dice una cosa che non mi sarei mai aspettata.
«Nessun dio ti ha riconosciuta come figlia. Sai che cosa vuol dire?»
«Che mi padre è un idiota?» azzardo, sollevando un angolo della bocca.
Chirone non ride, scalcia piano. «Significa che qualcuno è venuto meno al patto. Tutti gli dei sono tenuti a riconoscere i propri figli, sopratutto dopo la battaglia con Crono. Potrebbe causare instabilità, capisci?»
«Capisco»
«Vedi, se tua madre potesse aiutarci a capire chi è tuo padre..»
«Non può» taglio corto, stringendo la sacca ancora più forte.
«So che per alcuni mortali il fatto di avere figli diversi possa essere causa di imbarazzo, ma..»
«E' morta» Gli faccio vedere la lettera e lui la legge in silenzio.
«Mi dispiace» Chirone mi lancia uno sguardo sinceramente compassionevole. Sollevo un sopracciglio, incurante. Non voglio la sua compassione. «Tua madre era una donna intelligente. Sai, la maggior parte dei semidei si fanno ammazzare proprio perché i genitori non vogliono lasciarli andare»
«Mia madre mi ha lasciato andare» puntualizzo secca, scacciando il groppo alla gola. Chirone non risponde, preso in contro piede dalla mia ostilità. «Quindi cosa fate? Mi cacciate?»
«No, Charlie. Non abbiamo intenzione di voltare le spalle al nostro stesso sangue»
Solo a quel punto Chirone si scioglie in un sorriso.
  
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