Profondamente
ispirata dalla fic di Solarial per il concorso di
Kagome_chan88…la tua fic era talmente coinvolgente
che quello che vedi s’è scritto da solo.
Grazie davvero della tua
comprensione e disponibilità,
sorella nelle fanfiction!
I’m there, within you
Sakura,
mia piccola, dolce, ingenua Sakura….
Sprofondo
nei ricordi come nel presente: allora, come ora, non sorridevi. Piangevi solo.
E tenevi il broncio perché tutto il mondo pareva avercela con te, pareva
divertirsi alle tue spalle, sbattendoti in faccia quanto tu fossi il loro
buffone involontario: quell’essere
tanto impacciato quanto disgustato dalla sua goffaggine, e dalla vergogna di
ciò che era.
Lo so, lo
so che da quel primo giorno in cui ti sorrisi non c’è
stato un singolo giorno, di quelli a venire, in cui tu non ti sia domandata
cosa vedessi in te.
Ebbene,
io ti vedevo.
Puramente, semplicemente.
Vedendo
quella bambina piagnucolona e incerta, vedevo te: vedevo il tuo spirito dietro quella
frangia che lasciavi crescere con tanta insistenza, per nasconderti dal mondo.
E in
quel momento, quando hai accettato di scoprirti davanti a me, mi hai consegnato
la tua anima.
E poi
forse hai sempre pensato di non ricambiare, ma tu, tu mi avevi già dato tutto
quello che potevi: te stessa.
E io
ero lì, una bambina di sei anni con una
vita tra le mani.
Me
l’avevi affidata tu, il tuo tesoro prezioso perché fossi io a custodirlo, io a investirlo e a farlo crescere. Poi da lì tutto è andato
avanti, e mi sentivo di doverti proteggere, come una
mamma.
Una mamma
di sei anni.
E lo
sapevo, sapevo perfettamente di avere la tua vita in mano, e sapevo (avevo la
presunzione di sapere) dove saresti potuta arrivare, perché io ti vedevo
chiaramente, oltre l’apparenza.
E lo
sapevo, sapevo perfettamente come tu mi vedevi:
sicura, bella e dannatamente vincente.
“Tanto lo
sappiamo com’è: vinci sempre tu”. L’avevi detto una volta,
una volta sola, e quella volta mi avevi uccisa.
Uccisa
come una pugnalata che arriva nel buio, e uccisa
perché il mio cuore aveva esultato, anche, e me ne sentivo tremendamente
colpevole.
Perché
era vero.
Io ero la
più bella, io ero la più brava; io riuscivo, io vincevo in ogni cosa: che fosse
un compito o un ballo, io vincevo.
Sempre.
E
sarei morta se non l’avessi fatto.
Io ero la
principessa del mio papà, la figlia modello di mia
madre, la ragazza della porta accanto da presentare ai genitori di lui per la
mia semplicità e il corpo da favola che ogni ragazzo sognava.
MA
Ma,
mia cara, piccola, dolce, ingenua Sakura…
Io sono nata in fiore. E
non sai quanto ho lavorato per mantenermi così splendente.
La verità
era che io non potevo perdere. Per
questo vincevo sempre.
E lo
facevo anche per te, perché volevo stare nel tuo stesso mazzo, splendere al tuo
fianco, mentre io emanavo il mio profumo e tu il tuo, in una fragranza
indimenticabile, indissolubile.
E così mi
ero messa lì in posizione, vicino a te, e aspettando che anche tu sbocciassi la
mia più grande preoccupazione, la mia più grande
angoscia era quella di sfiorire prima che tu potessi dischiuderti.
Ho
tentato di dirtelo, ma per quanto i miei consigli fossero
oro ai tuoi occhi…io ero quella che vinceva: cosa potevo saperne del dolore,
della sconfitta, dell’afflizione?
Più di quanto mai crederesti, piccola.
Solo, da
un altro punto di vista: il mio.
Sapessi
quanto ci si sente soli in cima alla montagna!
E
anche quel giorno, quel giorno in cui di nuovo ti ho vista piangere, piegata
sul mio corpo in fin di vita…ti ho sorriso.
Perché finalmente ho capito la verità. In un lampo ho
intuito qual era la via per farti sbocciare.
La
verità, Sakura, è che non c’era acqua a sufficienza per entrambe in questo vaso
che chiamiamo mondo; non c’era luce abbastanza per te se i miei grandi petali
ti facevano ombra.
Avrei
potuto lottare, forse…avrei potuto dimenarmi e
vincere, anche contro la morte, talmente credevo in me.
Ma
non ci ho nemmeno provato. Ho lasciato cadere i miei petali, semplicemente.
Ho smesso
di succhiare avidamente il liquido della vita e ho lasciato che mi prendesse,
la morte, che mi prendesse mentre ancora ero bella, e
in fiore.
Ma
ora, permettimi di raccontarti, piccola ingenua, tutto ciò che quel sorriso
racchiudeva.
Ti ho scelta quando tu mi cercavi perché io volevo una pari.
Volevo disperatamente una persona che non mi adulasse, ma mi sfidasse. Che mi portasse a superare i miei limiti, ad andare più in là, a
migliorare. A non ritenermi arrivata a sei anni.
E per
me, quella persona eri tu. Potevi essere tu. Perciò ti
sfidavo, per migliorarmi e migliorarti. Perché, se
possibile, volevo crescere con te.
Perciò
non ho detto nulla, assolutamente nulla, quando quella volta mi hai detto che
saremmo state rivali. Perché in fondo, lo eravamo
sempre state.
Amiche e
rivali.
Era la
prima volta che mi sfidavi apertamente, che credevi in te stessa abbastanza da
dire: “posso competere con te”.
E non
sai quanta gioia e quanto dolore questa tua scelta mi ha portato.
Gioia perché finalmente, dopo anni, avevi deciso che eri in grado di
lottare, di lanciarmi una sfida, di raccoglierne una. Con me.
Con me,
che all’inizio idolatravi, come tutti gli altri.
Con me,
che ero sempre la più brava.
Con me,
che ero la tua migliore amica.
E poi ho
pianto, ho pianto tanto mentre solo mia madre
ascoltava i miei singhiozzi; ma quella era pena per me, per me stessa perché
ancora una volta mi era stato rifiutato ciò a cui più agognavo. Un’amicizia
gratuita.
Per
questo ho preso a fare battute sul tuo conto, per sentirti rispondere a tono,
per capire che mi trattavi come una tua pari. E questo, per me, forse valeva
più di ogni altra cosa.
Tu non avevi più paura di me.
Per la
prima volta, mi guardavi da simile, per la prima volta mettevi in conto
l’ipotesi che anche io, Ino Yamanaka, potessi perdere.
Non che
l’avrei fatto.
Solo, che
ci fosse anche la più remota possibilità che potessi farlo.
Che
non dovessi vincere per forza.
Mi hai regalato la libertà.
Dio,
Sakura, ti stai chiedendo se sono orgogliosa di te,
non è vero? E’ questa la domanda nel barlume del tuo sguardo?
Che peccato che i sorrisi non possano parlare, che peccato
che mi restino pochi secondi e non abbia il tempo di dirti tutto questo, che peccato
che non possa scrivere i miei pensieri nel cielo, o in quella tua fronte
spaziosa. Così forse rimarrebbero lì, impressi, e non ti dimenticheresti chi
sei. E come sei.
Sei tanto ingenua!
Sono
stata orgogliosa di te nel momento in cui, a sei anni, hai scostato le mani
dagli occhi, hai guardato oltre la coltre nebulosa delle tue lacrime, e hai
fissato il tuo sguardo nel mio.
Il resto,
piccola mia, era crescere.
E Dio
mio, quanto sei cresciuta! Sei diventata forte, fortissima e bellissima nell’ autoconsapevolezza che mano
a mano ti sei conquistata, con e contro di me.
Ma
questo non importa.
Tutto,
oramai, non importa.
Tutto
eccetto tu: tu importi, l’hai sempre fatto, più di
chiunque altro.
Amica
mia, ora vai, vivi, fai tutto ciò che io non ho potuto fare: sii serena,
consapevole e soprattutto felice.
Per una
che ha sempre vinto, è una fine deprimente questa, immobile su un letto
d’ospedale.
Ma in
fondo, se ci penso bene, ho vinto anche questa volta.
Perché la mia più grande scommessa eri tu.
Ps: Kagome, questa fic, ovviamente, era per te, che meriti la
tua Ino.