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Autore: workinprogress    23/08/2013    6 recensioni
«La figura di Katniss si staglia, scura d'ombra, contro la luce che illumina lo spiazzo davanti alla veranda. Le sue gambe dondolano piano, come mosse da una brezza leggera.
In questo momento potrebbe essere davvero una ghiandaia imitatrice, posata su un ramo spoglio in autunno, in attesa di un soffio di vento che sia adatto a trasportare le sue note.»
[Peeta/Katniss] [One shot]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Growing back together'
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Se volete leggere questa storia ascoltando le note su cui l'ho scritta, questa è la canzone.



D'un fuoco la fiamma



Quel tempo in me vedere puoi dell'anno,
Quando già niuna foglia, o rara gialla in sospeso, rimane
Ai rami che affrontando il freddo tremano,
Cori spogliati rovinati dove gli uccelli cantarono, dolci.

Della giornata vedi in me il crepuscolo
Che dopo sera all'ovest si dilegua;
Portato a gradi via da notte buia
Che pari a morte, tutto nel riposo sigilla.

In me tu vedi d'un fuoco la fiamma
Che sopra le ceneri della sua gioventù vacilla
Come in letto di morte dove dovrà spirare,
Consumata da ciò che la nutrì.

E di questo t'accorgi, e si fa il tuo amore più forte
Nel bene amare ciò che lasciare dovrai tra breve.


[Sonetto 73, W. Shakespeare]



Katniss è seduta su quella specie di parapetto in legno che delimita la piccola veranda della casa. Mi dà le spalle, assorta nei suoi pensieri, con lo sguardo perso nel distretto.
Io, appoggiato allo stipite della porta, ho lo sguardo perso in lei.
Sulla sua schiena si adagia una corta treccia di capelli scuri, con delle ciocche troppo corte che sfuggono qua e là. Ha iniziato a pettinarsi di nuovo così non appena i capelli le sono ricresciuti a sufficienza, dopo quel taglio drastico. Non ho mai fatto commenti, ma penso che sia più per comodità e abitudine che per altro. Non sono sicuro che abbia fatto pace con quello contro cui combatteva.
Quando le ho chiesto spiegazioni, la sua risposta è stata: «Il passato, Peeta. È sempre stato quello».
Immagino che abbia ragione. Qualunque sia il nostro conflitto, l'incubo che ci tiene svegli, l'orrore che temiamo per il futuro, è nel nostro passato che ha origine, e da lì non c'è modo di rimuoverlo. È come una pianta parassita, che si avviluppa intorno all'ospitante finchè non diventa impossibile liberarsene, e tutto ciò che resta da fare è guardare l'albero soffocare, sfibrato, e arrendersi sotto quella stretta di morte.
La figura di Katniss si staglia, scura d'ombra, contro la luce che illumina lo spiazzo davanti alla veranda. Le sue gambe dondolano piano, come mosse da una brezza leggera.
In questo momento potrebbe essere davvero una ghiandaia imitatrice, posata su un ramo spoglio in autunno, in attesa di un soffio di vento che sia adatto a trasportare le sue note. E forse per lei sono come la bava di vento, che non sa smuovere nemmeno le foglie ingiallite, ma da quando viviamo insieme non l'ho più sentita cantare.

A volte mi giro a guardarla e la trovo immobile a fissare il nulla, con gli occhi vuoti. Non è la tristezza che vedo dipinta sul suo volto, è l'apatia di una vita che non la sfiora più.
In alcuni momenti è come sedersi di fronte ai colori di un tramonto e aspettare che muoia in un tenue crepuscolo, con la luce che si ritira, senza poter fare nulla per fermarla. E ho paura che, se aspetterò ancora un po', tutto quello che mi ritroverò davanti sarà il buio della notte, e non so quanto brilleranno le stelle.
Altre volte, invece, senza preavviso, la fiammella sottile nei suoi occhi muta in un fuoco caldo, acceso.
Quando, nel cuore della notte, mi stringe a sé, alla sua figura minuta, senza essere ottenebrata dal dolore di un incubo.
Quando vive uno dei suoi periodi più lucidi, ed è lei ad allungare il braccio per indicarmi le cose che cambiano nel distretto, le recenti fonti di bellezza che questa ricostruzione ha da offrire.
Quando mi porta con sé nei boschi, e mi insegna tutte le cose da sapere, e mi mostra tutte quelle da vedere.
A volte basta avere pazienza: con Katniss può trattarsi di una parola, del tono della voce, del tocco di una mano, e qualcosa in lei sembra scattare e risvegliarsi come da un sogno.
Pare quasi di vedere la fiamma che talvolta la anima sul serio danzare sulle ceneri di ciò che per tutti è stata la ragazza in fiamme. Oscilla sui resti della ribelle, della vincitrice, del tributo, della Ghiandaia, per assicurarsi che non rimanga più nulla di quei ruoli che le avevano cucito addosso.
Poi, quando l'impeto finisce, di punto in bianco trovo Katniss seduta davanti al caminetto, con una coperta che la avvolge, e il riflesso delle fiamme è l'unico fuoco che vedo nei suoi occhi.

Oggi è seduta su quel parapetto, in silenzio nella luce del mattino.
Non so esattamente come definire la nostra relazione dopo stanotte. Esito un attimo, prendo un respiro e mi avvicino a lei. Non mi sforzo di essere silenzioso, perché fallirei comunque; ma anche se mi sente, e so bene che è così, non dà segno di averlo fatto.
Mi appoggio al parapetto vicino a lei, lo scavalco, e resto seduto lì, in silenzio anch'io.
Tra le mani, Katniss tiene un dente di leone.
Un sorriso mi nasce spontaneo sulle labbra, mentre risalgo con lo sguardo fino ad arrivare ai suoi occhi.
Rimango immobile, colto di sorpresa.
Katniss mi sta guardando, e mi vede veramente. I suoi occhi sono animati da qualcosa di più bello delle fiamme che prima li ornavano di tanto in tanto. È una luce dolce, soffusa, che parla con l'eloquenza di mille parole.
Perché so che, insieme a qualsiasi altra emozione stia provando in questo momento, quello che le alleggerisce il cuore e le illumina il viso è la pace.
In quest'ultima notte, tra le lenzuola sgualcite del suo letto, Katniss mi ha detto più di quanto non sia mai riuscita ad esprimere a parole. Ha diviso con me ogni sua lacrima, e mi ha affidato ogni speranza perché la custodisca insieme alle mie.
Allungo il braccio e la stringo con gentilezza a me. Si appoggia al mio fianco senza una parola, con gli occhi chiusi, lasciandomi un bacio sulla spalla avvolta dal tessuto.
Le prendo il dente di leone di mano e glielo sistemo fra i capelli, sopra l'orecchio. Mi guarda e sorride.
Restiamo così, abbracciati a guardare il distretto 12.
Questo mattino soleggiato non ha bisogno di parole, e noi tacciamo.


_______________



Allora, che ne pensate? Troppo svenevole?
Ho scritto questa storia perchè ho sempre amato Peeta, e sono convinta che per lui non debba essere stato facile tornare nel distretto 12 e vedere quanto fosse a pezzi la donna che amava. O perlomeno, quando è riuscito a ritrovare dentro di sè l'amore per lei, credo che Katniss fosse ancora immersa nel proprio dolore.
Ho voluto mostrare una prospettiva diversa, una che Katniss non ci potrà mai offrire, perchè non ha idea di come appare. Peeta filtra attraverso il suo amore quello che vede, e la osserva passare per quelle fasi di cui lei è a malapena cosciente.
La parte all'inizio in cui si parla di un taglio drastico di capelli si riferisce ad un'altra delle mie storie, questa.
Quello che avete letto in apertura è il sonetto 73 di Shakespeare nella versione tradotta da Ungaretti. A chi ha dimestichezza con l'inglese consiglio di leggere l'originale, perchè è splendido. Comunque, nel caso abbiate fatto i furbi e l'abbiate saltato, la mia storia è chiaramente costruita sopra quel sonetto, in modo addirittura spudorato direi. Ma ahimè, Katniss e Peeta sono stati la prima cosa a cui ho pensato leggendolo.
Il titolo che ho scelto forse non si riferisce in modo particolare alla storia, ma è parte del verso che preferisco e mi piace moltissimo come suona.

Non saprei cos'altro dire sulla struttura della mia storia. Sono insieme soddisfatta e perplessa, riguardo al risultato finale - in combinazione poi con il sonetto ed eventualmente con la melodia proposta -, quindi ditemi voi cosa ne pensate di questo esperimento stilistico.

Un grande abbraccio a tutti quelli che sono passati di qui.
wip
  
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