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Autore: SofiaVoglino    23/08/2013    2 recensioni
[dal capitolo 8]
- Come fai a essere così tranquilla?
- Semplicemente credo che non riuscirò mai a sopravvivere ai Giochi.
Questo è quello che pensava Victoria. La fortuna non sembra essere a suo favore, non dopo che è stata estratta: scelta per rappresentare il suo distretto, il 4, ai 72esimi Hunger Games, scelta tra mille per andare a morte, quasi certa. Ma il suo nome (forse profetico?) sembra dire tutt'altro.
P.S. Se leggete, lascereste le vostre impressioni? Questa è la mia prima fanfiction, e apprezzerei davvero qualche recensione :)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Finnick Odair, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 22: Noi, i geni del male


 
-          Victoria! – mi aggredisce Irvy, in lacrime – mi hanno riferito tutto. Come stai?

Mi getta le braccia al collo, e mi carezza la guancia destra, come ad asciugarmi le lacrime che dovrebbero bagnarle. Anche se queste non ci sono, continua in questo suo gesto rassicurante. Si vede che non è una capitolina; o almeno non del tutto.

-          Sto … bene – e così dicendo le stringo il polso, e noto che la preoccupazione che le scuriva lo sguardo ormai è svanita.
-          Quelle carogne! – si intromette bruscamente Finnick.
-          Sì, quelle due sono state … sono state molto scorrette – lo appoggia Annie, gli occhi gonfi e arrossati e le lacrime difficilmente trattenute che le fanno morire le parole in gola.
-          Sul serio, dico a tutti, sto bene! E al momento penso solo a vendicarmi! Sì, insomma, troverò un modo …

Nonostante le mie parole convinte, mi lanciano tutti occhiate compassionevoli, molto più del necessario.
Vorrei solo che la smettessero di trattarmi da vittima, almeno per il momento, e che credessero di più in me: se sono io la prima a dubitarne, finirò per credere che sono un’inetta debole e innocente.
Ma mai prima d’ora mi sono sentita così ardente: è come se dentro di me bruciasse un fuoco, letteralmente; le sue fiamme divampano, e non mi resta altro da fare che assecondarle, e bruciare con loro.

Giro i tacchi e vado in camera. La voce singhiozzante di Irvy echeggia nel corridoio, dicendomi di farmi un bagno caldo, “per i nervi”, e poi di andare a letto, perché la cena mi verrà servita lì. Annuisco, tra me e me, consapevole che tanto non riesce a vedermi.

La senza-voce mi prepara la vasca, con vari aromi rilassanti, tra cui riconosco la vaniglia e la cannella. Allora mi comincio a spogliare, lasciando il completo abbandonato sul letto.

Prima avrei provato pudore a restare nuda davanti ad una sconosciuta, ma ora non più, forse per l’abitudine, forse perché ho capito la triste realtà di questi servitori della capitale: tolta loro la parola, gli resta poco, a parte la fisionomia, degli esseri umani.

Non che non abbiano pensieri propri, questo è ovvio. Ma se non si possono esprimere, che senso ha formularli?
A privarli dell’ultimo briciolo di umanità, oltre alla rassegnazione, c’è la crudeltà degli altri, troppo presi dall’evitarli, come si fa con la peste, da rivolgergli la parola. E per quanto abbia provato a farla sentire a proprio agio, la senza-voce continua a guardarmi con lo sguardo di una bestia inselvatichita: con diffidenza, sprezzo.
Ma alcuni sono ancora peggio: il loro sguardo è vacuo, un po’ come quello di Annie, a volte, ma se in quello della ragazza traspare un’insopportabile malinconia, si direbbe che gli altri non provino emozioni. Se non fosse per il colore roseo della pelle, o per il cuore che batte, stenterei a dire che sono vivi.

Mi trastullo per un tempo indefinito nella vasca, sentendo ogni singolo muscolo distendersi, e la mente rilassarsi con essi. Poi mi alzo, mi avvolgo nell’accappatoio e mi asciugo. Indosso rapidamente la camicia da notte di seta e mi infilo nelle coperte.
Sto per addormentarmi, ma sento qualcuno bussare alla porta.

-          Avanti … - mugugno assonnata. Sarà la cena …
In parte ho ragione: è un piatto fumante, che risveglia il mio appetito … con Ian. O meglio, è Ian, che porta la pietanza deliziosa.

-          Apri la finestra – mi ordina, nascondendo un sorriso malizioso.
Faccio quello che mi dice, ma non succede niente. Inarco un sopracciglio, in attesa di una spiegazione.
-          Aspetta e vedrai!

Sbuffo, e gli strappo di mano il piatto, ingoiando il primo boccone. Poi sento un tonfo sul davanzale. Per lo spavento mi verso addosso gran parte del brodo bollente che vi è contenuto.

-          Ahia! – urlo per l’ustione, mentre un Richard parecchio sovreccitato compare davanti alla finestra.

-          Anch’io sono felice di vederla, madamigella!
Tono ironico. Atteggiamento baldanzoso. Qualcosa che né i lividi né le ferite sono riusciti a portargli via.
-          Ma sei scemo?! Potevi MORIRE!
-          “Tutto è lecito, in guerra e in amore” – una delle sue solite citazioni, a cui ormai ho fatto abitudine.
-          E questo lo definiresti amore?
-          No, questa è guerra!

E pronuncia queste parole, mimando di estrarre una spada dal fodero. Quella risata che tentavo di trattenere, esplode fragorosamente nella stanza, accompagnato da quelle dei miei due colleghi.

Ian cerca di riprendersi, e con le lacrime agli occhi ci ordina di fare i seri, e di pensare a questioni più importanti.
E in questo momento la parola chiave è: vendetta.

A malincuore rinunciamo all’idea di cibo avvelenato, gas soporiferi, acidi corrosivi, impiccagioni e mutilamenti. “Sarebbero comunque contro il regolamento”, ci ha ripetuto pedantemente lo stratega Ian, “e quindi tecnicamente punibili”.

Tra sbuffi e filmini mentali che comprendevano la morte cruenta delle mie due carnefici, ci siamo accordati su quale sarà la nostra ripicca: la morte per la vergogna, lenta e dolorosa, con conseguente perdita di sponsor e morte corporale nell’Arena.
Il tutto da compiere in due fasi, a) durante l’addestramento, e quindi nei prossimi tre giorni; b) nel corso dell’intervista.

-          Mi immagino le facce che faranno quando … - mi interrompo bruscamente, assumendo forse un fare sospetto, perché Irvy, la cui testa castana stranamente spoglia è comparsa sulla soglia, mi guarda sbalordita.

Ma lo sbigottimento dura solo qualche secondo, prima che le parole le straripino dalla bocca come un fiume in piena:
-          Che cosa state tramando, voi? E Victoria, credevo che fossi già a letto! E tu ragazzo, Richard, giusto? Perché non sei al secondo piano? Ian! Ti avevo detto di lasciarla in pace, quella poveretta!
-          Scusa Irvy – dice indifeso lo stratega e a quanto pare anche avvocato Ian – mi dispiace tanto, ma … era una cosa davvero urgente!
-          È vero! – lo appoggiamo in coro Richard ed io.
-          Tu – e punta il dito contro Richard – mi spieghi come hai fatto a salire?
-          Se dicessi: con le ali dell’amore? Mi credereste?
-          Nemmeno un po’. Sputa il rospo.
-          E va bene. Oggi ho rubato due coltelli dalla palestra e mi sono arrampicato sulla parete. Nel 2 abbiamo una grossa montagna, la chiamiamo l’Osso, e diciamo che ho fatto un po’ di pratica.

Un bel po’ di pratica, penso io, chissà se nel 2 c’è una materia che si chiama “Suicidio” …

-          È strano … - pensa ad alta voce Ian
-          Cosa? – chiedo io, curiosa.
-          Che Capitol City non abbia messo niente, né barriere, né campi di forza, né trappole ad impedire l’uscita dei tributi … voglio dire: mettiamo che io sia disperato. Che non voglia entrare nell’Arena ed essere sbranato dagli ibridi, per esempio. Sarei liberissimo di buttarmi dalla finestra, no?
-          O di scappare, magari? – puntualizza Richard.

A questo punto Irvy, sempre in ascolto, interviene e ci dice che la fuga è un’ipotesi molto molto improbabile, e che nei vicoli ci sono numerosissime pattuglie di Pacificatori, e poi i giardini, allestiti il giorno del nostro arrivo, formano un inespugnabile dedalo, in cui girano ibridi. E che quindi è impraticabile, come idea. Tuttavia il suicidio …

-          Allora abbiamo concluso, mi pare. Io devo tornare in camera mia prima che si accorgano della mia assenza. Ci vediamo domani.

Detto così, Richard scompare dalla finestra, e mi affaccio, e quel poco che vedo sono le sue mani, che stringono i coltelli saldamente arpionati al muro, che si cala con l’agilità di una scimmia.
Una bella scimmietta.


Sono rimasta sola con Irvy. Ian è andato in camera sua. Quando mi sdraio, si siede ai miei piedi.

-          Ti voglio bene, lo sai?

Annuisco, e poi le dico quello che penso su di lei.
Che è una donna bella, coraggiosa, altruista, a volte un po’ stramba. E che sto imparando ad apprezzare anche i suoi momenti Capitol. Quello che mi esce dalle labbra è la pura verità: anche se probabilmente morirò, nell’Arena, sono felice di aver incontrato una persona come lei. E anche come Finnick. E anche come Mags. E come Annie. E, perché no, anche come Aphrodites.

-          Mi racconti la tua storia?
-          Non posso. Non ora.
-          E se non ora, quando potrai?
-          Forse … - ma poi sembra ripensarci – l’ultima sera.
E se ne va. 




ANGOLO AUTRICE:

Grazie di tutte le recensioni (tutte positiveee!) che mi lasciate. Significa davvero molto per me. Comunque questo capitolo non è che mi convinca molto... che la pensiate come me o no, fatemelo sapere ;) Shippo Victoria e Richard in maniera allucinante, ve lo assicuro! Se avete notato, sto cambiando gradualmente lo stile, nell'intento di far vedere una maturazione nel personaggio di Victoria, e nel suo rapporto con gli altri. Ditemi se vi sembra un po' azzardato, o se al contrario vi piace... Comunque QUALSIASI errore, o problema, vi prego, riferitemelo, e vedrò di correggerlo!
Di nuovo grazie a tutti, sia che recensite sia che visualizzate solamente, sia che mettete tra le "storie seguite" o "da ricordare".

P.S. Vi chiedo umilmente perdono se pubblico a intervalli lunghissimi! Ultimamente sono parecchio pigra... Ma so che non è una giustificazione XD

   
 
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