Fandom: star trek (2009)
Pairing: Kirk/Spock, Spock/Nyota Uhura
Personaggi: James T. Kirk, Spock, Leonard McCoy, Nyota Uhura, Pavel Chekov, Hikaru Sulu, Montgomery Scott, nuovo personaggio
Rating: pg
Genere: avventura, azione, fantascientifico, sentimentale
Avvertimenti: (possibilissimo) OOC, slash
Trama: è che la morte non si ferma mai. La morte avanza con la sua falce a mezza luna e il suo ghigno sadico, mettendo tutto in discussione.
Dal testo:
"-Siamo solo io e te... - mormorò, lasciando scivolare una mano sulla parete -... solo noi due.- disse, rivolto alla nave.
La sua nave, il suo equipaggio. Tutto quello che aveva, era nello spazio profondo."
Note: 52 pagine. 30651 parole. No, non ho cominciato a dare i numeri; è la mia risposta alla domanda "wtf Naka? Perché ci hai messo tanto?" e non mi era mai capitato -e mai avrei pensato capitasse- nella mia vita di scrivere una one-shot (perché io ho ancora il coraggio di definirla tale) tanto lunga. Ci ho messo un mese (ohcielosantissimo) e spero solo che sia stato tempo speso bene, se non altro mi sono divertita/esaurita/devastata e ho pianto quando l'ho finita. E' stato un parto duraturo, ma alla fine mi ci sono affezionata.
Doveva essere a rating rosso, ve lo giuro che ero partita con quell'idea, ma poi mi sono detta che no, non avrei accelerato proprio un bel niente tra nessuno (dammit, me! semicit. McCoy) e quindi è uscito fuori tutto sto casino.
Argh! Queste note non hanno senso, a parte che è mezzanotte passata e sono nella fase del "non so quel che scrivo, sono stordita e assonnata ma continuiamo a battere le dita sulla tastiera" e poi quando arrivo al momento delle note sono sempre senza idee. Balls! (No, ho sbagliato fandom per questa citazione LOL)
Anyway, alla fine della storia (perché non voglio spoilerare niente) vi metto vari link e varie delucidazioni. Spero vi piaccia, spero di non aver fatto un macello... spero, spero, spero.
Intanto vi ringrazio per il supporto datomi sino ad ora, siete splendidi.
Vi chiedo scusa (as ever) per gli errori, come sapete mi beto da sola e faccio schifo nell'individuare i miei scempi. Vi giuro che le cazzate che leggerete saranno solo frutto della distrazione (no, sono ignorante. E' questa la verità.) scusate.
Disclaimer: Kirk, Spock e compagnia cantando non mi appartengono, sono di quel gnocco di Gene (Gesùbenediciloecustodiscilovicinoate) e un po' di quell'altro bel trekker che è Abrams. Io mi diverto a manovrarli per le stronzate che scrivo. That's all!
Scritta per la community dieci&lode sul set #10 Futuristico e sul prompt 05. Un'altra galassia.
Attenzione gente! Se non avete letto le altre storie della raccolta 'A friendship that will define you both' non capirete molto. Quindi, tornate dopo aver letto le quattro precedenti.
Lena
sorrise maliziosa, piegò
gli angoli delle labbra all'insù mentre faceva vagare le
mani sul
petto di Jim.
-Io so
quello che sta accadendo tra di voi. State danzando l'uno intorno
all'altro senza mai incontrarvi, c'è un perché.-
Jim non poté
che tremare al suono di quelle parole. Fissò gli occhi della
donna e
il cuore perse un battito -Perché mi dici questo?-
-Perché voi
non avete un futuro, insieme.-
Passi distanti risuonarono nella
mente di Jim, non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che Spock era
appena arrivato.
-Credi davvero che lui
possa darti quello di cui hai bisogno?-
-Tu non sai di cosa ho
bisogno.-
Spock non parlò, rimase fermo a fissare le due figure
strette l'una all'altra. Un nodo fastidioso si formò nella
sua gola,
e non fu certo per la presenza della donna tra le braccia del suo
capitano.
-Hai bisogno di amore,
qualcosa che lui non può donarti.- insistette
lei, baciandolo
dolcemente.
-Lena... -
-Io posso amarti, posso restare al tuo fianco.-
Jim sospirò
e le accarezzò un fianco, lei si sporse ancora e lo
baciò di nuovo,
questa volta con più vigore. Le loro lingue s'intrecciarono
e Jim la
strinse accarezzandole
la schiena con una mano, mentre portava l'altro braccio verso il
phaser appeso alla cintura.
Sentiva gli occhi di Spock bruciare
quel contatto, poteva percepire il suo sguardo direttamente sulla
pelle.
Non è come credi, è
perché stai baciando
lei.
Una voce fastidiosa
ricordò a se stesso quanto patetiche fossero le sue esigue
speranze.
Staccò il phaser e senza pensarci due volte lo
puntò al fianco
della donna.
Pregò qualunque divinità fosse in grado di
ascoltarlo, di fare sì che non morisse. Perché
lui non voleva
ucciderla. Non voleva fare questo
a Spock.
-Non ho bisogno che qualcuno stia al mio fianco.-
mormorò sulle labbra piene di lei, prima di sparare.
Aveva
mentito.
Lui aveva sempre bisogno di qualcuno al suo
fianco.
Una settimana prima.
Jim
si svegliò di soprassalto annaspando furiosamente. Sedette
sul letto mentre goccioline di sudore andavano ad inumidirgli la
schiena.
Le lenzuola erano fradicie.
Si portò una mano sulle
palpebre e tentò di fare mente locale, il sonno e l'ansia
stavano
tessendo una rete d'incoscienza e confusione nella sua mente.
-Computer, luci.- rantolò tra un respiro e l'altro.
La
stanza fu inondata da un
bagliore soffuso,
questo
riuscì a placare il senso d'angoscia che gli
ruggiva nel ventre.
Jim
si guardò intorno e si liberò dalla trappola
delle lenzuola, che
gli si erano aggrovigliate intorno alle caviglie. Lentamente
si trascinò in bagno per rinfrescarsi.
Non capiva da dove
arrivassero tutte quelle sensazioni spiacevoli; erano ormai tre
settimane che continuava con quella maratona di incubi e ansia.
-Hai bisogno di un amore che solo io posso
darti.-
Scosse il capo
quando
la solita voce melodiosa ritornò a far breccia nella sua
mente,
tentò di scrollarla via.
Non riusciva a capire a chi o cosa
appartenesse e
perché, in
quel tono tanto dolce quanto triste, albergasse costantemente la
paura di essere abbandonati.
Ma stavolta non era stata
quella voce, la causa dei suoi incubi, no. Era stato altro.
Si
sedette contro le piastrelle del bagno, allungò le gambe
dinanzi a
sé e non poté fare altro che concentrarsi per ricordare.
La sua testa sembrava una stupida lavagna magnetica, era come se
qualcuno stesse giocando con essa
scrivendoci
informazioni per
poi cancellarle.
Ricordava e
dimenticava. Poi ricordava di nuovo. Dopo dimenticava, ancora
una volta.
Gli si
palesarono, nella
memoria,
le immagini che avevano preso vita nel suo sogno.
Spock era stato
lì. No, non il suo primo ufficiale. Era
stato un altro Spock, diverso in alcuni tratti del suo aspetto e in
quella luce che gli
aveva scovato nello sguardo.
Quel suo
primo ufficiale
aveva
urlato il suo nome e
lui si era visto da lontano. Un Jim Kirk grande, robusto... simile ma
al contempo opposto al se stesso che incontrava ogni giorno
allo
specchio. Forse
anche migliore.
Il
vulcaniano
si era lanciato verso il
capitano e
l'aveva spinto via
prima di
venire colpito
da qualcosa, proprio al centro del petto.
Jim grugnì e si portò
le mani al volto. Non capiva.
Prese un respiro profondo e ritornò in
camera per avvicinarsi al padd e controllare i turni dei suoi
ufficiali.
Per fortuna,
si disse, Bones
stava per lasciare
l'infermeria.
Un'ora
dopo era seduto con un buon bicchiere di bourbon tra le mani, gli
occhi del suo migliore amico puntati contro.
-L'ultima volta che
qualcuno mi ha guardato così... - sorrise Jim.
-Non finire quella
frase o ti prendo a testate.- lo redarguì il dottore,
bevendo dal
suo bicchiere.
Jim sorrise; era un piacere quando, nel pieno
della notte, poteva rincontrare il suo migliore amico e tutte le
formalità tra colleghi cadevano, s'infrangeva il rispetto
delle
gerarchie. Era
bello quando
loro due
ritornavano ad
essere solo Jim e Bones: un ribelle ragazzo di campagna e uno sfigato
mandato sul lastrico dall'ex
moglie.
-Ti prego... lo so che in fondo sei innamorato di me.-
mugolò Jim, con quel ghigno sfrontato che il dottore aveva
imparato
a conoscere così bene.
Leonard inarcò un sopracciglio -Sì ma
io sono l'unico che non ti sei portato a letto.-
-Oh- l'altro
sembrò offeso -non mi sono portato nemmeno Keenser a letto.-
-Mi
stai paragonando a quel coso,
Jim?-
Il ragazzo rise, seguito
a ruota dall'amico.
I
bicchieri furono nuovamente riempiti: erano
nel bel mezzo della notte, nessun turno da affrontare prima del
mattino e alcun pericolo incombente; potevano
entrambi bere quanto bastava per alleggerire il peso degli eventi che
gravava su
di essi.
Come una spada di Damocle, lì, proprio sulla gola. E la lama
luccicava, oh, scintillante come il fuoco del sole.
-Perché sei
qui?- chiese dopo un po', il medico.
Jim bevve ancora, poi si
rigirò il bicchiere tra le mani, in cerca di qualcosa da
dire. Ma
non sapeva da dove iniziare, non riusciva neppure a capire che cosa
lo turbasse così tanto.
-Andiamo... lo sappiamo entrambi che
qualcosa ti sta incasinando. Ultimamente sei stanco, spossato e
questo... -
-Non
influisce sulle mie mansioni di capitano.- lo stroncò il
ragazzo.
Leonard scosse il capo -Non era quello che stavo per dire.-
Jim
rise -Ma è quello che pensi, vero? Hai paura che qualunque
cosa mi
stia torturando possa avere ripercussioni sul mio ruolo? Non lascerei
mai
che le mie
questioni personali possano mettere in pericolo l'Enterprise.-
Il
dottore sospirò, poi lo guardò scettico -Dimmi
cosa ti sta
torturando. Sono tuo amico, Jim.-
Il capitano lasciò andare il
bicchiere, abbandonandolo sulla superficie plastica del tavolo.
-Non
lo so, Bones. E' questo il problema. Io non so
cosa mi sta facendo questo. Allucinazioni? Visioni? Ricordi? Non ho
idea di che diavolo sia.-
Leonard lo guardò con un'espressione
compassionevole, si
concentrò
sul viso addolorato e perso
del suo amico e capitano e si maledisse per non sapere che cosa fare.
Avrebbe voluto aiutarlo, trovare una
soluzione a tutti i suoi problemi.
Invece
poteva solo guardarlo cadere
mentre i suoi occhi azzurri
si spegnevano giorno dopo giorno. Riusciva
solo ad assistere inerme mentre la
luce che brillava in Jim Kirk si
assopiva con
il passare del
tempo.
Poteva solo riempire quel bicchiere vuoto e guardare
l'amico affogare se stesso in un sorso di alcol. Ma la
realtà era
che Jim stava andando alla deriva, e non in un minuscolo shot di
bourbon, stava annaspando in acque torbide e pericolose.
. . .
Spock
si trovava sul ponte di comando quando la chiamata, che avrebbe
destabilizzato l'intero equipaggio per i giorni a venire, fu
intercettata dal tenente Uhura.
Il tenente raccolse la
comunicazione, poi si voltò verso Spock -Comandante,
è in arrivo un
messaggio dall'ammiraglio Marcus.-
Il primo ufficiale inarcò un
sopracciglio -La prenda, tenente.-
Uhura scosse il capo -Non ha
codice.-
Il vulcaniano irrigidì le spalle, allontanandosi dalla
consolle
cui stava lavorando -Contatti il capitano e gli passi la
comunicazione.-
Nyota lo guardò con una traccia di confusione
sul volto ma, senza fare domande, si affrettò ad eseguire
l'ordine.
Dopo alcuni
secondi la
tenente ritornò di nuovo a guardare il primo ufficiale -Il
capitano
non risponde.-
Spock la guardò confuso -Ha provato nel
suo alloggio?-
-Certo.-
rispose lei, piccata.
Il comandante non badò al tono di voce
irritato, si limitò ad avvicinarsi a lei
-Provi a contattare l'infermeria.-
Uhura fece come richiesto ma,
anche questa volta, il capitano non fu rintracciato.
-Comandante,
qualcosa si
sta avvicinando.-
li interruppe Sulu, senza distogliere lo sguardo dai radar.
Spock
si affrettò a ritornare alla postazione
scientifica per
monitorare
i dati dei
sensori -Tenente
Uhura, continui a cercare il capitano. Tenente Sulu, rapporto.-
Il
timoniere scrollò
le spalle
-Veicolo non identificato, non capisco se sia una nave. Viaggia ad
una velocità di 7.8, signore.-
-Tempo d'avvicinamento?-
-3.4
minuti.-
Spock allungò il raggio dei sensori correggendo
la traiettoria per
calibrarla
con la posizione del veicolo che si stava avvicinando. Un
ronzìo
attirò la sua attenzione e, quando si avvicinò
per la lettura delle
informazioni, notò che ad avvicinarsi non era solo un
veicolo, ma
più di uno.
-Tenente, aumenti la velocità di 2.8- ordinò,
controllando il movimento dei veicoli fuori dalla nave.
Si
chiese dove fosse finito il capitano, il suo udito poteva facilmente
captare la voce di Uhura che lavorava febbrilmente alla consolle
delle comunicazioni.
-Hanno aumentato la velocità!- l'informò
il timoniere -Tempi d'avvicinamento... - tentennò scuotendo
il capo
-2
secondi.-
Spock si voltò a guardare lo schermo, nel quadro ora
apparivano punti luminosi che gradualmente crescevano, un chiaro
indice del loro avvicinarsi.
-Uhura
sospenda il suo lavoro, provi ad aprire un canale con i
veicoli non
identificati.-
La donna annuì e si affrettò a fare come
richiesto.
Spock
ritornò alla lettura delle diciture ma, con sorpresa, scoprì
che i veicoli non erano navi spaziali.
-Comandante
non c'è risposta.- l'interruppe la tenente alle
comunicazioni.
Spock non si scompose, continuando
a seguire il movimento fuori
dall'Enterprise
-Sulu, alzi
gli scudi.-
Il timoniere eseguì l'ordine -Scudi alzati, signore.
Contatto tra 1.3 secondi.-
La plancia restò con il fiato sospeso
e lo sguardo puntato allo schermo, le luci divennero sempre
più
grandi, fino a ricoprire l'intera visuale.
-Hanno
circondato la nave.- l'informò il timoniere.
Spock
inserì i dati rilevati dai sensori all'interno del computer,
aspettò
un riscontro con i dati salvati nel database.
Quando un'analogia
fu riscontrata, capì la natura delle entità che
si erano accostate
alla nave.
-Siamo in presenza delle medesime entità rilevate
nell'orbita del pianeta Ka'yo.- spiegò
ad alta voce -Mantenga
gli
scudi, Sulu.
La loro
intenzione potrebbe
essere quella di penetrare a bordo.-
Uhura
raccolse
una comunicazione
-La sala
macchine è in
contatto.-
disse a Spock -Il
signor Scott è sul canale cinque.-
-Altoparlanti.-
La voce
di Scott si espanse
nella plancia -Comandante abbiamo un problema. Il campo
d'integrità
strutturale è ridotto al 25%. Ho effettuato
i controlli necessari, ma è come se qualcosa stesse...
indebolendo
la struttura della nave.-
Spock inclinò il capo di lato -Ne ha
accertato le cause?-
-Non capisco da cosa dipenda. I generatori
della sezione ingegneristica si sono scaricati, non producono
più
gravitoni.-
-Signor Scott, trovi le cause e ripari il
malfunzionamento. Lei sa cosa significa questa inconvenienza?-
Ci
fu un
attimo di
silenzio dall'altra parte -Sì che lo so, significa che
potrebbero
soffiarci sopra e cadremmo come un castello di carte.-
Spock
inarcò un sopracciglio ma non rispose alla
metafora
dell'umano.
Osservò
le luci che brillavano sullo schermo e si chiese cosa volessero da
loro quelle entità.
In base alla loro natura, essi potevano
viaggiare ad una velocità superiore agli anni luce, e invece
si
erano accostate alla nave con lo scopo di lasciarsi individuare.
-Comandante... -
intervenne Uhura -... è in arrivo una comunicazione
in onde radio.-
Spock la fissò interdetto -La prenda. Voglio che
la comunicazione sia perfettamente comprensibile.- La donna
annuì
-Ci proverò ma abbiamo avuto quel malfunzionamento al canale
radio
poco tempo fa... -
-Faccia
tutto il possibile per riparare il canale.
Avvii anche
una
registrazione,
ci
servirà per il rapporto al comando
di flotta.-
La tenente
fece come richiesto, trasferì la comunicazione sugli
altoparlanti e
il silenzio ritornò a regnare, sovrano, sul ponte.
-Parla il
comandante Spock in vesti di facente funzione di capitano. Rivelate
la vostra identità e intenzioni.- parlò, con
calma.
Negli
altoparlanti si propagò il gracidìo delle
interferenze, Uhura
lavorò sulla diminuzione dei disturbi.
-Tenente... - arrivò
ovattata, alle sue orecchie, la voce di Spock ma non gli rispose.
Alzò lo sguardo e ripeté la trasformazione del
messaggio, in
digitale. Il cuore le batteva veloce nel petto, ma s'impose di
restare calma: Spock le aveva insegnato diversi metodi per non
lasciare che le emozioni prendessero il sopravvento.
Smorzò
l'intensità del segnale, sapeva di stare perdendo alcune
informazioni, ma non aveva possibilità.
Il gracchiare delle
interferenze fu interrotto da una voce, spezzata da alcuni rumori che
ancora interferivano, ma comunque udibile.
-... se
ce la darete, noi vi lasceremo andare.-
stava terminando il messaggio.
-Le chiedo di ripetere, le vostre
tecnologie presentano alcune incompatibilità con i nostri
ricevitori, abbiamo risolto il problema ma abbiamo mancato la
vostra richiesta.-
L'altro
tentennò, poi la sua voce si propagò di nuovo
nella plancia
-Ma'Toi, signor Spock. Conosce questo termine?-
Spock inspirò
profondamente -Affermativo, è un termine appartenente alla
mia
lingua madre.-
Lo sbuffo di una risata arrivò tra i canali di
comunicazione, ampliata dagli altoparlanti, inquietante come un grido
di guerra -Non era nei nostri piani attaccarvi, non
ci interessa la vostra scatola di latta.
Il punto,
Spock, è che voi
siete in possesso di qualcosa che c'interessa.-
Il vulcaniano rimuginò
attentamente sulle parole del nemico -Temo
di non aver compreso la vostra richiesta. Sia
più chiaro.-
-Lei lo sa
bene, Spock. Vi abbiamo osservati a lungo, so che lei possiede
un'arma. La vogliamo.-
Sulu si voltò a guardarlo, così come tutti i
presenti in
plancia.
-Continuo a non avere sentore di quello che mi sta
dicendo. Non posseggo armi che non siano conformi all'equipagg... -
-Non mi prenda in giro!- tuonò l'altro.
-Voglio quell'arma,
signor Spock. Non ci sottovaluti, sappiamo come piegare un
vulcaniano. Non gliel'hanno detto che uno dei nostri creatori
apparteneva alla sua razza?-
Spock
raddrizzò le spalle e guardò Sulu -Percentuale
di energia negli scudi.-
mormorò.
-L'energia
è alla massima potenza, ma... il campo
d'integrità è ridotto al
10%, signore.-
-Sta pensando di scappare? Con il campo
d'integrità ridotto al minimo non potreste usare la vostra
amata
curvatura. Brucereste nell'arco di pochi nanosecondi.- rise
di nuovo, la voce -Me la dia. Ha la possibilità di salvare
tutte le
vite presenti sulla nave.-
Il vulcaniano abbassò il capo
aggrottando le sopracciglia. Si portò una mano nella tasca della
divisa e toccò il cubo di Cohlna che gli era stato donato.
Sapeva
che se avesse ceduto non ci sarebbero state più speranze,
aveva
cercato di ricordare quante più cose possibili riguardanti
il
pianeta dal quale erano tornati da quasi tre settimane, ma non era
riuscito a comprendere a cosa servisse la droga.
Aveva tentato di
studiarla e i suoi esperimenti erano ancora in corso. Gli
era stato detto che quell'arma avrebbe potuto fermare i loro nemici.
Si chiese perché questi fossero così interessati.
Doveva
esserci dell'altro, una spiegazione logica alla loro richiesta.
Eppure...
-Perché
non ci avete ancora uccisi?- soffiò tra le labbra.
Vide Uhura
sussultare sconvolta -Se siete più forti di noi... potreste
prendere
ciò
che cercate,
con la forza. Ma non l'avete
fatto.- il
vulcaniano
allontanò le mani dalle tasche, raccolse le braccia dietro
la
schiena -Il vostro nome: Ma'Toi. Nella lingua di vulcano significa
'morte', ma ancora non
vi siete dimostrati capaci di questo.-
La
plancia cadde in un silenzio tombale intervallato solo dai 'bip' dei
sensori e del radar. La tensione era palpabile, densa come una
coperta asfissiante calata sulle loro spalle.
Non ci furono altre
risposte.
Velocemente, così come erano apparsi, i punti luminosi
scomparvero lasciandosi dietro una scia di luce che lentamente andava
assopendosi.
-Uhura, contatti subito il capitano.- fu la voce di
Spock a spezzare
l'angosciante quiete.
. . .
Nell'attimo
di confusione che oscilla tra il sogno e la veglia,
il dolce peso che gravava sul petto di Jim, era
per lui
qualcosa di
piacevole.
Il capitano
sorrise, immaginando la bella donna che si sarebbe trovato accanto,
forse qualche infermiera recuperata dopo la bevuta con McCoy.
Non
ricordava molto
di quella
stessa notte, la mente era ancora dolcemente stordita a causa
dell'alcol ingerito.
Inspirò
profondamente ed allungò una mano per accarezzare la figura
che gli
riposava addosso (e forse anche per dare inizio ad una buona sessione
di riscaldamento prima
del turno). Non aprì gli occhi, erano pesanti e affaticati. Ma
nonostante tutto, quando la sua mano avanzò verso il petto e
tutto
quello che percepì fu fuoco,
si costrinse a spalancare le palpebre.
Mai mossa fu più errata:
una luce abbacinante si scontrò con la sua retina,
penetrò nella
sua mente e scoppiò dentro di lui.
Urlò,
tentando di portarsi seduto, ma non ci riuscì. Qualunque
cosa fosse,
quella luce, lo teneva bloccato sotto il suo peso.
-Che
diavolo succede?- l'adrenalina scorreva nelle sue vene intrecciandosi
con il panico. Sentì
il
cuore pulsare velocemente.
Non
ci fu risposta, dietro le palpebre scure poteva ancora vedere quella
luce luminosa che gli aveva incendiato gli occhi, ma non era un
riflesso impresso sulla retina: la luce era penetrata per davvero.
Calda, luminosa e potente,
lo fece
suo.
Jim
voleva muoversi,
urlare, ma
non poteva
nulla contro quello che lo teneva prigioniero così
rimase debole e remissivo ad accettare l'intruso.
-Capitano...
capitano.- ridacchiò
una
voce, nella sua mente. Era strano, aveva il suo stesso tono basso e
sfrontato. Kirk si chiese se non fosse lui stesso a parlare.
-Smetti
di far lavorare questo trabiccolo che è
la tua
mente. Non ti ricordi
di me? Ci siamo
incontrati nella mente del tuo
primo ufficiale.-
Jim percepì calore espandersi verso ogni anfratto del suo
corpo,
e la sua intensità aumentava, aumentava, aumentava e tutto
era più
caldo: le sue mani, le gambe, il petto. I muscoli erano roventi.
Annaspò, in cerca d'aria.
-Non puoi
reggere a lungo la mia presenza, quindi sarò breve,
sarà meglio che
mi ascolti o morirai.-
Il capitano
grugnì
il suo dolore, mugolò qualcosa, ma non aveva il controllo
del suo
corpo. Era bloccato tra lenzuola madide di sudore, fermo nel fuoco
che avviluppava il suo feretro.
-In questo momento la
nave sta per essere raggiunta dai miei simili, vogliono qualcosa dal
tuo primo ufficiale. Posso fare
in modo che vadano via,
ma tu dovrai
fidarti di me
e permettermi di rimanere sulla nave.-
Jim
pensò
a Spock, sperò che il vulcaniano riuscisse a mantenere
sicura la
nave; poi si diede dello stupido, perché sapeva, era certo
che con il
suo vice
al comando, l'Enterprise non aveva niente di cui preoccuparsi.
-Hai
tutta questa fiducia in lui? Come fai? Non lo conosci che da neppure
un anno e gli affideresti la tua vita e quella dell'intero
equipaggio.-
Dalla gola
dell'uomo
fuoriuscì un rantolo soffocato, simile ad un
miagolìo roco.
-Non
voglio fare del male a nessuno, qui.-
la nave sobbalzò leggermente e lui
capì
che gli scudi erano
stati alzati -Io non sono come loro, voglio solo
vivere in
pace. Vi aiuterò a trovarli, a fermarli. Voglio solo restare
qui...
con te.-
Il
corpo continuava a bruciare, suoni ovattati arrivavano alle sue
orecchie: era l'equipaggio che si muoveva da una parte all'altra
della nave, la sua nave. Sarebbe dovuto essere sul ponte di comando.
-Ritornerai
su quel ponte, ma voglio la tua
parola, Kirk. Voglio
avere una possibilità, voglio che tu me
lo prometta.-
E Jim pensò che quella cosa aveva tentato di sterminare
Spock,
aveva provato a togliergli la vita.
-Non ho agito per
mio volere! L'ho fatto perché tutti gli altri lo volevano,
è stato
prima di incontrarti. Ti
dimostrerò che
puoi fidarti
di me.
So quale sarà il prossimo obiettivo
dei miei simili, vi
condurrò da loro prima che possano distruggere un altro
pianeta.-
Non poteva
fidarsi di
quell'essere, si disse Jim, non poteva sottostare a una richiesta
patetica che sapeva di trappola in ogni sua parte.
-Ti
ho osservato da quando ho lasciato Spock. Ho attraversato la galassia
per poter scongiurare il pericolo e salvare questa nave. Voglio solo
servirti, ti prego.-
Qualcuno
stava urlando il suo nome nel corridoio, la parola 'nemici'
veleggiò
nell'aria. Jim annaspò, naufrago in un mare infuocato.
Stava
morendo. Sarebbe impazzito e poi si
sarebbe disintegrato,
come
era accaduto a molti altri; vittima di un'inutile guerra, un ennesimo
errore compiuto dai suoi simili.
-Non
morirai se ti
sbrigherai ad
accettare la mia presenza e a garantirmi la sicurezza di cui ho
bisogno.-
Jim gemette di
nuovo, il petto sembrò liquefarsi sotto lo schiaffo della
temperatura corporea, immaginò il suo corpo divorato dal
fuoco.
Sapeva che le sue cellule stavano scomponendosi, presto di lui non
sarebbe rimasto altro che un ammasso di molecole che si sarebbero
disperse nell'atmosfera, condotte via dal sistema di riciclo
dell'aria.
-Preferisci morire, piuttosto che fidarti di
me? Preferisci che le quattrocento vite che trasporti, periscano?
Dimmi di sì, accettami, e
salverò tutti.-
Un
fremito attraversò il petto del capitano,
come una carezza avanzata da mani invisibili, amorevoli. Come il
tocco di un amante.
Sospirò, fu tutto ciò che poté fare,
prima
di percepire la voce dell'ingegnere Scott che si ripeteva negli
altoparlanti: stavano evaquando la sala
macchine.
Cedette,
accompagnando il 'sì' con un grugnito frustrato.
Non ci volle
molto tempo, prima che l'intruso nel suo corpo scivolasse via ad una
velocità ipersonica; Jim riuscì a capire di
essere libero, solo
mezz'ora più tardi.
-Capitano... - mormorò Spock,
voltandosi verso il
turboascensore -... abbiamo cercato di contattarla.- la voce del
vulcaniano era ferma, dura.
Kirk percepì il rimprovero in quel
tono all'apparenza indifferente, non gli diede peso e si
avvicinò
alla poltrona.
Aprì la comunicazione con la sala macchine -Kirk
a sala macchine. Scotty, è in ascolto?-
Spock gli si avvicinò
di qualche passo, portando le mani dietro la schiena.
-Sì
signore. Stiamo cercando di caricare i generatori del campo
d'integrità.- rispose l'ingegnere.
-Convogli tutta l'energia che
può, per caricarli. Ne prenda da qualunque strumento
possibile,
lasci solo il timone e i sensori.-
Uhura si voltò verso di lui
-Capitano abbiamo ricevuto un messaggio dall'ammiraglio Marcus. Non
ha codice.-
Jim roteò sulla poltrona e guardò la donna -Me la
passi nella sala conferenze. Sulu, a lei la plancia.- si
girò a
guardare il primo ufficiale -Venga con me.-
Il silenzio regnava sovrano nella sala, Jim
era entrato
e si era subito seduto portandosi le mani al capo; Spock era rimasto
fermo a pochi passi da lui, con la solita postura composta e rigida.
-Sta bene capitano?- chiese il vulcaniano, ma il suo tono non
aveva una particolare inflessione, non c'era preoccupazione o altre
emozioni che trasparissero in quel fiume di suoni.
Jim chiuse gli
occhi e per un istante, un solo istante,
pensò al sogno avuto
la notte prima. All'altro Spock che aveva chiamato (no, urlato!) il
suo nome. Solo per salvarlo.
Avrebbe voluto rispondere con
sincerità, dire che no, forse non era più sicuro
di stare bene; ma
non lo fece. Cosa avrebbe potuto dire? Quale scusa avrebbe potuto
accampare?
Aveva accettato un patto con un nemico, ora stava
aspettando con ansia la prossima mossa. E non era certo delle
conseguenze che la sua sconsiderata azione avrebbe comportato.
-Sto
bene.- mentì.
Spock non replicò, rimase in silenzio con la
solita maschera d'impassibilità.
-Cosa l'ha trattenuta dal
rispondere alle ripetute chiamate da parte del tenente Uhura?-
domandò il vice, la sua voce era ancora fredda, distante.
Ma
in realtà Spock non era mai stato vicino, pensò
Jim.
-Ne
parleremo dopo. Ascoltiamo il messaggio di Marcus.-
-Capitano, è
mio dovere informarla che dovrò segnalare la sua scomparsa,
nel
rapporto sull'attacco nemico.- chiarì il vulcaniano.
Jim rise,
infastidito.
Fissò Spock in quelle due gemme di petrolio che
erano i suoi occhi -Ah sì?-
I due si guardarono per alcuni
secondi, il silenzio ritornò a regnare incondizionato,
c'erano solo
il respiro pesante del capitano e quello leggero del suo vice, a fare
da colonna sonora a quella discussione di muti sguardi.
Il lampo
di un ricordo squarciò la visuale di Jim. Per un momento
l'immagine
del suo ufficiale che si connetteva psichicamente con lui, gli si
parò dinanzi, lo costrinse a scuotere il capo e ad abbassare
le
palpebre.
Nascose le sue iridi azzurre a Spock, abbassò la testa
e inspirò profondamente.
Spock, dal canto suo, non poté non
percepire quella nota amara che si era librata dentro di lui, quando
Jim aveva distolto lo sguardo.
Aveva sentito un senso di vuoto,
d'oblio.
Diede la colpa agli eventi che avevano colpito
l'Enterprise quella mattina, avrebbe riparato di certo con la
meditazione.
-Cosa vuole fare? Mh?- mormorò Jim, la sua voce era
rassegnata -Ho peccato di negligenza? Vuole informare la flotta che
'il capitano non era a fare il suo lavoro, in un momento di crisi'?
Cosa?-
Si guardarono di nuovo, ma ora c'era tensione -Lei non
vedeva l'ora, Spock. La verità è che da quando ho
preso il comando
di questa nave, lei non voleva altro che una scusa, una buona
scusa per dimostrare a tutti che non merito fiducia.-
Il
vulcaniano inclinò il capo di lato -Capitano, le posso
assicurare
che la mia intenzione... -
-No, la prego! Non provi a negarlo.-
Jim si alzò in piedi e si avvicinò a lui.
-Le chiedo di
lasciarmi finire di parlare, signore.- replicò Spock, le
labbra
ridotte ad una sottile fessura di carne.
-Non c'è bisogno che la
lasci finire, Spock. Tanto parlerà comunque quanto
vorrà nel suo
rapporto, o mi sbaglio?-
-E' mia intenzione raccontare i fatti
seguendo l'ordine e le dinamiche con cui si sono presentati. Le
assicuro che non nutro alcun sentimento vendicativo nei suoi
riguardi.-
Jim sospirò rassegnato, rimase in silenzio a cercare
di sedare la sua rabbia.
Andare su tutte le furie, prendersela
con Spock: non aveva senso. Avrebbe potuto risolvere le cose
dicendogli la verità, confessando di aver accettato l'aiuto
di un
nemico. Ma non lo fece.
Guardò attentamente il suo ufficiale,
lasciò che i suoi occhi accarezzassero quel corpo rigido e
alto, i
capelli scuri e lucenti, le orecchie appuntite.
La realtà era
che si fidava di lui e sapeva che gradualmente, anche se con qualche
difficoltà nel comprendersi a pieno, stavano diventando
amici.
Nemici, amici, fratelli... la sua mente
tentò di
suggerirgli qualcosa, ma la mise a tacere.
Non doveva ricordare.
-Mi dispiace... - cominciò, incerto -... sono solo
stressato.-
Il vulcaniano rimase in silenzio, aspettando che Kirk
proseguisse.
Nessuno dei due parlò, prima che il capitano
sospirasse pesantemente -Ho bisogno del suo aiuto, Spock. Lei ha
capacità telepatiche, non è così?-
-Affermativo.- annuì il
vulcaniano.
-Potrebbe agire sulla mente di una persona per
bloccare dei ricordi?-
Spock aggrottò le sopracciglia, una
minuscola ruga andò ad increspargli la fronte liscia -Se mi
sta
chiedendo se posso far dimenticare qualcosa, la risposta è
sì,
posso provarci. Ma mi sfugge lo scopo.-
Il capitano si poggiò
alla scrivania ed incrociò le braccia al petto -Si ricorda
quello
che è successo tre settimane fa?-
-A quale evento si riferisce?-
-Quando qualcosa mi sconvolse a tal punto da farmi lasciare il
ponte?-
Spock rimase il più impassibile possibile. Sapeva a
quale avvenimento si stava riferendo l'altro, al momento in cui Johna
li aveva rimandati indietro.
-Ricordo quel momento.- disse
neutro.
-Da allora non faccio altro che ricordare momenti che non
mi appartengono, c'è una voce di donna nella mia testa che
continua
a parlarmi di amore, necessità, mi chiede di restare con
lei. E
quella voce... è come se avesse fatto scoppiare, dentro la
mia
mente, qualcosa che ha a che fare con la fusione mentale che ebbi con
l'ambasciatore Spock.-
Il vulcaniano inarcò un sopracciglio,
sorpreso -Fusione mentale?-
Jim annuì -Sì, su Delta Vega. Tentò
di farmi vedere come era arrivato qui, ma credo che altri ricordi
siano sfuggiti al suo controllo o... qualcosa del genere. Prima ne
avevo solo un vago sentore, ma da tre settimane non vedo altro, la
mia memoria è piena di momenti che non mi appartengono.-
allargò le
braccia, irritato.
Spock prese un respiro profondo e strinse,
inconsciamente, i pugni. Le braccia ferme dietro la schiena, la
postura più rigida che mai.
-Non sarebbe dovuto accadere.
L'ambasciatore non avrebbe dovuto permettere che i ricordi entrassero
nella sua mente.-
Kirk sospirò -Già... ma è successo.
Non può
aiutarmi ad eliminarli?-
Il vulcaniano tentennò -La mia
controparte ha una forza mentale molto più elevata di quella
che
posseggo in questo preciso momento della mia vita. Non posso
garantirle la riuscita di una tale operazione.-
-Quanto è giusto
che io abbia questi ricordi?- mormorò Jim, afflitto -E se
incidessero sul mio destino?-
Il vulcaniano fece un passo verso
di lui, osservandolo attentamente -Credo che lei stia soffrendo di
quella che voi terrestri chiamate 'crisi emotiva'.-
Il
capitano sorrise -Se la sentisse Bones le ringhierebbe contro
ricordandole chi è il medico della nave.-
Spock piegò gli
angoli delle labbra all'ingiù, un movimento millimetrico,
appena
percettibile -Non credo che il dottore ringhi, capitano. Non
è un
caninide.-
E Jim scoppiò a ridere, convulsamente, chiuse gli
occhi e lasciò che l'ilarità lo riscaldasse
completamente. Una
semplice frase, una calda risata: forse una cura alla sua crisi
emotiva esisteva, forse aveva le orecchie a punta.
Kirk non parlò a Spock del patto
che aveva stretto con
il nemico, preferì attendere lo sviluppo degli eventi e
sapere, con
certezza, cosa avrebbe comportato il suo sconsiderato gesto.
Il
primo ufficiale si era ritirato in plancia per continuare a
monitorare i lavori di riparazione e Jim era rimasto nella sala delle
conferenze per ascoltare il messaggio di Marcus.
Sospirò e si
sedette al grande tavolo, proprio a pochi centimetri dal computer.
Premette il tasto di comunicazione con la macchina -Computer,
fà
partire l'ultima comunicazione in arrivo dall'ammiraglio Alexander
Marcus.-
La macchina impiegò qualche nanosecondo a cercare il
file prima di caricarlo sullo schermo.
L'immagine dell'ammiraglio
e dei suoi grandi e glaciali occhi chiari, fu presto nella visuale di
Kirk.
-Capitano Kirk, registro questo messaggio per illustrarle
gli ultimi dati raccolti, riguardo il problema che
sta
affliggendo la flotta stellare, negli ultimi tempi. In seguito le
verranno fornite le indicazioni per la sua prossima missione.-
Jim
socchiuse stancamente le palpebre, prima di prestare attenzione alle
parole dell'ammiraglio -Da quanto ci risulta dagli ultimi esperimenti
condotti per riprodurre passo dopo passo la creazione delle
entità
nemiche e, quindi, per capirne la struttura fisica e i punti deboli,
ci è stato possibile giungere alla conclusione che, se anche
uno di
quegli esseri è capace di prendere il sopravvento di un
corpo
vivente, è possibile -se si agisce in tempi rapidi-
eliminarlo,
liberando l'essere impossessato.-
Il capitano inspirò
profondamente -Come se non lo sapessi.- biascicò a denti
stretti.
-Pertanto, al messaggio troverà allegata una spiegazione
da parte del dottor Jovenic, la illustri al suo primo ufficiale
medico, sarà lui a dover operare, in tempo,
nel caso che i
membri del suo equipaggio si trovino in un tale pericolo.-
McCoy
non ne sarebbe stato felice, pensò Jim, immaginando la
reazione
dell'amico quando avrebbe dovuto sottostare agli ordini della squadra
scientifica della flotta.
-Per quanto riguarda la prossima
missione, abbiamo intercettato -con un ritardo di due ore- la
presenza nemica sulla scia della vostra nave. Sembra però
che le
entità si siano divise, una di loro procedeva ad una
velocità
superiore a quella degli altri, anticipandoli di pochi minuti. Se
questi esseri dovessero procedere mantenendo costante la loro rotta,
arriveranno ai confini della nostra galassia. Da quel punto in poi
potrebbero spostarsi in una zona ancora inesplorata, ma se
così
fosse, voi dovreste inseguirli. Dai pochi dati in nostro possesso
sulle galassie circostanti, possiamo solo supporre che vi troverete
dinanzi a nuovi sistemi solari, la natura dei pianeti e dei popoli
che ne fanno parte ci è sconosciuta.-
Jim sospirò portandosi
una mano tra i capelli, mentre nel video l'ammiraglio prendeva un
respiro profondo prima di dire -Voglio che li inseguiate e li
distruggiate.-
L'ammiraglio si avvicinò di più allo schermo, i
suoi occhi erano freddi e spietati come mai prima d'allora -Agisca
come meglio crede, capitano. Per quanto ci riguarda può
anche
bloccare quegli esseri su un pianeta e distruggere tutto, ma ce ne
liberi.-
Il messaggio s'interruppe e, dopo un secondo, partì la
registrazione dello scienziato Jovenic. Kirk interruppe la
comunicazione, restò in silenzio a riprendere fiato.
Non sapeva
come sentirsi. La minaccia che stavano fronteggiando era qualcosa che
andava oltre ogni simulazione fatta all'accademia.
Aveva paura,
Kirk, paura di mettere in pericolo l'intero equipaggio e la nave. Ma
allo stesso tempo sapeva di dover prestare fede al suo giuramento e
compiere il suo dovere.
Gemette il suo disappunto, prima di
avvicinarsi di nuovo al computer.
-Computer, dammi la
registrazione della comunicazione avvenuta questa mattina tra il
facente funzione di capitano Spock e i veicoli avvicinatisi alla
nave.-
Il computer elaborò l'ordine e in pochi secondi
sostituì
il messaggio di Marcus con la registrazione dalla plancia.
Kirk
l'ascoltò attentamente, aggrottando le sopracciglia.
-Lei lo
sa bene, Spock. Vi abbiamo osservati a lungo, so che lei possiede
un'arma. La vogliamo.-
Pensò attentamente cercando di fare
mente locale, da quanto gli risultava Spock non aveva alcuna arma con
sé, non che appartenesse a quelle cose. Ai Ma'Toi.
-Allora non
sono l'unico a nascondere qualcosa.- sibilò tra le labbra,
frustrato.
Si chiese se Spock gli stesse mentendo per davvero.
Sentiva di stare perdendo il controllo della situazione. Si era
talmente concentrato su quello che avveniva nella sua mente da aver
perso di vista il suo equipaggio, il primo ufficiale, la minaccia che
gravava sull'intero universo. Ma'Toi, Spock aveva affermato che in
vulcaniano stava a significare morte. Non poteva
permettere
che quegli esseri mietessero altre vittime.
Chiuse anche quella
registrazione, si avvicinò all'interfono e si mise in
contatto con
l'infermeria. Dopo tutto il trambusto di quella mattina, era certo
che il dottore fosse corso a controllare i suoi pazienti.
-Kirk a
McCoy, dottore risponda.-
Ci fu un attimo di silenzio, poi un
sospiro stressato si propagò nella cassa -Jim... cosa
succede?-
-Mi
dispiace interromperla, ma in questo momento ho bisogno di lei. Mi
raggiunga in sala conferenze.-
Un mugolìo irritato, del dottore,
e la seguente interruzione della comunicazione servirono a far capire
al capitano che l'amico stava arrivando.
. . .
Uhura
entrò distrattamente nella sua cabina, camminò
verso il bagno
slacciandosi i legacci e i bottoni dell'uniforme e lasciandola
scivolare via
durante il suo passaggio.
Aveva bisogno di una doccia, quello che
era successo sul ponte di comando l'aveva destabilizzata non poco.
Quello che, più di tutto, l'aveva sconvolta erano
state le parole che il nemico aveva rivolto a Spock,
parlando di una qualche arma in
suo
possesso. E lo stesso non
aveva negato, ma anzi, alla fine aveva quasi confessato.
-Se
siete più forti di noi... potreste prendere ciò
che cercate,
con la forza. Ma non l'avete fatto.-
La
calda voce del primo
ufficiale
si ripetè nella
sua memoria,
e lei stava
tentando di riuscire a comprendere il senso di quelle parole.
Ma
non riusciva.
Era passato molto tempo dall'ultima volta che lei e
Spock erano stati insieme, da più di un mese i loro incontri
si
erano ridotti al minimo (escludendo i loro turni che combaciavano
quasi sempre).
Incontrò il suo riflesso nello specchio, si fissò
con occhi seri ma vuoti. Non si riconosceva.
Così come non
riconosceva più nessuno su quella nave: era come se qualcosa
avesse
messo in crisi l'intero equipaggio. A partire dal capitano.
Jim
non sembrava più quel ragazzo che aveva cercato di abbordarla
in uno squallido bar nella periferia di Riverside. Ricordava
gli occhi di quel giovane sfrontato e imprudente, il colore azzurro
del cielo limpido dell'estate, la luce di un chiaro giorno illuminato
dal sole.
Jim Kirk aveva un'aura che non poteva passare
inosservata, la sua esuberanza e vitalità erano qualcosa di immenso,
qualcosa che gli s'irradiava tutto intorno e si abbatteva su chiunque
lo circondasse.
Dopo aver imparato a conoscerlo,
aveva capito quanto diverso fosse dall'immagine che cercava di dare
di sé. Aveva visto molto in lui: coraggio, forza, emozioni,
ma
soprattutto aveva percepito tanta sofferenza. I sentimenti negativi
erano sempre spazzati sotto un tappeto di sorrisi e battutine. Ma il
capitano non era un uomo frivolo.
Eppure
ora non era più lui.
Da quasi tre settimane Jim Kirk era
repentinamente cambiato: distratto, affaticato, stanco.
Aveva
percepito una certa tensione tra tutti i membri dell'equipaggio e il
fatto che il capitano per primo non si accorgesse di quello che la
sua influenza stava facendo ai suoi subordinati, non faceva altro che
peggiorare l'intera situazione.
Era quasi un anno, adesso, dacché
Jim aveva preso il comando e loro si erano lasciati alle spalle le
tragedie che Nero aveva portato con sé; aveva
paura che tutto cambiasse, di nuovo.
L'Enterprise gradualmente
era diventata una casa e l'equipaggio era come una famiglia. Ma cosa
sarebbe successo se Kirk non avesse saputo gestire qualcosa di
così
grande come il comando
e la minaccia dei Ma'Toi? Dove sarebbero finiti, tutti?
Sospirò
incrociando le braccia al petto, si piegò in avanti e
poggiò la
fronte sul vetro freddo dello specchio.
E cosa sarebbe successo a
lei e Spock? Perché, ora, non vedeva più nessun
futuro per loro
due?
Chiuse gli occhi e lasciò andare un mugolìo di
dolore. Una
lacrima scappò sulla guancia e scivolò verso il
basso.
-Non
voglio che le cose cambino.- sussurrò al silenzio.
Non aveva
capito, Nyota Uhura, che la sua vita stava già cambiando.
Non si
accorse della sfera di luce dietro di lei, troppo veloce per essere
percepita (se non per volontà stessa dell'essenza) da occhio
umano.
Qualcosa le entrò dentro.
Il fuoco andò a bruciarle il
corpo, a lambire le sue membra a serrargli il cuore in una gabbia di
fiamme e luce.
Quando riaprì gli occhi, Nyota sorrise, ma non
era più lei.
Spock
si avvicinò alla cabina del capitano dove ad attenderlo
c'erano il
primo ufficiale medico e Jim. Inserì il codice di sicurezza
e
aspettò che le porte si aprissero.
Il capitano e il medico erano
seduti alla scrivania, un videomessaggio si stava ripetendo sullo
schermo del computer.
-Ecco, lo sapevo.- si lamentò il capitano
-Continua a non bussare quando entra qui.-
Il vulcaniano inarcò
un sopracciglio -Non vedo perché avrei dovuto, dal momento
che è
stato lei a convocarmi.-
Jim
sospirò -Si chiama buona educazione,
Spock.-
Il primo ufficiale non rispose, si limitò a mantenere
un'espressione neutra e una postura composta.
-Molto
probabilmente i vulcaniani non conoscono il galateo, Jim.- intervenne
McCoy gettando una rapida occhiata ai due.
-Non abbiamo bisogno
del galateo, dato che tutte le nostre azioni sono guidate dalla
logica che rifiuta l'offesa a qualunque altro essere ci stia
intorno.- la voce di Spock era limpida, ma Jim rise.
-Bones non
voleva offenderla.-
Il primo ufficiale scosse il capo -Non mi sono
offeso.-
McCoy
roteò gli
occhi al cielo, poi fermò il video.
-Ha
visionato il messaggio dell'ammiraglio? L'ho inoltrato al computer
della sua cabina.- chiese Jim, accomodandosi meglio sulla poltrona.
Fece cenno al vulcaniano di sedersi, ma questi si rifiutò.
-Sì
capitano, ho guardato il video prima di recarmi qui.-
-Che ne
pensa?- chiese il dottore, poggiando le braccia sulla scrivania.
Spock parve
incerto,
lasciò scorrere lo sguardo dal dottore al capitano -Ho
ragioni per
pensare che l'ammiraglio Marcus non ci abbia detto tutta la
verità.-
ammise, sincero.
Jim tirò
su con il naso, ed incrociò le braccia -Che intende?-
-Perché,
se conosce la posizione e la direzione dei nemici, sta inviando noi
sulle loro tracce? La flotta stellare possiede una consistente armata
militare che potrebbe operare meglio di quanto faremmo noi.-
McCoy
inclinò il capo di lato -Mi fa senso dirlo ma... l'elfo
ha
ragione.-
Spock gli
rivolse un'occhiata truce (per quanto potesse esserlo uno sguardo del
tutto indifferente) -Lasciando perdere il riferimeno inopportuno,
dottore, credo che sia illogico anche il fatto che nessuno
degli scienziati coinvolti nella creazione dei Ma'Toi- Jim
rabbrividì
quando Spock pronunciò la parola nella sua lingua madre -non
sia
stato inviato a far fronte a questa spedizione. Loro li hanno creati,
dovrebbero sapere meglio di noi come fronteggiarli.-
-Non
che la flotta sia stata così chiara anche prima. Abbiamo
quasi perso
lei... - Jim indicò Spock -per capire quello che stava
accadendo.-
-Ma perché nasconderci qualcosa se siamo dalla loro parte?
Voglio dire... perché rivelarci quello che hanno fatto per
poi
mandarci allo sbaraglio in questo modo?- chiese
McCoy.
Il
capitano scosse il capo -Mi piacerebbe saperlo.-
Il silenzio calò
tra i tre. Ognuno perso nei propri pensieri, tranne Spock che
guardava il dottore, interdetto.
Aprì le labbra e prese un
respiro profondo, ci aveva pensato a lungo ed era giunto alla
conclusione che, molto probabilmente, il capitano avrebbe dovuto
sottoporsi ad una visita medica.
Prima di poter procedere con
qualunque richiesta Jim gli avrebbe proposto (eliminazione dei
ricordi o qualunque altra azione richiedesse la fusione mentale)
doveva essere certo che i problemi del capitano non potessero essere
risolti con una semplice seduta psicoterapeutica.
-Capitano,
ha già parlato al dottor McCoy del suo... problema?-
Gli altri
due
si voltarono a guardarlo, entrambi con un'espressione confusa sui
volti.
-Quale
problema?-
chiese il dottore.
-Spock... - intervenne Jim, ma fu interrotto
dal dottore.
-No, lo
lasci
parlare.- mormorò
McCoy, guardando poi Spock -Cosa stava per dire?-
Il capitano
rimase con il fiato sospeso, gli occhi azzurri erano velati
dall'ansia per quello che le parole del suo primo ufficiale avrebbero
comportato.
Ammettere di essere “emotivamente compromesso”
l'avrebbe portato a dover far fronte al suo dovere e abbandonare la
sua carica. Proprio come era successo a Spock, tempo prima.
-Voglio
che mi diciate una cosa.- intervenne, proprio mentre il vulcaniano
apriva le labbra per spiegare la situazione al dottore.
I due lo
fissarono in attesa -In questo momento ci stiamo dirigendo oltre i
confini della galassia che conosciamo. Ci stiamo inoltrando in
un'altra galassia,
prima d'ora inesplorata. Non sappiamo cosa troveremo, non sappiamo
quello che accadrà.- illustrò velocemente,
mettendo da parte le
incertezze e i dubbi che l'avevano intrappolato per quasi tre
settimane.
-Abbiamo bisogno di tutti,
su questa nave. Ognuno è prezioso. Ho
bisogno di sapere se vi fidate di me, indipendentemente dalla mia
situazione emotiva, sono capace di scindere le emozioni dal dovere.
Vi sto chiedendo fiducia.-
Spock
inarcò un sopracciglio, evidentemente confuso. McCoy
sbuffò
rassegnato -Cosa diavolo... -
-Capitano, la fiducia non c'entra
niente con il suo dovere. Oggi lei era richiesto sul ponte, quando i
nemici ci hanno accerchiati e la nave poteva essere distrutta in ogni
momento. Quindi non capisco cosa c'entri la fiducia con il semplice
fatto che lei non abbia svolto il suo dovere.- spiegò Spock,
parlando velocemente.
Jim era pronto a ribattere, ma la sua
risposta fu frenata dalla porta della cabina che si apriva -Non
poteva essere sul
ponte, dal momento che io l'ho costretto nel suo letto senza
possibilità di muoversi.-
I
tre si voltarono verso la figura femminile che entrava nella stanza,
il passo leggero
e un sorriso sfrontato sul bel viso.
-Nyota... - mormorò Spock.
-No... non sono la tua fidanzata, vulcano.-
sibilò sprezzante, per poi voltarsi verso Kirk e il suo
sorriso si
ampliò -Vedi,
capitano? Ho tenuto fede alla mia promessa.-
Jim
sgranò le palpebre e aprì le labbra per parlare,
ma nessun suono
uscì dalla sua gola. In quel momento il suo volto era
somigliante a
quello di un pesce boccheggiante e muto.
Davanti a sé vedeva solo il suo tenente delle comunicazioni
e amica,
ma le parole pronunciate e l'espressione aliena sul viso di lei...
-Hai preso Uhura?- urlò, quasi, per la sorpresa.
-Dannazione,
Jim! Che sta succedendo qui?- McCoy si alzò dalla sedia e
osservò
attentamente il capitano.
-Lui è il dottore, vero? Salve
dottore.- cinguettò lei, avanzando verso il capitano e
premendogli
le mani sul petto -Avevo bisogno di un contenitore. Non sapevo che
questa donna... fosse
così forte. Lei può
sopportare la mia presenza con una facilità incredibile. Non
morirà.- spiegò avvicinandosi alle labbra di Jim
(ancora
sbigottito) e posandovi un casto bacio.
-Capitano, credo che sia
il momento di
darci
una spiegazione.- sibilò Spock, la sua espressione arida
d'emozioni,
ma la voce incerta e... ferita.
Jim lo notò, poi lasciò scorrere le mani sulle
braccia scoperte
della tenente (o quella che prima era stata Uhura)
e l'allontanò.
Con un sospiro rassegnato si passò una mano
sulle palpebre affaticate, ma non poteva più tentennare.
-Voleva
sapere perché non ero sul ponte, questa mattina?- chiese,
mentre
l'azzurro dei suoi occhi andava ad incontrare il suo primo ufficiale
-Questa è la mia ragione.- indicò Nyota.
2 giorni dopo.
Spock sedeva al posto di comando, era
arrivato pochi
minuti prima dell'inizio del suo turno, congedando Chekov che si era
ritirato ai propri alloggi.
Accadeva spesso che si trovasse in
plancia poco prima dell'inizio del suo turno e dell'arrivo del
capitano, così da poter accertarsi che fosse tutto in ordine
per poi
fare rapporto; ma questa volta non era una di quelle in cui agiva per
poter eseguire al meglio il proprio compito di primo ufficiale.
Questa volta era diverso.
Erano passati due giorni da quando
il capitano aveva confessato a lui e al dottor McCoy quello che gli
era successo, ammettendo di aver stretto un patto con un potenziale
nemico. Due giorni da quando il primo ufficiale medico era esploso
con un -Ma lei è dannatamente impazzito!-
che aveva trovato
illogico (perché era evidente che il capitano, nonostante i
suoi
problemi emotivi, si trovasse al meglio delle sue condizioni
psicofisiche). Però non aveva obiettato all'esclamazione del
dottore.
Erano passati due giorni, quattro ore e ventotto
(ventinove, trenta, trentuno...) secondi da quando Uhura era stata
privata della sua persona.
Il capitano aveva cercato di
redarguire l'essere che aveva preso possesso della tenente di
lasciarla subito andare, ma la cosa aveva affermato
che ciò
non sarebbe stato possibile o non avrebbe potuto palesarsi in altro
modo.
Uhura non c'era più, rimpiazzata da un'essere tanto
misterioso quanto potente ed imprevedibile... ma Spock non provava
niente.
Kirk aveva tentato di parlare con lui, scusarsi per
quello che aveva fatto e per non avergliene fatto parola prima; i
suoi occhi azzurri avevano lasciato trapelare un fiume di rammarico
per quello che era accaduto a Nyota.
Spock, però, non aveva
replicato; si era limitato ad informare il capitano di quanto
illogica e potenzialmente pericolosa fosse stata la sua scelta di
stringere un accordo con uno dei nemici, limitandosi ad elencare le
probabilità che l'essere stesse tentando di tendere loro una
trappola. Ma non aveva parlato di Nyota, non l'aveva nominata.
Le
porte del turboascensore si aprirono e proprio l'essere che aveva
preso possesso di Uhura fece il suo ingresso, guardandosi intorno con
un sorriso compiaciuto sulle labbra.
Il comandante la osservò
incuriosito mentre lei avanzava allegramente verso di lui -Buongiorno
vulcano.- bisbigliò a pochi centrimetri
da un suo orecchio.
Lui inarcò un sopracciglio e si voltò verso lo
schermo della
plancia -Se vuole mantenere l'anonimato e risultare credibile al
resto dell'equipaggio- bisbigliò lui, a denti stretti -deve
imparare
a rispettare i gradi e le gerarchie. Inoltre trovo privo di
utilità
il fatto che lei si riferisca a me utilizzando il nome del mio
pianeta natio.-
Lei lasciò fuoriuscire dalle sue labbra una
risata bassa... maliziosa -Vulcano non è
più il suo
pianeta. E' stato distrutto, non ricorda?-
Spock non badò alle
parole cattive della donna, rimase immobile continuando ad osservare
le stelle sullo schermo -Mi risulta difficile dimenticare questo
avvenimento. Così come mi risulta difficile eliminare dai
ricordi
gli stessi stermini che la sua gente ha portato ad altri mondi.-
La
ragazza sospirò, abbassandosi di più contro il
suo orecchio -E' un
bene che non l'abbia dimenticato, servirà a ricordarle che
quando
non sarà più di alcuna utilità non
troverò alcuna difficoltà a
cancellare anche lei.- mormorò, cattiva.
Il vulcaniano sentì la
pelle pizzicare proprio dietro la nuca, dove lei aveva lasciato
scorrere il suo indice, poi la vide allontanarsi.
Lentamente la
plancia entrò nella fase di frenesìa che
annunciava la fine di un
turno e l'inizio di un altro. Gli ufficiali si davano ordinatamente
il cambio ma il chiacchiericcio aumentava mentre si salutavano con
pacche sulle spalle e baci sulle guance. Spock non aveva mai compreso
il perché di questi momenti, ma sembravano piacere anche a
Jim,
pertanto aveva sempre deciso d'ignorarli.
Proprio in quel momento
il capitano si palesò sul ponte e qualcuno
annunciò il suo arrivo.
L'uomo si guardò intorno e salutò tutti con un
cenno del capo,
prima di spostare il suo sguardo ceruleo verso la consolle delle
comunicazioni.
La falsa tenente gli sorrise dolcemente, prima di
ritornare al suo lavoro. O, almeno, fare finta di svolgere i suoi
compiti.
Spock sentì un brivido abbarbicarsi al suo petto e
scuoterlo violentemente, ma lasciò che passasse senza porsi
domande.
-Spock.- la calda voce di Kirk arrivò fino a lui che, di
rimando, si alzò prontamente dalla poltrona.
-Capitano.-
Si
guardarono per alcuni secondi, la tensione ancora palpabile tra di
loro, prima che il vulcaniano si decidesse ad interrompere il
silenzio e ad elencargli le condizioni della nave.
-Bene, quindi
se i generatori del campo d'integrità sono di nuovo carichi,
direi
che potremmo anche azzardarci a procedere a curvatura.-
-Però
non avendo fatto degli appropriati test potremmo subire dei gravi
danni alla nave... e non solo.-
Jim ci rifletté su, prima di
chinarsi verso l'interfono sul bracciolo del posto di comando -Sala
macchine, parla Kirk.-
Aspettò la risposta dall'altra parte
-Capitano qui è l'ingegnere Heimmler a rapporto.-
-Ingegnere
dov'è il signor Scott?-
-Ha lasciato da poco la sezione,
signore. Il suo turno è appena terminato.-
Kirk sospirò -Bene,
tenga sotto controllo i generatori del campo d'integrità,
signor
Heimmler. Chiudo.-
Il vulcaniano aspettò che il superiore si
rivolgesse nuovamente a lui -Quanto pensa che dovremmo aspettare?-
-Dal momento che non possiamo fare alcun controllo in sicurezza,
presuppongo che non possiamo in alcun modo rischiare di procedere a
curvatura.-
Kirk aggrottò le sopracciglia e rughe d'espressione
comparvero sulla sua fronte.
-Conoscendola, d'altronde, devo
dedurre che lei intenderà comunque provarci.-
continuò Spock,
mentre il capitano andava a regalargli un sorriso compiaciuto -Da
quanto risulta dagli ultimi rapporti dell'ingegnere Scott, se
aspettassimo per un totale di 7.3 ore, avremo la certezza della
stabilità dei generatori e potremo procedere a
velocità di
curvatura.-
Il capitano annuì, sereno -Bene Spock, allora non ci
resta che mantenere costante la rotta.-
Il vulcaniano si
allontanò verso la postazione scientifica.
9 ore dopo
-Stiamo per attraversare la zona di
confine.- la voce
del timoniere si propagò per la plancia, tutti osservavano
lo
schermo, lo stupore vivido sulle loro facce.
-Diminuisca la
velocità, proceda a 4.- ordinò Kirk, tenendosi al
bracciolo della
poltrona.
L'emozione spingeva il battito del suo cuore oltre ogni
limite, sentiva l'adrenalina serpeggiare nell'aria che stavano
respirando, la percepiva densa e pesante.
La falsa Uhura si alzò
dalla sua postazione, avvicinandosi lentamente a lui; la sua presenza
al fianco del capitano fu percepita solo da Jim e Spock. Il resto
dell'equipaggio presente in plancia era rapito dal confine della
galassia.
-Attraverseremo il confine tra 1 minuto.- lo avvertì
di nuovo, Sulu.
Jim guardò la donna al suo fianco, lei gli
sorrise -Andrà tutto bene, lo sai?- ma il capitano la
fissò truce.
Era un dolore vedere la sua tenente e amica sotto il controllo di
quell'essere immondo. Continuava a domandarsi se avesse fatto la
giusta scelta, se davvero così facendo avrebbero potuto
impedire
l'ennesimo massacro.
Le dita della ragazza cercarono la mano che
Kirk teneva poggiata sul bracciolo della poltrona, ne saggiò
la
pelle con i polpastrelli, accarezzò lentamente le sue dita
lunghe e
magre, ma callose. Ben lontane da quelle di un comune capitano
abituato a dare ordini.
Le loro dita formarono una rete, le une
incastrate perfettamente nelle altre: Jim non poté che
pensare a
Spock e a quello che stava provando vedendo il corpo della sua
ragazza ridotto in quello stato.
E tutto per colpa sua.
Gli
occhi scuri della donna furono velati dalle palpebre che si
abbassavano, mentre un lieve sospiro lasciò la sua bocca:
tremante,
appagato.
Jim avrebbe voluto dirle di allontanarsi: avrebbe voluto
uccidere quella bestia spietata. Però
non poteva, avevano
stretto un patto e lei gli serviva. Era dura da ammettere, ma lei era
preziosa per tutti loro: conosceva i suoi simili e i loro punti
deboli.
-Non mi stai portando direttamente in una trappola,
vero?- mormorò il capitano.
Lei mostrò di nuovo gli occhi scuri
e lucidi -Non lo farei mai.-
Jim tremò, lei gli strinse la mano
con più forza.
-Stiamo entrando nell'altra galassia, il confine
sarà oltrepassato tra 10... 9... 8... - la voce di Sulu era
sempre
più alta, il conto alla rovescia comparve sullo schermo.
Il
confine era ora perfettamente chiaro, una lunga nube dal colore
violaceo attraversava lo schermo, come la linea d'un orizzonte che,
misticamente diventava sempre più vicino, più
grande.
-7...
6... - continuò il timoniere.
Spock camminò lentamente verso la
poltrona del capitano, le sue lunghe e snelle gambe fendevano la
patina di ansia e anticipazione che permeavano l'aria. Kirk
alzò lo
sguardo verso di lui, azzurro che si gettava nell'ombra di quegli
occhi scuri, esotici.
-Un'altra galassia.- sospirò.
Spock annuì una sola volta, la mano vicina al bracciolo
della
poltrona ebbe un fremito e le dita si mossero leggermente.
-5...
4... 3... -
-Aumento della temperatura di 10 gradi celsius,
signore!- urlò Chekov, proprio davanti a lui.
Spock si allontanò
verso la sua postazione, ma erano prossimi ad attraversare il
confine, seppe sin da subito che non avrebbe fatto in tempo a
controllare i suoi dati.
-2... 1!- gridò Sulu.
La nave
sobbalzò come se si fosse trovata dinanzi un muro, la
pressione
aumentò vertiginosamente così come la
temperatura.
-Raggiungiamo
46 gradi!- avvisò il navigatore.
Il capitano fu sul punto di
rispondere ma le sue parole furono stroncate dal boato che
accompagnò
la loro avanzata nella nuova, inesplorata, landa stellare. Le luci
traballarono e i motori emisero un ruggito disperato.
Spock si
tenne saldamente ancorato allo schienale della poltrona, la
temperatura continuava ad aumentare.
Il respiro degli umani in
plancia diventava secondo dopo secondo, sempre più
affaticato.
-50
gradi... - la voce della guardiamarina era un rantolo appena
biascicato.
Sulu roteò gli occhi e cadde di lato.
-No!- urlò
Jim e si alzò di scatto. Vide Chekov svenire subito dopo.
Jim
guardò Spock ed entrambi, quasi come se si fossero letti
nella
mente, si gettarono verso il timone.
Spock prese il controllo del
timone, Kirk proprio accanto a lui.
-Tu!- urlò Jim, voltandosi
verso la falsa Uhura -Mettiti in contatto con la sala macchine,
voglio sapere se possiamo uscire dalla curvatura!-
La ragazza non
si mosse, limitandosi a chiudere gli occhi.
-Mi servi, ora!- urlò
Jim.
-Capitano non si agiti, il suo fisico è già
indebolito a
causa della temperatura.-
Jim ansimò e ascoltò le parole del
suo primo ufficiale, la vista cominciava ad offuscarsi ma, si disse,
doveva resistere per il bene della sua nave e del suo
equipaggio.
La donna dietro di loro riaprì gli occhi e una
calda e
brillante luce inondò la plancia. Tutti gli ufficiali furono
presto
inabissati nel pallore del fascio luminoso.
Poi, lentamente, i
supporti vitali cominciarono a riassestarsi: la temperatura
diminuì
insieme alla pressione, ritornando alle condizioni standard.
Il
bagliore, lentamente, si ritrasse su se stesso, avanzando verso il
corpo del tenente Uhura.
Quando il confine era ormai alle spalle
e la nave aveva ormai smesso di gracidare per l'enorme sforzo, Spock
si guardò intorno e notò che tutti, sul ponte
erano svenuti: a
parte lui... e la cosa.
. . .
McCoy girava tra i letti dell'infermeria
mentre gettava
occhiate alle consolle collegate ai bio-letti, per leggere i valori
vitali dei suoi pazienti. L'intera stanza era immersa in un silenzio
spettrale, nonostante i ricoverati fossero ancora molti.
Nessuno
di loro aveva avuto la forza di parlare, muoversi e chiedere cosa
fosse successo; e, molto probabilmente, se glielo avessero chiesto
non avrebbe saputo cosa dire.
“Sono un dottore, non un
indovino!” avrebbe grugnito, forse burbero ma
assolutamente
sincero. Perché non riusciva a comprendere che accidenti
fosse preso
a Jim e in che situazione si trovasse, ora, l'Enterprise. Il capitano
era instabile (completamente fuori) e lui doveva
fare
qualcosa.
-Come stanno i tuoi pazienti, dottore?- il suono
melodioso di una voce femminile interruppe il corso dei suoi
pensieri.
Vide Uhura, la falsa, avanzare nella stanza,
avvicinarsi procedendo letto dopo letto e osservando distrattamente i
feriti che riposavano.
-Che ci fai qui?- chiese lui, il suo tono
era grave e minaccioso.
-Il capitano mi ha confinata lontana
dalla plancia e mi sono detta che magari avevi bisogno del mio
aiuto.-
Leonard la guardò disgustato, non riusciva a credere
come Jim avesse potuto lasciarsi abbindolare a tal punto da qualcosa
che urlava “malefico” da ogni
sua singola parte.
-Mi
portasse il diavolo, se accetto il tuo aiuto!- grugnì lui,
mentre le
mani gli tremavano dalla rabbia -Se Jim è stato
così pazzo da
accettare la tua presenza beh, io non sarò altrettanto
folle. Ora
vattene, questa è un'infermeria, c'è gente che
sta male.-
La
ragazza sorrise, come se le parole dell'uomo non le avessero fatto
alcun effetto, ma forse era così che doveva essere. La
morte non
ha sentimenti.
-Non ti fidi di me, non è così? Eppure vi ho
salvati, quando abbiamo superato il confine ho impedito che bruciaste
tutti vivi. E' così che voi umani ringraziate, non
è vero?-
Il
dottore gettò uno sguardo stralunato verso una parete e
scosse il
capo -Di cosa dovrei ringraziarti? Hai minacciato il capitano, lo
stai usando a tuo piacimento solo perché... solo
perché lui è
convinto che tu possa impedire un altro sterminio. Ma io non sono
tanto stupido.-
-Stai dando dello stupido al tuo capitano.-
-Dannazione se lo sto facendo! E glielo direi altre mille volte
in faccia.- lui avanzò verso la ragazza a grandi falcate, il
suo
volto era una maschera di freddezza e sospetto -Cosa vuoi da Jim? Ci
stai attirando in una trappola piena di sanguisughe come te
e
ci ucciderai tutti. Ma proprio non riesco a capire perché
non
l'abbiate fatto tre giorni fa. Perché non ci avete uccisi
quando ne
avevate la possibilità?-
Lei sorrise e il suo viso si fece più
vicino a quello minaccioso del dottore, il suo corpo emanava calore
che s'irradiava tutt'intorno -Il mio capitano ha bisogno del mio
aiuto. Io glielo sto offrendo. Lui mi ha dato una
possibilità ed io
gli ho giurato fedeltà, sono qui per curare i tuoi malati
dato che
serve quanto più personale possibile.- spiegò.
Il medico si
allontanò sorpreso, poi le diede le spalle. Fece per
replicare ma la
voce e l'immagine di Jim si propagarono attraverso gli schermi
dell'infermeria e lui si voltò ad ascoltarlo.
-Qui è il capitano
che vi parla. Abbiamo superato, con successo, il confine della nostra
galassia entrando in una nuova ed ancora inesplorata parte
dell'universo. La nostra missione consiste nel fermare le
entità
conosciute come Ma'Toi dal distruggere il prossimo
pianeta di
questo sistema solare. Non abbiamo ancora una chiara cartografia di
tutto il sistema, ma conosciamo la meta designata dai nemici. Non
conoscendo il livello tecnico del pianeta in questione, abbiamo
l'ordine di non palesare la nostra identità e nasconderci ad
ogni
loro possibile sensore o radar.
Pertanto analizzeremo le
caratteristiche del pianeta non appena saremo nella sua orbita,
oscureremo la nave, ogni strumento -a parte quelli di emergenza-
dovrà essere messo in stand by. Una squadra
scenderà con me sul
pianeta, vi elencherò la lista dei candidati che dovranno
accompagnarmi in questa missione, se sentite il vostro nome
raggiungetemi tra 30 minuti sul ponte di comando: tenente Hikaru
Sulu, guardiamarina Pavel Chekov, Primo ufficiale medico Leonard
McCoy, tenente Nyota Uhura, primo ufficiale Spock.
Quando
saremo scesi dovrete fare il possibile per tenervi lontani dai radar
del pianeta.
Fermeremo e distruggeremo questi esseri, poi
faremo ritorno a casa. E' una promessa. Kirk, chiudo.-
. . .
Jim scrutò attentamente le
immagini del pianeta che
apparivano sul suo padd. Spock stava procedendo ad elencare tutti i
dati che i sensori avevano raccolto.
-Quindi mi sta dicendo che
questo pianeta è una fedele riproduzione della Terra?-
la voce del capitano era incredula, il suo volto era oscurato da un
velo di preoccupazione ed ansia.
-Sarebbe inesatto definirla una
riproduzione, piuttosto è interessante il fatto che in
questo
sistema solare si siano verificate le stesse dinamiche che hanno
portato alla creazione del vostro pianeta. Se potessi studiarne la
storia dalle origini dell'intero sistema e riscontrassi delle
analogie proverei che la teoria del caso...-
McCoy
grugnì il suo disappunto -Non credo sia il momento di
mettersi a
fare i piccoli Einstein.-
Spock l'osservò severo, le labbra
ridotte ad una fessura -Non credo che lei comprenda l'importanza
delle mie parole.-
-Già... perché io sono un dottore, non sono
uno scenziato fanatico.-
-Non capisco cosa c'entri il fanatismo
con... -
-Oh, andiamo!- si lamentò Jim, alzando gli occhi dal
padd e fissandoli sui due -Smettetela di battibeccare come due
bambini dell'asilo, abbiamo altro a cui pensare.-
Spock inarcò
un sopracciglio, Leonard rimase a bocca aperta; entrambi stupiti
dall'atteggiamento così poco da Jim. La
sua voce era dura e
non c'era alcuna traccia d'ilarità, piuttosto sembrava
infastidito
dal loro solito comportamento.
La “nuova” Uhura gli si
avvicinò e gli poggiò una mano sul braccio
-Calma, Jim.-
Lui si
accorse della sua presenza e sospirò, scuotendo il capo
-Spock
cos'altro sappiamo di questo pianeta? A parte la conformazione
scientifica.-
Il primo ufficiale allontanò lo sguardo dal
contatto tra quello che era (solo) il corpo della
sua ragazza
e il capitano. Prese un respiro profondo e ritornò a
spiegare quello
che i dati avevano registrato -Sembra che questa altra Terra,
stia attualmente attraversando il vostro ventunesimo secolo.-
Jim
lasciò scorrere una mano tra i capelli, sovrappensiero -E'
già
avvenuta l'ultima guerra?-
McCoy abbassò le palpebre, nel
frattempo si aggiunsero al gruppo Chekov e Sulu.
Spock non li
degnò di uno sguardo mentre rispondeva -Le rivolte sociali
presenti
in gran parte dei continenti sono il preludio di quella che
sarà la
guerra ma no, non scoppierà che tra dieci anni. Naturalmente
dovremmo considerare che il continuum temporale sia simile a quello
della vostra Terra prima di ipotizzare il verificarsi degli stessi
avvenimenti, con lo stesso ordine.-
Il capitano annuì, ora
guardava distrattamente a terra, pensando attentamente.
-Capitano-
l'interruppe Sulu, attirando l'attenzione degli altri -in base alle
informazioni datemi dal signor Spock ho compilato la scheda tattica.-
-Scheda tattica?- chiese McCoy.
Il timoniere annuì serio
-Tutto quello di cui avremo bisogno per l'operazione.-
Kirk
sorrise al giapponese -A cosa ha pensato?-
Il giovane raddrizzò
le spalle, la sua espressione era severa e concentrata, così
come
quando era al timone -Prima di tutto avremo bisogno di una base
operativa. Dovremo scendere sul pianeta utilizzando una navetta, il
teletrasporto potrebbe essere notato dai sensori delle basi spaziali
del pianeta.-
-Ma con la navetta saremo comunque visibili, anche
di più.-
-No, signore.- intervenne Chekov, titubante -Se
correggiamo la traettoria di navetta con quella di satelliti in
orbita, saremo... mmmh...- il ragazzo pensò ad un termine
appropriato -... mascherati dai loro segnali.-
Il capitano
annuì lentamente, poi fissò Spock -La tecnologia
di questo tempo
può essere un problema così come un vantaggio. I
segnali dei
satelliti ci maschereranno perfettamente.-
Jim sospirò
mentalmente -Bene. Per quanto riguarda la strumentazione, Sulu? Ha
incluso tutto quello che ci servirà?-
-Signore ho consegnato la
lista pochi minuti fa al signor Scott. Alcuni nostri apparecchi
potrebbero creare gli stessi problemi del teletrasporto, abbiamo
bisogno di adeguarci a quelli di questo tempo. Gli ingegneri stanno
provvedendo ad assemblare ciò che ci serve, l'intera troupe
sta
partecipando, non ci vorrà molto tempo.-
-Ben fatto Sulu.- Jim
annuì soddisfatto -Bones, raccolga tutto quello di cui ha
bisogno
per le operazioni mediche.-
Il dottore roteò gli occhi al
cielo -Scientifiche, vorrà dire.-
-Siete congedati. Signori...
ci vediamo tra tre ore all'hangar tre.-
La squadrà lo guardò
seriamente, poi si scompose.
-Jim... -
Il capitano si voltò
verso la donna ancora ferma al suo fianco -Ora devi fare la tua
parte.- disse lui. L'azzurro dei suoi occhi ora rifletteva
chiaramente il sospetto e, al contempo, la speranza: sentimenti che
continuavano a lottare dentro di sé.
Gli occhi di Uhura... vuoti
come non li aveva mai visti prima d'ora, lo accarezzavano con
gentilezza. Ma non era lei, continuava a ricordarsi, non era la sua
amica, la sua tenente delle comunicazioni; la compagna di
Spock.
-So come agiranno, perché non cambiano mai
il loro
modo di fare. Però non riesco più a sentirli, mi
hanno tagliata
fuori. L'unico modo per localizzarli è tentare di estrarre
un po'
della mia essenza e provare a cercarne una simile.-
-Funzionerà?-
Il cuore di Jim si agitava convulsamente, al centro del suo
petto, era come se stesse tentando di balzare fuori e fuggire
lontano.
Stava correndo molti, troppi rischi e non era
certo di stare facendo la cosa giusta. Tentare la sorte, sfidare la
fortuna.
-Non credo nelle situazioni senza via d'uscita.-
aveva detto a Spock la prima volta che si erano incontrati, quando
era stato accusato di aver truccato il test della Kobayashi Maru. E
lui ci credeva, ci aveva sempre creduto.
Suo padre prima di lui
l'aveva fatto, e nonostante questo l'avesse portato alla morte, allo
stesso tempo aveva potuto salvare ottocento vite, inclusa la sua e
quella di sua madre.
Ora capiva come doveva essersi sentito
quello sconosciuto George Kirk, il capitano, l'eroe
che in una
manciata di minuti aveva mostrato più grandezza di quanta ce
ne
fosse mai stata prima nell'intera flotta stellare.
-Funzionerà,
Jim. Puoi fidarti di me.-
Il giorno dopo
Spock guardò l'orologio appeso
al muro, incuriosito
dalla sua forma bizzarra. Era la riproduzione plastica di un gatto,
tutto nero. Sul “ventre” c'era il quadrante dove le
lancette
s'inseguivano scandendo il tempo, sotto di esso facevano la loro
comparsa delle zampe (o solo la vaga forma di esse) attraversate da
una coda lunga venti centimetri che dondolava a destra e a sinistra
accompagnata da un incettante 'tic tac'. La testa
del gatto
era completamente nera, come tutto il resto della sagoma, a parte gli
occhi composti da due sfere in cui anche le pupille rotonde dal
colore bianco e nero, ondeggiavano a tempo con la coda.
Il
vulcaniano lo trovò irritante, nonostante non ne capisse il
perché.
Soppresse quel minimo trillo d'emozione che aveva attraversato il suo
petto, poi procedette verso il lavabo per prendere un bicchiere
d'acqua.
Il silenzio all'interno dell'appartamento dichiarava che
tutti gli altri stavano ancora dormendo. Considerando l'ora capiva
che doveva essere ancora presto per tutti loro, soprattutto dopo
tutta la fatica per riuscire a lasciare la nave e a sbarcare con
successo sul pianeta. Non avevano impiegato molto tempo per
individuare una base operativa, Sulu aveva scansionato tutti gli
alloggi momentaneamente abbandonati.
Si avvicinò alla finestra
accanto a quello che doveva essere un vecchio modello di frigorifero
(non ne aveva mai visto uno, nonostante avesse studiato i vari tipi
di vecchi elettrodomestici inventati sulla Terra).
Spock ricordava
questo preciso periodo terrestre, prima dell'ultima grande guerra e,
poi, alla conseguente unione di tutto il Pianeta.
La Terra
Unita. Sua madre, una volta, aveva pianto parlandogli di quel
preciso momento storico.
Lui l'aveva trovata disturbante. Non
aveva compreso la necessità di tutta
quell'emotività.
Sua
madre.
L'immagine del suo volto gli ritornò in mente, lo
stesso ricordo che per mesi aveva tormentato la sua
stabilità
psichica. Lo sguardo nei suoi occhi prima della sua morte. Ne
ricordava la paura, la tristezza, il timore di aver perso tutto: la
sua casa, il piccolo giardino che (con tanta fatica e preghiere)
aveva costruito dopo aver convinto Sarek, tutti i ricordi con suo
marito e suo figlio.
Spock scacciò quel pensiero e chiuse gli
occhi per alzare gli scudi della mente e impedire a qualunque fattore
esterno di poter penetrare.
Ma questo fu inutile quando una mano
si poggiò sulla sua spalla e lui seppe, senza il bisogno di
voltarsi, chi aveva accanto.
-Non riesce a dormire, Spock?-
La
voce calda e bassa, ancora assonnata, volò nei suoi timpani
e
dovette fare forza su se stesso per alzare ogni barriera e impedire
alle emozioni dell'umano di penetrare dentro di lui.
-Non ho
bisogno di dormire così tanto quanto ne avete voi.- si
voltò ed
incontrò l'azzurro liquido, il mare calmo, il cielo
d'agosto. Il
colore più puro e sincero che avesse mai
visto.
Si trovò
a chiedere a se stesso perché quegli occhi lo
destabilizzassero
tanto, perché in lui si rinnovasse, ogni volta, lo stupore
per quel
colore tanto acceso.
Capì che quello sguardo chiaro lo
incuriosiva come solo una nuova scoperta scientifica poteva fare.
Jim
lo fissò restando fermo dov'era, fino a quando non
abbassò la testa
e si allontanò verso il frigorifero aprendolo con
fanciullesca
curiosità.
-E' una fortuna che questo posto sia stato
abbandonato in via momentanea.- mormorò, tirando fuori una
scatola
di cartone e portandola sul tavolo.
Spock osservò l'altro
prendere un bicchiere dalla dispensa e riempirlo con il contenuto del
cartone -E' certo che sia un bene mangiare quello che abbiamo trovato
qui?-
Jim gettò un'occhiata allo scatolo -Non è
scaduto. E
questo cibo, almeno nell'aspetto, è simile al nostro.-
sorseggiò
lentamente il contenuto, poi sgranò le palpebre mugolando di
piacere
-Spock, non sa quanto sia buono. Non viene da un replicatore,
è
latte vero.-
Il vulcaniano non gli diede importanza,
ritornò a guardare la strada sotto la finestra.
-Macchine. Avevo
visto solo vecchie fotografie e disegni.- pensò ad alta
voce, mentre
l'altro si sedeva al tavolo e continuava con la colazione.
-Dovremmo
prenderne una, per muoverci.-
-Intende dire che dovremmo
rubarla.-
L'umano rise mostrando i denti chiari -Non
faccia moralismi, sa meglio di me che non ne abbiamo bisogno. In
fondo agiamo per un bene maggiore, cosa può fare una
macchina...
rubata?-
Il vulcaniano rilasciò un basso sospiro prima di
camminare anch'egli verso il tavolo e accomodarsi su una sedia, la
schiena ritta contro lo schienale e le braccia adagiate compostamente
sulle ginocchia.
-Lei prende poco sul serio l'intera situazione.
Non dobbiamo permettere che qualcuno noti la nostra presenza.-
-E
non la noteranno!- rispose Jim, allargando le braccia -Insomma siamo
su una Terra che non è la nostra... -
-Sua, intende dire.-
L'altro grugnì affranto -Spock lei non capisce che questa
è
un'esperienza unica. So che siamo qui per un lavoro ben preciso, so
quale peso grava su tutti noi e su questo pianeta. Ma è...-
il suo
tono di voce si raddolcì -... fantastico, unico,
irripetibile.-
Spock abbassò il capo tentando di ordinare nella sua mente
le
parole del capitano, ma nonostante tentasse di analizzarle non
riusciva in nessun modo a provare tutte quelle sensazioni. Era
incuriosito, certo, soprattutto dal fatto che la presenza di un'altra
Terra in tutto e per tutto simile a quella da loro conosciuta avrebbe
potuto modificare secoli di teorie scientifiche; ma eccitazione,
stupore, appagamento... gli erano estranei.
-Io non credo che lei
non possa capirmi, Spock.- soffiò Jim, tra le labbra -Penso
che lei
non voglia.-
-Cosa intende dire?-
-Lei prova emozioni,
so che i vulcaniani lo fanno. So che la sua parte umana le sente. Ma
tenta di sopprimerle, lei non vuole provarle.-
Spock
aggrottò le sopracciglia -Non nego il fatto che la mia parte
umana
provi emozioni, impulsi, cose che voi umani provate. Ma io sono un
vulcaniano.-
-Per metà.- sorrise Jim.
-Essere un vulcaniano
è molto più di una questione puramente biologica.-
L'altro
giocherellò con il bicchiere tra le mani mentre teneva le
labbra
ancora stirate in un sorriso gentile -La sua parte umana mi ha detto
che lei tenta in tutti i modi di reprimerla. E la sua controparte mi
ha mostrato segni d'affetto, anche se impercettibili. Nei suoi
ricordi... -
Spock lo interruppe inclinando leggermente la
schiena in avanti -L'ambasciatore Spock non è me. Siamo
molto
diversi, Nero ha cambiato tutti noi, la mia vita non è e non
sarà
quella dell'ambasciatore.-
Jim si fece serio, per una frazione di
secondo un'ombra scura attraversò il suo volto sereno
-Perché crede
che non diventerà come il vecchio Spock? E' un bravo, uh...
vulcaniano. Non può saperlo, magari in un
modo o nell'altro
riusciremo a riaggiustare la linea temporale e vivremo le stesse
esperienze di quei Kirk e Spock. E' illogico non prendere in
considerazione questa evenienza, non crede?-
Il suono di un
clacson nella strada irruppe nella cucina, interrompendo la quiete
tra loro.
-Lei vorrebbe che io diventassi come lui?- chiese
Spock, mentre un brivido gli si contorceva nel petto. Era
un'emozione, ne era certo. Ma non tentò di sopprimerla.
-I suoi
occhi mi dicono che lei è arrabbiato.-
-Non provo rabbia.- ma la
voce del vulcaniano era sibilante, differente dal tono neutro che
assumeva la gran parte delle volte.
-Ho già visto quello
sguardo, quando mi ha quasi strozzato sul ponte di comando.-
Jim
sentiva un accenno di tensione costruirsi tra loro, un muro
d'adrenalina e parole che scalpitavano per fuoriuscire. Si chiese
dove stesse andando, quanto lontano fosse disposto ad arrivare e a
che scopo.
-Sta tentando di ottenere una reazione emotiva,
capitano?-
-Sto tentando di dirle che non c'è bisogno che finga
di essere una macchina, non con me. Lei è un essere
dotato di
emozioni, che sia mezzo vulcaniano, mezzo umano o qualsiasi altra
cosa si definisca. Lei prova emozioni e il fatto che le mie parole la
stiano irritando ne è un esempio.-
Spock inarcò un
sopracciglio, lo sguardo minaccioso non abbandonò il volto
-Non ho
mai negato, mi sembra.-
-Lei lo nega continuamente quando afferma
di “non provare” una determinata emozione. Ma la
sua parte umana
la pensa diversamente, lo so perché l'ho incontrata. So che
è
dentro di lei.-
Il vulcaniano registrò il battito del suo cuore
aumentare di 1.3 palpitazioni in più del normale, causando
un
maggiore afflusso del suo sangue.
-Perché vuole così tanto che
io provi emozioni? Non riesco a comprendere quale sia
l'utilità,
sono sicuro di compiere il mio dovere anche reprimendo la mia
metà
umana.-
-Non è questione di dovere. Non volevo dire questo.-
Spock guardò il capitano prendere un respiro profondo, i
suoi
occhi vagarono verso il pavimento piastrellato, cercando forse una
risposta dove non c'era.
-Lei non sa quello che vuole, capitano.
Anche adesso percepisco grande confusione, in lei. In tutta
franchezza io credo che non sarà in grado di portare avanti
questa
missione, nelle sue attuali condizioni.-
-Che c'entra questo?.-
replicò Jim, infastidito.
-Se crede che dimenticare la farà
sentire meglio, farà sì che lei ritorni ad essere
com'era prima di
quella fusione mentale... -
-Spock, perché mi ha mentito?- lo
interruppe l'altro.
La voce del primo ufficiale morì nel
silenzio della stanza. Rimase a fissare l'umano, senza sapere cosa
dire.
-A quale menzogna si sta riferendo?-
Jim sorrise e si
alzò, chinandosi verso il volto del vulcaniano -Che arma
possiede?-
Spock non si scompose, comprese subito a cosa si stava
riferendo Jim. Aveva dato lui l'ordine di registrare le comunicazioni
con i nemici, e c'era da aspettarsi che il capitano le avrebbe
ascoltate prima di mettersi al loro inseguimento.
Ora non poteva
mentire, non voleva mentire; al contempo,
però, sapeva che
nessuno avrebbe dovuto ricordare... men che meno il capitano.
Se
gli avesse rivelato quello che avevano incontrato solo tre settimane
prima, non poteva sapere come questi avrebbe reagito.
Una parte
di sé si diceva che probabilmente Jim avrebbe fatto di tutto
per
tornare indietro, forse avrebbe provato rimorso per la sua scelta di
ritornare sull'Enterprise. Ma non voleva ascoltare quel pensiero e
prendere in considerazione quell'ipotesi: perché Jim aveva
rischiato
molto per diventare il capitano della loro nave, e sapeva che non
avrebbe abbandonato il suo ruolo.
-La mia natura mi impone di
doverle dire la verità, così come anche il mio
dovere. Ma voglio
premettere che se rivelassi il perché l'arma di cui ha
sentito
parlare è in mio possesso e come l'ho ricevuta, temo che la
situazione potrebbe peggiorare molto più di quanto non sia
già
grave.
La gente che me l'ha data ha voluto che tutto
l'equipaggio, compreso lei, li dimenticaste. Sono un popolo molto
potente, che potrebbero fare gola a molti altri nell'universo e con
una forza come la loro... la catastrofe sarebbe imminente. Lei aveva
l'opportunità di scegliere se restare con loro o meno, ma ha
scelto
di onorare il suo posto e continuare a fare il suo dovere.- Spock
frenò la sua arringa, guardando attentamente gli occhi
chiari di Jim
a pochi centimetri dal suo volto.
Questi, a sua volta, parve
meditare sulle parole del suo vice, traballando tra l'umana
curiosità
e il pericolo di cui era stato messo in guardia.
E Spock non
mentiva, gli aveva detto tutta la verità.
-Può parlarmi
dell'arma, almeno?-
Per un attimo un'espressione sorpresa sfilò
sul volto pallido del vulcaniano, non si era aspettato che Jim
demordesse così facilmente.
-Sì, posso.- confessò, estraendo
dalla tasca una scatola cubica di bioplastica, all'interno della
quale conservava l'arma in questione -La chiamavano Cohlna,
è
una droga. Ora è nel suo stato puro, mi è stato
detto che solo una
forte resistenza mentale può impedire l'assuefazione o la
pazzia.-
spiegò brevemente.
-Questo può aiutarci contro i Ma'Toi?-
Spock
inspirò, riflettendo in silenzio, poi disse -Se volevano
quest'arma
molto probabilmente ne sono spaventati. Mi è stato detto che
con
questo avrei potuto avere la conoscenza assoluta, forse riuscirei a
trovare un modo per eliminarli.-
Jim
rise e il suo respiro s'infranse contro i capelli di Spock che, al
tocco, avvertì un brivido al centro della schiena. Da quella
distanza l'odore pungente della pelle dell'altro era più
vivido che
mai.
-Se non la conoscessi penserei che lei abbia tenuto
quest'arma con sé senza dire nulla perché... sta
covando un piano
segreto per impadronirsi dell'universo.-
Il vulcaniano inclinò
il capo da un lato, da quella angolazione i due riuscirono a
guardarsi meglio, per un attimo il silenzio calò tra loro.
-Mi è
stata data perché non nutro alcuna 'smania di potere', come
la
definite voi umani.-
Lo sguardo di Jim si addolcì di nuovo, le
sue labbra mantennero
un sorriso compassionevole e malinconico -Lo so, Spock. Tra tutti
quanti lei è l'unico che non agirebbe per un proprio
tornaconto
personale.-
Un'altra cascata di brividi graffiò la schiena del
vulcaniano.
-Perché non ha già usato quell'arma?- la voce
dell'umano era ormai una scia di suoni a malapena sussurrati.
-Le
mie ricerche non erano complete.-
Jim scosse il capo -Perché,
oltre alle sue ricerche, non ha usato quell'arma?-
Le labbra di
Spock tremarono leggermente, il vulcaniano se ne accorse e s'impose
di sedare quelle sensazioni umane, gli impulsi che arrivavano dalla
vicinanza di Jim.
-Perché lei è il mio capitano, e non ne era a
conoscenza.- rivelò sincero.
L'umano
annuì, senza staccare il contatto visivo, i loro occhi
continuavano
ad essere intrappolati in una rete senza via d'uscita, parlavano tra
loro come le loro menti e i loro corpi non sapevano fare.
Conversavano in quel linguaggio muto che loro stessi non conoscevano
e riuscivano a decifrare, così come avevano sempre fatto dal
loro
primo incontro.
Il respiro di Jim andava ad infrangersi contro il
volto di Spock, la distanza tra loro era ormai esigua, tanto che il
capitano poté notare
delle impercettibili, quasi invisibili ad occhio umano, lentiggini
proprio sulle guance pallide di
Spock;
il loro colore era
scuro, ben diverso dalle macchie rossicce sui corpi umani.
-Io
non voglio che lei sia come l'ambasciatore.-
Il
vulcaniano
non parlò,
restò a fissarlo con la sua espressione neutra e decisa, ma
i suoi
occhi trasmettevano confusione.
-Io voglio... - Jim tentennò, si
perse nello sguardo buio dell'altro
-... voglio che lei resti così com'è.-
I
loro sguardi restarono intrecciati a lungo così come i
respiri che
si scontravano tra loro, andando a costruire una bolla di calore tra
i loro corpi.
La tensione pizzicava l'aria, la mente di Spock
riuscì a percepire l'afflusso di emozioni che arrivava
direttamente
da Jim, non riusciva a distinguerle nettamente, ma indubbiamente
riusciva a riconoscere la frustrazione, l'angoscia e... il
bisogno.
All'improvviso il vulcaniano ricordò le parole di Johna,
rivisse
nella memoria il momento in cui Jim si era concesso alla cohlna e
aveva desiderato diventare parte di qualcosa di più grande.
Si rese
conto di aver già percepito quel senso di bisogno, da parte
del suo capitano.
Era
come se fosse alla costante ricerca di qualcosa che potesse
soddisfare quella sua necessità, qualcosa che lo riempisse e
mitigasse la sua solitudine.
E ora nei suoi occhi leggeva che Jim
aveva visto in lui quel qualcosa.
Il capitano si abbassò ancora di più, erano
distanti solo 3.3
centimetri, constatò il Spock.
Dentro di sé lottava per mantenere i suoi scudi, ma c'era
qualcosa che tentava di liberarsi dal suo controllo, scalpitava per
poter essere liberato.
Ma lui non poteva lasciarsi andare, non
era logico, non era da lui.
Era un vulcaniano, si ricordò, e non
un umano. Aveva scelto di vivere da vulcaniano, anche se non era
rimasto all'Accademia delle Scienze, anche se tutti avevano sempre
ricordatogli la sua metà umana, il suo svantaggio.
Lui era vulcaniano, quella era la sua natura. L'unica che
conoscesse, l'unica che volesse,
e questo nessuno avrebbe potuto metterlo in dubbio.
Abbandonò il
contatto visivo con il capitano e spostò la sedia
all'indietro, la
frizione contro il pavimento produsse
un rumore stridulo.
E fu allora che Kirk capì che, qualunque
cosa fosse passata nel suo cervello, qualunque aspettativa avesse,
era appena stata rifiutata lasciando solo un'amara
delusione dentro di sé.
. . .
Il
gruppo sbarcato
per la missione sedeva al tavolo della cucina (lo
stesso che solo poche ore prima aveva visto Kirk e Spock tendere ad
un punto di non ritorno e poi ritrarsi, prima dell'inevitabile).
Kirk sondava la sua squadra con serietà, ma dentro di lui si
agitava un vento impetuoso di confusione, sentimenti che si
intersecavano tra loro creando una matassa impossibile da districare.
Ma quello che ora aveva importanza, continuava a ripetersi, era
il loro obiettivo; il perché si fossero spinti tanto lontani
dai
confini della loro galassia.
-Signori... - cominciò,
schiarendosi la voce -sono cosciente del fatto che questa missione
non sarà per niente facile. Vi ho scelti perché
siete i miei
migliori ufficiali, perché ho fiducia in tutti voi.- i suoi
occhi
s'incastrarono, per un attimo, in quelli di Spock che l'osservava con
la sua solita compostezza. Poi distolse lo sguardo e lo
indirizzò
sul padd che giaceva sul ripiano di legno del tavolo.
La falsa
Uhura che gli sedeva accanto avvicinò una mano alle sue e
l'accarezzò dolcemente; lui sentì il disgusto
pervaderlo fino
all'anima al pensiero di ciò che aveva fatto.
Permettere che
quell'essere mostruoso prendesse il possesso della sua tenente era
stata una mossa per niente intelligente.
Il
gesto della donna non passò inosservato, Sulu e Chekov la
fissarono
confusi ma non aprirono bocca.
Jim sapeva di dover loro la
verità, non poteva in alcun modo permettere che le menzogne
compromettessero l'intera
operazione.
-Lei è...
- la indicò, ma si accorse di non sapere come chiamarla. Il
nome
Uhura era un affronto per quell'essere che non aveva nulla (se non il
corpo) della loro
collega
e amica.
Lei sembrò
percepire il flusso dei suoi pensieri -Lena.- mormorò
lentamente, il
suo tono di voce triste. Come se fosse cosciente del fatto che Kirk
non l'aveva ancora accettata, e che forse non l'avrebbe mai fatto.
-Lena-
ripeté Jim,
non sapendo da dove provenisse quel nome. Ma non gl'importava. Un
vecchio detto terrestre recitava “conosci
i tuoi nemici”, ma
lui non aveva alcuna intenzione di conoscere quel mostro.
-Non è
Uhura, non più ormai. L'essere che è dentro il
corpo della donna
che conosciamo è la causa per cui non ero in plancia durante
l'attacco dei Ma'Toi. E' lo stesso essere che ha aggredito Spock sul
pianeta Ka'yo e che l'ha quasi ucciso.-
Chekov
represse un sussulto e Sulu fece scorrere lo sguardo dal capitano a
Lena; confuso, interdetto.
Spiegare quella storia a Bones e Spock
era stato facile, in qualche modo sapeva che per quanto contrari
fossero stati alle sue decisioni, non l'avrebbero tradito (anche se
forse dopo tutta quella storia Spock non avrebbe esitato a fare
rapporto al comando di flotta). Ma spiegare quella stessa storia a
Chekov e Sulu... non sapeva se questo avrebbe compromesso il suo
ruolo.
Forse stava per perdere il rispetto del suo equipaggio,
perdere quello a cui aveva ambito e a cui era arrivato dopo una vita
di sofferenze e
inconcludenti lotte.
-Lena faceva parte di quelli che sono i
nemici che dobbiamo fermare e distruggere. Attraverso le sue
informazioni genetiche siamo riusciti a localizzare il resto dei suoi
simili, possiamo monitorarli.-
-Capitano...
se è una di loro perché è con noi?- lo
interrogò Sulu. Il timoniere dell'Enterprise parlava con
cautela,
come se stesse ancora tentando di elaborare l'informazione appena
ricevuta.
Jim non lo biasimò, se le parti fossero state inverse
e lui si fosse trovato al posto del tenente molto probabilmente
avrebbe reagito con furia, veemenza, senza voler
sentire
ragioni.
Molto
probabilmente i suoi sottoposti dovevano possedere quella
ragionevolezza e compostezza che non facevano parte di lui; e per
questo, egli era immensamente grato.
-Perché
ho accettato la sua offerta. Mi ha assicurato che avrebbe protetto la
nave e ci avrebbe condotti dai suoi compagni. Era l'unico modo che
avevo per proteggere tutti e per... perché
potessimo
arrivare fin
qui.-
Chekov
abbassò il capo e si guardò le mani, non aveva
detto nulla fino a
quel momento così come Spock e McCoy che erano rimasti in
silenzio.
Jim lanciò un'occhiata al medico e questi sospirò
pesantemente
e scosse il capo, nei suoi occhi c'era disapprovazione per quella
situazione difficile in cui lo stesso capitano li aveva cacciati. Ma
allo stesso tempo sapeva (e tutti gli altri sarebbero giunti alla
stessa conclusione) che quella scelta così tanto
disprezzata, era
l'unica possibile.
Jim aveva agito nel bene di tutti loro,
tentando di salvare l'Enterprise da una distruzione certa e salvando
un pianeta ignaro della morte
che avanzava con la sua scintillante falce a mezza luna e un ghigno
sadico sul volto.
-Perché
è nel corpo di Uhura? Pensavamo che impossessandosi di
esseri
mortali li facessero impazzire e li
disgregassero.-
continuò
Sulu, interrogando, ora, la stessa Lena.
Lei sorrise, alzandosi
in piedi, -Sì, è così per la maggior
parte degli esseri di cui ci
impossessiamo. Lo facciamo perché stiamo cercando un
organismo
capace di ospitarci, così da poterci stabilire in un posto sicuro.-
lei scosse il capo, negli occhi scuri non c'era gioia alcuna -Siamo
nati per un errore umano. Siamo stati creati e nello stesso istante
in cui siamo venuti alla luce siamo stati minacciati di morte. I
vostri scienziati hanno cercato di ucciderci senza neppure darci una
possibilità, ma non sapevano di aver creato esseri senzienti
e
intelligenti.-
Il silenzio era
calato
su tutti loro,
lo stesso
respiro dei presenti era trattenuto per permettere alla donna di
esporre quello che forse avrebbe risposto a molte delle loro domande.
-Abbiamo pensieri, idee, logica
e sentimenti. Abbiamo
tutto quello che un'anima umana o un cervello vulcaniano possiede. Ma
non siamo dotati di un corpo materiale, siamo essenze. Siamo luci,
energie, come le anime umane. Ma siamo vivi e
come
esseri viventi
avremmo dovuto avere dei diritti, ma come cavie di laboratorio i
vostri scienziati ci hanno utilizzati per giocare ad uno stupido
tentativo di creare la vita. Ci sono riusciti, hanno generato noi. Ma
poi hanno cercato di eliminarci, è per questo che siamo
fuggiti e
abbiamo cercato di rintanarci sulla nave Spartacus. Non sapevamo che
effetti avrebbe avuto la nostra presenza, nei corpi umani.- Lena
prese fiato, poi si allontanò dal tavolò e
camminò in circolo,
dietro le loro
schiene
-Quando è avvenuto il primo contatto con voi, abbiamo capito
che non
c'era nulla da fare, non potevamo tenere un corpo umano senza che
questo impazzisse e si disintegrasse sotto il calore della nostra
energia.-
Chekov
impallidì, immaginando la fine che avrebbe fatto il corpo di
Uhura.
-Da allora abbiamo vagato verso nuovi pianeti, cercando di
possedere individui per poterci insediare in un posto e vivere
tranquillamente. Vivere quella vita di cui siamo stati dotati e che
nessuno ha pensato di tutelare.-
McCoy scosse il capo, sbuffando sonoramente -Non vi siete fatti
scrupoli ad uccidere quante più persone potevate. Persino
con Spock,
eri tu che l'hai attaccato... non mi pare ti sia pentita di quello
che hai fatto.-
Lena guardò il dottore con
una
rabbia che ora
induriva i suoi lineamenti -Ho dovuto farlo. Sapevo
dell'attività
mentale dei vulcaniani. Dovevo inviare un messaggio alla flotta
stellare, dovevo dire a tutti voi di lasciarci stare, perché
inseguendoci avreste firmato la vostra condanna a morte. Noi
non ci saremmo fermati, avremmo continuato a cercare... ma se voi ci
foste venuti dietro allora avremmo dovuto distruggervi. Non sapevo
che vulcano
fosse mezzo umano, non sapevo delle sue debolezze.-
McCoy
aggruttò le sopracciglia -Debolezze?-
Spock restò immobile a
guardare la donna che sostava dietro il capitano, le mani poggiate
sulle sue spalle come se fosse naturale che stessero lì, a
stringere
la maglia gialla della divisa.
Lena sorrise e ricambiò lo
sguardo di Spock -Debolezze che sa mascherare bene. Ma che prima o
poi verranno a galla.- rispose lei, poi continuò con la sua
spiegazione -Abbiamo tenuto d'occhio l'attività della
federazione,
eravamo presenti al congresso con i capi delle navi spaziali.
Abbiamo,
così, capito
che
la vostra flotta stellare sta tentando di tenerci segreti quanto
più
possibile. Non vogliono che si sappia della nostra presenza, forse
perché ammettere di aver dato vita a qualcosa di
così potente...
genererebbe più caos di quanto non ce ne sia
già.-
-Perché non
avete tentato di parlare in questo modo anche a chi vi ha creato?-
domandò
Leonard,
incrociando le braccia al petto.
-Perché non ci ascoltano.
Vogliono solo distruggere un errore, mettere fine a qualcosa che
è
andato storto e che può minacciare la stabilità
dei rapporti
interplanetari. E perché... perché li spaventa
sapere che qualcosa
come noi esiste ed è là
fuori.-
Spock
inclinò il capo di lato -La vostra onnipotenza viene negata
dalla
costante ricerca di armi potenzialmente nocive per la vostra specie.-
affermò.
Jim si girò a guardarlo, così come gli altri. Il
vulcaniano, invece, fissava quella che una volta era stata la sua
ragazza, ma nei suoi occhi non c'era traccia alcuna di emozione, come
se fosse al cospetto di un muro.
-Non ho detto che siamo
onnipotenti, ma che possiamo fare molto più di quanto
possano le
vostre misere armi. Ma in ogni caso per rispondere alla domanda del
ben cinesino, sì, la maggior parte degli organismi viventi
impazzisce, poi si disgrega. La donna di cui ho preso possesso,
però,
è molto più forte di quanto pensassi... ho
studiato la vostra nave
per molto tempo, sin dalla prima volta che ho incontrato Kirk e
Spock. So quanto Nyota Uhura sia forte, quanto potente sia il suo
spirito e il suo corpo... per questo ho deciso di farmi avanti,
sapevo che avrei trovato un appiglio sicuro.-
Chekov
rialzò il capo, ora dal suo volto traspariva il gelo delle
sue
emozioni -Per quanto tempo starà dentro tenente Uhura?-
Lena
strinse la presa sulle spalle di Kirk, cercando un'ancora a cui
aggrapparsi disperatamente -Io non lascerò il fianco del mio
capitano.- rispose senza giri di parole.
E
Jim capì, da quell'unica frase, che prima o dopo avrebbe
dovuto
prendere una decisione che non gli sarebbe piaciuta: la stessa che
aveva preso quando avevano disintegrato l'equipaggio della Spartacus,
la stessa che avrebbe messo di nuovo in crisi la sua
umanità.
. . .
Leonard
osservò i
monitor che Chekov stava installando nella loro “base
operativa”,
sospirò mentre arrotolava (per
l'ennesima volta) la
manica della camicia che non voleva saperne di restare al suo posto.
Avevano cambiato il loro abbigliamento sostituendolo con uno
più
adatto a quello del periodo vigente sul pianeta.
-Anche questo
schermo è pronto.- dichiarò il russo,
allontanandosi dalla
scrivania.
Avevano spostato i tavoli trovati nell'appartamento,
riunendoli in quello che doveva essere un salotto, gli schermi erano
disposti tutti intorno.
Nella stanza comparvero Sulu, che
litigava con una felpa grigia e Lena, i tacchi della donna
risuonarono nell'aria
annunciando il loro arrivo.
-Uh, Sulu lei... -
-La prego dottore, non commenti.- sospirò
il tenente, guardando accigliato il suo abbigliamento -Non
capisco perché il capitano ci abbia dato tutti indumenti
diversi. E
perché lei sia così... elegante.-
indicò il dottore.
Questi,
di rimando, ghignò compiaciuto -Sono un dottore,
dovrò pur
mantenere una
certa
rispettabilità.-
Il più giovane lo guardò scettico -Lei non
uscirà nemmeno di
qui, dottor McCoy.-
-Non c'entra, giovane Sulu, non c'entra.-
disse
con leggerezza,
sperando di poter sollevare gli animi dei suoi
compagni.
-Non
vai ad affrontare un esercito di Klingon se già ti trascini
dietro
l'urna funeraria.- pensò.
Lena,
che fino a quel
momento era rimasta in disparte, avanzò verso il gruppetto e
fissò
gli schermi -A me non fate nessun complimento? Sono piuttosto sicura
che il corpo della vostra amica sia piacevole, avvolto da questi
abiti.- sorrise maliziosa, facendo scorrere lo sguardo sui tre.
Sulu
voltò il capo, disgustato.
Leonard non ignorò il gesto, si
chiese se dopo quella missione non ci sarebbero state ben
più gravi
ripercussioni per Jim. Non aveva agito bene, indubbiamente,
soprattutto accettando (anche se con difficoltà) l'aiuto di
un
potenziale nemico, sicuramente nei rapporti di tutti loro non si
sarebbe taciuto l'argomento e forse la flotta stellare non avrebbe
chiuso
un occhio.
Non
questa
volta.
-Starebbe
benissimo, se quel corpo le appartenesse.- rispose McCoy,
indirizzandole un'occhiata truce -Ma per quanto piacevole sia un
corpo, se quello che c'è dentro è disgustoso... -
Non finì la
frase, venne interrotto dalla comparsa di Spock e Jim.
-Uh,
questo momento bisogna immortalarlo.- mormorò a denti
stretti,
osservando Spock.
Il vulcaniano camminò
impassibile, muovendosi con
grazia
dentro gli abiti
eleganti.
-Bene, siamo tutti pronti!- li richiamò Jim,
avvicinandosi al localizzatore.
-Chekov, faccia partire gli
schermi. Metteremo in moto il localizzatore e individueremo i nostri
nemici, poi ci divideremo per rintracciarli.- spiegò, mentre
gli
occhi di tutti erano puntati su di lui.
Il giovane russo avviò
tutti i monitor che con un 'bip'
s'illuminarono, mostrando una pianta tridimensionale della
città.
Poi fu
la volta del
localizzatore che impiegò alcuni secondi per rintracciare
informazioni genetiche simili
a quelle estratte dalla lettura del DNA di Lena.
-Non
mi spiego come sia possibile che quel coso
individui i nostri nemici estraendo le informazioni dal corpo di
Uhura.- chiese il dottore, mentre puntini luminosi comparivano sui
diversi schermi.
-Facile, dal momento che sono in possesso di
questo involucro, le sue informazioni sono cambiate e hanno assunto
le
caratteristiche genetiche
della mia composizione originaria.- spiegò Lena, lanciando
un'occhiata soddisfatta a Jim.
Spock osservò lo scambio di
sguardi tra i due, ma rimase al suo posto senza parlare.
-Ma
lei dovrebbe essere pura energia, o sbaglio?-
Lena annuì e
mantenne il suo sardonico sorriso -Certo dottore, ma sono comunque
stata creata dalla sintesi di cellule appartenenti
ad esseri viventi.
Non
sono in possesso di un corpo umano e la mia forma originale
è puramente fatta di
energia,
ma in me scorre
un codice genetico. Quando
entriamo in un corpo questo codice, semplicemente, si mischia a
quello già presente, è per questo che molti di
voi scomparite se
prendiamo il vostro possesso. I corpi umani ci rigettano.-
-Interessante...
-
mormorò Spock, che fino a quel momento si era limitato ad
ascoltare.
-Già... interessante.-
si lamentò il dottore.
-Tieni gli occhi lontani da me, vulcano.
Te l'ho già detto una volta che non sei tu ad interessarmi.-
rispose
lei, voltandosi di nuovo verso il capitano.
-Se avete finito con
le spiegazioni scientifiche, abbiamo una missione da portare a
termine.- sospirò Jim, mantenendo il controllo nonostante
l'intera
situazione fosse esasperante. Si girò
verso i monitor e fece scorrere lo sguardo su tutte le
entità
rilevate.
-Non sarà facile come pensavamo... - mormorò,
poggiandosi alla scrivania -... sono in troppi. Spock, mi faccia un
rapporto dei dati del rilevatore.-
Il vulcaniano si avvicinò a
lui guardando i dati registrati -Le
entità rilevate sono in tutto ventimilacinquecento,
la loro dispersione nella sola città di San Francisco non
segue
alcuno schema preciso.- lesse lentamente, continuando ad analizzare i
dati.
-Ventimi... state
scherzando?-
irruppe
McCoy, allargando le braccia.
-No. Non sta scherzando, dottore.
Siamo in molti, ma questi non
sono neppure
la metà del nostro numero totale.- chiarì la
ragazza, avvicinandosi
a Jim.
Lui continuò a tenere gli occhi puntati sugli schermi
-Spock individui se si sono verificati incidenti anomali in queste
ultime ore.-
-Sia più chiaro, capitano.-
-Persone che
impazziscono, scompaiono, aggressioni insensate.- gesticolò
il
superiore.
Lena fece scorrere le mani sulla schiena di Jim, fino
a raggiungere il suo volto -Non smetterei mai di toccarti... -
mormorò come incantata, gli occhi che si perdevano
nell'azzurro
limpido di quelli di lui.
-Non è il momento, Lena. Perché non mi
hai avvisato di quanti eravate?-
Lei sospirò, roteando gli occhi
al cielo -Ti ho detto che ti avrei portato da loro e l'ho fatto. I
miei simili sono dispersi su tutto il pianeta, ora. Ma vi ho condotti
in questa città perché io so
che
qui troverete
coloro di cui avete bisogno. I quattro di cui dovrete occuparvi,
presi loro, tutti gli altri non sapranno cosa fare.-
-Cosa
intendi dire? Sono i vostri capi?-
Lei piegò il capo di lato
-Mh, se vuoi metterla così... sono più che altro
il cuore pulsante
di quello che siamo. I primi ad essere stati creati, sono
più forti
di tutti noi e la loro forza ci ricarica. Si
sono ribellati per tutti noi, sono l'esperimento nella sua forma
completa. Noi eravamo ancora incompleti, quando siamo scappati, siamo
in molti ma dipendiamo da pochi. Da loro.
Che, in
questo momento,
sono a San Francisco.-
Jim
annuì, poi si
voltò ad osservare McCoy, Sulu e Chekov. I tre ascoltavano
attentamente ma sulle loro facce non c'era solo ansia. La paura era
dipinta su quei volti, e Jim si sentiva responsabile...
-Non
si sono verificati incidenti anomali nelle ultime ore.-
chiarì Spock, ignorando la mano di Lena
sul petto del capitano. Le dita giocherellavano con i bottoni della
camicia azzurra e lei lo guardava come incantata.
Quello
sguardo
gli ricordò lo
stesso che Nyota aveva mostrato più volte nei suoi riguardi,
si
chiese se la tenente fosse ancora dentro quel corpo e se fosse
cosciente. Erano molte le domande riguardo quegli esseri e le loro
azioni. Era affascinato dalla loro composizione fisica, chimica e
dalla loro capacità di prendere pieno possesso di un corpo.
Moralmente
parlando, se
fosse stato umano non sarebbe stato giusto
essere affascinato da qualcosa di così temibile, dopo che
aveva
strappato via l'essenza della sua compagna. Eppure lui non era umano,
non era un terrestre e tutto quello che sentiva era un'illimitata
curiosità di natura scientifica.
Questo
lo riportava alle continue dichiarazioni che, più di una
volta,
aveva fatto a Nyota prima dell'inizio della loro relazione. Le aveva
detto di come illogico fosse, per loro, stare insieme. Possedevano
nature troppo diverse tra
loro, impossibili da incastrare l'una nell'altra. Erano tasselli di
due puzzle diversi.
La
ragazza, però, si era sempre opposta a tutte le sue
considerazioni
logiche, aveva affermato che nell'amore non c'era niente di logico e
che per quanto irrazionale fosse, se due persone si amavano l'unica
azione logica fosse, per loro, stare insieme.
Lei lo amava, era
indubbio, e non gli aveva mai chiesto nulla in cambio. Però
ora che
lei non era lì con loro, e lui non provava alcuna emozione
spiacevole (se non una vaga preoccupazione per il nemico che
albergava all'interno di quel corpo umano), non sapeva più
quanto
giusto fosse continuare ad essere il compagno di Uhura.
Jim notò
che Spock stava fissando il contatto tra lui e Lena, così si
scostò
allontanandosi da lei e avanzando verso il centro della stanza, nel
mezzo di quel bizzarro cerchio di persone che attendevano i suoi
ordini.
-Se gli
umani
che popolano questa Terra hanno le nostre stesse caratteristiche
fisiche e psichiche, non riusciranno a reggere il peso dei Ma'Toi al
loro interno. Non è così?- chiese, voltandosi di
nuovo verso Lena.
-I miei compagni proveranno a prendere possesso di chiunque viva
su questo pianeta, se non ce ne sarà alcuno adatto ad
ospitarci sarà
la fine per tutti gli esseri viventi.-
Spock raccolse le mani
dietro la schiena -Dobbiamo dedurre, quindi, che quando attaccate un
pianeta non avete uno schema ben preciso, piuttosto migrate da un
corpo all'altro cercando quello giusto per voi?-
-Tu
non conosci la disperazione, vulcano, non sai cosa significhi lottare
fino allo stremo delle forze per raggiungere un obiettivo. Siamo
disperati, vogliamo solamente trovare un corpo per poterci stabilire
in un luogo sicuro.-
-Le
vostre azioni non hanno alcun senso. Potete viaggiare ad una
velocità
superiore alla curvatura, possedete capacità ben al di sopra
di
quelle comuni a tutti gli esseri viventi che abbiamo incontrato sino
ad ora, ed in cui voi vi siete imbattuti. Potreste insediarvi in un
pianeta inabitato e vivere in tranquillità
così
come dite di
voler fare, inoltre la vostra forma originaria non richiede
necessità
di un particolare tipo di habitat. Non vedo, quindi, alcuna logica
nelle vostre azioni, se non quella di distruggere senza alcuna
utilità.-
Lena
sorrise abbattuta, scosse il capo e sbuffò dal naso -Lei
cosa sente
quando tocca qualcuno?- chiese, la voce poco più che un
sussurro.
-La sua domanda non è pertinente alla situazione che stavo
elencando.-
Jim osservò incuriosito i due, chiedendosi se Spock
avrebbe risposto alla domanda.
-Lei è un telepate, quando tocca
qualcuno... che cosa
sente?-
Spock
s'irrigidì, ma non smise di guardare quel volto tanto
familiare
(quanto estraneo, al momento) per un solo attimo -Percepisco le
sensazioni dell'essere
con il
quale
vengo a contatto.-
Lei annuì, poi camminò verso Jim e lo
toccò
di nuovo, intrecciò le dita alle sue. Spock rimase neutro,
osservò
le loro dita scorrere le une sulle altre, ma non disse nulla.
C'era
qualcosa dentro di lui, un ringhio basso e primitivo che ronzava
dentro la sua mente. Era lontano, lo percepiva appena; eppure era
presente.
-Io se tocco Jim non percepisco le sue sensazioni, per
farlo dovrei entrargli dentro. Però percepisco i miei
desideri,
so cosa
provo quando lo tocco, sento il piacere crescere quando la sua pelle
sfiora
la mia, il calore
che arriva dal suo corpo. Percepisco il suo profumo e posso... -
guardò
negli occhi azzurri del capitano -... perdermi nel colore
più puro
dell'intero universo.-
I presenti rimasero tutti fermi,
osservando lo sguardo devoto di Lena attraversare il volto del
capitano, il desiderio di lei era quasi visibile.
Spock continuò
a guardare le loro mani formare una rete di dita, pelle su pelle: il
ringhio dentro la sua mente crebbe d'intensità, come se si
stesse
avvicinando. Come se stesse diventando sempre più forte.
Ma non
c'era logica in quello, non c'era alcuna razionalità per
quel suono
tanto primitivo dentro di lui. Doveva reprimerlo, e s'impose di
mantenere lucida la sua mente.
-Ecco
perché vogliamo un corpo. Nella nostra forma originaria
siamo
energia, calore. Non conosciamo sensazioni, non percepiamo il
contatto. Non c'è piacere. Siamo essenze potenti come
nient'altro in
quest'universo, ma siamo incompleti. Ecco perché siamo
disperati, e
spietati. Lei non sa cosa voglio dire, perché lei non
prova
niente.-
Jim trattenne il respiro, McCoy gemette di disappunto. Tutti, in
quella stanza, ricordarono quella stessa frase detta quasi un anno
prima dallo stesso capitano, nel bel mezzo della plancia. E la
reazione di Spock era ancora una visione traumatizzante, nei loro
ricordi.
Spock non si mosse, sapeva a cosa stava ambendo Lena.
L'essenza
di quell'essere era già stata dentro di lui, aveva
già scansionato tutti i suoi ricordi. Ed ora voleva solo
divertirsi,
ripetere cose già dette, instigare la stessa reazione
emotiva che
l'aveva portato ad aggredire il capitano.
-Lei
non prova piacere, né rabbia, né dolore. Il suo
corpo vuoto sarebbe
un contenitore perfetto, perché lei dentro... è
già morto.
- continuò Lena, ora sul suo volto c'era l'ombra di un
sorriso
sadico, cattivo.
-Basta!- urlò Jim.
Spock rimase
impassibile, guardò il capitano e vide, nei suoi occhi, la
traccia
di un dolore nascosto.
-Basta... - la voce di Jim era bassa, ora
-... non m'interessa il perché delle vostre azioni. Voglio
solo
impedire che questo pianeta venga distrutto.-
McCoy, che fino a quel momento era rimasto in silenzio si
schiarì
la voce -Capitano, posso parlarle un attimo in privato?-
L'altro
annuì e i due si diressero in una delle camere del piccolo
appartamento.
-Cosa
diavolo sta
facendo?- sibilò il dottore, una volta che furono soli.
Jim
sospirò e poggiò la schiena alla parete,
incrociando le braccia al
petto -Bones, so quello che sta per... -
-No, non lo sa! Non
riesce a vedere che quella cosa sta tentando di far andare Spock su
tutte le furie? Perché?-
-Non lo so. Ma Spock non avrà alcuna
reazione emotiva, sa che è solo un trucco.-
McCoy rise, scettico
-Trucco o no, non ho dimenticato che l'ultima volta che Spock ha
avuto una reazione emotiva, stava per ucciderla. Dio, i segni intorno
al suo collo sono spariti dopo un
mese.-
Jim ricordò
la sensazione delle dita del vulcaniano premute contro la sua
carotide, non poté impedire ai brividi di terrore di
colargli sulla
pelle.
-Dobbiamo fermare questi esseri, prima che sia troppo
tardi.- si giustificò, sapeva dove il dottore sarebbe andato
a
parare.
-Non le sembra strano tutto l'aiuto che la bella Lena ci
sta dando? Non sono un sensitivo, ma non credo ci voglia molto per
capire che è una trappola.-
Jim scosse il capo -Non capisce, lei
sa
dove andare. Trappola o meno dobbiamo seguirla, e il fatto che siamo
prevenuti ci terrà lontano dai guai.-
Il dottore si lasciò
cadere seduto sul
letto
-Guai. Quando mai stiamo lontani dai guai? Non mi piace quell'essere,
è uno dei nemici, si è impossessato di Uhura. E
Dio solo sa che
fine ha fatto quella donna.-
Jim
chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. Se lo era
già chiesto
troppe volte, nell'arco di pochi giorni.
-Jim io so che la nostra
missione ha la priorità su tutto. So che sta agendo per un
bene
maggiore, e che molto probabilmente se potesse servire a fermare i
nostri nemici lei rischierebbe la vita, senza pensarci due volte. Ma,
rifletta, vale la pena rischiare la vita per nulla?-
-Nulla?- chiese Jim, confuso -Che intende dire?-
-Se quella
cosa ci porterà
dritti in una trappola, a cosa sarebbe valso rischiare la vita se non
li avremmo fermati? Morire per una grande causa può anche
andare
bene, ma morire senza risolvere niente... Jim non... - il dottore
frenò la sua arringa e si passò una mano sul
volto.
-Bones.- lo
richiamò Jim e gli si avvicinò poggiando una mano
sulla sua spalla
-Mi conosce da tanti anni, mi conosce più di quanto io
conosca me
stesso. Sa che non farei nulla
se non fossi certo che possa servire a fermare i massacri che questi
esseri stanno facendo. Starò attento, staremo attenti. Non
metterò
in pericolo le vostre vite.-
Il dottore sorrise, tristemente -Lo
sai
che non mi preoccupo per le nostre vite. Mi preoccupo per la tua.-
La formalità tra colleghi era sparita, il rispetto per il
capitano era stata soppiantata dalla calda voce di un amico. In quel
momento Bones aveva smesso di essere il suo ufficiale medico, come
accadeva nelle notti in cui si trovavano a bere e ricordare i vecchi
tempi.
Ora non c'era un membro del suo equipaggio a chiedergli di
stare attento, Leonard McCoy era scomparso... c'era solo Bones, che
aveva paura di perdere il suo migliore amico. Suo fratello.
Jim si abbassò sulle ginocchia per guardarlo direttamente
negli
occhi, come era accaduto in passato, tante volte. Quando
Jim veniva
schiacciato
sotto il peso
degli eventi, mangiato dai ricordi di un'infanzia infelice e pesante,
e Bones stava
a guardarlo
con dolcezza e un sentimento che nessuno dei due aveva mai saputo
riconoscere prima. Amici, fratelli, ufficiale medico e capitano.
Erano tante cose, e quello sguardo ne era testimone.
-Non
rischierò la mia vita. Te
lo prometto.-
. . .
Sulu camminò con disinvoltura
verso il parco. L'oasi
verde si estendeva per alcuni chilometri, arricchita da grandi alberi
le cui fronde ondeggiavano cullate dal vento, e da alcune panchine
costruite in cemento.
Osservò le persone muoversi nell'intera
zona, i bambini giocavano accompagnati da gridolini e schiamazzi. Si
guardò attentamente intorno e notò che poco
lontano altre persone
facevano jogging, correndo su una pista di cemento.
-Sulu, mi
senti?- il forte accento di Chekov si propagò nel suo
orecchio
sinistro, dove c'era il comunicatore, il giovane sorrise.
-Ti
sento.- mormorò, la voce ridotta a poco più di un
sussurro.
Stava
camminando senza una meta precisa, sapeva che il nemico che stavano
cercando era nei pressi del parco, ma doveva aspettare.
-Sulu- la
voce dell'amico fu rimpiazzata da quella del capitano -il nostro
obiettivo si trova a 3.9 chilometri a nord-est, proceda in quella
direzione.-
-Sì, signore.-
Il giovane corresse la sua
traettoria, infilò le mani all'interno della tasca sul
davanti della
felpa e strinse il phaser che teneva nascosto dentro di essa.
Guardava con circospezione tutti quelli che gli passavano
accanto, non capiva come potessero, quelle persone, essere
così
felici. Lui sapeva quello che tra solo pochi anni sarebbe accaduto a
tutti loro.
La guerra che avrebbe cambiato le sorti dell'intero
pianeta; in molti sarebbero morti.
Una bambina lo urtò mentre
correva dall'altra parte del parco.
-Scusi, signore!- urlò lei,
mentre i suoi capelli neri ondeggiavano dietro le sue spalle.
Forse
anche lei sarebbe morta durante la guerra, pensò.
-Il nostro
obiettivo si sta muovendo, aumenti la velocità e proceda
nella
stessa direzione.- lo redarguì Jim.
Sulu non rispose, fece
semplicemente così come gli era stato richiesto.
-Sulu... -
mormorò il capitano, la voce un po' meno severa.
-Capitano.-
-Mi
dispiace.- ci fu un sospiro rassegnato.
Il ragazzo sapeva a cosa
si stava riferendo il suo superiore, riusciva a percepire anche il
timore nella sua voce solitamente scherzosa e allegra. Ma erano
settimane che il capitano era cambiato, settimane dacché Jim
aveva
perso la sua allegria.
Tre settimane, da quando Jim aveva perso
se stesso sul ponte di comando, senza un reale motivo, e sembrava
cadere ogni giorno un po' di più.
Camminò velocemente, Sulu,
mentre il ricordo di un Jim non ancora capitano che si lanciava dalla
piattaforma romulana per salvargli la vita, lo colpì in
pieno.
Era
così che avevano imparato a conoscersi, era così
che era nata la
loro amicizia. Doveva molto, troppo al suo capitano. Gli doveva la
vita.
E se Jim Kirk stava cadendo e nessuno era capace di
aiutarlo, se stava commettendo degli errori, poteva lui voltargli le
spalle ed accusarlo di aver perso il diritto di comandare?
L'Enterprise stava facendo un buon lavoro, in fondo, e lui si
trovava bene sotto il suo capitano. E gli doveva la vita.
Mi
dispiace, gli aveva detto Jim. Ma a lui dispiaceva di
più perché
non sapeva come fare per tirarlo su. Non sapeva come riaccendere la
fiamma in quell'animo sempre incandescente, esuberante.
-No,
capitano.- ansimò, senza accorgersi di stare correndo -Ne
usciremo.-
disse.
Era tutto quello che poteva dire per fargli capire di
avere fiducia, fede nell'uomo che non l'aveva
lasciato morire,
che era caduto insieme a lui e poi l'aveva riportato su,
nell'universo, tra le stelle. L'aveva riportato a bordo
dell'Enterprise, vivo.
Sentì Chekov dire qualcosa, poi Jim parlò
di nuovo -E' di fronte a lei, pochi metri alla sua destra.-
Sulu
si voltò, ma non vide nulla. I loro nemici si muovevano
troppo
velocemente, c'era ancora troppa gente.
Un uomo gli camminò
davanti, in tutta fretta. Lo guardò e studiò il
suo vestito
elegante, la ventiquattrore in pelle stretta in una mano.
Sembrava
un uomo importante. Questi si allontanò velocemente, come se
volesse
scomparire il prima possibile da quel posto.
Premette una mano
sulla cimice al suo orecchio -Ce l'ho.- disse, prima di seguire, con
discrezione, il suo obiettivo.
-Sulu, che sta facendo?- urlò Jim
-Il nostro nemico è dall'altra parte, non si allontani di
lì.-
Il
ragazzo notò che l'uomo camminava in modo bizzarro, come se
non
fosse a proprio agio nei suoi abiti, come se non fosse adatto a quel
corpo.
-Capitano, quegli esseri si muovono velocemente, non
è
così? Le nostre tecnologie li individuano con un ampio
ritardo. Il
nostro obiettivo ha già preso possesso della sua preda.-
spiegò il
tenente.
L'obiettivo dinanzi a lui si voltò, infagottato nel
bell'abito grigio lo squadrò con un'espressione confusa ma
vigile.
Sulu ricambiò lo sguardo e strinse il phaser tra le dita,
pronto
a sparare; fu come se l'altro avesse preso coscienza del pericolo,
perché all'improvviso cominciò a correre
lasciando cadere la
valigetta. Il tenente si accorse dei movimenti goffi dell'uomo, le
gambe tremanti e le braccia allargate ai lati del corpo: non sapeva
correre. Era certo, Sulu, di stare inseguendo la giusta
preda.
-Capitano, segua la mia direzione.- disse più forte,
cominciando a correre.
I due s'inoltrarono in un sentiero
laterale, il viale era costeggiato da entrambi i lati da alberi alti,
che facevano ombra sulla pista in marmo grezzo.
-Fermati!- urlò
Sulu, cacciando il phaser dalla tasca e gettando una rapida occhiata
intorno.
L'uomo deviò verso sinistra, s'infilò tra la
fitta
rete di alberi che costituivano il bosco. Sulu ricordò che
il parco
era stato costruito nei pressi di una foresta, prima di penetrare tra
la fitta vegetazione per seguire l'altro.
I movimenti del suo
obiettivo erano ancora disarticolati, questo gli conferiva un margine
di svantaggio, in quanto non avrebbe potuto correre più
velocemente.
Ma, pensò il tenente, se il corpo umano l'avesse rigettato,
allora
l'altro si sarebbe affrettato a lasciarlo, senza perdere tempo
prezioso.
-Sulu, non possiamo seguirti nella foresta.- urlò
Chekov dall'altra parte del trasmettitore.
-Ce l'ho, ce l'ho!-
ringhiò il giovane, i piedi che parevano non toccare neanche
più il
suolo, si muoveva veloce tra gli alberi, era a soli pochi metri
dall'obiettivo.
Allungò il braccio e mirò alla schiena ma
quando sparò l'uomo fu veloce a deviare a destra, il laser
lo
mancò.
Il tenente lo maledisse, a denti stretti.
Arrivarono
in una piccola radura dove faceva la sua comparsa un piccolo lago,
sulle sue sponde c'era ancora molta gente, data l'ora di
punta.
L'uomo continuò a correre, poi lo vide illuminarsi.
Stava
per fluire in un altro corpo, capì Sulu, allora non perse
tempo e
fece fuoco mirando alle gambe.
Il laser riuscì a colpirlo ma
allo stesso tempo qualcuno, poco lontano, urlò dalla paura.
Sulu agì
velocemente, non doveva farsi riconoscere e ancor meno poteva
permettersi di lasciare incustodito il nemico.
-Chiamate la
polizia.- disse qualcun altro.
L'uomo cadde ma tentò subito di
mettersi in piedi, il giovane fece fuoco altre due volte, alla
schiena.
Impostò il phaser su stordimento, sparò una terza
volta e l'altro perse del tutto coscienza, cadendo con la faccia
sull'erba umida.
Lo raggiunse, sentì il mormorìo della folla che
si accalcava poco lontano, alcuni erano rimasti a guardare, altri
stavano scappando.
Si alzò il cappuccio della felpa ed estrasse
dalla tasca lo strumento che Scotty aveva costruito, eseguendo gli
ordini dello scienziato Jovenic. Prese tra le mani il collare in
silicone, lo aprì e lo avvicinò, senza perdere
tempo, al collo
dell'uomo incosciente.
Lo chiuse ed inserì il codice di
sicurezza così da sigillarlo -Capitano, le conviene fare in
fretta.
Ci sono persone che hanno visto tutto.- ansimò Sulu,
tirò a sé il
nemico e lo caricò in spalla.
Gemette dalla fatica ma
s'incamminò verso la radura così da allontanarsi
da occhi
indiscreti.
-Sulu su tua sinistra a 5.3 metri c'è sentiero
nascosto. Prosegui per 1 chilometro, arriverai sul retro di una
villa. Saremo lì, ti aspettiamo.- gli indicò
Chekov.
Il tenente
sospirò e camminò più velocemente che
poté.
Sirene della
polizia si avvicinarono al luogo dov'era avvenuto l'incidente e lui
si decise a correre.
S'infilò nel sentiero tortuoso e quasi del
tutto impraticabile. L'uomo pesava sulle sue spalle, per fortuna lo
stordimento sarebbe durato per almeno altre due ore.
Prese un
profondo respiro quando, quasi inciampando, si accorse di essere
arrivato alla fine del sentiero.
-Dove siete?- mormorò senza
fiato.
Un rumore di passi attirò la sua attenzione, qualcuno
urlava poco lontano. Molto probabilmente la polizia era sulle sue
tracce.
Avanzò verso la villa, poi di fronte ad essa scorse
l'auto che Chekov aveva rubato, quella mattina.
-E' troppo
vistosa quest'auto.- si lamentò, arrancando fino ad essa.
L'amico
scese e gli andò incontro, aiutandolo ad adagiare l'uomo
ancora
incosciente sul sedile posteriore della macchina.
-Ben fatto,
Sulu.-
Il tenente guardò il capitano e annuì. Gli occhi
azzurri
di Jim sembrarono volergli dire qualcosa, ma non ci fu bisogno di
parlare. Si erano già detti tutto in sole poche frasi, Sulu
gli
aveva già dichiarato di avere fiducia in lui, di voler
restare sotto
il suo comando.
-Ne usciremo.- mormorò Kirk, di rimando.
Sulu
inarcò un sopracciglio -Questo dipende da come
deciderà di guidare,
signore. Non si offenda, ma credo che le automobili non facciano al
caso suo.-
Jim rise, prima di partire a tutta velocità con una
sgommata.
No, non era decisamente fatto per guidare vecchie
auto, pensò Sulu, dal momento che il suo capitano sembrava
non
capire proprio il concetto di “limite di
velocità”.
Bones guardò il paziente
ancora privo di sensi,
ora disteso sul letto. Lo contemplò a lungo, prima di
rilasciare un
sospiro stanco.
Jim lasciò scivolare la giacca dalle spalle
larghe e l'appese ad una sedia, prima di avvicinarsi all'amico
-Bones, è pronto?-
Il medico lo fissò incerto, poi la sua
espressione mutò e il suo volto ritornò ad essere
la solita
maschera corrucciata -Non mi piace questa situazione, non mi piace
neanche un po'. E avete creato un bel casino in quel parco.-
Il
capitano alzò le spalle -Non avevamo molta scelta, questo
è solo
uno dei pesci piccoli, dobbiamo capire se
l'esperimento
funziona.-
Leonard annuì distrattamente -Proprio perché
è un
pesce piccolo non c'era bisogno di inscenare tutto quel trambusto.
Dannazione, sembrava la riproduzione terrestre dei giochi olimpici di
Andor.-
L'altro rise -Ti prego, quei giochi sono epici.-
-Sono
stupidi, Jim. Ma comunque... ora ho altro da fare.-
Spock
entrò silenziosamente nella stanza fermandosi alle spalle
del
capitano. Il dottore gli rivolse lo sguardo -Lei non ha altro da fare
che stare qui?-
Jim si voltò verso il primo ufficiale e per solo
pochi secondi i loro occhi s'incontrarono, ma Spock si rivolse subito
a McCoy -In quanto ufficiale scientifico ritengo che la mia presenza
sia utile al fine di svolgere al meglio l'esperimento, dottore. Sono
certo che le mie conoscenze scientifiche saranno utili per
l'operazione.-
McCoy roteò gli occhi al cielo -Se avessero
voluto che ad operare ci fosse uno scienziato, penso che ce ne
avrebbero inviato uno.-
-Inesatto, dottore. Essendo, il comando
di flotta, al corrente della mia presenza a bordo della nave e delle
mie capacità, deduco che abbia ritenuto di poca
utilità inviare
altri scienziati.-
Jim sorrise e abbassò il capo -Mi chiedo se
riuscirete a lavorare per più di due secondi insieme, senza
saltarvi
alla gola.-
Il medico borbottò, ma lo sguardo di Spock
ritornò
sul capitano -Non vedo perché dovrei 'saltare alla gola' del
dottore, dal momento che è necessario per il nostro
esperimento.
Inoltre i vulcaniani non saltano al... -
-Spock- lo richiamò
Jim, avvicinandosi di qualche passo -era solo un modo di dire.-
Il
vulcaniano s'impedì di soffermarsi sulle labbra del capitano
e sul
suo sorriso leggero, ma per niente sereno. Jim era teso, nervoso e
questo Spock poteva percepirlo da una semplice osservazione esterna;
niente a che fare con le sue capacità telepatiche. Era
palese.
-Capitano le chiedo il permesso di poter restare per
supervisionare l'operazione del dottor McCoy.-
Il suddetto
dottore grugnì il suo disappunto e si voltò a
controllare il
collare ancora chiuso sul collo dell'uomo.
-Diavolo dal sangue
verde.- borbottò tra sé e
sé.
Jim sospirò e annuì
-Permesso accordato. Portatemi dei risultati, il prima possibile.
Abbiamo bisogno di agire in fretta e fermare i nostri veri nemici.-
Spock annuì una sola volta, poi si avvicinò
lentamente al
lettino.
Jim sperò che le cose andassero per il meglio e che il
suo medico e il primo ufficiale non si scannassero prima della fine
della missione.
. . .
Lena camminò fino a raggiungere
Sulu seduto di fronte
agli schermi. Il timoniere stava supervisionando gli spostamenti dei
quattro obiettivi principali; riuscire a prendere uno dei nemici meno
nocivi non era stato facile, così stava chiedendosi come
avrebbero
fatto a prendere gli altri. I potenti.
-Non hanno ancora
preso possesso di nessun corpo.- la voce della donna riempì
il
silenzio.
Sulu si voltò a guardarla, poi ritornò ai puntini
luminosi che lampeggiavano dinanzi a lui -Come fai a saperlo? Non hai
detto che ti avevano tagliata fuori?-
Lei gli si sedette accanto,
il vestito si ritirò un po' più su lasciando
scoperte le gambe
magre e lunghe -Faccio parte di loro, ne ho sempre
un minimo
sentore. Se il dottore non farà in fretta loro agiranno, e
quando
avranno iniziato a prendere possesso dei corpi non si fermeranno.-
Il ragazzo si soffermò sul volto di lei, familiare ma allo
stesso tempo alieno. La sua espressione era triste, combattuta.
Si
chiese se non avesse sbagliato a giudicarla, ma la sua mente
continuava a suggerirgli che quello era un nemico, che aveva ucciso,
e che non aveva avuto pietà.
Perché avrebbe dovuto averne
lui?
-Cosa ti ha portato a spingerti tanto lontano? Perché vuoi
tradirli?-
Lena chiuse gli occhi e un sospiro tremulo lasciò le
sue labbra -Io non voglio tradirli. Faccio parte di loro, io sono
come loro. Non voglio tradirli, no.- giorcherellò con il
bordo della
veste facendo scorrere le dita sul raso nero -Volevo solo una
possibilità. Volevo vivere in pace, così come lo
vogliono loro;
però poi ho incontrato il tuo capitano. James Tiberius Kirk.
L'ho
visto attraverso i ricordi di Spock, l'ho guardato negli occhi quando
si è spinto nella sua mente, per salvarlo... -
Rimasero in
silenzio per alcuni secondi, i puntini luminosi continuavano a
muoversi sulla mappa della città.
-Ho sentito le emozioni
di Spock verso il suo capitano e... ho capito di voler provare
anch'io tutto quello. Volevo Kirk, volevo avere una
possibilità al
suo fianco, volevo servirlo.-
Sulu sorrise scettico -Il signor
Spock che prova emozioni? Per il capitano Kirk?-
La ragazza
l'osservò incuriosito -Evidentemente non conoscete come
dovreste i
vostri superiori. Ci sono davvero cose che non sapete riguardo Spock
e riguardo Jim.-
Chekov entrò nella stanza portando tra le mani
una ciotola di frutta, osservò confuso i due, poi si
schiarì la
voce -Non volevo disturbare.-
Sulu scosse il capo -Nessun
disturbo, cos'è quello?-
Il ragazzo sorrise -Frutta. Ho pensato
che avevi fame, io sì.- camminò verso la
scrivania e poggiò sopra
la ciotola.
Lena si passò una mano tra i capelli, fece scorrere
le dita tra di essi -Penso che dobbiate davvero molto a Jim.- gli
altri due si voltarono a guardarla.
-Gli ho fatto un'offerta che
non poteva rifiutare. Gli ho detto che se mi avesse accettata allora
io avrei allontanato i Ma'Toi dalla vostra nave e vi avrei salvati
tutti. E' un buon capitano, lo sapete meglio di quanto possa saperne
io. Darebbe la vita per il suo equipaggio, non ne ho dubbi.-
Chekov
abbassò il capo, le parole di Lena erano vere ma... Uhura...
-Noi
non dubitiamo di capitano Kirk.- disse -Abbiamo fiducia.-
Lena si
alzò, li guardò con un'espressione severa -Non
sono brava a
trattare con gli esseri umani, forse perché non mi hanno mai
accettata sin dalla mia nascita in uno stupido
laboratorio
scientifico. L'unico metodo che possiedo sono le minacce, e non
cambierò ora.- portò una mano tra i capelli neri
di Sulu, ancora
seduto accanto a lei, -Signori, voi che siete sbarcati su questo
pianeta siete gli unici a sapere quello che il capitano ha fatto, e a
sapere chi sono io. Mi auguro che nei vostri
rapporti, quando
tornerete sulla nave, non ci sia alcuna menzione di tutto questo... o
sarò costretta ad agire. E per voi non
sarebbe piacevole
vedermi in azione.- disse, li fissò ancora entrambi, poi
uscì
velocemente.
7 ore dopo
McCoy e Spock uscirono dalla stanza nella
quale erano
stati rinchiusi per quasi 7 ore. Entrambi non si erano fatti vivi da
quando il capitano li aveva lasciati e non avevano permesso a nessuno
di entrare.
Lo sguardo del dottore dichiarava palesemente la sua
stanchezza e tutto lo stress accumulatosi in quelle rughe che gli
contornavano gli occhi, mentre Spock camminava rigido e con il volto
severo come il suo solito.
Jim li notò e si alzò dalla sedia,
allontanandosi dagli schermi che aveva monitorato per tutto il tempo.
-Allora? Com'è andata?- chiese, senza perdere tempo.
-Bentrovato anche a lei, capitano.- grugnì il dottore e lo
sorprassò per dirigersi verso la cucina.
Il capitano non lo
rimproverò per i suoi modi burberi, poteva solo immaginare
la
difficoltà di una tale operazione.
-Dove sono i signori Chekov e
Sulu?- chiese il vulcaniano, rimasto immobile di fronte a lui.
Jim
sospirò e si portò una mano dietro il collo, gli
faceva male dopo
tutto il tempo rimasto chino verso i monitor.
-Sono usciti quasi
tre ore fa, li ho inviati a tenere d'occhio più da vicino la
situazione. Anche Lena è uscita, io sto monitorando il
quarto
obiettivo rimasto scoperto.- spiegò velocemente.
Spock annuì,
poi tra loro calò di nuovo il silenzio.
Jim fissò a lungo il
primo ufficiale poi gli si avvicinò e portò una
mano sulla sua
spalla -Spock, com'è andato l'esperimento?-
-Ma non c'è niente
da bere, in questo schifo di posto?- urlò accigliato McCoy,
ritornando dalla cucina -Niente che non sia più forte di...
- lesse
l'etichetta della bottiglia che teneva in una mano -... un succo alla
pera e banana? Seriamente? Che io sia dannato.-
Il capitano restò
immobile, lo sguardo confuso sul suo migliore amico ed ufficiale
medico; percepì la tensione salire sempre più,
fin quando l'altro
abbandonò la bottiglia su uno scaffale.
-Devo uscire a prendere
una boccata d'aria.- dichiarò il dottore.
-Bones dove...- Jim fu
frenato dall'altro che alzò una mano nella sua direzione.
-Se
vuole sapere dell'esperimento chieda allo scienziato,
perché
io sono un dottore. Un dottore, Jim. Io salvo
vite.- chiuse
irritato, per poi scomparire verso l'uscio.
La porta sbatté alle
sue spalle e il rumore secco riecheggiò nell'appartamento in
cui ora
erano rimasti solo il capitano e il suo vice.
-Spock... - Jim non
si era accorto della mano ancora ferma sulla spalla dell'altro
-...che diavolo è successo lì dentro?-
Il vulcaniano non parlò
subito, impiegò alcuni secondi per mettere insieme le
informazioni.
-L'uomo che è stato catturato oggi dal signor Sulu
è perito, capitano.- lo informò prontamente -Il
processo di
scissione delle entità è molto complesso e, in
base ai dati
analizzati, se non si opera entro un margine di 4.8 minuti,
è
impossibile riuscire a procedere con l'eliminazione del parassita dal
corpo umano.-
Jim restò in silenzio, mentre una nota di
delusione risuonava dentro il suo petto. Aspettò che il suo
vice
continuasse.
-Quindi non è stato possibile, nonostante vari
tentativi, riuscire a raggiungere un risultato soddisfacente.-
concluse questi, alzando il capo e spostando lo sguardo verso la
parete di fronte.
Il capitano si allontanò da lui e si portò
una mano sul volto, voltandogli le spalle. Ora capiva l'irritazione
del dottore, poteva comprendere la sua frustrazione.
Io salvo
vite. E in quel giorno lui non ne era stato capace.
-In un
lasso di tempo di 4.8 minuti, ha detto?- mormorò a bassa
voce, e il
silenzio dietro di sé gli fece pensare che Spock fosse
andato via.
Si voltò e lo vide con il capo basso e gli occhi chiusi
-Spock?-
chiese.
L'altro non si mosse, rimase con lo sguardo chino; Jim
notò il tremore nelle mani dell'amico e il respiro
accelerato anche
se appena percettibile.
Gli si avvicinò di nuovo e l'osservò
confuso -Che succede?- la sua voce era solo un sussurro, ora.
Il
vulcaniano scosse il capo e si ricompose -Ho dovuto effettuare
più
di una connessione mentale con il soggetto studiato e con
l'entità
che ne aveva preso il sopravvento. Sono certo che questo abbia
influito sul mio fisico, stancandolo più di quanto avessi
immaginato.-
La voce di Spock era fiacca, si accorse Jim, il suo
tono era meno deciso delle altre volte, e a guardarlo meglio, molto
del suo aspetto dimostrava che qualcosa lo aveva turbato e forse non
solo fisicamente.
-Vada a riposare, mi serve che lei stia bene.
Non può crollare in un momento del genere, o... -
Crollerò
anch'io.
Gli occhi scuri di Spock si sollevarono e si
posarono su di lui studiandolo per un tempo indefinito, in
quell'espressione Jim riuscì a scorgere confusione,
bisogno...
bisogno di capire.
-Sono certo... - mormorò il primo
ufficiale, senza distogliere lo sguardo -... che poche ore di
meditazione saranno utili per riordinare la mia mente, signore.-
Lo
sguardo del vulcaniano era in netto contrasto con le distanze che le
sue parole avevano preso, da Jim. Il capitano riconosceva quella luce
che aveva visto solo poche volte: nel momento in cui Spock aveva
tentato di soffocarlo sul ponte di comando e quando aveva incontrato
la sua parte umana durante la prima fusione mentale tra loro.
Si
rese conto che, in quel preciso istante, nonostante l'altro stesse in
tutti i modi tentando di frenare le sue emozioni, queste stavano
prendendo il sopravvento e lo stavano confondendo con la potenza di
un cataclisma.
-Posso fare qualcosa. So che posso... mi dica solo
quello che le serve.- sussurrò Jim e gli si
avvicinò di nuovo, fino
a che i loro volti non ritornarono ad essere vicini. Una distanza
imbarazzante, li divideva, ma nessuno dei due parve farci caso.
-Mi
dica cosa posso fare per non farla cadere.-
Spock continuò ad
osservare gli occhi azzurri dell'altro, scoprì che quel
colore
chiaro era quasi ipnotico, per lui. Rilassante, come lo era stato il
suono delle bufere di sabbia su Vulcano.
Aveva ripetuto la
fusione mentale con l'oggetto studiato per 7.5 volte, l'ultima volta
era rimasta incompleta, quando l'uomo era morto e con esso l'essere
rimasto intrappolato dal collare in silicone; si era scontrato con le
emozioni umane più feroci: la devastante paura, confusione,
rassegnazione. Aveva sentito rabbia, provato un'ira
che non
gli apparteneva, ma che era fluita in lui da quei due esseri. E poi
c'era stato quell'attimo prima della morte in cui il dolore
dell'umano e della presenza aliena si era fuso, era diventato un
tutt'uno. La sofferenza per non aver potuto vivere di più,
per non
aver vissuto in meglio. L'uomo aveva ricordato la
lite con la
moglie, quella stessa mattina, prima di uscire da casa. Nell'attimo
prima dell'oblio si era pentito, e aveva pensato che sì,
l'aveva
amata davvero, e non avrebbe potuto più dirglielo.
Poi il nemico
che aveva provato il dolore per non aver avuto una
possibilità, era
stato creato e poi dopo solo poco tempo era arrivata la minaccia di
distruzione da parte dei suoi stessi creatori. Aveva pensato di
essere come un neonato rifiutato dai suoi stessi genitori.
Spock
aveva provato tutto quello, aveva sentito le
emozioni più
contrastanti e folli, e gli erano entrate dentro e sopraffatto.
Perché la sua logica, il suo raziocinio e la sua psiche non
avevano
retto; tutto, in lui, era ceduto e si era ritrovato naufrago in un
mare di sentimenti che aveva sempre represso, e che ora non
comprendeva.
Jim allungò le mani sulle sue braccia, le
accarezzò
lentamente senza distogliere lo sguardo dal suo -Spock... -
sussurrò
di nuovo.
Il vulcaniano sapeva che la sua razionalità stava
intebolendosi, il fattore umano in lui stava reagendo a tutti quei
sentimenti.
Capì di stare... soffrendo.
-Capitano in
questo momento non sono nel pieno delle mie facoltà fisiche
e
psichiche.- confidò all'altro, senza scostarsi dal suo tocco
o
smettere di bere da quegli occhi di cristallo -Non riesco a
riconoscere le emozioni che ho provato con la fusione mentale, hanno
destabilizzato la mia mente.-
Jim sorrise, ma quel gesto non
voleva trasmettere gioia alcuna, solo... sicurezza, conforto.
-Non
è abituato ai sentimenti, non è così?-
Spock annuì -Se
riuscissi a riconoscerli, classificarli. Forse saprei come
sopprimerli.-
Il vulcaniano notò il suo superiore avvicinarsi
ancora di più, i loro volti erano ormai troppo vicini, i
loro
respiri s'intrecciavano.
Kirk poggiò la fronte contro quella di
Spock mantenendo il contatto visivo -Posso provare a classificarli
per lei. Posso farglieli vedere, così che potrebbe
riconoscerli.-
Il vulcaniano capì a cosa stava riferendosi l'altro, ma
tentennò
-Non so quale effetto potrebbe avere la fusione su di lei, dopo
quello che le ha lasciato l'ambasciatore Spock.-
Spock non gli
raccontò del fatto che prima d'allora era già
entrato nella sua
mente, ma era stato per reprimere un dolore e il collegamento tra
loro era durato per poco. E anche solo in quei pochi attimi aveva
potuto carpire i molti sentimenti che affliggevano il suo capitano.
La solitudine, prima di tutte. Ma ora sarebbe stato
diverso.
Ora sarebbe stata un'intrusione in qualcosa di più
intimo.
-Lo faccia.- gli ordinò Jim, chiudendo gli occhi.
Aspettò solo alcuni secondi, prima che un braccio di Spock
si
muovesse e le sue dita si posassero intorno all'occhio sinistro. Il
punto di contatto.
-La sua mente si unirà con la mia.- mormorò
Spock, chiudendo gli occhi a sua volta e concentrandosi per
permettere il contatto tra di loro.
Percepì la pelle di Jim
sotto i suoi polpastrelli, la temperatura corporea del capitano era
di alcuni gradi più bassa della sua... ma non era
spiacevole. La
palpebra tremava, le dita sfioravano il volto liscio dell'umano, era
una sensazione piacevole.
Piacevole. Poche volte, Spock,
si era soffermato a pensare su cosa gli piacesse e cosa lo facesse
sentire bene. Era stato abituato a ricercare l'utilità
più che il
piacere.
Ma aveva sempre mentito a se stesso, si accorse: Nyota
non era utile, per lui. Allora perché aveva intrapreso una
relazione
sentimentale con lei?
Sentì che il contatto tra le menti
diventava più forte, la sua ragione scivolava via e si
protendeva
verso il capitano; inspiegabilmente fu facile entrare dentro di lui,
perdersi nel calore della sua psiche, della sua anima.
Il
contatto crebbe, le loro menti s'intrecciarono come abbracciandosi
disperatamente per non cadere. Cadere. Stavano
precipitando
entrambi e le cause erano le stesse: i sentimenti.
Jim ansimò,
il suo corpo si premette contro quello di Spock, inconsciamente.
-Spock? E' qui... - la voce del capitano
risuonò tra di
loro, nella loro connessione. I loro corpi si strinsero lentamente.
-Sono qui.- rispose il vice, la voce
rimbombò nel loro
contatto.
Era tutto buio, tra di loro, non c'erano luci o
immagini... solo un'oscurità feroce e profonda. Ma
inspiegabilmente
calda e confortevole.
-Riesco a sentirla. Percepisco quello
che sta provando.- gli sussurrò Jim. Poteva, una
mente,
sussurrare?
Quella del capitano poteva, e lo faceva perché quel
contatto non aveva bisogno di parole. Era tutto già
spiegato, i
sentimenti, le emozioni che entrambi stavano provando.
Spock
tentò di occultare le emozioni che gli erano rimaste
impresse dalla
fusione con il nemico e l'uomo di cui questi aveva preso possesso.
Non voleva turbare l'altro.
-Non le nasconda... me le faccia
vedere.-
Il vulcaniano tentennò, poi decise di lasciarsi
andare e permettere che tutte le emozioni fluissero attraverso la
fusione.
Il buio fu soppresso dalla forza delle immagini che
Spock aveva visto nella mente dell'uomo. La lite tra marito e moglie,
la donna bionda che piangeva, le mani strette intorno al tavolo su
cui era ancora poggiata la colazione, che nessuno aveva consumato.
Urlava, la donna, le lacrime le cadevano dalle guance mentre
diceva a suo marito di non poter più andare avanti, di non
capirlo
più.
-A che punto è il nostro matrimonio? Sei diventato un
estraneo, ormai.- aveva sussurrato con la voce rotta.
E lui le
aveva detto di andare al diavolo, di non volerla più vedere,
prima
di prendere la sua cartella e uscire da casa. Una casa a cui non
sarebbe più tornato.
-C'è questo peso, che ho sentito in
lui. Per un attimo il mio sistema respiratorio ha smesso di
funzionare correttamente.- spiegò Spock.
Le braccia di Jim
lo strinsero più forte, poi la sua mente sembrò
volerlo accarezzare
in profondità, in un luogo più intimo e nascosto:
proprio lì, nel
suo Katra.
-Si chiama rimorso. Quando ti penti per
qualcosa che hai fatto ma che non avevi intenzione di fare. O quando
avresti voluto fare qualcosa che
non hai fatto.-
La
voce di Jim rimbombava dolcemente tra di loro, ma Spock era ancora
confuso.
-E' illogico. Perché si dovrebbe commettere
un'azione se non se ne ha l'intenzione?-
Le braccia del
capitano accarezzarono lentamente la schiena del suo vice, la mano
che stringeva la camicia bianca, aderente al corpo alieno.
Jim
pensò a come rispondere, nel calore della loro connessione
cercò le
parole adatte a quella domanda... ma non le trovò.
Allora capì
che non poteva spiegare in quel modo, le emozioni; non c'era altro
modo se non mostrarle all'altro, e per farlo avrebbe dovuto aprirsi
completamente.
Ma Spock era confuso e quel non comprendere le
emozioni che lo avevano aggredito, lo faceva stare male...
Allora
altre immagini presero vita nelle loro menti, altre figure, ma il
sentimento che veleggiava nell'aria era lo stesso.
-Che intendi
fare? Non ti rendi conto del tuo comportamento infantile?- una donna
bionda parlava attraverso un messaggio olografico. I suoi capelli le
cadevano sulle spalle come morbide onde dorate, i suoi occhi azzurri
erano pieni di nostalgia e dolore.
-Infantile, io? Parliamo di te
che te ne scappi nello spazio lasciandomi con quel coglione di Frank
perché... oh, perché ancora speri di poterci
trovare lui.
Che è morto.-
Una versione più giovane di Jim parlava con la
donna, le sue mani erano raccolte in due pugni ai lati del corpo.
Stava trattenendo la rabbia, ma non ci riusciva così bene.
-Non
permetterti, James.-
-Lui è morto, mamma. E non tornerà, Sam
è
andato via e tu non c'eri, avresti dovuto fermarlo ma tu non c'eri.-
e c'era dolore, ira... sentimenti radicati nel profondo che ora si
scavavano una strada attraverso le sue parole. C'era la mancanza di
qualcosa; un ragazzo che non aveva conosciuto i suoi genitori.
-Il
mese scorso è stato il mio compleanno e tu non mi hai
chiamato. Non
l'hai mai fatto, e quelle poche volte che eri qui non mi guardavi
neppure.-
-James, smettila... -
Ma lui non smise, e urlò -Io
ti odio! Tu non sei mia madre, ma un'estranea. Non sei niente per me,
non sei mai esistita... sei solo un fantasma.- si protrasse verso il
trasmettitore per chiudere la conversazione.
-Non farlo... - lo
pregò lei, gli occhi pieni di lacrime.
-Tu sei morta, per me.
Sei morta quello stesso giorno in cui morì lui.- disse
freddo Jim,
per poi chiudere la conversazione.
Cadde il silenzio, nelle loro
menti, il buio ritornò di nuovo, silenzioso e pesante.
-Era
sua madre.- non era una domanda, ma una semplice
constatazione. E
la voce di Spock calmò il capitano la cui
stabilità tremava.
-Non
avrei voluto dirglielo. Non avrei dovuto. Io l'amo... -
Quello
era il rimorso, un rimorso che aveva tormentato il capitano per anni
e che ancora oggi non faceva altro che assillarlo.
-Se non
intendeva dire quelle parole, perché lo ha fatto?-
Gli occhi
chiusi di Jim rilasciarono una lacrima che scivolò verso i
polpastrelli di Spock, ancora fermi sul suo viso.
-Perché
provavo rabbia, mi sentivo solo. Lei mi aveva abbandonato per
inseguire il ricordo di mio padre.-
La tristezza di Jim gli
ricordò quella dello stesso uomo con cui si era fuso
mentalmente.
Allora automaticamente un altro ricordo prese vita, illuminando il
buio.
-Cosa vuoi, Jimmy?- la voce rauca di un uomo si scontrò
contro un giovane bambino dai capelli biondi.
Una raffica di
paura e disperazione attraversò il contatto tra i due.
-Non
voglio che mio fratello vada via.- rispose il giovane, spostandosi di
lato per guardare un terzo ragazzo, che l'osservava dispiaciuto.
Stava partendo, se ne stava andando.
Jim singhiozzò contro le
dita di Spock, il suo pianto riecheggiò nelle loro menti.
-Non
importa cosa vuoi. Tu non sei nessuno.- gli sputò contro,
l'uomo. Il
ragazzo lo guardò abbattuto, tutta la rabbia e la tristezza
lottavano per fuoriuscire ma lui le frenava... come aveva sempre
fatto -E ti ho detto di lavare la macchina.-
-In quel
momento... - Jim interruppe la visione, parlò
tristemente -...
mi sono davvero sentito come se non fossi nessuno. Né per
Frank, né
per Sam, né per mia madre. Avrei potuto essere qualcuno per
mio
padre, ma lui non c'era... lui non c'è mai stato.-
Ed eccola,
come se fosse stata chiamata in causa, ecco che la solitudine di
James Tiberius Kirk veniva a galla. La stessa sensazione che Spock
aveva percepito in lui sin dal primo momento in cui l'aveva visto. La
stessa devastante emozione che accompagnava il suo capitano sin dalla
sua infanzia e che aveva percepito con maggiore intensità
quando
Johna gli aveva offerto amore.
Kirk aveva bisogno di amore, aveva
bisogno di essere qualcuno, di essere importante.
-Lei
è il capitano dell'Enterprise. E' importante per tutto
l'equipaggio.-
Ma la solitudine di Jim non poteva essere
placata con qualche frase consolatoria, seppur vera.
-Paura,
Spock. Lei conosce la paura, non è così? E' il
più forte tra i
sentimenti che oggi l'hanno aggredita.-
Jim cambiò discorso,
ma Spock continuò a seguirlo in quel viaggio alla scoperta
dei
sentimenti.
Paura.
Ora il ricordo che prese vita apparteneva
a Spock, stava correndo verso la sede del consiglio... Vulcano stava
per scomparire.
-Madre!- urlò, entrando nella caverna dove i
saggi si erano riuniti.
-Dobbiamo evacuare il pianeta, sta per
essere distrutto!- il suono delle rocce che cadevano e della terra
che tremava produsse un brivido nel suo petto.
Quando prese la
mano di sua madre, il brivido s'intensificò e
gl'incendiò la mente.
-Paura di perderla, ecco cos'era. Timore di non farcela.-
-Però alla fine non sono riuscito a trarla in salvo.-
rispose Spock, mentre un'altro brivido gli attraversava la mente e si
propagò anche in Jim.
-La colpa non è sua... -
-Avrei
dovuto agire prima, scendere sulla superficie... -
Gli occhi
di Amanda li guardarono attraverso il ricordo, l'ultimo sguardo prima
dell'oblio.
-Ha fatto quello che ha potuto. Noi non siamo
infallibili.-
Le labbra di Kirk si avvicinarono,
inconsciamente a quelle di Spock.
Nell'incoscienza della fusione
mentale, i loro corpi erano guidati dal puro istinto, dalla ricerca
di quel calore e intimità che le loro menti stavano trovando
l'una
nell'altra.
Si respirarono l'uno con l'altro, le loro bocche ad
una distanza infinitesimale e il cuore di Jim che galoppava
velocemente nel petto. Spock portò il braccio libero, che
cingeva la
schiena del capitano, verso il centro del suo addome.
Risalì, con la
punta delle dita, la camicia azzurra, assaggiò il petto
muscoloso
coperto dalla sottile patina di stoffa. Piantò i
polpastrelli lì
dove il cuore pulsava velocemente, e lo sentì correre
selvaggiamente.
-I sentimenti non sono sempre qualcosa di
negativo... - gli disse Jim, la mente che pulsava in
sincrono con
la sua -... lei non riesce a riconoscerli, perché
li ha sempre
soppressi. Ma a volte, Spock, sono la cosa più pura che
esista. Il
regalo più grande per un essere vivente.-
Il
vulcaniano sospirò tra le labbra e Kirk azzerò la
distanza e poggiò
le labbra sulle sue. Il calore che si riverberò al contatto,
incendiò le loro menti; queste vorticarono su loro stesse,
si
unirono più quanto fosse avvenuto prima e una sequela di
immagini
presero vita, le une dietro le altre, senza lasciare loro il tempo di
capire.
Videro ricordi che non appartenevano a nessuno dei due,
memorie di Kirk e Spock registrate da un vulcaniano di un altro
tempo, di un altro universo. Erano i ricordi che l'ambasciatore aveva
lasciato penetrare dentro Jim durante la loro fusione mentale.
Videro l'Enterprise, bella come non mai, la plancia era più
piccola di quella in cui loro si giostravano giorno dopo giorno; Kirk
(più grande e con qualche piccola ruga intorno agli occhi)
osservava
Spock con un sorrisino compiaciuto -Irritato, Spock?- gli aveva
chiesto.
Spock aveva provato un calore indefinito dentro di sé,
si era perso per alcuni secondi in quegli occhi nocciola (nocciola, quel
Jim Kirk aveva un diverso colore degli occhi) e, con la solita,
inconsapevole arroganza gli aveva detto -L'irritazione mi è
sconosciuta.- ma Jim aveva riso. Il suo Kirk lo
comprendeva
sempre.
Un altro ricordo si susseguì al primo, Spock stava
correndo verso una vecchia auto d'epoca, i loro abiti erano
differenti dalle divise della flotta stellare.
-Ma... dobbiamo
proprio?- chiese Spock, fermandosi a guardare l'auto. Kirk si
voltò
verso di lui, il cappello bianco che faceva ombra sui suoi begli occhi -Perché? Preferisce andare a piedi? Ha paura
dell'auto?-
c'era una nota d'ironia nella sua voce.
-Affatto, capitano.-
rispose il vulcaniano, rilasciando un piccolo sospiro frustrato -E'
la sua guida che mi preoccupa.-
Kirk tentò di frenare un
sorriso, aggrottò le sopracciglia fingendosi offeso -Ah,
ormai ci ho
fatto la mano. Su, andiamo.- poggiò una mano sulla sua
spalla, prima
di riprendere l'avanzata verso il trasporto.
Nel momento in cui
l'auto partiva, frenando dopo solo pochi metri, Spock guardò
il
capitano ma non disse nulla... perché al volante di quella
macchina
era semplicemente bellissimo.
Un'altro ricordo, un altro
momento... erano su Vulcano, nell'antico tempio per la cerimonia
nuziale. Poco lontano c'erano T'Pring, T'Pau e McCoy a guardarli.
Lo
Spock del ricordo stava lottando contro Jim, tutto il fuoco del pon
farr lo avviluppava e lo rendeva schiavo di una ferocia selvaggia che
solo i vulcaniani prima di Surak avevano provato. Nel momento in cui
Spock uccideva il suo capitano stringendo corde bianche al suo collo,
però, tutto il fuoco si era ritratto su se stesso e lui
aveva
provato solo un grande senso di vuoto, desolazione... dolore.
Aveva ucciso il suo capitano, Spock pensò che
niente avesse più
senso.
-Basta... basta... - ansimò Jim tra i
ricordi che
si rincorrevano, le sue braccia circondarono il collo di Spock, le
labbra premute contro le sue.
Il ricordo che arrivò dopo, li
devastò entrambi. McCoy stava parlando con l'altro Spock, i
suoi
occhi rassegnati e le sue parole più dure di quanto
immaginasse,
perché il dottore a volte sembrava dimenticare che anche il
vulcaniano aveva sentimenti -Lei non capisce, Spock, vero? Vede, mi
dispiace più per lei che per il capitano, perché
lei non saprà mai
ciò che l'amore può fare ad un uomo. L'estasi, i
dolori, le regole
infrante, le possibilità disperate. I fallimenti gloriosi e
le
gloriose vittorie, Tutte queste cose che lei non conoscerà
mai
semplicemente perché la parola amore non
è scritta nel suo
libro. Buonanotte, Spock.-
Lo Spock del ricordo ricambiò la
buonanotte, poi il dottore si voltò verso il capitano che si
era
addormentato sulla scrivania, con la testa nascosta tra le braccia
conserte.
-Vorrei che potesse dimenticarla.- detto questo, McCoy
uscì.
Spock restò solo, dentro di lui si ripetevano le parole
del dottore... e sentiva un sapore amaro al ricordo di quello che gli
era stato detto.
Si voltò verso il capitano e sentì qualcosa
aggrovigliarsi ai polmoni, mozzargli il respiro... “la
parola
amore non è scritta nel suo libro”.
Tante volte aveva provato
a reprimere le sue emozioni e altrettante aveva tentato di ricordare
agli altri che lui non era insensibile. La sua logica non significava
freddezza, non era un essere privo di sentimenti. No.
Camminò
verso il capitano, questi stava soffrendo per un amore che non aveva
potuto avere. E si chiese se mai Jim avrebbe guardato lui
così come
aveva guardato Rayna.
Si chinò su di lui e portò i polpastrelli
sul punto di contatto con la sua mente, proprio sulla palpebra
sinistra. Il dolore di Jim entrò in lui, mischiandosi con la
stessa
tristezza di Spock.
Aveva visto Jim con molte donne, in quei
trascorsi tre anni di missione e amicizia, l'aveva visto gioire e
soffrire molte volte... e tutte le volte si era sentito a disagio. Ma
non aveva mai chiesto il perché a se stesso.
Ora capiva... ora
capiva.
Si fuse mentalmente con il capitano, raccolse tutti i
ricordi di Rayna -Dimentica... - sussurrò.
E non si accorse del
cuore che aveva cominciato a pulsare più velocemente, del
calore
dentro la sua mente... non si accorse della tristezza che lo
costrinse ad abbassare le palpebre e a lasciar andare un sospiro
tremulo.
Non si rese conto del fatto che lui amava, e che amava
il suo capitano.
Jim gemette contro le labbra di Spock, ma il
peso della connessione era elevato, lo stesso vulcaniano non riusciva
più a reggere tutti quei sentimenti, tutte le informazioni;
scostò
la mano dalle palpebre di Jim e separò le loro coscienze.
Il
capitano si staccò da lui, senza allontanarsi, si
aggrappò al suo
collo e respirò furiosamente come se fosse appena riemerso
dall'apnea.
Si guardarono di nuovo, Spock sembrava turbato,
sconvolto come Jim non lo aveva mai visto: i suoi occhi neri avevano
una luce nuova, una consapevolezza che veleggiava in loro.
-Lui
lo amava... - sussurrò Jim, a pochi centimetri da lui -...
lo amava
e non gliel'ha mai detto.-
Spock non si mosse, continuò a
fissarlo.
-Lo considerava il suo... - cominciò il vulcaniano,
poi si frenò.
-Cosa?-
T'hy'la. Una semplice parola,
un peso così grande... immenso.
Ma era una leggenda, solo un
legame tra guerrieri che su Vulcano non esisteva più.
-Cosa?-
insistette Jim.
Spock continuò a non rispondere, rimasero
stretti l'uno all'altro, si sorressero per non cadere.
-Non
avremmo dovuto permettere alle nostre menti di connettersi con i
ricordi dell'ambasciatore. Potrebbero cambiare il nostro futuro,
condizionare le nostre scelte.-
Jim percepì un senso di paura
dentro di sé, attraverso il contatto di pelle contro pelle
questa
sensazione fluì anche in Spock -Cosa intende con questo?-
C'erano
troppe frasi a metà, troppe risposte non date. Jim si
azzardò a
farsi di nuovo avanti, poggiò di nuovo le labbra su quelle
del suo
vice. Il piacere che derivò dal contatto sconvolse entrambi,
il
capitano aprì la bocca e accarezzò la pelle
dell'altro con la sua
lingua.
Spock aprì la bocca, lo lasciò entrare.
Non seppero
quanto rimasero stretti l'uno all'altro, quanto il bacio
durò...
erano solo loro, sconvolti dai ricordi di un passato e un futuro che
probabilmente, per loro, non sarebbe mai arrivato. Si aggrapparono
l'uno all'altro, perché in quel singolo istante erano tutto
ciò che
avevano.
. . .
Il giorno dopo erano di nuovo tutti riuniti
nella
piccola cucina dell'appartamento. Il tavolo mancava e loro sedevano
in cerchio. Jim li fissava uno ad uno, ma evitava di guardare Spock.
La sera prima si erano divisi e non avevano più parlato,
dopo
quel bacio.
Decise di non pensarci per il momento, avevano altro
da fare e una missione da compiere. Bones, poco lontano, sedeva con
lo sguardo basso e il volto più corrucciato del solito, ma
Jim
conosceva bene il suo migliore amico, tanto da sapere che provare a
tirarlo su era una causa persa in partenza.
-L'esperimento non è
andato a buon fine.- disse, prendendo un respiro profondo -Dobbiamo
pensare a qualcos'altro per fermare i nostri nemici.-
Sulu lo
guardò sconfortato -L'uomo che abbiamo preso ieri... - la
frase
rimase a metà, forse non aveva il coraggio di completarla,
non ce
n'era la forza.
-E' morto.- rispose Jim, facendosi forza per
tutti. Era il capitano, doveva mantenere la sua
freddezza e
doveva farlo per preservare il coraggio del suo equipaggio.
Ci fu
un attimo di silenzio, poi Lena avvicinò la sedia alla sua,
allungò
una mano su un suo braccio e lo guardò dispiaciuta -Se non
potete
fermarli con gli strumenti che vi sono stati dati... -
Spock
osservò il contatto, poi si alzò in piedi -In
realtà ho meditato a
lungo sulle possibili alternative all'operazione.- disse, attirando
l'attenzione di tutti -Il collare in silicone riesce a mantenere
l'essere nel corpo umano, fino a portare alla morte di entrambi, nel
caso che il corpo non riesca a mantenere l'ospite.-
McCoy sbuffò
rabbioso -Non ci provi nemmeno... -
-E' la migliore delle nostre
alternative.-
-No!- urlò l'altro.
-Bones... - lo richiamò
Jim, scostandosi da Lena e alzandosi anche lui in piedi. Fece
scorrere lo sguardo dal dottore al primo ufficiale -Spock, vada
avanti.-
Il vulcaniano lo guardò con la solita espressione
neutra, poi aprì le labbra per parlare, ma il dottore lo
interruppe
di nuovo -Jim, non voglio mancarle di rispetto. Ma questo, quello
che sta per dire non lo accetterò mai.-
Jim lo fissò
confuso, poi annuì lentamente -Prima voglio capire cosa sta
proponendo.-
Il medico grugnì irritato incrociando le braccia al
petto.
Ora l'attenzione era di nuovo concentrata sul primo
ufficiale che spiegò con calma la sua teoria -Dal momento
che con le
proprietà del collare in silicone si possono intrappolare i
nostri
obiettivi quando essi sono all'interno di un corpo, impedendogli di
spostarsi in altri esseri viventi... si potrebbero catturare i
quattro nemici che stiamo cercando e lasciarli all'interno dei corpi
umani, fino alla loro morte.-
Kirk lo guardò scettico -Mi faccia
capire bene, lei sta proponendo di sacrificare quattro persone per
fermare quegli esseri.-
Spock scosse il capo -Capitano voglio
farle presente che la minaccia Ma'Toi ben presto si
estenderà su
tutto il pianeta e che non ci saranno altri esseri umani, tra solo
pochi giorni. Dopo aver studiato le dinamiche con cui agiscono, sono
arrivato alla conclusione che essi studiano la popolazione e il
territorio per un totale di tre giorni. Questo significa che domani
cominceranno ad occupare tutti i corpi umani Cercheranno esseri che
possano contenere la loro essenza.-
-E se non ce ne fosse
nessuno... - s'intromise Sulu.
-... allora perirebbero tutti gli
esseri viventi di questo pianeta.- confermò Spock, annuendo
all'esatta affermazione del timoniere.
-Uh, 'i sacrifici di oggi
sono il beneficio di domani' è questo che sta dicendo?-
chiese Jim,
ancora non del tutto convinto.
-Non avrei utilizzato un tale
aforisma ma, sì. Sacrificare quattro entità
viventi per preservare
un numero consistente di altre vite.-
McCoy scosse il capo, il
disappunto era vivido sul suo volto -Mi state dicendo che quattro
vite, quattro vite non valgono nulla? Che...
possono essere
sacrificate come se nulla fosse, solo perché c'è
qualcosa di più
grande, in ballo?-
Jim sospirò -Non stiamo dicendo questo.-
Spock inarcò un sopracciglio -Ho già notato
questo, in voi
umani. Vi è più facile piangere la morte di poche
persone, che la
morte di un milione.- il suo volto severo e la voce bassa.
Il
dottore rimase in silenzio, così come tutti gli altri.
Jim
abbassò il capo e si portò una mano tra i
capelli, com'era solito
fare quando si sentiva stressato e in quel momento l'intera missione
sembrava andare a rotoli e, indipendente dalla moralità
delle sue
azioni, avrebbe dovuto prendere misure drastiche. Lo sapeva.
-Credevo che i vulcaniani fossero un popolo che non ama fare del
male.- replicò il dottore, riprendendosi dalle parole di
Spock.
-E'
esatto, dottore. In questo caso non parlo, infatti, di fare
volutamente del male. Ma ci sono delle esigenze e quelle dei molti...
contano più di quelle dei pochi.-
Jim chiuse gli occhi per una
frazione di secondo, sapeva che l'ultima parola spettava a lui e non
voleva più continuare ad ascoltare quella conversazione che
non
faceva altro che mettere a confronto l'animo umano e la
razionalità.
Il dovere e i sentimenti. McCoy e Spock rappresentavano il conflitto
che stava avvenendo dentro di sé.
-Anche una sola vita, Spock.
Anche una sola vita ha la sua importanza. Non si
può
semplificare in questo modo.-
Jim sbuffò infastidito, il suo
vice stava per ribattere -Basta!- disse, prima che i due
continuassero con quella conversazione.
-Questo pianeta ha
diritto di esistere come qualunque altro. Ci troviamo di fronte ad un
dilemma morale, ma non possiamo farci frenare da questo. Bones, ha
ragione, così come ce l'ha anche Spock- mormorò
Jim, guardando
prima l'uno e poi l'altro -però ora dobbiamo fare quello che
va
fatto. L'ammiraglio Marcus ci ha ordinato d'impedire un'altra
carneficina. Ed è quello che faremo.-
Spock lo fissò
incuriosito -Cosa intende fare, capitano?-
Jim si mosse verso la
finestra che dava sulla strada, osservò le persone camminare
verso
mete sconosciute, ignare del pericolo.
-Chekov, contatti
l'Enterprise, devo parlare con Scotty.- ordinò, voltandosi
verso il
giovane tenente.
-Sì, signore.- sussultò il ragazzo, prima di
ritirarsi verso il salotto per aprire la comunicazione.
Jim
guardò il medico -Prepari tutto l'occorrente per
l'operazione,
dovremo agire in meno di quattro minuti e lei dovrà essere
pronto.-
Il dottore lo guardò confuso -Ma come farò...-
-Lei non si
preoccupi. Prepari tutto l'occorrente, è un ordine.-
Il dottore
inspirò profondamente, prima di ritirarsi e fare come
richiesto.
-Noi quattro ci occuperemo dei nostri obiettivi.- indicò ai
restanti -Ci divideremo nelle quattro zone della città in
cui essi
si stanno muovendo, dovremo fare in fretta, monitorare ogni loro
spostamento. Quando saranno nostri dovremo contattare immediatamente
il dottor McCoy e lui provvederà a scindere il nemico dal
corpo
umano e a distruggerlo. Tutto chiaro?-
Gli altri non obiettarono,
Spock l'osservò con una strana luce negli occhi. Jim
stirò le
labbra in un mezzo sorriso, poi si diresse da Chekov, per parlare con
Scott.
Avrebbe chiaramente violato la prima direttiva, l'attività
energetica del teletrasporto sarebbe stata individuata, ma non poteva
fare altrimenti.
Avrebbe affrontato le conseguenze alla fine di
quella storia.
. . .
-Se potessi mi fermerei a fare baldoria
fino al
mattino.- rise Lena, premendosi l'auricolare sull'orecchio.
Chekov,
che dalla 'base operativa' monitorava gli spostamenti del loro
nemico, non le rispose -Obiettivo direzione ore nove.- si
limitò ad
informarla.
La ragazza sbuffò, irritata -Se ci fosse stato Jim
mi sarei divertita con lui.- camminò verso il bancone e
sorrise
maliziosa al barista.
-Ciao.- cantilenò lui, sorridendo di
rimando -Cosa ti porto, bellezza?-
-Mmmmh... - mormorò lei,
giocando con una ciocca di capelli e accavallando le belle gambe.
Gettò uno sguardo al menù appeso al muro -...
vodka.-
Lui annuì
e le preparò il drink.
Si guardò intorno fingendosi curiosa,
poi gli occhi si posarono sull'uomo che le sedeva accanto.
Notò il
corpo muscoloso di lui, la barba incolta e i capelli folti. Vestiva
un completo nero elegante e una semplice catenina al collo che
terminava in due medagliette di ferro.
Lui la guardò di rimando,
le sorrise.
Aveva individuato il suo obiettivo, pensò, mentre
con la coda dell'occhio intravedeva le mani di lui tremare
leggermente.
-Bella collana.- cinguettò per attaccare
bottone.
Lui la fissò attentamente, piegò il capo di lato
-Bel
corpo.- la sua voce era roca, profonda.
Lena represse un brivido,
il suo nuovo corpo umano possedeva degli istinti che non aveva ancora
imparato a controllare, solitamente questi si accentuavano quando era
in presenza del capitano.
-Grazie.- rispose.
Il barista
arrivò con il suo drink e lei prese lo shot e lo
alzò dinanzi al
viso, in direzione dell'uomo che aveva accanto -Salute.-
sussurrò,
prima di bere in un solo colpo.
Il liquido le percorse la gola,
infiammandola di un calore piacevolmente vivo.
Lui la seguì in
ogni suo movimento -Come ti chiami?- le chiese.
-Lena- rispose
lei, facendo cenno al barista di portarle un'altro shot.
-E cosa
ci fai qui tutta sola, Lena?-
Lei si piegò verso l'orecchio di
lui -Ti stavo cercando...- sussurrò mordendogli il lobo
dell'orecchio.
Un brivido le attraversò il petto, propagandosi
in tutto il corpo -... vuoi farmi compagnia?-
L'uomo sorrise
prima di allungare una mano verso il fianco di lei e stringerlo con
fare possessivo -Con piacere.-
Lei bevve lo shot che le era stato
portato, di nuovo il calore le infiammò la gola e le pareti
dello
stomaco, le accese tutto il corpo. Si sentiva eccitata, euforica.
Guardò l'uomo, poi si allungò verso la borsetta
che aveva
poggiato sul bancone.
-Credo proprio che ci divertiremo, noi
due.-
Aprì la borsetta ed estrasse, in pochi secondi, il phaser
che aveva portato con lei. Lo puntò verso l'altro che colto
di
sprovvista non fece in tempo a spostarsi -Cos...?-
Sparò, il
raggio centrò in pieno il suo obiettivo. L'uomo si
accasciò sul
bancone. Qualcuno urlò mentre il barista arretrava
spaventato.
Lena
gli fece l'occhiolino mentre estraeva il collare in silicone dalla
borsa e lo agganciava al collo del suo obiettivo -Non preoccuparti,
non è mia intenzione farvi nulla.- rassicurò il
barista, mentre
inseriva il codice di sicurezza sul collare.
-Bel biondino, mi
porti dal dottore.- mormorò premendo sulla cimice al suo
orecchio.
-Aye.- affermò il russo, prima di procedere con il
teletrasporto, dinanzi gli occhi sgranati di un barista incredulo e
spaventato.
. . .
Spock si guardò intorno,
camminando sul tetto del
palazzo. Si avvicinò al bordo per studiare le strade sotto
di
lui.
Il vento si abbattava sul suo corpo facendolo tremare
leggermente. Non faceva troppo freddo, si sentiva relativamente a suo
agio.
-Signor Spock.- lo interruppe la voce di Chekov
-L'obiettivo di signorina Lena è stato portato al dottor
McCoy. Suo
obiettivo non è entrato ancora in nessun corpo umano...-
Il
vulcaniano, alzò lo sguardo verso le stelle, mentre le dita
si
contraevano intorno al phaser.
-Bene Chekov, mi informi se
dovessero esserci ulteriori sviluppi.-
-A dire il vero,
signore... - tentennò il ragazzo, ma la sua voce fu
ricoperta dal
suono di una sgommata spericolata e da un'auto che si avvicinava
all'entrata del palazzo sul quale era salito. Spock si sporse per
osservare l'auto blu nel momento stesso in cui il suo guidatore con
un balzo scavalcava la portiera e fuoriusciva dal veicolo.
Spock
inarcò un sopracciglio, poi si limitò a
registrare l'attività che
si svolgeva tra le strade: una lunga fila si era formata dinanzi
l'edificio di fronte, dal quale proveniva una bizzarra musica
alquanto movimentata (troppo, per i suoi gusti).
-Lei
sarebbe il serial killer perfetto.- arrivò una voce alle sue
spalle.
Spock si voltò e vide gli occhi azzurri del capitano
avvicinarsi
passo dopo passo. Il sorrisino che brillava sul suo volto lo
rapì e
si ritrovò a fissarlo con viva curiosità.
-Cosa ci fa qui?-
chiese.
Jim s'infilò le mani nelle tasche e con un solo balzo
saltò sul muro che delineava il limite del tetto.
-Capitano,
stia attento.- lo redarguì Spock, immaginando la poca
stabilità
della costruzione di pietra grezza attraversata da numerose crepe e
spaccature.
Jim abbassò il capo e lo fissò divertito -Tanto
se
cadessi lei mi verrebbe a salvare.-
Spock aggrottò la fronte
-Sarebbe illogico dal momento che non potrei, poi, adempiere ai miei
compiti. E l'intera missione fallirebbe.-
Jim rise, poi si piegò
sulle ginocchia e si abbassò fino ad arrivare a pochi
centimetri dal
suo volto; la luna li illuminava entrambi.
-Che cosa ci fa qui?-
chiese di nuovo il vice.
Jim scosse il capo -Chekov non gliel'ha
detto?- mormorò con le labbra piene -A quanto pare i nostri
nemici
si sono dati appuntamento.-
-Sono insieme?-
Il capitano
annuì, poi allungò una mano e la fece scivolare
tra i capelli neri
e lisci dell'altro.
-Capitano... -
-Mi chiama Jim nei
momenti meno opportuni, e adesso vuole mantenere le distanze?- gli
sussurrò sulle labbra.
Spock aprì la bocca per parlare, ma non
riuscì a dire nulla perché Jim si era aggrappato
a lui e aveva
azzerato ogni distanza, di nuovo. Il contatto tra loro fu come quello
che si erano scambiati la sera prima: disperato, affamato, nuovo come
nient'altro prima d'allora.
Jim accarezzò la lingua dell'altro,
giocandoci divertito. Sentiva il petto pieno, tutto
il vuoto
che lo corrodeva giorno dopo giorno venne spazzato via dal calore del
suo vice.
Spock era qualcosa che gli entrava nei polmoni, nella
testa, nel cuore. Strinse le dita tra i suoi capelli, fino a cadere
seduto sul muro. Il vulcaniano resistette un po', all'inizio del
contatto, indeciso tra il separarsi da lui o farsi più
vicino.
Poi
si spinse tra le gambe di Kirk e gli strinse i fianchi facendosi
sempre più vicino, fino a premere con forza le labbra contro
quelle
piene e morbide del capitano.
Il capitano.
Non era
Nyota, che stava baciando.
Qualcosa, dentro Spock gli suggerì
quanto illogica fosse quell'azione: stava tradendo la fiducia della
sua fidanzata, stava violando il regolamento intrattenendo rapporti
poco appropriati con un suo ufficiale superiore. Ma le unghie di Jim
gli grattarono la punta di un orecchio, e lui sentì il
respiro
mancare, e l'intero suo corpo premette contro quello del capitano.
-Uhm... s- signori.- mormorò una voce imbarazzata, dentro le
loro orecchie.
Spock si allontanò di scatto, come se l'altro
fosse stato di ghiaccio; Jim, di rimando, rimase con le labbra umide
e spalancate.
Avevano dimenticato delle trasmittenti e di Chekov
che poteva sentire ogni loro frase o suono.
-Chekov,
rapporto.- si ricompose Jim, scendendo dal muro e guardando la strada
sotto di loro.
-Sono entrati nell'edificio di fronte, capitano.-
-Ricevuto.- rispose, prima di dirigersi verso le scale interne
del palazzo, Spock lo seguì in silenzio.
-Non c'è più nessuno
in fila, io lo distraggo e lei lo
mette fuori gioco con il suo trucco, chiaro?-
Spock inarcò un
sopracciglio -Trucco?-
Jim roteò gli occhi al cielo -Mi ha
capito, andiamo!-
I due s'incamminarono verso l'entrata del
locale davanti la quale sostava il buttafuori con le braccia
incrociate e uno sguardo severo sul volto.
Jim gli si avvicinò,
Spock lo osservò intavolare una discussione mentre sorrideva
sornione all'uomo; poi, quando fu sicuro che questi fosse distratto,
gli si avvicinò premendo sui nervi del collo facendolo
cadere a
terra completamente privo di sensi.
-E' un mago fantastico,
signor Spock.- lo prese in giro il capitano. Il vice inarcò
un
sopracciglio, prima di dirigersi dentro il locale con il suo
superiore.
Dentro, nonostante i molti fari che producevano giochi
di luci di diversi colori, la maggior parte della sala era comunque
in penombra.
La prima cosa che Spock notò fu il numero
consistente di persone presenti nel locale, nonostante questi non
fosse molto grande; l'aria era pesante, in molti stavano ballando,
altri parlavano tra loro e la musica risuonava rimbombante dalle
casse appese ai muri.
Jim gli si avvicinò e, sfiorandogli la
spalla con la sua, urlò qualcosa, ma nonostante l'udito
sviluppato
del vulcaniano, questi non riuscì a distinguere le sue
parole.
Chekov gracchiò attraverso la cimice che, per la vicinanza
ai
timpani, riuscì a permettere loro di sentire vagamente bene
la voce
del giovane.
-La coppia è a ore dodici, nord.- disse.
I due
si guardarono, poi s'incamminarono in avanti, provando a restare
vicini. Spock tentava di evitare il contatto con chiunque gli
passasse accanto, c'erano troppi esseri umani, voleva evitare che la
sua telepatia si rivelasse nociva.
Kirk si guardava intorno, si
voltò verso il bancone del bar e osservò uno ad
uno tutti gli
individui che gli sostavano accanto.
Spock si girò verso la
pista da ballo, era la zona meno illuminata di tutte. Riusciva ad
avere percezione del mare di braccia che si alzavano in sincrono, dei
corpi che si dimenavano a tempo di musica eseguendo passi
sconclusionati e senza una reale coreografia.
Quella non era
danza, pensò.
All'improvviso ci fu un bagliore che si accentuò
dall'altra parte della stanza, oltre la pista da ballo. La luce
divenne sempre più forte, Jim fece in tempo a voltarsi prima
che i
suoi occhi azzurri venissero invasi dal calore e dal fuoco.
Riconobbe la sensazione della pelle che bruciava. Riuscì a
pensare un “no!” infuriato,
prima di perdere completamente
la sua coscienza.
. . .
Spock non perse tempo, chiuse il collare
intorno al
collo del capitano prima di sigillarlo con il codice di sicurezza,
premette la mano sulla cimice all'orecchio -Chekov, faccia
teletrasportare il capitano dal dottor McCoy, il nemico ne ha preso
possesso!-
Il vulcaniano sentì la voce di Lena urlare,
dall'altra parte del trasmettitore. Il corpo di Jim tremò
tra le sue
braccia, poi cominciò a prendere cocienza e gli occhi
azzurri
guizzarono su Spock. Il teletrasporto venne avviato, il corpo del
capitano scomparve lentamente dalle sue braccia.
Rimase immobile
per alcuni secondi, poi decide di rivolgersi al suo obiettivo...
. . .
-Sanno che siamo qui!- urlò
Lena, parlando con Spock
-Hanno preso il capitano perché l'hanno riconosciuto.
Cominceranno a
prendere possesso del pianeta, non c'è altro che possiamo
fare!-
Spock si guardò intorno, il phaser stretto tra le dita della
mano e il capo che voltava da una parte all'altra. Un boato si
propagò all'esterno del locale, sovrastando persino la
musica. Poi
qualcuno dietro di lui cominciò ad urlare, quando si
girò per
capire cosa stesse succedendo, vide una ragazza portarsi le mani al
capo, i suoi occhi erano diventati bianchi e schiuma bianca
scivolò
dalle sue labbra.
-L'obiettivo, datemi le coordinate
dell'obiettivo.- richiese attraverso la comunicazione. Ma non ci fu
risposta.
-Chekov, è ancora lì?- altri cominciarono ad
urlare.
Spock alzò il capo al soffitto e, solo allora, si accorse
dalla
miriade di luci che tremavano nell'aere, alcune piombavano in corpi a
caso, altre ne fuoriuscivano con la stessa velocità.
La base
operativa non diede segni di vita. Spock notò una luce
tremare, poco
lontano e fu certo che si sarebbe scagliata contro di lui. Non poteva
permettere a quella cosa di prendere possesso del suo corpo.
Si
girò spalle e cominciò a correre verso l'entrata,
la gente gridava,
correva e alcuni lo spinsero via... un ragazzo gli si
scagliò contro
e tentò di morderlo. Spock ne percepì tutto il
dolore, comprese
quello che l'altro stava provando nell'incoscienza di quella
possessione.
Pensò a Nyota, si chiese se anche lei avesse
provato quelle stesse emozioni. Lo stesso dolore.
Si
spinse fuori dal locale ma lo spettacolo che gli si presentò
dinanzi
non fu migliore... le luci stavano ricoprendo il cielo. Sostavano
nell'atmosfera e s'insediavano nei corpi di chi scappava.
Spock
corse nella direzione dalla quale era venuto, verso la base
operativa: se nessuno rispondeva questo voleva dire che dovevano
esserci stati dei problemi.
-Chekov!- provò a richiamare di
nuovo il tenente, ma fu tutto inutile.
Corse più velocemente,
era molto distante dall'appartamento, ci aveva messo 47.5 minuti per
raggiungere il luogo prefissato sulla mappa.
Un camion di vigili
del fuoco lo sorpassò a tutta velocità, poi
cominciarono le
esplosioni. La gente gli correva intorno, sbatteva contro di lui...
si ritrovò a combattere contro gli aggressori impossessati
dai
Ma'Toi che, in preda alla pazzia, tentavano di ucciderlo.
Quando
si guardò intorno vide solo la pura e semplice follia
umana... e la
morte che gli stessi scienziati avevano creato.
Seppe da
subito che il pianeta sarebbe stato distrutto e, con esso, anche
tutti loro. L'Enterprise era ancora in orbita ma, se i Ma'Toi
l'avessero notata, allora per la nave non ci sarebbe stato niente da
fare.
-Capitano! Dottor McCoy! Chekov! Qualcuno riesce a
sentirmi?- chiese ancora, a gran voce, al trasmettitore.
Ma
ancora nessuna risposta. Una bambina si aggrappò a lui...
non fece
in tempo a voltarsi che un'altra esplosione lo fece balzare in avanti
e cadere contro il suolo.
La cimice si staccò e cadde lontano ma
ben presto scomparve sotto i piedi delle miriadi di persone che
correvano impazzite o spaventate. Spock sentì le auto
frenare e
sbattere le une contro le altre. Si girò in tempo per
evitare un
camion impazzito, alzandosi in piedi e trascinandosi verso un portico
sulla sua destra. Il camion terminò la folle corsa nella
vetrina di
un negozio, in pochi secondi fiamme blu cominciarono a divampare e
Spock sapeva che quello era gas e che sarebbe scoppiato.
Ansimò
affaticato, poi riordinò le idee, ma capì che
sarebbe stato inutile
provare a ritornare alla base. Con la città ridotta in
quello stato
avrebbe impiegato troppo tempo. Fissò le luci nel cielo e
capì che
presto avrebbero preso anche lui.
Allora fece l'unica cosa
logica, in quel momento. Infilò una mano
nelle tasche della
giacca, ne estrasse la sua arma e guardò
il cubetto di
Cohlna.
Quell'intera missione era iniziata da lì, dalla
richiesta dei Ma'Toi di consegnarli quel cubetto. Non ci
pensò su
due volte, ne staccò una metà, rimettendo l'altra
nella giacca, e
fece quello che andava fatto... avvicinò la droga alle
labbra.
Tutto accadde all'improvviso, la cohlna non
aveva ancora
sfiorato la sua bocca quando il suo corpo cominciò a
scomporsi. La
mente di Spock lavorò velocemente per mettere a fuoco quello
che
stava accadendo, capì che il suo corpo non era stato preso
da nessun
nemico.
Chiuse gli occhi per una frazione di secondo, quando li
riaprì era sulla piattaforma del teletrasporto a bordo
dell'Enterprise.
Scott gli stava davanti e lo guardava con
un'espressione confusa ma sollevata -Le pare il momento di mettersi a
mangiare, signore?- gli chiese.
Spock osservò la droga
pericolosamente vicina alla sua bocca, poi la mise via -Il
capitano... - cominciò, ma la sua voce venne interrotta.
-Spock!-
il dottor McCoy gli si avvicinò a grandi falcate, uno
scanner medico
stretto in una mano -Sta bene?-
Il vulcaniano rimase fermo,
mentre il dottore faceva scorrere lo scanner accanto al suo volto.
-Quando i nemici hanno cominciato ad attaccare il pianeta i
sensori l'hanno captato.- spiegò Scott, andando a rispondere
alle
mille domande che sembravano susseguirsi sul volto del primo
ufficiale -Abbiamo provato a metterci in contatto con voi, ma abbiamo
capito che se foste rimasti qualche minuto in più avreste
fatto la
fine di tutti gli altri, così vi ho trasportati indietro. Ci
ho
messo un po' a localizzare lei, c'erano molti di quei Ma'To, o come
diavolo si chiamano. Interferivano con il teletrasporto.-
Spock
inarcò un sopracciglio, piacevolmente sorpreso dall'arguzia
di Scott
-Ha fatto un buon lavoro, signor Scott.-
L'altro sorrise
compiaciuto, poi McCoy intervenne di nuovo -Sta bene, i suoi valori
vulcaniani non sono alterati.-
Il vulcaniano annuì, poi scese
dalla piattaforma -Il capitano si è ripreso?-
-E' ancora
incosciente ma siamo riusciti ad operare in tempo.- lo
informò il
dottore -Spock il pianeta è ancora sotto assedio, dobbiamo
fare
qualcosa.-
Sapevano tutti quello che significavano le parole del
dottore. Ogni forma umana vivente sul pianeta sarebbe stata spazzata
via, i Ma'Toi non avrebbero trovato una fonte in cui insediarsi
permanentemente; questo significava che presto sarebbero andati via,
lasciando solo distruzione e morte sul loro cammino
e
proseguendo verso altre mete.
-Devono essere fermati mentre sono
ancora sul pianeta.- affermò, prima di dirigersi verso il
ponte di
comando -Signor Scott, dottore, vi prego di seguirmi.-
In plancia tutti stavano osservando il
pianeta la cui
atmosfera si era ricoperta di punti luminosi come una calda coperta
fluorescente che l'avvolgeva.
I Ma'Toi non avrebbero impiegato
molto tempo a distruggere tutta la popolazione mondiale, bastavano
loro solo pochi attimi all'interno di un corpo per portarlo alla
pazzia e alla conseguente disgregazione.
Spock si sedette al
posto di comando, McCoy si fermò alla sua sinistra mentre
osservava
lo schermo con il terrore dipinto in faccia.
-Jim non poteva
prevedere che si sarebbero accorti di noi... - mormorò il
medico.
-E' illogico rimuginare sulle inefficaci azioni passate, ora
dobbiamo impedire che il popolo Ma'Toi fugga dal pianeta.- gli
rispose Spock.
Bones grugnì, incrociando le braccia al petto
-Cosa intende fare?-
Sulu e Chekov uscirono, in quel momento, dal
turboascensore -Signore, siamo lieti di vedere che sta bene.- disse
Sulu, mentre i due si muovevano verso il timone.
Spock abbassò
il capo -E' lo stesso per me, signori. Sollevate i tenenti Smidht e
Harkness.-
I due sostituirono i precedenti tenenti e si
posizionarono per la lettura dei dati.
-Chekov, mi faccia un
dettagliato rapporto su quello che sta accadendo al pianeta.-
Il
russo si perse, per alcuni secondi, nella lettura dei dati, poi si
volse verso il comandante -Le forme di vita umane sono in
diminuzione. Ma'Toi hanno occupato tutta atmosfera, forse per
impedire a uomini di volare in spazio.-
-Li hanno fatti
prigionieri?- chiese McCoy.
-Aveva dei dubbi, dottore?- Spock
prese un respiro profondo, poi guardò Scott -Signor Scott,
faccia
preparare i siluri quantici, molti.-
Scott si fermò a
fissarlo imbambolato, le mani ancora ferme sulla consolle
dell'energia -Signore cosa intende... -
-Le forme di vita sul
pianeta sono perdute, e se aspettiamo ancora perderemo anche il
nostro principale obiettivo. La missione è di fermare i
Ma'Toi, con
qualunque mezzo disponibile.- spiegò,
parlando con
disinvoltura.
Era cosciente degli sguardi scioccati che in molti
gli stavano indirizzando, ma non si fece toccare dalle emozioni umane
che fluivano verso di lui.
-Spock questa non... - parlò
McCoy.
-Il capitano sarebbe d'accordo con la mia scelta.- lo
interruppe Spock -Perché nonostante possa sembrare immorale,
dottore, è anche la soluzione più logica per
impedire altri
massacri.-
-Ma tutta quella gente morirà.- si ribellò il
dottore.
-Che siano quattro o un milione, quella gente è stata
già condannata. Le nostre azioni, ora, saranno di vitale
importanza
per il destino dell'intero universo.-
McCoy scosse il capo
-Stiamo uccidendo... -
-Riferendomi alla filosofia umana posso
dirle che 'dipende dai punti di vista'. Stiamo dando una morte veloce
e indolore a chi è già condannato a morire,
oppure stiamo salvando
numerose altre vite e pianeti, mettendo fine alla minaccia nemica.-
La voce calda di Spock si propagò nella plancia, in molti
erano
confusi e tentavano di accettare la ragionevolezza delle parole del
vulcaniano. Ma c'era il fattore umano, i sentimenti che continuavano
ad interferire con la loro comprensione.
-Sapevo, quando mi sono
arruolato nella flotta, che non sarebbe stato facile cooperare con
esseri tanto guidati dai sentimenti, nei momenti di crisi. Ma in
questo istante sarebbe controproducente soffermarci sui dilemmi
morali e i pesi di coscienza.- osservò gli ufficiali che lo
circondavano, uno ad uno -Abbiamo l'ordine di mettere fine a questa
minaccia. Il capitano agirebbe nello stesso modo.- disse.
Scott
sospirò per poi annuire pesantemente -Preparo i siluri,
signore.-
3 giorni dopo.
Jim aprì gli occhi lentamente,
sbattendo le palpebre
per abituarsi all'intensa luce che gli brillava sul capo. Gemette
frustrato.
Il peso del sonno lo intontiva, la testa era pesante
come un macigno e si scoprì incapace di alzarla per
guardarsi
intorno.
-Piano Jimmy boy, non vorrà cadere in un altro sonno di
tre giorni?- arrivò la voce scherzosa di McCoy, alle sue
orecchie.
-Bones... - mugolò, con gli occhi ancora chiusi.
-Stia
tranquillo, capitano. E' nell'infermeria, è rimasto
incosciente per
tre giorni ma va tutto bene adesso.-
Jim annuì lentamente, aveva
ancora un gran sonno. Chiuse gli occhi e sperò che Morfeo lo
abbracciasse di nuovo e trasportasse nel suo regno onirico, poi si
ricordò dei Ma'Toi, di Spock, della calda luce di cui era
caduto
vittima.
Si agitò nel letto e guardò il dottore che stava
controllando i suoi valori vitali -Bones, cos'è successo?
Dove sono
i Ma'Toi? Il pianeta?-
Il dottore lo guardò tristemente, poi gli
portò una mano tra i capelli biondi -Non si agiti. Stiamo
facendo
ritorno a casa.-
-Ma il pianeta? Cos'è successo?-
-Jim, è
meglio se riposa ancora un po'. Ha subito un'operazione non facile,
è
stato vittima di un potente nemico ed è ancora molto
debole.-
Il
capitano grugnì -No, devo sapere!-
Il dottore sospirò, poi si
sedette sulla sedia accanto al bio-letto.
Non sapeva da dove
cominciare, non voleva turbare l'amico -Il pianeta era perduto, Jim.
I nemici l'avevano preso completamente... avevano cominciato a
distruggere tutte le forme di vita. La pazzia stava dilagando, a
breve sarebbero tutti scomparsi e avremmo perso i Ma'Toi.-
Jim
annuì, ma non disse nulla, aspettò che il medico
continuasse. McCoy
tentennò, poi si disse che era giusto che il capitano
sapesse e che
comunque avrebbe letto i rapporti e ne sarebbe venuto a conoscenza
-Quando Spock è tornato sulla nave e ha preso il comando, ha
fatto
l'unica azione logica che la sua mente gli aveva
suggerito. Ci
siamo opposti ma sapevamo di non avere altre opportunità.-
Jim
inspirò profondamente mentre abbassava le palpebre -Avete
distrutto
il pianeta... - sussurrò.
Il dottore non rispose, si limitò a
poggiargli una mano sulla spalla per confortarlo. Ma non c'era altro
che potesse fare, perché quella notizia aveva sconvolto
tutti, in
molti avevano sentito il peso di quello che era accaduto e ancora
faticavano a riprendersi.
Era stata una missione massacrante, e
per quanto ne fossero usciti vincenti in realtà si erano
sentiti
sconfitti nel profondo, nel proprio animo.
Il morale
dell'equipaggio era a terra, non c'era stato un trauma tanto
consistente da quando avevano sconfitto Nero.
-Come sta
l'equipaggio?- chiese il capitano, riaprendo gli occhi cerulei sul
viso addolorato dell'amico.
-Fisicamente bene. Ma... - lasciò la
frase in sospeso, perché non c'era molto da dire.
Lasciò che Jim
capisse da solo. E lo fece.
-Sono passate quattro settimane,
Bones. Non sono stato in me, troppo preso dai miei problemi e da
quello che accadeva nella mia testa. Avrei dovuto fare meglio il mio
lavoro.-
Il dottore scosse il capo, strinse la presa sulla
canotta nera dell'altro -Lei è un buon capitano, Jim.
L'equipaggio
lo sa.-
Jim rise senza gioia, sulle sue labbra si delineò una
smorfia amara, triste; non si sentiva un buon capitano, non in quel
momento.
-Non perderò più di vista l'equipaggio. Non
permetterò
più a niente di metterlo in pericolo... -
Leonard scosse il capo
-Siamo esploratori, e da un po' di tempo siamo diventati anche
militari alle dipendenze dell'ammiraglio Marcus. Il pericolo
è
l'unica certezza che abbiamo.-
-Già... -
Il dottore sospirò
prima di alzarsi dalla sedia -Riposi, capitano. Stiamo facendo
ritorno a casa... -
Jim annuì, ma sentiva il peso del mondo
proprio al centro del suo petto.
Ora.
Il corpo di Uhura gli cadde tra le braccia,
Jim si voltò
verso Spock. Questi fece segno alla squadra di medici di entrare
nella sala.
Il dottor McCoy e gli infermieri avanzarono in fretta
e adagiarono il corpo su un lettino antigravità. Jim li
guardò
scivolare verso l'infermeria -Bones... la riporti indietro.- gli
disse.
Jim e Spock rimasero soli nella sala delle conferenze, si
guardarono per qualche secondo prima che Jim facesse qualche passo
verso l'altro.
-Capitano... - le parole di Spock lo frenarono,
così l'umano si fermò di nuovo -... sono lieto di
vedere che si è
ripreso. -
Jim sorrise timidamente -Già, anche io sono lieto di
essermi ripreso. Grazie per aver salvato tutti.-
C'era un certo
imbarazzo tra loro, una tensione che li metteva a disagio; c'erano
tante cose da dire, ma nessuno dei due sapeva da dove cominciare.
-Vorrei monitorare l'operazione del tenente Uhura.- confessò
Spock, gettando uno sguardo alla porta.
Jim sentì un magone
formarsi al centro del petto, ma decise d'ignorarlo.
-Certo...
certo. Vada pure.-
Spock parve interdetto, poi si mosse verso la
porta.
-Comandante... - lo richiamò Jim, prima che l'altro
potesse scomparire. Spock si girò e il contatto tra i loro
sguardi
fece male al capitano. Perché quegli occhi scuri lo
attiravano come
nient'altro nell'universo, e tutto quello che ora desiderava era
perdersi in quell'oscurità, dimenticare tutto il peso che
gravava su
di lui.
Ma non poteva.
Aveva perso anche troppo tempo a
pensare a se stesso, ai tutti i suoi problemi e a ciò che lo
confondeva di più. Ora non avrebbe più permesso
che i ricordi, i
sentimenti e tutte le emozioni prendessero il sopravvento.
Era il
capitano al comando della USS Enterprise. Non
avrebbe permesso
a niente di mettere in discussione la sua posizione.
Guardò
Spock con una viva rassegnazione e un po' di malinconia -... nulla.
Può andare e porti i miei saluti al tenente Uhura, quando si
sveglierà.-
Il vice annuì lentamente, irrigidì le spalle
muscolose ma non gli rispose. Si limitò ad andare via e a
lasciarlo
solo in quella stanza troppo grande, ed ora troppo fredda.
Spock
sarebbe ritornato da Uhura com'era giusto che fosse...
indipendentemente dalle vite delle loro controparti, in
quest'universo loro erano semplicemente un capitano e il suo primo
ufficiale.
Qualcosa, in lui, tentò di suggerirgli il contrario e
di fargli ricordare il calore delle labbra di Spock premute contro le
sue. Ma lui si forzò di distogliere il corso dei suoi
pensieri da
quelle immagini, da quei ricordi.
Chiuse gli occhi e poggiò la
schiena alla parete, si concentrò su tutti i rumori della
nave e
dell'equipaggio che passava al di fuori della sala.
-Siamo solo
io e te... - mormorò, lasciando scivolare una mano sulla
parete.
-... solo noi due.- disse, rivolto alla nave.
La sua nave,
il suo equipaggio. Tutto quel che aveva, era nello
spazio
profondo.
1. i ricordi durante la fusione mentale sono, in ordine:
- discorso tra James T. Kirk e sua madre Winona Kirk (inventato da me)
- la partenza di Sam (scena tagliata dal film)
- la morte di Amanda su Vulcano
- Interazione tra Kirk!Prime e Spock!Prime (inventato da me, che poi si può facilmente riscontrare in ogni episodio della TOS)
- Kirk e Spock alle prese con la guida (nell'episodio 2x20 'A piece of the action')
- La mitica scena del koon-ut-kal-if-fee in cui Spock "uccide" Kirk (episodio 2x05 'Amok Time')
- Il discorso di McCoy e la struggente scena del "Forget" (episodio 3x21 'Requiem for Methuselah')
2. La frase di Spock "Vi è più facile piangere la morte di uno, che la morte di un milione" viene dall'episodio 2x19 'The Immunity Syndrome'
3. L'intera idea di Kirk, Spock, McCoy, Sulu, Chekov e Uhura versione nuovi 007 mancati, mi è venuta vedendo questi video 1 e 2 (non ho potuto farci niente, mi hanno ispirata e ho dovuto scriverci sopra mezza fiction o mi sarei picchiata da sola).
Dopo questa storia praticamente lunghissima e note ancora più lunghe, vi ringrazio ancora se siete arrivati fin qui (vivi e vegeti) e vi bacio tutti.
Naka.