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Autore: StarFighter    24/08/2013    0 recensioni
Cosa accade quando sopravvivi ad una delle battaglie più sanguinose della storia moderna? Cosa succede se sopravvivi al tuo intero battaglione? Jim lo sa, sa cosa succede...cominci a chiederti perchè non hai fatto la stessa fine,cominci a vivere nei ricordi di quell'infausto giorno e quando anche la Morte viene a farti visita,capisci che le scelte sono due: scrollarti la follia di dosso o porre la parola fine al sogno della vita!
QUARTA CLASSIFICATA al contest “INCUBI NOTTURNI” indetto da ContessadeWinter.
Vincitrice del premio Miglior Psicologia!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest “Incubi Notturni”, indetto da ContessaDeWinter
-Nickname sul forum: Farah.F
-Nickname su EFP: Starfighter
-Genere: introspettivo, drammatico
-Rating: Giallo
-Avvertimenti: nessuno
-Luogo: Manicomio
-Pacchetto scelto: Corsetto Porpora
-Note dell’autore: siccome ci sono lievi accenni storici, ho cercato di essere il più fedele possibile al periodo descritto, con varie ricerche: l’ospedale psichiatrico di Rubery Hill, è davvero esistito ed è rimasto in funzione fino al 1995 (fonte wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Northfield_Hospital). Alcuni tra i soldati sopravvissuti alla Prima guerra mondiale, furono i primi a soffrire della sindrome post-traumatica del reduce, la stessa sindrome che affligge il protagonista.
Buona lettura!


SURVIVOR JIM

6 Aprile 1915: Manicomio militare di Rubery Hill, Birmingham, Inghilterra

Linda Hamilton, giovane volontaria, sospinge un ragazzo in carrozzella per i corridoi vuoti e puliti della struttura militare di igiene mentale. Il giovane, che pare una statua, si lascia trasportare senza problemi: non parla, non si lamenta e non si muove. È arrivato a Rubery Hill da un mese e lei non l’ha mai sentito pronunciare nemmeno una parola, non l’ha sentito piangere o urlare durante la notte, né l’ha sentito lamentarsi durante le sedute di terapia.
Questo è molto strano. Gli altri pazienti urlano e strepitano, e si lamentano in continuazione… a Linda sembra di stare in un girone infernale.
È bello, come nessun’altro dei soldati degenti in quel triste posto: Linda a volte lo spia.
Lo osserva rapita da quegli occhi azzurri, persi nel vuoto, che a volte scattano da un lato all’altro della stanza. Ogni tanto sussulta impercettibilmente e porta le mani alle orecchie: la ragazza si chiede cosa si agiti dentro i suoi pensieri.
I dottori lo chiamano “Survivor Jim”: è sopravvissuto al massacro della Marna, in Francia. Lo scontro è stato vinto, lui è stato congedato con onore e ha ricevuto una medaglia…ma cosa se ne fa di un pezzo di metallo, quando su quel campo di battaglia ha perso se stesso?!
Ecco, sono arrivati: Linda bussa alla porta e le apre il dottor Gardner.
Porta la carrozzella vicino ad un lettino rigido e il medico si avvicina - “Chi abbiamo oggi qui? Ah Survivor Jim…ancora in stato catatonico a quanto vedo!” - l’uomo si abbassa ad osservare il ragazzo e scuote la testa.
Fa cenno a due infermieri di stenderlo sul lettino: Linda trema. Vorrebbe portarlo via da quella stanza, allontanarsi il più possibile e poi stringerlo a sé e sussurrargli che andrà tutto bene, che gli orrori nella sua mente finiranno, che lei l’aiuterà a rimanere vivo.
- “A quanto pare l’elettrochoc ti piace, giovanotto.” - commenta cinicamente Gardner, mentre gli posiziona gli elettrodi sulle tempie umide - “Signorina Hamilton può andare, la richiamerò quando sarà tutto finito.”
L’angoscia s’impadronisce di Linda: esce, portando con sé la carrozzella. Prima di uscire, rivolge un ultimo sguardo a Jim, steso inerte sul lettino. Il cuore le perde un battito, quando gli occhi azzurri del ragazzo si spostano veloci su di lei, come ad implorarla di restare.
Reprime un singhiozzo e chiude la porta, mentre la sua anima piange.
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Il corpo scosso dall’ennesima raffica di elettrochoc, si contorce in silenzio e in ultimo spasimo si abbandona mollemente, come esanime, agli ultimi scampoli di dolore. E ciò che rimane della sua coscienza, scivola invisibile in un baratro buio e profondo, costellato di incubi.
Arranca tra le immagini che gli affollano la mente, che si agitano dietro le palpebre serrate. Sa cosa vedrà, conosce quell’incubo a menadito: sarebbe capace di descriverlo nei minimi particolari a chicchessia; ma ciò confermerebbe solo il suo stato mentale.
Il Passato, opprimente, sgomita per entrare nel suo fuoco e avanza tumultuoso nella sua mente. È sporco di sangue e di polvere di una terra straniera.
La vede, quella piana desolata, cosparsa di corpi freddi, crivellati dai colpi nemici, lauto pasto della Morte: giacciono in posizioni sgraziate, con gli occhi vitrei rivolti al cielo, nell’estremo atto di una preghiera.
Riconosce, tra quell’ammasso di carne e miseria umana, i suoi commilitoni, i suoi amici, i suoi fratelli: li chiama per nome, nella speranza che risorgano come una fenice a nuova vita.
Un senso di angoscia lo pervade: sono tutti lì, ma il suo corpo dov’è? Sa per certo di essere morto quel giorno, lì in quella landa fatale, mentre le trombe squillavano e il rombo dei cannoni faceva tremare il cielo.
Lo sguardo vaga da un capo all’altro del campo di battaglia, inutilmente.
La Marna scorre placida come un nastro argenteo al limite del suo campo visivo; il vento spazza l’aria immota di quel luogo e il tanfo del sangue e della morte gli brucia nelle narici.
Il disgusto e la nausea lo soffocano; l’angoscia gli schiaccia i polmoni, lasciando uscire il fiato a fiotti, con piccoli rantoli.
La solitudine lo opprime, il silenzio lo distrugge: vorrebbe urlare, ma pare che la voce l’abbia abbandonato.
Serra gli occhi: non vuole più vedere nulla, attende solo cha la morte arrivi a prendere anche lui.
Conati di vomito lo scuotono e cade carponi su qualcosa di freddo, ma morbido: gli occhi si spalancano per l’orrore. Un corpo riverso nel sangue cremisi, giace sotto di lui.
Ha smesso di cercare di urlare: ora anche volendo non ci riuscirebbe. Le lacrime, che calde e amare cadono pesanti dai suoi occhi, parlano per lui.
Stringe a sé quei resti mortali, ripetendo come una nenia il nome del compagno caduto: Frank.
Il primo a cadere, l’ultimo ad arrendersi: non l’avrebbe mai data vinta al nemico.
Quando il primo colpo di mortaio era partito, lui era rimasto sguarnito, paralizzato nel mezzo della lotta. Frank gli aveva urlato contro: “E’ la guerra ragazzo, cosa stai aspettando!?”
Con lo sguardo offuscato dal pianto, chiude su quel mondo crudele, gli occhi dell’amico.
Una voragine squarcia il petto del commilitone: il cuore è stato strappato dal suo posto.
Con le mani imbrattate di sangue posa il corpo in terra e si alza disgustato. Procede tra i corpi abbandonati e si rende tristemente conto che voragini purulente, come medaglie, si aprono sul petto di tutti i soldati, anche quelli nemici.
Il sangue gli rimbomba nelle orecchie; gli occhi, ormai privi di lacrime, sono spalancati su quell’orribile spettacolo… è incapace di distogliere lo sguardo.           Vaga sconfitto sulla piana, finché una figura rannicchiata su un cadavere, attira la sua attenzione.
Una giovane donna, coi capelli d’oro intrecciato, coperta da una veste eburnea, piange dandogli le spalle: sembra così fragile, che i singhiozzi che la scuotono potrebbero frantumarla.
Nella follia dell’incubo, una parte di sé ancora lucida gli sussurra di non avvicinarsi: ma non può resistere, la donna lo attrae come una calamita.
Le si accosta, sfiorandole una spalla esile. Scompare sotto il suo tocco, portando angoscia e smarrimento nel suo petto.
La cerca tra i corpi ammassati e l’orizzonte arancione; riappare alle sue spalle facendolo sussultare.
-“Per cosa combatti, ragazzo?”- gli pone questa domanda a bruciapelo.
Si volta e brividi freddi gli scivolano lungo la schiena: la donna non è fragile come sembrava, è invece giunonica, con occhi fiammeggianti e con una chiostra di denti perfetti, sporchi di rosso porpora. I capelli biondi, ondeggiano selvaggi nel vento: somiglia ad una valchiria, bellissima e spietata.
La osserva, rapito da quella visione inquietante ma al contempo di sovrumana magnificenza. Rimane impietrito e non risponde. La donna china il capo e lo fissa, come un rapace pronto ad acciuffare la preda.
Muove un passo e un altro ancora, fino ad arrivargli di fronte: ora solo lo spazio di un respiro li separa.
-“Allora?”- attende ancora una risposta e non sembra ben disposta a non riceverne.
-“Per la Patria…”- rabbrividisce.
-“Per la patria.”- gli alita in faccia la donna con un sorriso di scherno.
-“per la mia famiglia…”-alza il capo e la fissa negli occhi luminosi -“per i miei compagni, per la pace, per la vittoria, per l’onore, per la nostra libertà!”- le urla in faccia, e una scintilla si accende nello sguardo della donna.
-“Tutti sentimenti nobili, non c’è che dire, ma a cosa ti ha portato tutto questo?”-con un ampio gesto indica il campo di battaglia- “cosa hai vinto e cosa hai perso, te lo sei chiesto?”-
Con grande fatica stacca gli occhi dalla donna e fa vagare lo sguardo, offuscato dalle lacrime, su quella distesa fatale.
-“Abbiamo vinto, è questo l’importante! Ce lo hanno insegnato il primo giorno: si combatte per la patria, e si muore per essa se necessario… I miei compagni saranno ricordati nei decenni a venire come eroi…”-
- “Povero ragazzo, hai le idee confuse. Nei prossimi secoli ci saranno innumerevoli guerre, con milioni di morti, e ognuno di questi, sarà solamente un altro numero, niente di più. Nessuno si ricorderà di Frank o di Joe, di Steven o di…Jim. Sarete solo sbiadite leggende di eroi senza volto e senza nome. Avete buttato via la vostra vita per cosa? Per degli stupidi giochetti di potere… ah razza umana, non smetterai mai di deludermi!” -
Le parole della donna lo annientano e lo infiammano allo stesso tempo, le si avvicina improvvisamente, schiumante di rabbia: “Chi sei tu?”
Lei lo fissa, per niente intimorita da quella reazione, e lo sfida con lo sguardo a ripetere le sue parole.
- “Chi-sei-TU?” - lo sillaba con tono velenoso, con il petto gonfio d’ira e d’angoscia.
Per tutta risposta la donna lo aggira e con passo aggraziato comincia a volteggiare tra i cadaveri ammassati: è uno spettacolo agghiacciante, ma di rara bellezza.
La veste bianca le svolazza intorno, mentre i piedi nudi accennano piroette sulla terra sporca di sangue.
Si blocca improvvisamente, e si volta a guardarlo con occhi di brace.
-“…. Interi battaglioni sono discesi nel cuore del mondo, giù, dove la luce del sole non arriva a riscaldare le membra intorpidite, dove il tanfo della carne putrefatta è l’unico odore percepibile. Volando come uno stormo compatto, hanno infoltito ancora di più le schiere dell’oltretomba, già pingui di morti per fame e stenti.
    La mia fame per ora è placata, ma la loro non si sazierà mai …vogliono te, ultimo scampolo di vita su questo campo di morte!
Nelle loro menti sorge spontanea un domanda, la stessa che ti stai ponendo tu da quando è finita, la domanda nascosta in bella vista davanti ai tuoi occhi…
Perché tu no?”-
Ad un suo cenno i corpi immobili si animano, come se qualcuno c’avesse soffiato dentro un alito di vita. Traballano sulle gambe malferme, si tengono gli arti feriti e dimentichi dell’oscuro oblio, si muovono. Vengono verso di lui, imbrattati di sangue e terra, con una scintilla di determinazione negli occhi, che prima erano poco più di vitree pozzanghere immote.  
-“Chi sono io…?!”-lo fissa con un sorriso sornione sulle labbra esangui, e prima di sparire gli soffia nell’orecchio -“sono la Morte!”
Lamenti e gemiti si levano dalle ricompattate truppe. Una parola su tutte, ripetuta come una litania, ancora e ancora, lo assorda: perché!
Perché? Se lo chiede anche lui…
Non ha mai voluto che finisse così, non ha mai voluto sopravvivere al suo intero battaglione…Voleva morire gloriosamente, combattendo per la patria ed invece…si ritrova ad essere fatto a pezzi dai suoi commilitoni, mentre gli domandano “perché tu no?”
Non sa dare una risposta, pensa solo che questa sia la fine che merita.
Una mano veloce, come uno stiletto, gli si infila nel petto, squarciandolo senza sforzo, fracassando le ossa della cassa toracica e trapassando il polmone.  
L’aria viene a mancargli e, mentre tossisce piccole macchie scarlatte, la mano assassina riemerge, trascinando con sé un prezioso bottino: il suo giovane cuore.
Non ha la forza per reagire; può solo rimanere a guardare, mentre gli dilaniano le carni, mentre il suo cuore diventa portata principale di quell’orrendo banchetto … mentre su quel mondo immerso in un tramonto cremisi, cala una cortina di pesante oscurità.
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Jim sussulta nel sonno indotto dal dolore; gli occhi dietro le palpebre si agitano, rincorrendo lampi d’immagini spaventose; per la prima volta si lamenta.
Linda è rimasta a vegliarlo dopo la terapia, non se l’è sentita di abbandonarlo di nuovo. Gli stringe la mano e sussulta quando sente uscire un piccolo suono dalle labbra secche del giovane.
Si avvicina, credendo d’aver sentito male: accosta l’orecchio alla bocca di Jim e rimane di sasso.
-“perché ?”-farfuglia nel sonno, lottando contro i suoi peggiori incubi.
Linda balza in piedi e corre, sorridendo tra i corridoi, a chiamare il dottor Gardner, sperando che Jim stia riuscendo a riemergere dallo strato di angosce e paure che lo tenevano rilegato sul fondo della sua coscienza.
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Apre gli occhi e si ritrova come ogni volta, dopo ogni seduta di elettrochoc, nel suo letto, a fissare il soffitto bianco di quella triste e spoglia camera di manicomio.
Ricorda ogni istante della terapia, ogni singolo sussulto, ogni singola scarica di energie che lo attraversa, e soprattutto il dolore.
Ricorda anche le beffe del grasso e flaccido dottore che lo “cura”, ma soprattutto ricorda degli occhi scuri che lo fissano impietositi…a chi appartengono? Non riesce a ricordarlo.
Quegli occhi gli fanno sperare che ancora ci sia del buono nel mondo, oltre alle atrocità, alla violenza, alla tracotanza.
Di chi sono? Sono, sono di ….
-“Quando in sogni opprimenti e orribili l'angoscia tocca il grado estremo, è proprio essa che ci porta al risveglio, con il quale scompaiono tutti quei mostri notturni. La stessa cosa accade nel sogno della vita, quando l'estremo grado di angoscia ci costringe a spezzarlo…”- una voce squillante rompe il silenzio che regna nella piccola camera.
Volta lo sguardo alla ricerca della fonte di quella voce … non può essere! Gli occhi si spalancano e le pupille si dilatano fino all’inverosimile, per imprimere meglio quell’immagine nella mente.
La Morte siede composta su una sedia al fianco del suo letto e lo fissa compiaciuta. Stringe tra le mani un libro e tiene il segno con un dito: Parerga e Paralipomena, questo il titolo che capeggia sulla costa del volume.
-“Grande uomo quell’ Arthur Schopenhauer ,aveva capito molto della vita … sai dare un senso a quello che ho appena letto?”- lo guarda interrogativa, ma lui, troppo angosciato da quella vista non le risponde.
-“Ti sto ponendo dinanzi a un bivio mio caro Jim: continuare a vivere tra gli orrori del tuo passato, o porre fine a questa inutile quanto miserevole esistenza. Molto semplice; a te la scelta!”- gli sorride, come farebbe una madre amorevole per invogliare il figlio ad ingoiare un’amara medicina –“consideralo come un regalo personale!”
La fissa esterrefatto: “Come puoi chiedermi di preferire la morte alla vita?”-boccheggia, preda della paura e della rabbia; si regge spossato al materasso e cerca di rialzarsi.
La Morte lo guarda e alzandosi gli si avvicina: “Allora?”
-“No, non voglio porre fine alla mia vita! È stata preservata per un motivo, ne sono certo!”-
-“Risposta sbagliata mio giovane e stolto amico”- gli rivolge una smorfia che somiglia solo lontanamente ad un sorriso -“… scelta revocata, mi dispiace. Ora deciderò io per te e ho deciso che la tua vita finisce ora!”-
Nemmeno il tempo di un battito di ciglia e le mani fredde della Morte sono strette attorno al suo collo: l’aria comincia a fluire via dai suoi polmoni e si ritrova sospeso a mezz’aria, con i piedi penzoloni, tenuto su solo da una delle esili braccia della donna di fronte.
-“Pronto a lasciare questo mondo?”-
-“N…n-no!”- si agita, nel vano tentativo di sfuggire a quella morsa letale –“No!”- ed intanto l’ultimo soffio di vita l’abbandona, il buio lo accoglie e il suo corpo giace immobile.
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Linda è terrorizzata, non sa che fare: Jim si agita convulsamente tra le lenzuola bianche e grida, come se lo stessero uccidendo. Ha la fronte corrucciata ed imperlata di sudore: il suo volto è una maschera d’angoscia.
La giovane infermiera chiama a gran voce il nome del dottor Gardner ed intanto trattiene il giovane soldato per le spalle.
Poi ad un tratto la crisi cessa, veloce com’era arrivata se ne va, alla stregua di un temporale estivo.
Linda sospira e molla la presa; lo osserva e gli scosta una ciocca bionda dal viso stravolto e sudaticcio, sfiorandogli la fronte con le dita fresche.
Jim si sveglia, di soprassalto, e li vede: vede quegli occhi che l’hanno fatto ricredere sulla vita, e sa dare un nome al volto della persona che li possiede. Linda.
I loro sguardi si intrecciano e la giovane volontaria sorride: “Vedrai, con il tempo andrà meglio…”
E dopo mesi di ostinato ritiro dietro una cortina di freddo silenzio, Jim pronuncia le sue prime parole: “Il tempo non curerà le ferite, ma credo che con un po’ d’aiuto riuscirò a placarne il dolore!”
 
The End
   
 
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