Passeggiare
nel bosco la faceva sentire bene. L’aria, lì,
assumeva un odore particolare,
profumava di resina, fogliame marcescente –che emetteva un
effluvio
dolciastro-, terra umida, legno verde.
Le
foglie
secche e i legnetti scricchiolavano sotto le suole spesse degli
scarponi,
mentre quelle umide emettevano un lieve fruscio e la terra nera
attutiva il
tutto, mentre ovunque era un tripudio di marrone, arancione scuro,
rosso
mattone. E di verde: le felci elastiche, i germogli che spuntavano dal
tappeto
morto steso sul terreno, il muschio che ricopriva tronchi e rocce.
Adorava
il verde, era un colore vivo e le dava un senso di quiete. Di
tranquillità. Ecco
perché amava il verde.
Si
piegò
in avanti e liberò Buttercup dal guinzaglio: il golden
retriever, con la lingua
di fuori e concentrato su qualcosa nascosto tra le felci –che
avesse puntato un
riccio o qualche altro abitante della foresta?-, partì a
razzo, abbaiando e
subito dopo un povero scoiattolo uscì dal suo nascondiglio,
scappando via
svelto svelto, per evitare le fauci del cane che di certo non avrebbero
avuto
pietà del suo corpicino.
Buttercup
sparì in una chiazza color crema tra gli alberi e lei
riprese a camminare,
ridacchiando.
Poi
si
zittì, tendendo l’orecchio. La foresta taceva e
parlava assieme, aveva mille
storie da raccontare. Pareva desolata ed invece brulicava di vita.
Ecco,
la foresta e la sua calma verde e odorosa e camminare, che pazzesca
accoppiata!
Erano cose che la facevano star bene, che l’aiutavano a
riflettere chiaramente.
E
quel
giorno ne aveva bisogno, parecchio bisogno: si sentiva confusa e
frustrata per
non riuscire a trovare una soluzione al tarlo che le rodeva la mente.
Non sapeva
più dove sbattere la testa… non sapeva
più cosa fare.
Avrebbe
dovuto continuare per la sua strada o ascoltare suo fratello? Lui ne
sapeva
indubbiamente di più… ma perché doveva
proibirle a quel modo di esprimersi come
desiderava? Solo perché era il maggiore? Solo
perché era più esperto? E con
ciò?
Eppure
non riusciva a togliersi dalla testa l’idea di essere in
errore… di aver
sbagliato qualcosa. Forse Lucas aveva ragione su tutto e quel pensiero
la
tormentava e la frustava fino a farle crescere nel petto un mostro
rabbioso.
Tirò
un calcio furibondo ad un tronco abbattuto da un fulmine e corse fino
al
vecchio rifugio abbandonato. Spalancò la porta senza
l’usuale fatica dovuta al
legno marcio e ai cardini mangiati dalla ruggine. Solo un fievole
raggio di
sole illuminava l’ambiente.
Entrò
e si richiuse la porta alle spalle, poi accese la torcia ed
individuò la botola:
l’aprì e si calò di sotto, percorse il
corto tunnel ingombro di vecchiume ormai
sfasciato dal tempo e dall’umidità e si
trovò davanti all’altarino che suo
nonno aveva costruito, esattamente tre metri prima della porta di ferro
arrugginito della sua stanza dei giochi.
La
statua
della Nera Dama ghignava, inquietante come sempre e l’ombra
della sua falce si
allungava sulla ragazza, che, presa la scatolina di fiammiferi
abbandonata sul
ripiano di legno nero, ne accese uno.
Accese
una candela rossa come il sangue e osservò a lungo la
fiamma. Poi prese il
coltelo dalla lama nera ed entrò nella stanza, rivolgendo un
sorriso amorevole
all’uomo che l’aspettava semi sdraiato sul
materasso rosso e nero.
-Sono
tornata, amore mio. E adesso giocheremo.- cinguettò
amorevole. Suo fratello
sbagliava. Lei aveva assolutamente ragione, lei sapeva esprimere il suo
amore e
il suo talento. E il suo principe azzurro lo sapeva,
l’attendeva sempre su quel
letto cremisi.
L’uomo
sgranò gli occhi ed urlò, cercando di liberare le
braccia incatenate e
doloranti, coperte da sangue secco e pus, ma la sua disperazione veniva
attutita dal morso di cuoio, che ormai sembrava essersi fuso con la sua
bocca.
La
ragazza si fece vicina, il viso pallido e stravolto dal perverso
piacere che la
sua vittima aveva imparato a riconoscere e che preannunciava
l’orgasmo di lei e
l’atroce sofferenza di lui, le labbra rosse schiuse in una
smorfia che gli
risultava disgustosa. La vide spogliarsi, il corpo bianco solcato da
cicatrici
profonde che creavano veri e propri disegni intricati, come se avessero
usato
la sua pelle come una tela.
Posò
gli
occhi sulle alte pile di ossa nelle nicchie del muro e
pregò, mentre il
coltello si alzava su di lui.
***
Note
dell’autrice
La storia
nasce da una domanda su Ask che mi chiedeva di scrivere un racconto
“basandoti su alcuni elementi: -Qualcosa di verde
-Un'animale a tua scelta -Crisi, di qualsiasi genere, piccola e appena
accennata, oppure il cuore del brano, come vuoi -Una falce -Un
particolare
dissonante e fuori contesto”.
Alla
fine ho creato un personaggio decisamente squilibrato e
sì, il poveretto farà una brutta fine.
Sinceramente
non sono molto convita di come abbia utilizzato
gli elementi e non sono nemmeno certa che il risultato ottenuto sia
ciò che
desideravo, ma spero che la storia vi piaccia e spero che mi
esprimerete la
vostra opinione, ve ne sarei immensamente grata, dato che
l’horror è un genere
abbastanza nuovo, per me.
Beth