Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Leilani54    24/08/2013    1 recensioni
"Azura capì che i suoi amici si erano finalmente resi conto dell'intricata situazione e che non l'avrebbero più lasciata sola, nemmeno Fujiko. Ma proprio per questo, stavano firmando la loro condanna a morte."
Questa è la mia prima storia, siate buoni! ;)
Ho corretto un po' la storia. Sono cresciuta, ho cambiato leggermente il mio stile e adesso mi sembra che la storia abbia maggiormente senso. Se avete voglia di rileggere... ^3^
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 ~~Capitolo 3

Dobbiamo andarcene, dobbiamo lasciare questo posto prima che la polizia o quelli che hanno tentato di farci saltare in aria ci trovino. Questa notte cercheremo le nostre armi, il diamante e ce ne andremo. Azura è stata gentile, ma rimanendo qui a lungo non faremmo altro che mettere in pericolo anche lei. Se ci troveranno, nelle condizioni in cui siamo, dubito che avremo molte speranze.

Le parole di Lupin gli vorticavano ancora nella testa. Speranze… lui l’aveva persa già da tempo, la speranza. Non aveva mai avuto modo, nella vita, di poter ambire a diventare qualcuno di importante, tipo un boss mafioso. Non era mai stato abbastanza crudele. Mai abbastanza cinico. Si era limitato a mettersi nelle mani di altri, come killer, guardia del corpo, mercenario dell’esercito. Poi aveva incontrato Lupin. E Goemon. E ne aveva ritrovata una piccola parte. Gli era parso di poter finalmente essere sé stesso, non solo una pistola e una mano veloce. Non che non avesse mai fatto di testa sua, prima. Per la verità, anzi, lui era un lupo solitario, non aveva mai legato con una particolare fazione, e probabilmente per quello aveva tanti nemici. Ma con Lupin e Goemon era alla pari. Era un membro fondamentale di qualcosa, di quella che dopo tanto tempo aveva potuto chiamare famiglia. Scrollò la testa e si mise a sedere. Quando Lupin gli aveva chiesto di lavorare con lui… e non PER lui… non aveva visto paura o disprezzo nei suoi occhi, al contrario di tutti quelli che lo avevano guardato fino ad allora. Lui e Goemon… erano dei veri amici. E lui li aveva ripagati con un bel botto: poco prima dell’esplosione del loro motoscafo, aveva trovato la bomba a orologeria decorata con un “bel” nastro rosso con un simbolo giallo. Erano quel nastro rosso con quel simbolo giallo. Di quella stupida mafia che aveva servito come killer per circa cinque anni e che ora, a quanto pareva, gli dava la caccia. Quando aveva visto quel nastro, si era maledetto mille volte e aveva trascinato in acqua gli altri, riuscendo a evitare il peggio. Povero Zazà, probabilmente li stava ancora cercando negli abissi. Che uomo d’onore. Buffo, ma d’onore: non esitava a gettarsi in situazioni anche più grandi di lui pur di riuscire a catturare Lupin, lo odiava quando gli sfuggiva, gli sparava, mirava al cuore. Eppure, se lo credeva morto, lo piangeva come se fosse stato il suo più caro amico. Jigen tornò indietro coi pensieri: tentò di ricostruire i ricordi dopo l’esplosione, dopo essere arrivato alla spiaggia, ma nella sua mente c’era solo nebbia e buio. E nel buio, evanescente come un fantasma, appariva il viso candido di Azura. “Devo finirla di pensare a lei”. E naturalmente, come ogni volta che ci si fa il proposito di non pensare a qualcuno, all’improvviso diventa impossibile smettere di vederne il volto nella mente. Jigen si accese una sigaretta (aveva trovato dei fiammiferi che facevano proprio al caso suo) per cercare di prendere sonno. “Chissà perché ha deciso di aiutarci. Una ragazza sola e così bella… Maledizione, ma a cosa penso?! Jigen Daisuke” disse a sé stesso “so dove andrà a finire questa cosa, e non mi piace per niente!” Eppure quella donna gli occupava prepotentemente i pensieri. Lo affascinava. La sirena aveva cantato, e lui era lo sciocco marinaio che si era fatto ingannare. No, non si sarebbe lasciato abbindolare, come gli era accaduto troppo spesso col gentil sesso. Perché era ovvio che quella donna portava rogne. Aveva verificato, e anche Lupin pensava qualcosa del genere, c’erano un po’ troppi buchi nella storia di Azura. Uno dei tanti era per esempio come potesse esser stata costruita una villa di tale magnificenza su un’isola praticamente sconosciuta senza che il mondo lo sapesse. Tuttavia Lupin si era fidato di lei, alla spiaggia, l’aveva reputata una ragazza buona che li avrebbe aiutati e, infatti, raramente si sbagliava con le persone. Jigen scrollò di nuovo la testa per scacciar via tutti quei pensieri negativi e, non riuscendoci, uscì dalla stanza accendendosi a catena l’ennesima sigaretta. Sperava di poter iniziare la ricerca delle armi, visto che Goemon e Lupin, nonostante il proposito, erano caduti in un sonno profondo. In effetti le loro ferite erano più gravi delle sue, avevano bisogno di un lungo riposo. La luna piena illuminava il salotto a giorno. “Perfetto, non avrò nemmeno bisogno di accendere le luci” pensò, prima di notare che proprio Azura era seduta su uno dei divanetti, intenta a leggere qualcosa. Stette in silenzio, le mani in tasca, guardando la bella figura immersa nei raggi lunari, sperando che non lo notasse e che andasse a dormire presto.

***

Lo sentiva alle spalle, aveva il respiro rumoroso dei fumatori e lo sguardo che bruciava. Ne poteva percepire la sua stessa essenza: malinconica e dolce, sigillata in un cuore di pietra. Siccome quello non sembrava aver intenzione di muoversi, piegò la lettera che aveva in mano e parlò:
–Vieni pure avanti, mica ti mangio.- lo sentì sussultare:
–Da quanto sapevi che ero qui?-
–Da adesso.- Azura si voltò e lo vide avvicinarsi a una parete di vetro soffiando fumo. La donna lo rimproverò, indispettita del fatto che avesse trovato il modo di accendere:
–Mi sembrava di averti già detto che fumare, soprattutto nel tuo stato, ti fa male!- lui sorrise guardando fuori:
–E a me sembrava di averti detto che non intendo ascoltarti.- lei cambiò espressione, diventando all’improvviso un tenero angioletto dispettoso:
–Ah sì?- “Bene, allora eccoti servito”. Spostò furbescamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio, in modo da mettere in mostra il proprio decolleté:
–E se io…- gli si avvicinò. Jigen deglutì. Aveva la gola improvvisamente secca.
–…facessi…- lo tirò per la cravatta e gli poggiò una mano sul petto:
–…così?- si mise in punta di piedi per averlo perfettamente di fronte, con i loro nasi che quasi si toccavano. Gli poteva vedere gli occhi scuri sempre nascosti dalla tesa del cappello. Jigen le afferrò la mano con cui lo teneva per la cravatta per bloccarla. Lei, sorridendo sardonicamente, mosse lentamente le labbra in un sussurro:
-“Ti distruggerò nel modo più meraviglioso che esista e quando me ne andrò tu capirai perché i cicloni portano i nomi di donne”.- Jigen provò a indietreggiare, ma andò a sbattere contro un mobiletto.
-E…eh?- disse confuso. Azura approfittò del suo disorientamento per togliergli la sigaretta di bocca e buttarla in un portacenere di cristallo sul tavolino lì vicino. “Che buon profumo. Sa di tabacco, frutta, polvere da sparo e… di buono” pensò, godendosi ancora qualche secondo della loro vicinanza. Poi, Azura lo spinse via delicatamente, come se stesse allontanando il proprio pensiero inopportuno invece che l’uomo, e si andò a sedere sul divano. “Odio dover fare la civetta, ma è  troppo divertente”.
-Era solo una piccola citazione.- Accavallò le gambe e lo invitò a seguirla sul sofà. Lui rifiutò.
-Quindi, cosa ti tiene sveglio?- gli chiese allora, diretta. Sperava di risolvere abbastanza velocemente la situazione, in modo da spingerlo ad andare a letto. Aveva delle questioni in sospeso da risolvere, non aveva tempo per giocare ancora con lui. Già, aveva subito intuito che con il bel gangster tenebroso si sarebbe divertita un mondo, tuttavia quello non era il momento. Jigen si spostò dal mobiletto e si appoggiò al muro con la schiena.
-Volevo fumarmi l’ultima sigaretta, mi concilia il sonno. Ma a quanto pare dovrò rimanere sveglio tutta notte.- mentre parlava, il fumo inspirato poco prima gli uscì dai denti stretti, come se fino ad allora avesse trattenuto il fiato. In quel momento aveva qualcosa di bestiale nell’aspetto, di demoniaco. Ma Azura era ben conscia che Jigen Daisuke, un po’ demone, lo era.
-Se fumi sempre così spesso, avrai i polmoni neri, a quest’ora.- commentò la donna, arricciando il naso. Jigen digrignò un po’ i denti: il fatto che sembrasse preoccupata per lui gli aveva procurato un moto di orgoglioso piacere, ma sembrava che volesse continuare a dargli degli ordini. E lui non prendeva ordini. Soprattutto, non da una donna.
-La mia salute non è una cosa che ti riguarda.- disse, stizzito.
-Per la verità sì, dato che tu e i tuoi amici siete sotto le mie cure, al momento.-
-Sappiamo badare a noi stessi.- Azura sollevò un sopracciglio.
-Si vede. Vuoi che ti descriva come eravate ridotti quando vi ho trovato?- Jigen ora si stava seriamente irritando.
-I sensi di colpa non funzionano con me.-
-Allora chiedimi quello che vuoi realmente chiedermi e smettila di girarci intorno.- gli rispose a tono Azura. Jigen non si tirò indietro.
-Innanzitutto vorrei che tu ci ridessi ciò che ci hai rubato.- Azura corrugò la fronte.
-Io non vi ho rubato proprio niente.- Jigen sollevò appena la tesa del cappello perché lei potesse vedere appena i suoi occhi fiammeggianti.
-Le nostre armi. Ridaccele.- Azura scosse la testa.
-Non credo proprio. Le ho prese in custodia. Sono pericolose. Non mi dirai che avrei dovuto accogliere e curare dei potenziali assassini e lasciar loro le armi!- Jigen incrociò le braccia.
-Se pensavi che fossimo potenziali assassini, perché ci hai aiutati? Eravamo in sovrannumero, quattro, (di cui tre uomini) contro una donna. Ti avremmo potuto fare del male in qualunque momento, anche da feriti.-
-Non lo avete fatto.-
-Non è questo il punto.-
-E quale sarebbe? Senti, ho deciso di fidarmi, fine. Ho solo voluto prendere comunque delle misure di sicurezza. Avresti preferito che vi lasciassi morire sulla spiaggia? - Jigen non trovò nulla da ribattere, non era ancora convinto, ma decise di lasciar cadere quella richiesta. Aveva l’occasione di raccogliere informazioni, non poteva sprecarla.
-Va bene, allora come facevi a conoscere i nostri nomi?- Azura lo guardò con un’espressione che diceva “Davvero me lo stai chiedendo?” tuttavia rispose:
-Siete famosi, insomma, la banda di Lupin III non passa esattamente inosservata. Apparite spesso sui media. Mi è bastato fare una piccola ricerca per capire chi eravate.- Jigen insisté.
-Come fai a ricevere informazioni dall’esterno? Quest’isola è sconosciuta e isolata!- Azura indicò un computer portatile.
-Quello è collegato ad un satellite privato che…-
-Un satellite privato?!?!- ora Jigen era stupefatto –Non è possibile tutto ciò. Come… è… possibile! Non può essere che nessuno sappia che esiste un intero satellite impiegato nella connessione col resto del mondo di un singolo computer su un’isola sperduta… in una villa arrivata chissà come!- Azura rise della sua espressione esasperata.
-Ti stupiresti nel sapere quante situazioni simili a questa esistono, nel mondo. Praticamente tutti gli scienziati che svolgono ricerche ritenute particolarmente importanti hanno questi privilegi. Noi siamo solo un po’ più particolari.-
-Aspetta, noi? C’è qualcun altro qui? Siete scienziati?-
-Oh no, solo mio padre lo è. È un fisico. Svolge ricerche sui buchi neri e la materia oscura. Io ve l’ho detto, sono solo una consulente.-
-E dove si trova ora, tuo padre?- lo sguardo di Azura sembrò oscurarsi di nostalgia, ma solo per un attimo.
-È via.- scese qualche secondo di silenzio. Poi Jigen chiese ancora:
-Noi… intendo io e i miei amici… quando e come ci lascerai andare.- Azura sollevò di nuovo il sopracciglio.
-Non mi pare di avervi legato od obbligato a rimanere. Potrete andarvene quando vorrete e come riterrete necessario (dispongo di qualche moto d’acqua che potrebbero interessarvi). L’isola civilizzata più vicina è solo un paio di giorni più a est. Vi darò cibo e acqua a sufficienza per il viaggio. Vi chiedo solo di non rivelare a nessuno l’esistenza di questo posto.- fece una pausa per vedere la reazione dell’altro, che però aveva un’espressione impassibile. Riprese:
-Purtroppo, per quanto riguarda le armi, deciderò sul momento se darvele o meno.- a quelle parole un’espressione cattiva apparse sul volto del moro. Lui era legato per la vita alla sua Magnum, tanto quanto Goemon alla sua katana: quella pistola era il suo passato, la sua vita intera. Si avvicinò al divano.
-Non credo che avrai molta scelta, donna.- sputò l’ultima parola come fosse il peggiore degli insulti. Azura, che ne aveva percepito tutto l’odio, gli fece il medio. Jigen allora la prese per il polso.
-Potrei costringerti a ridarcele ora.- Azura a questo punto si alzò e lo fronteggiò, liberando la mano.
-Sono qui, fallo, se vuoi.- Jigen drizzò la schiena, sovrastandola con la sua altezza. I suoi occhi scuri erano estremamente minacciosi. Il suo tono di voce, quando parlò, era gelido.
-Ridacci le nostre cose. E sai bene che non mi riferisco solo alle armi.- Per non doverlo guardare dal basso verso l’alto, Azura si trovò costretta ad indietreggiare di un passo. Un passo, non di più.
-Non so a cosa ti riferisci.- sibilò.
-Allora dovrò rinfrescarti la memoria…- disse lui.
 
  
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