Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Leilani54    24/08/2013    1 recensioni
"Azura capì che i suoi amici si erano finalmente resi conto dell'intricata situazione e che non l'avrebbero più lasciata sola, nemmeno Fujiko. Ma proprio per questo, stavano firmando la loro condanna a morte."
Questa è la mia prima storia, siate buoni! ;)
Ho corretto un po' la storia. Sono cresciuta, ho cambiato leggermente il mio stile e adesso mi sembra che la storia abbia maggiormente senso. Se avete voglia di rileggere... ^3^
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 ~~Capitolo 9

-Lupin! Come facevi a sapere qual era l’entrata giusta?- Azura si guardava attorno, ammirando i ricchi fregi che ornavano i palazzi di marmo e giada. L’uomo si girò verso di lei e ammiccò:
-Semplice, non lo sapevo!- Azura lo avrebbe volentieri strangolato, ma il paesaggio era troppo affascinante e non riusciva a staccare gli occhi da tutte quelle meraviglie: l’acqua era smeraldina, molto più chiara e cristallina rispetto al resto del mare; la luce del sole arrivava fino a quella profondità creando giochi di luce con le onde;
-Com’è possibile che non si veda nulla di tutto ciò dall’alto?- chiese Jigen. Lupin aveva la risposta pronta.
-Ecco, è qui che vi volevo. Come l’isola in cui abiti, Azura, questo posto è schermato da un particolare campo magnetico che riflette le immagini e rende invisibile la città dall’esterno. Per trovarla non serviva scegliere un’entrata, erano tutte giuste, ma quella che abbiamo percorso era una delle più lunghe e ci ha portato dentro la città. Se ne avessimo presa un’altra saremmo arrivati più indietro e non avremmo potuto vederla, ma ci sarebbe comunque bastato andare dritti per trovarla.- Azura non poté credere alle proprie orecchie: come era arrivato a capire tutte quelle cose da solo, senza informazioni? “Incredibile” pensò. Intanto pesciolini esotici e variopinti nuotavano tra le alghe, nascondendosi nelle crepe delle mura al passaggio dei tre giovani; bellissime statue raffiguranti divinità e guerrieri nordici dalla bellezza indescrivibile erano sommerse per metà nella sabbia e dappertutto vi erano segni di quella meravigliosa città che doveva essere stata un tempo Vineta. Azura nuotava a destra e a manca, inseguendo i pesciolini, e trovando statue e ornamenti ovunque, sempre più belli. Si fermò solo dopo che ebbe placato, almeno in minima parte, la sua infinita curiosità e si trovò a osservare gli altri due che erano con lei. Lupin si guardava attorno ammirando e, probabilmente, cercando il nascondiglio dei tesori sepolti, forse pensando a come trasportali in superficie. D’altra parte, erano circondati da statuine in giada e fregi in oro! Guizzava da una statua all’altra e lasciando dietro di sé migliaia di bollicine e pesci spaventati. Jigen nuotava calmo, sfiorando con le dita i blocchi di marmo delle mura e nuotando in una direzione imprecisata spostando la sabbia. Elisa gli si avvicinò per chiedere spiegazioni:
-Cosa stai facendo? Che cos’hai visto?- lui le lanciò un’occhiata come se non la stesse veramente guardando, ma fissasse un punto oltre a lei. Si riprese quasi subito e le mostrò quello che aveva notato: spostò della sabbia dal fondale facendo venire alla luce quella che doveva essere stata una strada, fatta di un materiale non identificabile. La cosa strabiliante era che la strada era percorsa da due file di pietre preziose, una di zaffiri, l’altra di smeraldi. Jigen stava seguendo quella di zaffiri. Lei gli fece segno dell’ ok e iniziò a seguire l’altra pista. Gli smeraldi (avrebbero dovuto trovare il modo di portare anche quelli in superficie) la condussero nei meandri della città, nella parte in cui la maggior parte delle case erano ancora pressoché intatte. La pista si districava in infiniti viali e piccolissime viuzze. Finì in un’enorme piazza davanti ad un colossale edificio. Forse era stato il palazzo della città. L’enorme portone, anche questo riccamente intarsiato, era semi aperto. Azura sporse la testa, e vide l’interno della reggia: era una sala enorme col soffitto di cristallo, una grande fontana di conchiglie al centro e tende di tessuti finissimi, ormai ricoperti da una patina di alghe. Dal soffitto pendevano delle sfere di vetro che creavano ulteriori giochi di luce, facendo sembrare la sala grande il doppio. “Assomigliano al diamante di Itzamnà” non poté fare a meno di notare Azura: “Chissà cosa mai potrebbero aver avuto in comune… che i vichinghi abbiano addirittura incontrato il popolo Maya?” Due rampe di scale salivano a un piano superiore, in direzioni opposte. Azura optò per la scalinata di destra, quella meno rovinata, ma più buia. Non trovò granché, solo in una stanza, probabilmente appartenuta alle varie regine, aveva trovato pochi gioielli, anche se di grande valore. Li infilò nel sacco che aveva con sé e si concesse un minuto di stupidità allo specchio ovale del comodino mettendosi in testa un diadema che aveva trovato. “Mi dona proprio! Anche se devo dire che la muta da sub mi fa perdere molto in fascino…” pensò, ridacchiando fra sé e sé (per quanto le fosse concesso dal boccaglio). Si diresse verso la rampa di sinistra e vide che Lupin e Jigen l’avevano raggiunta. Lei gli nuotò accanto:
-Trovato niente?- Jigen scosse la testa:
-Solo una specie di chiesa, ma era fatta interamente in pietra. Anche le decorazioni, che sembravano di marmo, alla fine erano solo sassi meravigliosamente intagliati.- Azura sorrise:
-Ah, allora questa volta la fortunata sono io! Guardate qui!- gli mostrò le collane e i bracciali.
–Credo che il resto si trovi di là!- disse indicando l’altra scalinata. I tre si diressero verso l’ala ovest del palazzo e, passato un corridoio di vetro arrivarono a una parete, completamente dorata.

***

L’avevano setacciata palmo a palmo, ma neanche l’ombra di una serratura o di un passaggio segreto. Quella parete di pirite, l’oro dei matti, era quindi una fregatura? Si girò verso Lupin ed Azura. Quest’ultima sembrava una sirena con tutti i morbidi capelli castani che le volteggiavano intorno al viso. Jigen si costrinse a spostare lo sguardo e chiese al suo socio cosa fosse meglio fare. Lupin assunse quella sua solita aria da pensatore idiota e si grattò la testa. Sembrava un po’ una scimmia. Un pesce-scimmia.
–Potremmo farla saltare in aria, ma rischieremmo di danneggiare quello che si trova dall’altra parte, oltre al fatto che potremmo demolire per sbaglio l’edificio.- commentò il francese, sconsolato. Jigen, stufo di giocare a quella caccia al tesoro, si guardò intorno e notò che la stanza era completamente vuota rispetto alle altre, non vi erano neanche delle colonne, solo quel muro di pirite che non voleva aprirsi. Uno scintillio attrasse la sua attenzione: alla parete di fronte era attaccato uno specchio quadrato ricoperto di alghe. Jigen gli andò davanti e lo pulì un po’: lo specchio rifletteva un angolo della stanza, vicino alla parete. Gli nuotò vicino e vide un’immagine stilizzata che sembrava una stella con accanto una mucca sbilenca. Le Pleiadi e il Toro. Ci siamo. Premette la piastrella e un raggio di luce partì dal punto in cui aveva tenuto le dita per andare a colpire lo specchio. Un rombo cupo fece vibrare la stanza.
-Cosa succede?!- gridò Azura nei trasmettitori. La parete di pirite si ritirò ai lati mostrando un cunicolo di ottone che andava verso l’alto. Non c’erano gradini o appigli, ma per fortuna l’acqua permise ai tre di risalire quel passaggio. Le pareti del cunicolo erano state decorate con sculture di quelli che dovevano essere stati i grandi re della città, ora eternamente intarsiati nell’oro. Arrivati in cima, i tre avventurieri, dovettero aspettare qualche secondo prima di poter vedere, dato che un’improvvisa luce li aveva abbagliati. Qualche secondo dopo lo videro; ciò che li aveva spinti a immergersi: il grande tesoro di Vineta. Una grotta dalle pareti azzurrine era lì, ad attenderli, con uno spiazzo di ossidiana ricoperto da tonnellate e tonnellate d’oro e gioielli. La grotta non era piena d’acqua, si poteva respirare senza bombole. Lupin tentò di salire della piattaforma, ma un rombo scosse le pareti e il soffitto da cui si staccò una stalattite che lo avrebbe infilzato se Jigen e Azura non l’avessero prontamente afferrato per le gambe e ritrascinato in acqua.  Il tremore cessò.
–Cavolo, ci dev’essere un meccanismo a pressione che alla minima variazione di peso fa crollare tutto. E ora che si fa?- Azura aveva sollevato un giusto dubbio.
–Mm, dobbiamo trovare il collegamento del dispositivo alla piattaforma e interromperlo. Jigen, hai con te l’esplosivo?- Jigen annuì mostrando un sacco e la donna sbiancò:
–E-esplosivo?! Volete far saltare in aria le pareti?! Avete qualche istinto suicida inconscio?! È la stessa questione di prima, rischiamo di…- Lupin scoppiò a ridere:
-Tranquilla! È uno speciale miscuglio di mia invenzione: crea esplosioni capaci di far saltare in aria di tutto, dalle serrature a una porta blindata. Dipende dalla quantità. E funziona anche sott’acqua. Prima poteva trattarsi di una parete portante, ma in questo caso si tratterà solo di distruggere l’ingranaggio giusto. Azura, dovresti vedere la tua faccia, è impagabile!-
–Ha parlato il bello!- disse sogghignando Jigen.
-Ma che spiritosone, cecchino dei miei stivali, anzi, delle mie pinne.- i due uomini s’immersero. Cercavano una porta, una leva, o una qualsiasi cosa che avrebbe potuto rivelare uno scomparto segreto. Notarono quasi immediatamente che la piattaforma sembrava creare un gradino sul fondale sabbioso. Nuotarono verso il fondo, per poi accorgersi che l’ossidiana era sostenuta da quattro grandi catene alla parete della grotta. Con un po’ di fatica si infilarono sotto la piattaforma (che scoprirono essere cava e riempita di un gas, forse elio) e videro che l’unico collegamento della piattaforma col fondale era… un filo. Un minuscolo e sottilissimo filo dorato collegava con una levetta la piattaforma a un ingranaggio dentato che, azionato dalla più piccola tensione o allentamento del filo, avrebbe iniziato a girare, colpendo violentemente le fiancate circostanti e provocando i crolli e il terremoto come poco prima. Era una grandissima opera d’ingegneria e furbizia: per evitare di azionare l’ingranaggio, Lupin posizionò il suo esplosivo intorno alla base della levetta: delle bolle di fumo iniziarono a uscire dal miscuglio grigiastro di sua invenzione e poco dopo la leva si staccò dal meccanismo senza azionare nulla. I due riemersero dove Azura li aspettava, trepidante. Niente scossoni, nessun terremoto, nessun crollo. Tempo di uno sguardo e Lupin iniziò subito a fare l’idiota. Uscì dall’acqua a tempo record e si tuffò nel mare di monete dorate, uscendone con una corona tempestata di brillanti e uno scettro di rubini. Si atteggiò da sovrano facendo ridere a crepapelle sia Azura che Jigen. Quest’ultimo si diresse verso delle spade di acciaio dall’elsa riccamente decorata. Trovò persino una pistola a pietra focaia d’argento e ottone. Lanciò in aria due monete e, notando con piacere che la pistola funzionava ancora a meraviglia, le bucò esattamente nel centro. Osservò le effigi su delle tavole d’argento, ormai più simili a scarabocchi che ritratti, ma che conservavano ancora buona parte di un antico splendore. S’incamminò tra i vari cumuli di tesori e vide Azura inginocchiata davanti a qualcosa: sembrava una stele e dalla sua base era stata appena rimossa una sezione rettangolare. Azura teneva in mano una scatola di metallo. All’interno c’era una bambola, piccola, di legno, povera. Gli occhi erano due opali perfettamente rotondi. Non era niente di speciale, ma la donna non aveva occhi che per quella, a dispetto di tutti quei tesori dorati.
–Cos’è?-
–Una  bambola?- disse Azura, sarcastica.
–Perché t’interessa tanto?- lei non rispose. Si alzò in piedi, tenendo la bambola stretta al petto. Gli si avvicinò:
–Come avete intenzione di trasportare tutto questo?- fece un gesto ampio col braccio. Jigen guardò Lupin che stava già tirando fuori da un borsone che si era portato dei grossi tubi di plastica dura. Lì vicino c’era anche un bocchino, simile a quelli delle aspirapolveri, ma molto, molto più grande. E lì, anche loro capirono ciò che quel matto aveva in mente.
 
  
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