▪ CAPITOLO 04 ▪
«l’arena ha i suoi segreti», aveva detto. [PT. 1]
Camminavano da un’ora e mezza
circa, della quale almeno un quarto d’ora di riposo. Ariel non si lamentava:
probabilmente era abbastanza sollevata dal vedere il fratello sufficientemente
in forma (considerando che nel giro di tre minuti era stato ferito e
avvelenato) e carica di una nuova energia positiva.
La tredicenne si guardava
attorno con stupore: il verde brillava sotto una luce del sole stranamente
potente considerando il tendone di foglie sopra di loro, come se il sole fosse
sotto i rami degli alberi, gli svariati insetti cantavano una loro
personalissima sinfonia che sembrava apprezzare solo lei, gli occhi di ghiaccio
luccicavano come diamanti mentre osservava in alto un uccello di dimensioni
considerevoli dal piumaggio nero e un lungo becco verde dalla punta rossa1.
Fortunatamente questo non fece nulla che potesse risultare nocivo.
Lyosha
pensava e ripensava alle parole della loro mentore: ci sono sempre dei segreti nell’Arena. Certo che c’erano, e il
primo era che l’acqua della Cornucopia era avvelenata – dentro di sé, il
tributo sperava che qualche suo rivale (preferibilmente favorito) avesse deciso
di berla e che ora fosse bello che morto. Ma presto altre domande gli invasero
la mente: cos’altro era avvelenato?,
l’acqua della cascata era buona?, e la frutta su questi alberi?. Si fermò
un attimo a guardare in alto, socchiuse gli occhi per il fastidio dato dai
fasci di luce e, non contento del risultato, posò una mano sulla fronte per
farsi da visiera. Gli alberi erano diventati troppo fitti perché potesse vedere
l’altezza del sole. Sospirò e riprese a camminare.
«Tutto bene?» chiese lievemente
preoccupata la più piccola degli Isaacs, lasciando la
mano al fratello in modo che potesse rispondergli a gesti.
Lyosha
annuì, spiegando brevemente che si sentiva abbastanza frustrato per non
riuscire a capire che ore fossero – era una cosa che avevano imparato al
distretto, perché gli orologi in casa loro erano solo due, uno sopra il
mobiletto dove vi era la loro vecchia radio e l’altro sul polso della madre.
Lei sorrise e gli afferrò nuovamente la mano, dicendogli che non si sarebbe
dovuto preoccupare più di tanto.
Incredibile, si disse, quanto
quella ragazzina potesse sorridere in un qualsiasi momento.
Ma non era ancora finita, e Lyosha aveva l’impressione che quei giochi sarebbero andati
ancora per le lunghe. Mentre camminava evitando liane e radici di ogni tipo,
scavalcando un grosso tronco caduto e aiutando Ariel a superarlo ripensava alla
sua breve sosta a Capitol City, dove era stato
trattato come la cosa più vicina ad una star
di proporzioni mondiali – si sentiva una persona pessima nel ricordare
come aveva sorriso compiaciuto di sé stesso dopo essere sceso dal treno che lo
aveva portato dal distretto alla Capitale. Era stato un sorriso incondizionato,
che lui non era riuscito a controllare. Aveva salutato confusamente, come
allucinato, gli abitanti sfarzosi di quella città – anche Ariel dietro di lui
(più timorosa, diffidente) si guardava in giro sorridendo di quando in quando
ai capitolini che le sembravano buffi.
Non aveva sentito quel senso di
ribrezzo prima di ora perché nessuno gli aveva detto che era una cosa sbagliata
– neanche la loro mentore.
Quello che successe poi se lo
ricordava vagamente, anche il sapore del buon cibo “offerto” nelle loro stanze
era stato dimenticato, il dolore della ceretta e delle pinzette era solo un
vago ricordo. Tuttavia nella sua mente era ben stampata la sua figura coperta
dall’abito per la sfilata, assieme a quella di Ariel: indossavano entrambi due
abiti classici, lui un frac e lei un abito lungo, la gonna leggermente ampia ma
adatta ad una tredicenne, sulla fondo questi vestiti erano dipinti dalle più
particolari sfumature meravigliosamente combinate tra loro: ricordava gli
spruzzi dell’arancione e le voragini in cui ballavano il lilla e il verde
pastello, il rosa carne dava da sfondo a tutto e, mano a mano che si saliva, il
vestito sembrava quasi incompleto e il colore lasciava spazio al rosa di base
che, all’altezza del petto, sembrava fondersi con il loro colorito, ciò che
rimase del rosa erano solo alcuni filamenti e lembi di tessuto, come se
dovessero finire di cucirlo. Le spalle di Ariel erano avvolte da un morbido
groviglio di fili che si attorcigliavano tra le sue clavicole in modo
simmetrico e artistico, riprendendo i colori del fondo dell’abito, i fili rosa
scendevano sulle braccia di entrambi, avvolgendo gli arti come corde e, mano a
mano che la carrozza avanzava, qualcosa mutava. Il colore sembrava risalire dal
tessuto… o meglio, si espandeva! Lyosha
si guardava estasiato il braccio a partire dalla spalla mentre gli arcobaleni
attorcigliati tra loro invadevano i corpi dei due fratelli, rendendoli
coloratissimi come i fili che il ragazzo usava per ricamare.
«Non si può rappresentare con un vestito un distretto come il vostro, Lyosha. ―
aveva spiegato con nonchalance Vilette, al ritorno
della sfilata ―
Voi cucite tutto il giorno ed è questo che doveva fare il vostro vestito:
cucirsi».
Sorrise a quel ricordo che gli
pareva così dolce in mezzo a tutto il sangue e al dolore che aveva già provato.
Avrebbe volentieri sfogliato quei pensieri come se fosse un vecchio album di
foto se non fosse per lo strattone di Ariel al braccio che gli indicava,
soddisfatta, che erano giunti alla loro meta: davanti a loro una piccola
riserva d’acqua assurdamente cristallina sembrava gridare “bevimi”. Le pareti
che costeggiavano la piccola cascata erano coperte di liane e fogliame, eppure
sulla parete destra si riusciva a scorgere una scala di legno e corda. Lyosha sorrise soddisfatto e la indicò ad Ariel, ma prima
che lei potesse fare qualcosa un’ombra uscì dagli alberi dietro di loro ed
investì il tributo maschio del distretto otto, facendo ruzzolare entrambi
dentro il laghetto.
Lexi
avanzava sicura di sé, tagliando foglie e rami davanti alla sua strada, dietro
di lei camminavano Kabe e Ines, infine Liv di fianco
a Fraser.
Non c’era dubbio, Liv civettava
con Fraser senza scrupoli. Ines era evidentemente infastidita dal sentir lei
parlare tanto che superò Kabe e andò avanti con Lexi, con il tridente in mano si divertiva a punzecchiare
oltre gli arbusti per vedere se trovava qualche animaletto commestibile o,
ancora meglio, se feriva qualche tributo… ma ad ogni
colpo catturava solo foglie ed erba. Stufa delle delusioni, decise di dare
l’ultimo colpo al prossimo arbusto, affondò il tridente e, quando lo risollevò,
vide attaccata ai denti dell’arma la giacca di un tributo. Si fermò di colpo e
gli altri compagni la evitarono bellamente per non andarle addosso, solo dopo
pochi passi Fraser si fermò, girandosi a guardarla, «Pesciolino, hai trovato
qualcosa?».
Lei si portò la giacca alle
mani sfilandola con precisione per non sgualcirla del tutto, affondò il
tridente a terra e se la rigirò tra le dita, ora tutti le prestavano
un’attenzione quasi ansiosa. Cercò la manica dell’abito e quando la trovò, la
percorse con le dita per scovare il numero cucito su di essa. Sorrise.
«Allora?» richieste il maschio
dell’uno, non era spazientito, solo curioso.
Ines alzò lo sguardo e notò che
oltre il frutice vi era un albero, riprese il tridente in mano e spostò le
foglie, per terra vi era del vomito. Solo allora si girò verso gli altri
favoriti, tenendo in mano la giacca in modo che il numero “8” fosse in bella
vista, «chi sono quelli dell’otto?», nella sua voce non c’era emozione – come
se avesse chiesto che giorno della settimana fosse.
«I due fratelli, credo… hanno fatto l’intervista assieme, lui non parla o
qualcosa del genere…» rispose Kabe,
dopo essersi sfilato lo zaino dalle spalle per prendersi la borraccia d’acqua,
bevendone quattro grossi sorsi, Liv fece segnò di passargliela e lui gliela
porse.
Ines fece ruotare il tridente e
indicò con il manico un piccolo sentiero naturale di fianco all’albero, «penso
siano andati di là».
Senza che nessuno dicesse
qualcosa, Lexi fece dietrofront per dirigersi verso
la strada indicata dalla ragazza del quattro, dopo di lei andarono Fraser e
Ines, Liv era sul punto di bere il suo prezioso sorso d’acqua quando Kabe iniziò a tossire, piegandosi in avanti e vomitando
tutto ciò che potesse essere nel suo stomaco, cadde all’indietro e strinse
nell’erba tra le mani. Guardò la compagna di distretto con occhi imploranti,
mormorando un “aiutami”. La mano di Liv tremò e la borraccia sfuggì dalla
presa. Raggiunse gli altri tre favoriti mentre la tosse di Kabe
le rimbombava nelle orecchie.
Tosse che l’avrebbe
perseguitata come un canto di morte per tutti gli Hunger
Games.
Lyosha
teneva gli occhi chiusi e le labbra serrate per non bere l’acqua in cui era
caduto. Aveva già avuto una situazione simile e di certo non ci teneva a
ripetere la stessa Odissea del veleno. Certamente, in altre circostanze che non
includevano un tributo rabbioso addosso, avrebbe provato il liquido per vedere
se era sicuro o meno. Eppure una parte abbastanza istintiva di Lyosha quanto… macabra, per così
dire, gli consigliava di far bere al suddetto nemico l’acqua e stare a vedere.
Il lago non era profondo e con
un po’ di fortuna Lyosha sarebbe riuscito a
scrollarsi di dosso l’avversario che gli serrava la gola con le mani prima di
morire soffocato, aveva picchiato un paio di volte la testa contro il fondo di
pietra ma non aveva il tempo di pensare a quanto fosse stato doloroso o se si
era aperta una qualche ferita. Doveva reagire.
Strinse le spalle per cercare
di allentare la presa del nemico sul proprio collo e gli afferrò i polsi con le
proprie mani, scoprendoli decisamente esili. Sentiva la voce ovattata e
disturbata di Ariel gridare da qualche parte e poi un peso trascinarlo seduto.
Aprì subito gli occhi notando la sorella che strattonava all’indietro per i
capelli il tributo che lo aveva aggredito e Lyosha si
accorse di tenere ancora i suoi polsi in una stretta ferrea, molto più di
quanto si aspettasse. Istinto di
sopravvivenza.
Ariel tirò ancora i capelli
corvini facendo gemere l’avversario e Lyosha ne
approfittò per avventarsi sul suo collo, stringendoglielo e poi invertire le
posizioni in modo tale da buttarlo in acqua mentre la sorella, come uno
scoiattolo, fece un balzo all’indietro, in attesa della conclusione della rissa
– avevo un coltello, pensò lei, eppure non fece nulla.
Il maggiore dei fratelli
strattonò il rivale, affogandolo più volte e caricando tutto il peso sopra di
lui in modo che non si alzasse, era mingherlino almeno quanto lui e questo lo
aiutava, non ce l’avrebbe mai fatta contro uno come Fraser. Lo affogò più volte
nell’acqua facendogliene ingerire la maggior quantità possibile, poi lo alzò
come per metterlo seduto e, mentre ansimava alla ricerca di aria tenendo le
dita attorno al polso di Lyosha, quest’ultimo gli
sferrò un pugno sulla guancia mollando la presa sulla maglia e l’avversario
ricadde sul letto di pietra, inerme.
Contò fino a tre, Lyosha, per poi rialzargli il busto: respirava ancora ma
era sfinito. Vedeva nel suo viso la propria crudeltà: l’aveva fatto lui,
quello. Lo stava uccidendo lui.
Pregò silenziosamente,
guardandolo furibondo, che l’acqua fosse avvelenata e che lui morisse per
quello, in modo da non doverlo uccidere definitivamente. Percepiva le
telecamere addosso e, più di ogni altra cosa, gli occhi della propria madre. Si
sentiva una persona orribile, ma era l’unica persona che potesse essere, per
lui. Per Ariel.
La pazienza del ragazzo
dell’otto stava per scadere quando l’altro tributo che teneva ancora per la
maglia iniziò a tossire, vomitandosi sulla maglietta, il respiro iniziò ad
affaticarsi e l’Isaacs ringraziò il cielo che avesse
ragione: tutta quella zona dell’arena era avvelenata e, se lo era l’acqua,
probabilmente anche le piante e i frutti.
Lo posò a terra, senza gettarlo
malamente come in precedenza, e si alzò da sopra di lui, bagnato fradicio.
L’altro si dimenava ancora nell’acqua tossendo e vomitando e Lyosha non trovava il coraggio di lasciarlo lì, gli diede
un ultimo sguardo e incontrò i suoi occhi pieni di rabbia e dolore, gli occhi
che lo avevano terrorizzato dal primo istante: Gijs.
E’ stata Ariel ad afferrarlo per il braccio e trascinarlo lungo la scalinata
sulla parete, senza dire una parola.
Anche lei, come Lyosha, sapeva stare in silenzio.
« So che è un segreto, perché lo sento sussurrare dappertutto.»
[WILLIAM CONGREVE; tratto da “Amore per amore”]
Note d’Autrice ◊ «viviamo e respiriamo parole»
E finalmente sono riuscita a
concluderlo!
Che dire? È stato assolutamente un parto plurigemellare, davvero questo
capitolo non ne voleva sapere di sicrersi… l’ho
dovuto tirare fuori con le unghie!
Tuttavia, non posso fare altro se non
essere assolutamente contenta del risultato che sto ottenendo con questa fanfic, ad ogni capitolo viene sempre meglio di come
immaginassi e rispecchia parola dopo parola quello che avevo in mente.
Volevo dare l’idea di un’edizione
entusiasmante, forse, ma come gran parte delle 73esime precedenti a Katniss, qualcosa che nel giro di un anno viene cancellato
dalla memoria di molti per essere rimpiazzata con una nuova edizione. E inoltre
aggiungere anche tutto quello che potrebbe nascere da vari adolescenti,
indipendentemente dal contesto villano in cui sono inseriti, ma niente è
paragonabile a tutto quello che succede nell’edizione degli sfortunati
innamorati, perché semplicemente il loro è un Gioco assolutamente fuori dagli
schemi che inizia nientepopòdimeno
una rivoluzione! Quindi no, niente amore che fa salvare le persone,
niente carità, niente Fraser/Liv (ahah! figurarsi),
e soprattutto niente cambio di regole per accontentare i tributi. Ci sarà solo un vincitore.
Detto questo c: come potete notare il
titolo porta con se un “parte uno”, ebbene sì, il prossimo aggiornamento
riguarderà ancora la scoperta dell’Arena, e quindi la “parte due”, poi si
passerà ad altro. Non ho intenzione di annoiarvi con bazzecole(?).
E intanto i Giochi di Lyosha vanno avanti~! Sono molto
fiera dei miei personaggi, favoriti compresi, perché sembrano totalmente calati
nella situazione eppure mantengono sempre quell’alone che caratterizza loro e basta. Scrivendo, ho avuto
l’impressione che Ariel ricordasse Rue – ed è una cosa a cui sinceramente non
ero preparata, ma penso che sono entrambe delle bambine: dolci e tenere bambine
che vanno a lottare per la propria morte. Ed Ariel, in particolare, vorrei che
non fosse paragonata a qualcosa come una Mary Sue, anche lei se fosse stata da sola nell’Arena sarebbe morta dopo
poco oppure non si batterebbe così come sta facendo. Ma dovete pensare che lei
è sempre con il fratello e che tutto quello che ha fatto fin’ora è stato in
funzione di Lyosha.
Allo stesso modo, il ragazzo si sta
confrontando contro l’Istinto di sopravvivenza. Quando scrivo di questi
“momenti”, penso sempre al filmato delle Edizioni passate che si vede nel film,
dove c’è un tributo che sta… spaccando la testa a
pietrate (o qualcosa del genere) ad un altro. Davvero, se mi chiedessero ora,
in questo momento, se sarei mai capace a fare una cosa del genere risponderei
fermamente di “no”, ma suppongo che, in un contesto simile agli HG, non esiterei
un solo istante.
Chiarito questo, quindi, vorrei
ringraziare Iysse,
Coral 97 e fallinweasley per aver recensito
o, eventualmente, messo tra le preferite/seguite la fan fiction…
mi fate davvero molto piacere e mi sento onoratissima! ♡ Ovviamente, saluto anche quelli che
leggono in silenzio e seguono le vicende dei fratelli Isaacs
nell’ombra.
E per la cronaca no, non mi sono
dimenticata degli altri tributi! Tutto a suo tempo, miei cari capitolini, tutto
a suo tempo.~
1-
Tucano.
EDIT: (16/09) inserita nuova grafica, testo
ancora da revisionare e aggiunta citazione finale. Enjoy
~
Alla prossima!
radioactive,