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Autore: Afaneia    24/08/2013    0 recensioni
Chi è Luisa? Un tempo non era nessuno, era solo una piccola ragazza di provincia, una piccola allenatrice di Borgo Foglianova partita all'avventura come tanti, come tutti. E ora? Ora è la Campionessa di Kanto e Johto, dopo aver superato sfide e pericoli e aver sconfitto, dopo anni di viaggio e allenamento, Lance e Rosso, il Presidente della Lega Pokémon e il vero Campione delle due regioni.
Ma la vita continua a cambiare. La piccola ragazza di provincia ora è quasi una donna e i suoi nemici (Rosso, Argento, quel ladro che conobbe il primo giorno del suo viaggio) stanno cambiando e le loro relazioni mutano con loro. E soprattutto, ciò che cambierà definitivamente la sua vita sarà l'arrivo di Ho-Oh, la fenice di fuoco delle leggende, che discenderà dal cielo ad annunciarle una grande verità...
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Lance, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga della Prescelta Creatura'
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kpo

Che dire? Eccomi qui dopo poco più di un anno con un nuovo capitolo. A oggi, la parte di questa storia che riguarda Missingno e la Città dei Numeri sarebbe conclusa su carta; dico sarebbe perché, come al solito, ho perduto un foglio (avvistato per l’ultima volta a giugno) e cercherò di ricostruirne il contenuto mentre copio il rimanente. I pochi lettori superstiti, ammesso che ve ne siano, non si aspettino chissà cosa dal finale di questa storia: sebbene il risultato finale mi soddisfi abbastanza, non credo che sarà così per tutti.

Detto ciò, vi auguro semplicemente buona lettura e un buon resto dell’estate, per chi ancora può godersela e non dev’essere ammesso all’Università, come me :’(

Enjoy! Afaneia

Trascorsero altre giornate vuote e noiose, ma a poco a poco Luisa finì per riprendersi davvero. Il petto smise di farle male come quel giorno sul Vulcano ed essa tornò in qualche modo a essere se stessa…

“Sei guarita del tutto” le disse Celebi ammirandola quando fu in piedi. “Ora potrete riprendere il vostro viaggio e lasciare l’Altopiano Blu.”

Proprio quella notte, quando si ritirarono per dormire in un’umida cavità del Monteluna, Luisa raccontò ai suoi fratelli ciò che ancora non aveva detto loro, della Città dei Numeri.

“Vuoi andarci, vero?” le chiese Argento quando ebbe finito di raccontare, dopo lunghi attimi di un silenzio carico di aspettative. Luisa assentì lentamente col capo, collo sguardo fisso e serio: “Sì. Voglio andarci e lo voglio tanto intensamente, tanto ardentemente che se voi non verrete, non vi obbligherò, ma mi getterò da sola nella voragine di quel vulcano.”

“Perché vuoi andarci?” domandò Lance. La sua voce era bassa, quieta, severa. Voleva solo saperlo, e i suoi occhi la scrutavano fissamente.

“Voglio trovare la verità, Lance.”

“L’hai già trovata la tua, di verità, Luisa. Stiamo bene ora, stai bene… che cosa vuoi trovare di più?”

Ma a quelle parole Luisa balzò in piedi e prese a percorrere la grotta come una folata di vento, come una tempesta. Aveva il respiro scosso e gli occhi lampeggianti; le tremava la voce. “No, Lance…. Non è vero, non è tutto qui, non è qui che ci si può fermare! Non ricordi proprio tu che due anni fa, solo due anni fa a tutti noi pareva già di conoscere la verità? Io sapevo chi ero, sapevo di chiamarmi Luisa e di essere la Campionessa di Kanto e di Johto, e non mi mancava nulla… ma poi è cambiato tutto, e ho scoperto che era tutto falso, che non ero solo una Campionessa ma la Prescelta Creatura, e poi, qualche mese dopo, tutto era cambiato un’altra volta, prima ancora che facessi in tempo ad abituarmi all’idea… ero la figlia di Celebi! E ora che a fatica mi sono adattata a essere anche questo, di più, all’idea che anche questo potesse essere vero, il mio nemico mi viene a dire che esiste una Città che per tutti valeva meno della più stupida delle leggende… possibile che a voi basti sapere che esiste? A me non basta, voglio sapere che razza di posto è mai quello, voglio sapere chi la governa, quale entità ha fatto ardere d’ambizione gli occhi di Rosso e si è servito della sua vita come di uno strumento; voglio sapere di cosa mai Rosso possa aver avuto tanta paura…” e concluse con voce più bassa, con voce spezzata e infranta: “Voglio conoscere quell’entità. Perciò se non vorrete venire, l’affronterò da sola.”

“Tu sei pazza! Certo che veniamo” disse Argento  con voce priva di qualsiasi esitazione, o di dubbio. “Io non ho paura, poiché se Rosso è riuscito quantomeno a fuggirne, so che possiamo farlo anche noi. Ma ricordati ciò che ti ha detto lui stesso: puoi trovare la tua verità, ma anche molte più bugie.”

Sì, era vero: erano le esatte parole di Rosso…  Luisa sorrise d’un sorriso amaro, alzando gli occhi verso il soffitto buio di quella grotta. Sì, Rosso aveva ragione: lui stesso vi aveva trovato una bugia, e per quella bugia aveva perso  otto anni di vita… otto anni sono tanti.

“So a cosa stai pensando” disse Lance ad alta voce. Luisa si riscosse bruscamente. “Sì, la risposta è sì: noi rischiamo lo stesso. Rischiamo di smarrirci, di perderci…  rischiamo di non tornare, di non tornare come siamo ora. Rischiamo di tornare con quello sguardo che ben conosciamo, lo sguardo di un folle disposto a tutto per realizzare uno sciocco suo sogno  che questa entità, evidentemente, gli ha messo in testa…  te la senti?”

Con una forza di cui Luisa stessa si sentì sorpresa, essa si voltò e disse: “Sì.” E a voce più bassa, scrutando Lance con occhi attenti, disse: “Te la senti anche tu?”

Sì, Lance se la sentiva. Provava la persistente sensazione che Luisa si sbagliasse, che Rosso stesso, nella sua follia, si fosse ingannato; non che si fosse inventato tutto, no – non era da Rosso – ma che nel desiderio di rinnegare il suo fatale errore, il suo tragico sbaglio, avesse inconsciamente imputato a questa entità le ragioni del suo lungo eremitaggio.

“Rimango del mio parere” disse allora fermamente. “Penso che andare sia una pessima idea. Tuttavia, vengo con voi, non con entusiasmo forse, ma con convinzione, e non poca. Se scegliete di andare, sono dei vostri fino alla fine, fino alla morte senza alcun dubbio, senza retrocessioni. Ma voglio porre una mia condizione: prima della partenza, voglio sentire il parere di tuo padre.”

Luisa sorrise: “Farà di tutto per trattenerci, lo sai.”

“Lo so, e sono pronto a non farmi scoraggiare. Ma voglio sentire cos’ha da dire su questa Città che non doveva esistere, su questa entità  di cui non ci ha mai voluto parlare… lui lo sapeva, Luisa, doveva saperlo. Esattamente come sapeva tutto degli Unown, di cui però ci ha parlato fin da subito. Ho un pessimo presentimento riguardo al motivo per cui avrebbe dovuto tenerci nascosta la Città dei Numeri con la sua entità e parlarci invece degli Unown… e a me piace veder chiaro nelle cose, fino alla fine.”

“Hai ragione, Lance” disse infine Luisa, con poca convinzione. Conosceva suo padre e sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di dissuaderla; ma mai gli avrebbe permesso di tenerla lontana dalla voragine di quel vulcano. Finalmente, disse: “Domattina andremo per prima cosa al Bosco di Lecci e gliene parleremo, se siete d’accordo. Per quanto riguarda il resto, non vi obbligherò a venire con me, se in qualunque momento deciderete di tirarvi indietro. Ma io andrò là, col permesso di mio padre o meno.”

“Sta bene” disse Argento. “Sapremo domattina cos’avrà da dirci tuo padre. E ora dormiamo.”

Ma quella notte Luisa fu colta da una vaga inquietudine e a lungo rimase sveglia cogli occhi infissi nell’oscuro soffitto gocciolante della grotta sopra di lei.

 

Il mattino seguente prepararono in fretta le loro cose e si levarono in volo verso la regione di Johto. Luisa volava silente sul suo Aerodactyl: distanziava rapidamente i suoi fratelli per poi rallentare, si sollevava per abbattersi in picchiata per poche decine di metri… non voleva parlare con nessuno. Parve acquietarsi solo quando planarono lentamente sulle folte cime del Bosco di Lecci, atterrando cautamente a poca distanza dal Santuario.

Celebi pareva in loro attesa. Al solo scorgere la sua snella figura tra le fronde degli alberi, Luisa si sentì mancare il respiro.

“Lo sai già, non è vero?”

“Io so tutto” rispose semplicemente Celebi. Tuttavia, proseguì: “Parlamene.”

“Se sai tutto, perché non ci hai parlato della Città dei Numeri?” lo aggredì Luisa avanzandosi di un passo; i suoi fratelli tacevano, sapendo di non doversi intromettere, non ancora, quantomeno, tra quei due esseri divini nel loro confronto.

Lo sguardo di Celebi parve tremendamente calmo, e tuttavia amareggiato, quando rispose: “Esattamente per questo motivo: perché sapevo che avresti preteso di andarci.”

“Io non…” esclamò Luisa avvampando di rabbia; si morse le labbra e proseguì: “Io non pretendo nulla di più di quello a cui ho diritto, di decidere per me stessa e dunque di decidere di andare laggiù. Perciò voglio sapere la verità: per quale motivo ci hai tenuta nascosta la Città dei Numeri?”

Celebi non rispose per lunghi interminabili silenti secondi. Il suo corpo era parzialmente immerso nella nebbia mattutina del Bosco di Lecci, nel vapore d’incenso del Santuario. Egli guardava lontano, e a nessuno era dato sapere ciò che i suoi occhi vedevano.

“Figlia mia” disse lentamente “Tu sai che io ho creato tutto ciò che esiste in questo Universo, su questo pianeta e su altri; tutto, eccetto gli Unown e la Città dei Numeri, e con essa la misteriosa entità che la abita…”

“Ma perché non ce ne hai parlato?” insisté Luisa con voce spezzata, infranta, col cuore pieno di rabbia. Celebi non parve nemmeno udirla; tuttavia rispose alla sua domanda, come continuando a seguire il filo dei suoi propri pensieri.

“Perché? Perché gli Unown erano visibili, tangibili, innocui, affascinanti coi loro misteri che sembravano non poter fare del male a nessuno. Ma neppure io so qualcosa della Città dei Numeri, nessuno sa nulla, in pochi l’hanno vista. Cosa mai potevo dirti?”

“Ma tu sapevi che Rosso era sceso laggiù? Oh, tu lo sapevi, forse?” esclamò Luisa. “Sapevi che era impazzito per essere stato laggiù, per aver conosciuto quell’entità? E a me nessuno ha detto niente! E io che ho infierito su di lui per non sapere che non era proprio tutta colpa sua quel sogno che non riusciva a realizzare! Ma che cosa c’è mai laggiù di cui si debba aver tanta paura, da non poterla proprio nemmeno nominare? È forse quell’entità?”

“E se così fosse?” irruppe Celebi. Luisa tacque immediatamente. “Se quell’entità fosse tanto potente da non poterla nominare, da vivere al di fuori della mia comprensione, persino della mia immaginazione? Se io in tutti questi anni che hanno preceduto la tua nascita non fossi riuscito mai a scoprire chi fosse quell’entità, cosa volesse, quanto potente essa fosse… è dunque questo che volevi sentirti dire?”

“Volevo sentirmi dire la verità” rispose Luisa con calma. E soggiunse: “È dunque così che stanno le cose?”

“La verità?” ripeté Celebi con voce spenta. Lentamente, rispose: “La verità è che non lo so. E so che sembra incredibile, terribile, doloroso sapere che io non lo so, ma se tu vuoi la verità, io non ne possiedo altre. È questo tutto ciò che posso dirti.”

Luisa si sentì improvvisamente, profondamente triste. Era la verità quella che Celebi le diceva: egli non sapeva. Celebi, che aveva creato il mondo, che aveva generato le loro vite… non sapeva.

“Non hai mai pensato di andare là?” domandò a voce bassa.

“Ci ho pensato, e molte volte” rispose Celebi. “Ma ho sempre sentito, percepito, saputo che il mio destino era qui; era di non andare là, di non discendere quella china d’abisso. Di restare qui su questa Terra luminosa e priva di misteri, di non cercare…”

“Ma il tuo destino!” gridò Luisa. Si sentiva incredula, impotente. “Il tuo destino come poteva esistere se proprio tu stesso avevi creato tutto… no, papà, non ti credo. Non m’importa che tu abbia avuto paura… io ora voglio andare là, e ci andrò che tu sia d’accordo o meno, che tutti siate d’accordo o meno.”

Celebi la scrutò fissamente, lungamente. Gli parve di vacillare; tuttavia disse: “Ascolta. Puoi andare là, ma… io non potrò aiutarti, non potrò raggiungerti, non potrò salvarti. Capisci cosa voglio dire? Non potrò nemmeno sentire la tua voce, percepire la tua vita. Potresti, potreste restare intrappolati o vedere… cose orribili, ma io non ci sarò. Capisci il senso di queste parole, io non ci sarò? Se sei pronta ad andare sapendo tutto questo, io non ho altro da aggiungere.”

“Sì, papà” disse Luisa a piena voce.

A quest’affermazione così decisa, così ferrea e incrollabile, Celebi esalò un profondo sospiro che fece vibrare il suo piccolo petto immortale. Disse: “Molto bene, poiché io non posso oppormici, così sia. Badate a voi stessi, ragazzi” soggiunse ponendo il vivo sguardo sui due giovani.

“Lo faremo, Celebi” disse Argento semplicemente.

Celebi accolse la sua rassicurazione con un sorriso triste. Parve per un momento non aver più nulla da dire. Poi, dopo un momento, si rivolse alla figlia, e le disse qualcosa che solo lei poté udire, solo lei percepire. “Attenta a quell’entità. Si chiama Missingno.”

   
 
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