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Autore: BeAWriter    24/08/2013    1 recensioni
Beatrice era una bambina particolare, con un sogno particolare.
Le piaceva fingere di essere una principessa in un castello reale. A tavola metteva i gomiti in fuori e sedeva composta in silenzio, senza mangiare nulla. Voleva fare la principessa, voleva danzare i pomeriggi d’inverno, nel suo vestito lungo di seta e con dei libri in testa. Voleva passare per strada lentamente, con un cestino tra le braccia, e sentire i cittadini salutarla calorosamente.
Voleva canticchiare, cantare per il suo Reame. Avere una voce angelica, melodiosa, incantevole, cantare in ogni situazione, fare da ninna nanna ad un cucciolo di cane; come desiderava un cane!
D’altronde, Beatrice sapeva benissimo che i suoi desideri non potevano mai realizzarsi, perché non esistevano più le principesse, non nel suo Paese. Avrebbe mai trovato il suo principe azzurro, però?
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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1. Beatrice

 

A mio fratello Luca, Simona, Beatrice, Roberta, Anna e Leyla.
Siete le persone più forti che io abbia mai conosciuto, restate sempre gli stessi,
Marianna.


 

Beatrice!” la chiamò la mamma.
Una piccola bimba dai capelli riccioluti e disordinati, comparse da dietro la porta con un sorriso allegro.
Era preparata, pronta per essere accompagnata a scuola. Il grembiule bianco ordinato, con l’immagine del suo cartone preferito stampata sulla parte destra che le si poggiava sul petto.
La madre, accanto, la guardava soddisfatta, anche lei pronta per uscire ed accompagnarla al suo primo giorno di elementari. Mise il fiocco rosso con una spilla, attaccato accanto alla stampa del cartone animato e le prese la mano, per poi uscire e dirigersi in macchina.
Era così orgogliosa della sua bambina, ed era sicura che sarebbe stata la più brava ed intelligente della classe, così avrebbe potuto dirlo a tutte le sue amiche, lasciandole a bocca aperta.
Poi sarebbe passata alle medie, alle superiori fino all’Università, dove si sarebbe laureata e sarebbe diventata un’importantissima dottoressa. Glielo ripeteva sempre, le diceva: “Da grande diventerai una bellissima dottoressa.” e Beatrice si limitava a fare una smorfia di disapprovazione, senza farlo notare.
La verità era che non voleva fare la dottoressa, non le piaceva il sangue, il fegato, l’intestino ed il corpo umano. Odiava tutto ciò che riguardava la medicina: dall’odore delle pasticche alla divisa bianca, dalle pareti così neutre e malvagie all’aria dei pazienti esausti che hanno passato le notti insonni in quel posto.
Insomma, non le piaceva per niente quel mestiere.
Al contrario, però, le piaceva fingere di essere una principessa in un castello reale. A tavola metteva i gomiti in fuori e sedeva composta in silenzio, senza mangiare nulla. Voleva fare la principessa, voleva danzare i pomeriggi d’inverno, nel suo vestito lungo di seta e con dei libri in testa. Voleva passare per strada lentamente, con un cestino tra le braccia, e sentire i cittadini salutarla calorosamente.
Voleva canticchiare, cantare per il suo Reame. Avere una voce angelica, melodiosa, incantevole, cantare in ogni situazione, fare da ninna nanna ad un cucciolo di cane; come desiderava un cane!
D’altronde, Beatrice sapeva benissimo che i suoi desideri non potevano mai realizzarsi, perché non esistevano più le principesse, non nel suo Paese.
Ma allora cosa avrebbe potuto fare da grande? Per cosa avrebbe dovuto impegnarsi a scuola?
Non lo sapeva, ma doveva aspettare, perché solo così l’avrebbe scoperto.
Guardò da fuori il finestrino e vide tantissimi bambini della sua età andare a scuola a piedi, con zainetti bellissimi e costosi, anche di molti dei suoi cartoni preferiti, attaccati alla propria mamma o papà, mischiati a tante persone indaffarate che corrono in direzioni opposte.
Avrebbe trovato degli amici?
Voleva anche lei un amico come tutti quei bambini, ma aveva paura. E se nessuno l’avrebbe accettata e sarebbe rimasta esclusa?
Gli stessi pensieri la tormentarono per tutto il tragitto, finché la mamma non esclamò euforica una frase che la fece sobbalzare: “Siamo arrivati!”
Spaventata, scese dalla macchina e chiuse la portiera. Strinse la mano alla mamma e si avviarono verso il cancello della sua nuova scuola. Aveva un grandissimo cortile, ma al contrario di quello del suo asilo, non aveva nessuna giostra ed il prato era sostituito da strada piatta.
La scuola era giallina, grande, ed in alto aveva diverse bandiere appese accanto a tre finestre  grandi.
Beatrice pensò che sembrava così diversa dalla sua vecchia scuola, ma allo stesso tempo non vedeva l’ora di visitare quel posto a lei sconosciuto.
Era ancora stretta alla mano della mamma, mentre sentiva il Preside chiamare diversi nomi, tutti a lei sconosciuti. Si trovava solo da qualche mese in quella città, non aveva neanche un amico, ma non le dava fastidio, le piaceva stare da sola. Come le principesse.
“Beatrice Aliberti.” Sentì pronunciare dal microfono metallico.
Al sentire il suo nome, il cuore incominciò a battere. Esitò qualche secondo, poi la mamma le sussurrò un “vai” e si staccò dalla stretta, per raggiungere i gradini, sotto gli occhi di tutti, e mettersi in fila, dietro ad un gruppetto di bambini come lei.

“Io sono la vostra maestra di Italiano” si presentò l’alta signora davanti ai suoi occhi.
Si era seduta al primo banco al centro, perché secondo lei era il più bello e da lì poteva anche vederci meglio. Accanto aveva una bambina dal caschetto liscissimo con un sorriso amichevole quanto il suo, con il quale scambiava delle occhiate qualche volta.

“Come ti chiami?” le chiese.
Beatrice esitò qualche secondo, piuttosto confusa, come se non ricordasse il suo nome, poi si affrettò a rispondere con lo stesso sorriso: “Beatrice e tu?”
“Irene.”

Ritornarono con la testa verso la maestra, come per seguire ciò che stava dicendo, ma in realtà nessuna delle due stava realmente capendo cosa stava spiegando agli alunni.  
Beatrice sentì i bambini alla sua destra dire diversi nomi, poi capì.
Dovevano dire i loro nomi, per farli conoscere alla maestra.
Non’appena venne il suo turno pronunciò velocemente il suo nome, come ad imitare alcuni dei bambini che erano riusciti a farlo frettolosamente senza intoppi. Ricevette un sorriso e qualche occhiata dai compagni attenti e più curiosi per qualche secondo, poi tutto tornò normale.
Era eccitata all’idea di aver conosciuto già una bambina e non vedeva l’ora di scoprire tante cose su di lei, ed invitarla a casa sua per un film, qualche volta.

Dopo tutto la scuola non era poi così male come credeva.



Note autrice:

Buonasera a tutti!
Inanzitutto, grazie per esservi interessati a questo primo capitolo ed essere arrivati fin qui, mi fa piacere.
Volevo solo precisare che questa fan fiction è ispirata al libro "La solitudine dei numeri primi" che a mio parere, è fantastico.
Se ci tenete, fatemi sapere che ne pensate.
Un bacio,

Marianna.

   
 
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