Videogiochi > Ace Attorney
Segui la storia  |       
Autore: kirlia    25/08/2013    3 recensioni
Nessuno si è mai chiesto come Franziska affrontò la morte di Manfred von Karma? 
E se avesse bisogno dell'aiuto di qualcuno per riprendersi dal dolore della perdita di un padre, anche se non è mai stato presente per lei? E se quel qualcuno fosse proprio herr Miles Edgeworth?
Dal capitolo 18: 
Sapevo che la presenza della nipotina avrebbe cambiato molte cose nella mia vita. Anzi, in effetti, stava già succedendo: mi sentivo meglio, quando ero con lei, non avvertivo il peso opprimente delle mie responsabilità e del mio cognome. Mi sentivo semplicemente me stessa. 
Spesso succedeva anche quando ero in presenza di lui, ma non volevo ammettere che mi tranquillizzasse. Lui mi destabilizzava.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franziska von Karma, Miles Edgeworth
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Perfect for Me'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 20 – Fix You


When you try your best but you don't succeed 
When you get what you want but not what you need 
When you feel so tired but you can't sleep 
Stuck in reverse 

And the tears come streaming down your face 
When you lose something you can't replace 
When you love someone but it goes to waste 
could it be worse?

Fix You.



Nello stato tra il sonno e la veglia in cui mi trovavo, non riuscivo a darmi pace.
C’era qualcosa che continuava a turbarmi, a infierire sulla mia mente già stanca e spossata, senza riuscire a farmi riposare bene. Eppure mi sentivo allo stesso tempo circondata da affetto e calore, ma visto che non riuscivo a dormire, né a svegliarmi, non capivo quale fosse la situazione.
Almeno finché non riuscii ad aprire gli occhi.
Mi alzai a sedere, osservando il buio intorno a me e cercando di comprendere dove mi trovassi. La flebile luce notturna dei lampioni sulla strada penetrava attraverso le leggere tende nella stanza. Attraverso quel fragile aiuto riuscivo a riconoscere un grande armadio scuro, uno specchio.
Attraverso il tatto sentivo le morbide e calde lenzuola che mi avvolgevano… sembravano quasi fatte di seta.
Attraverso l’udito riconobbi i respiri leggeri e regolari accanto a me.
Finalmente mi resi conto di cosa mi stava turbando così tanto da non riuscire a farmi prendere sonno proprio quando ne avevo più bisogno. Osservai sopra di me, riconoscendo il baldacchino del letto dove mi trovavo.
Ero rimasta nella camera da letto insieme a loro!
Dovevo essermi addormentata quando Annika mi aveva chiesto di non lasciarla sola, almeno finché non si fosse assopita. L’idea era che, non appena avesse chiuso i suoi bei occhi celesti, me ne sarei andata di lì, per accomodarmi nel divano del salotto che mi attendeva per riposarmi. Invece dovevo essere crollata senza nemmeno rendermene conto, tanto ero stanca per le dure giornate che avevo passato.
Chissà se Annie se n’era accorta.
E… Miles? Lui si era accorto della mia improvvisa stanchezza?
Non potevo dirlo, ma di certo se era successo gli avevo soltanto dato l’ennesimo motivo per ridere di me e pensare a quanto fossi debole. O forse no?
Posando di nuovo la testa sul cuscino, ma stavolta senza un minimo accenno di sonno, ripensai allo sguardo che mi aveva rivolto mentre stavo cantando quella sciocca canzone che lui mi aveva suggerito. Era stato… strano, non sapevo come definirlo altrimenti.
Avevo visto più volte quelle iridi grigie e nuvolose come tempeste osservarmi con gentilezza, comprensione, preoccupazione, rimprovero. Ma quello che avevo visto quella sera non rispecchiava nessuna di queste emozioni. Sembrava sorpreso, ammirato. Sembrava che avesse quasi scoperto qualcosa di cui non era al corrente, come se le parole della mia melodia fossero riuscite a illuminarlo su qualcosa di cui non ero al corrente.
Su qualcosa di cui non volevo essere al corrente.
Avevo distolto subito lo sguardo, infatti, quando mi ero accorta di come mi guardava, posandolo sulla mia nipotina e ignorandolo completamente. Perché per una volta io, Franziska von Karma, il prodigio della procura, avevo avuto davvero paura.
Non sapevo cosa stesse succedendo a me, o volevo semplicemente ignorarlo di mia spontanea volontà, pur sapendo di cosa si trattasse? Una parte di me sapeva che si stava creando un legame nuovo tra me e quello che chiamavo il mio “fratellino”, un legame che – tra le altre cose – non mi avrebbe più permesso di definirlo in questo modo.
E ne avevo paura perché si trattava di qualcosa che non conoscevo, ed era qualcosa che, secondo gli insegnamenti che mi avevano cresciuta per diciannove anni della mia vita, non mi era permesso conoscere. Io non dovevo provare niente per lui.
Nonostante questo, mi ero ritrovata più e più volte a pensare a lui, a fissarlo senza che se ne accorgesse, a chiedermi se nel mio sogno “premonitore” non ci fosse un fondo di verità. E, soprattutto, avevo cantato quelle parole mettendoci dentro tutti i pensieri, tutte le speranze e tutte le paure che avevo nei suoi riguardi, colmandole di quei sentimenti contrastanti che facevano parte di me.
E lui? Sembrava che lui se ne fosse accorto.
Il suo sguardo, che mi turbava tanto, si era reso conto di ciò che volevo fargli capire attraverso quella canzone? Era per questo che era così sorpreso, mentre mi osservava?
I miei pensieri così confusi furono interrotti da una manina morbida e chiara che mi strinse dolcemente il braccio. Mi voltai lentamente, per osservare la mia piccola Annika, che si era avvicinata a me, forse per cercare il mio calore.
I suoi occhi erano chiusi, segno che stava dormendo, ma un sorriso stava affiorando su quelle labbra da bambina innocente, mentre sussurrava nel sonno.
«Mutti… [Mamma]» disse soltanto, con un sospiro tranquillo, prima di stringersi intorno al mio braccio e poggiare la testa sul mio fianco.
Povera piccola nipotina mia, mi dispiaceva che il sonno la ingannasse così. Doveva sentire ancora molto la mancanza di sua madre, e aveva bisogno di una figura che si dedicasse completamente a lei, non di una sciocca ragazzina alla presa con dei sentimenti che non era in grado di accettare!
Scossi la testa sul cuscino, sentendo i corti capelli color cielo solleticarmi il viso. Mi morsi il labbro inferiore, mentre una singola lacrima sfuggiva al mio ferreo controllo e rotolava giù lungo la mia guancia.
Dovevo prendere una decisione.
Sarebbe stato difficile per tutti, ma era l’unico modo.
L’unico modo in cui potevo donare un’esistenza serena ad Annika, l’unico modo in cui tutto poteva tornare come prima.

{Miles Edgeworth}

Quando quella mattina mi svegliai, mi ritrovai da solo in quel letto.
Un senso di inquietudine mi colse subito, come se la mancanza delle persone più importanti della mia vita – perché era questo che Franziska e Annika erano, per me – non dovesse prolungarsi troppo. Mi stupii pensarlo, ma non potevo fare a meno di loro.
Ormai ero abituato a vedere i loro capelli color cielo sempre nella mia visuale, ed era come se i miei occhi e la mia mente stessa non sopportassero la loro assenza.
Sorrisi, sorpreso di me stesso. Ero sempre stato molto schivo e introverso nei rapporti interpersonali, e spesso avevo pensato che forse, dopo la morte di mio padre, non sarei stato più capace di affezionarmi a nessuno. Come se la mia mente volesse preservarmi dalla possibilità di perdere le persone che amavo.
Invece non era così: adesso il mio corpo stesso fremeva all’idea di vedere Franziska, di poterle parlare, di poterle stare tanto vicino da sfiorarla.
E allo stesso tempo mi mancavano i sorrisi infinitamente dolci e affettuosi di Annika, la sua manina che stringeva la mia, i baci che mi schioccava nei momenti più assurdi sulla guancia.
Per un attimo mi chiesi se mi fossi innamorato di entrambe, ma poi con uno sbuffo divertito mi scostai una ciocca di capelli dal viso. No, non ero innamorato di certo di Annika.
Ma di Franziska…?
Mi tornarono subito in mente le parole di quella canzone che aveva cantato la sera prima, e la sensazione che non sapevo definire che mi aveva circondato quando mi aveva guardato, con quei suoi bellissimi occhi, quelle sue labbra, quel suo corpo così perfetto…
Oh. Non riuscivo nemmeno più a rimproverarmi per i pensieri così sbagliati che avevo su di lei. Erano ormai diventati talmente frequenti da essere normali per me, come se finalmente fossi in grado di accettare l’idea di lei come una donna, e non come una sorella.
Questo però non significava che provavo qualcosa. No.
Significava semplicemente che, essendo una ragazza molto bella, io non ero immune al suo fascino e a volte mi ritrovavo a fissarla come non avrei dovuto fare. Ma non volevo ovviamente che lei se ne accorgesse.
Per Frannie ero ancora il suo “fratellino” e lo sarei stato sempre. Se si fosse resa conto che provavo per lei questa… attrazione… beh, sarebbe stato piuttosto imbarazzante.
E cosa avrebbe pensato il mondo di noi? Ufficialmente, eravamo considerati fratelli, anche se non di sangue.
Ecco perché per me era comunque impossibile esternare queste mie emozioni con Franziska, e sarebbe stato meglio per tutti ignorarle. Ed era proprio quello che avrei fatto.
 
Malgrado ciò, comunque, continuavo a volere bene sia a lei che ad Annika, e in quel momento mi chiedevo dove fossero.
Mi alzai faticosamente, ma molto più riposato, per andare in cerca di loro, e quasi non inciampai in Pess, che aveva avuto la straordinaria idea di appisolarsi proprio ai piedi del letto.
Il cane alzò la testa, per guardarmi con occhi sapienti, come se mi stesse dicendo:«Stai mentendo a te stesso, Miles, e io lo so.»
Io lo fissai di rimando, scocciato, poi sorrisi leggermente dandomi dello sciocco – a volte Franziska aveva ragione. Come, un cucciolone come lui, poteva sapere che io stavo mentendo a me stesso? Anzi, come la mia mente poteva immaginare cosa lui stesse pensando?
A volte andavo troppo in là con la fantasia.
Convinto di questo, mi vestii – non con pochi problemi, considerando la ferita che ancora voleva farsi notare – e uscii dalla stanza, per dirigermi lentamente in cucina.
Ebbi l’idea di guardare di nascosto le mie due “ragazze”, curioso di vedere come si comportasse Frannie quando io non ero lì ad osservarla. Magari era più spontanea, più rilassata, più… lei, insomma.
Sbirciai silenziosamente attraverso la fessura lasciata dalla porta socchiusa.
Franziska stava davanti al fornello, mentre aspettava che il tè fosse pronto. Dall’odore potevo capire subito che miscela avesse scelto per quella colazione: gelsomino, uno dei suoi preferiti… e anche dei miei, ad essere sinceri. L’espressione sul suo viso non era esattamente felice, ma nemmeno triste. Sembrava pensierosa, come se stesse meditando su qualcosa di molto importante. Motivo per cui non si era nemmeno accorta che la bevanda era pronta da almeno dieci secondi.
Niente di speciale in realtà, ma non per lei. Per lei quelli erano dieci secondi di imperfetto ritardo, ma chissà perché non si era resa conto di nulla.
Annika comparve in quel momento nella mia visuale, con in braccio Phoenix, che quel giorno portava un fiocco blu sul collarino. Il cucciolo non sembrava molto contento di ciò però, infatti tentava in tutti i modi di liberarsi di quell’accessorio molto vistoso.
«Tante Frannie, der Teekessel Burst [il bollitore scoppierà]» commentò amabilmente la bambina, senza preoccupazione. Come se fosse una semplice constatazione.
Probabilmente si era accorta che la zia non era esattamente presente in questo momento, ma non voleva allarmarla. Quella piccola continuava a sorprendermi ogni volta che la vedevo.
La ragazza però non sembrò sentire le parole della nipote, continuando a fissare un punto imprecisato, come se fosse sempre più immersa in pensieri così importanti da estraniarla dal mondo esterno.
«Tante Frannie…?» la chiamò ancora Annie, indecisa.
Mi resi conto che il bollitore poteva davvero scoppiare, e che Frannie era troppo vicina ai fornelli per restare illesa, nel caso succedesse.
Ecco perché mandai all’aria l’idea di spiarle, per entrare senza correre, ma comunque a passo molto spedito, nella stanza e spegnere immediatamente il fornello. Non prima di aver spinto leggermente più in là la mia “sorellina”, a distanza di sicurezza, e di essermi comunque messo davanti a lei per farle da scudo.
Il mio movimento doveva averla distolta da qualsiasi cosa stesse pensando, perché improvvisamente tornò in sé.
«Herr Miles Edgeworth, che cosa stai facendo?! Mi stavo occupando io della colazione» affermò lei, incrociando le braccia, ma guardandomi senza vera ostilità.
Si stava occupando lei…? Mi voltai verso il bancone, trovando un vassoio su cui erano poggiati alcuni muffin, biscotti, una teiera ancora vuota a una tazzina da tè.
Oh, mi voleva portare la colazione a letto? Era forse tornata ad essere la Frannie premurosa che si era occupata di me in ospedale? Non potevo di certo negare che tutte quelle attenzioni da parte sua mi facessero più che piacere.
Sorrisi inconsciamente, e subito mi trovai a fissare lo sguardo corrucciato della mia “sorellina” – non riuscivo proprio a chiamarla così – che non sembrava per nulla felice del mio sguardo compiaciuto.
«Non essere tanto contento, herr Miles Edgeworth. Lo faccio solo perché sei debole, e debole significa…» aveva cominciato a dire, con la sua solita aria saccente, prima che completassi la sua frase con la solita parola che lei e suo padre detestavano.
«… imperfetto. Me l’hai già detto, Frannie» un milione di volte, a dire il vero. Continuai a sorridere, mentre versavo il tè bollente nella teiera. Il suo solito comportamento da von Karma non mi aveva mai sfiorato, men che meno in quel momento. Ormai ero perfettamente abituato alla sua voce irritata, e sapevo riconoscere l’esatta sfumatura nel suo tono che mi diceva che in realtà non era poi così arrabbiata.
Presi altre due tazzine dalla vetrinetta dove le tenevo, e le poggiai sul tavolo, accanto al resto della colazione. Poi mi voltai verso Annika, che mi sorrise subito.
«Guten Morgen, Onkel Miles!» mi salutò la piccola, mentre lasciava andare Phoenix, che si accucciò a terra cercando ancora di strapparsi di dosso il fiocco. Si avvicinò, per poi arrampicarsi sulla sedia rialzata del banco da cucina e sedersi.
«Buongiorno a te, Annie. Gradisci una tazza di tè?» le chiesi tranquillamente, mentre versavo la bevanda nelle varie tazzine. La bambina annuì, aspettando di poter avere la sua.
Guardai di sottecchi Franziska, che nel frattempo aveva sbuffato e si era avvicinata di qualche passo, cercando di non farsi notare. Sapevo che non voleva darmela vinta, sedendosi con noi, non dopo che l’avevo praticamente zittita e ignorata per il suo commento sulla mia debolezza.
Mi sfuggii leggermente una risata. A volte era così tremendamente ostile da farmi quasi tenerezza.
Lei però sembrò accorgersene, e questo la fece irrigidire sul suo posto.
Sarebbe rimasta lì in eterno come una statua, se non fosse stato per Annika, che si voltò verso di lei e inclinò la testa, curiosa.
«Non vieni a fare Frühstück [colazione], Tante Frannie?» chiese dolcemente, con quella sua voce molto uhm… convincente. Persuasiva, avrei detto. Non riuscivo ancora a capire come facesse, comunque, ma la zia si arrese e si sedette sul bancone, proprio accanto a me.
E ritornava quella emozione a cui avevo pensato solo poco tempo prima, quella voglia di continuare a fissarla, mentre prendeva la tazzina e se la portava alle labbra, che erano belle e rosee… chissà come sarebbero state morbide al contatto con le mie… No!
Okay, adesso stavo esagerando. Un conto era semplicemente trovare Franziska bella e attraente, ma un altro era cominciare a fantasticare sulla sensazione delle sue labbra sulle mie! Non potevo arrivare a ciò, era troppo!
Mi concentrai sul mio tè, e finii quasi per bruciarmi la lingua nel sorseggiarlo con tanta velocità.
Avevo bisogno di restare da solo e di riflettere davvero su ciò che provavo per Franziska, per decidere quali limiti potevo dare a quello che sentivo per lei. E dovevo convincermi di non poter andare oltre queste barriere che io stesso mi ero creato.
Mi alzai, attirando l’attenzione delle mie commensali, e prima che potessi lasciare la stanza Annika parlò.
«Dove stai andando, Onkel? Non resti a mangiare con noi?» chiese la piccola, con in mano ancora il muffin che stava mangiando.
Forse ero stato un po’ troppo brusco nell’abbandonare la colazione, perché anche Franziska si voltò, incrociando i miei occhi grigi con i suoi cielo, e tenendo ancora in mano la piccola brocca del latte.
«No, io… devo consultare alcuni documenti nello studio, se volete scusarmi…» inventai in un attimo, cercando di nuovo di sfuggire allo sguardo di quella ragazza e chiudermi nella stanza che avevo nominato, sperando di non essere disturbato.
Colsi il loro momentaneo silenzio per ritirarmi, ma all’ultimo istante la voce di lei mi fermò.
«Prima dovresti andare in camera da letto, Miles. L’infermiera ha detto che devo medicarti la… ferita ogni mattina» commentò, un po’ a disagio, come se parlare del danno che suo padre mi aveva procurato e che io avevo avuto al posto suo la innervosisse.
Molto probabilmente doveva sentirsi in colpa per ciò che era accaduto, anche se non ne avevamo mai parlato apertamente.
Io rimasi in silenzio, un po’ imbarazzato. Volevo fuggire da lei per un po’, invece mi sarei ritrovato ancora più vicino, visto che avrebbe dovuto occuparsi di me.
Sospirai pesantemente, poi annuii e mi diressi in camera.
Dovrai stare calmo, Miles. Parlare del più e del meno, farla arrabbiare magari. Così non si accorgerà dei tuoi sguardi e tu sarai distratto.
Sarei riuscito a comportarmi come mi ero prefissato?


{Franziska von Karma}

Quando entrai nella camera da letto, ero piuttosto nervosa.
Forse perché non avevo mai medicato nessuna ferita in vita mia: insomma, io ero abituata ad occuparmi di persone morte. Cioè, a trovare gli assassini di queste persone morte e metterli in prigione.
O forse perché immaginavo che la vicinanza di Miles mi avrebbe soltanto fatto rimuginare ancora di più sulla mia decisione, che era comunque già stata presa e che non avevo alcuna intenzione di cambiare.
In ogni caso era mio preciso compito occuparmi di lui, e l’avrei fatto perfettamente, come tutto ciò che era mio dovere.
Feci un passo avanti, scorgendo la figura di Miles che si sbottonava lentamente la camicia, di spalle, e tornai indietro, nascondendomi dietro la porta. Speravo che non mi avesse visto.
Dovevo ammettere che era quello che in realtà mi rendeva nervosa: l’idea di vederlo… beh, a torso nudo. Non che non avessi mai visto un uomo in quelle condizioni ma… Forse era proprio perché si trattava lui… Qualcosa mi diceva dentro di me che era tremendamente sbagliato vedere il mio “fratellino” in quel modo!
Inoltre, mio padre aveva sempre espressamente vietato che io fossi nella camera di Miles quando lui si stava cambiando, e la stessa cosa accadeva nei miei confronti. Era per questo che alla magione von Karma ognuno di noi aveva un’ala della casa separata.
E adesso mi ritrovavo a dover andare contro il suo insegnamento, come avevo già fatto per molte altre cose!
Inspirai profondamente. Calma, dovevo stare solo calma.
In fondo, non c’era niente di male, volevo solo aiutarlo. E poi mio padre non era lì, e non poteva punirmi per quello che stavo per fare, né poteva rimproverarmi.
Entrai di nuovo nella stanza, e stavolta scorsi Miles guardarmi con aria interrogativa. Probabilmente si era accorto che ero uscita di scatto pochi secondi fa, e si chiedeva il perché. Non poteva arrivarci da solo? O credeva che avessi mandato all’aria tutto ciò che mio padre mi aveva insegnato quando aveva cercato di uccidermi? Alcune cose ormai facevano parte di me, non potevo cambiarle.
Il mio sguardo cadde sui suoi addominali scolpiti solo per un istante, prima di tornare a incrociare il suo. Lui sorrise leggermente, come se si fosse accorto della mia occhiata, ma non disse nulla.
Aveva fatto bene. O lo avrei disintegrato non appena avessi avuto di nuovo la mia frusta con me.
Indossai la mia maschera di perfetta indifferenza, cercando di non lasciar trapelare alcuna emozione, e i miei occhi non caddero più sul suo corpo, se non sulla ferita che in fondo io gli avevo procurato.
Feci un passo avanti, dicendogli passivamente:«Sdraiati. Devo toglierti le bende» e sei troppo alto per me. Quest’ultimo commento lo tenni per me, però, non volendo che trapelasse nulla che mi facesse apparire piccola e fragile di fronte a lui.
Il mio cosiddetto “fratellino” fece come gli avevo ordinato, non prima di avermi lanciato un’occhiata divertita di sottecchi. Probabilmente doveva essersi accorto del mio improvviso cambio d’umore, ma non voleva dire niente per non irritarmi ulteriormente.
Peccato che la sua sola presenza mi innervosisse tanto da strappare via le bende con troppa forza. Un sibilo di dolore gli sfuggì dalle labbra, e io subito rabbrividii. Non ero proprio capace di occuparmi di lui, dovevo ammetterlo.
«Tut mir leid! [Scusa!] Io non…» mi mordicchiai le labbra, senza riuscire a concludere una frase di senso compiuto.
Senza incrociare il suo sguardo, mi voltai a prendere un batuffolo di cotone e dell’acqua ossigenata per disinfettare quella sorta di squarcio scuro che si disegnava nella sua spalla. Per un attimo sfiorai la mia, ricordando di avere una cicatrice simile nello stesso punto, e rimasi in silenzio. Sentivo il suo sguardo indagatore su di me, e non riuscivo a tranquillizzarmi.
Poggiai con mano tremante il batuffolo imbevuto sulla ferita, suscitando in lui un altro gemito di dolore soffocato. Subito mi allontanai, frustrata.
«Io… non sono capace. Dovresti tornare in osped…!» feci per alzarmi, dicendo queste parole di sciocche scuse per essermi dimostrata debole, quando lui mi fermò, prendendomi per mano.
Dovetti lottare con tutte le mie forze per ignorare la sensazione così familiare di calore e dolcezza che quel contatto mi aveva donato, per non dare importanza ai ricordi del sogno e dell’auto rossa dove avevo provato delle sensazioni simili.
«Stai andando benissimo, Frannie. Davvero» commentò lui, cercando in tutti i modi di rassicurarmi. Io mi voltai lentamente, lanciandogli un’occhiata dubbiosa, a cui lui rispose con un sorriso convincente.
D-davvero stavo andando bene? Ma se continuava a lamentarsi per il dolore! Ero certa che con una brava infermiera non avrebbe aperto bocca.
Indecisa, tornai a prendere il batuffolo e lo poggiai sulla ferita di nuovo, con tutta la gentilezza che riuscivo ad avere, e lui tentò cortesemente di non lamentarsi. Sembrava che cercasse in tutti i modi di mettermi a mio agio, e la cosa mi confondeva.
Come avrebbe reagito a quello che gli avrei annunciato di lì a poco? Sarebbe stato triste? O forse non si sarebbe nemmeno curato della mia decisione?
Beh, se almeno un po’ anche lui si era affezionato ad Annika avrebbe sofferto… almeno per lei.
«A cosa stai pensando, Frannie?» e poi quel nomignolo che si ostinava a darmi! Come avrei voluto essere chiamata semplicemente Franziska, con più formalità!
Comunque, doveva essersi accorto che ero immersa nei miei pensieri, e decisi che in qualsiasi caso prima o poi avrei dovuto dirglielo, quindi tanto valeva approfittarne in quel momento…
«Stavo pensando al futuro, in realtà…» cominciai, ma lui mi interruppe di nuovo, con uno sguardo improvvisamente illuminato.
Sembrava entusiasta di quello che stava per dire, e questo mi stupiva davvero da parte sua. Di solito era sempre così calmo e compassato.
«A proposito di questo! Sai, pensavo che potremmo prendere una casa più grande. Non c’è abbastanza spazio qui per tutti, e Annika avrebbe bisogno di una stanza tutta per sé…» commentò, e io sentii il mio cuore stringersi in una morsa e le lacrime salirmi agli occhi.
Miles stava progettando una vita insieme a me e ad Annie come se fossimo una famiglia, una vera famiglia! E sembrava talmente felice di quello che diceva, come se fossimo la cosa più importante della sua vita.
E se lui era così affezionato a noi, forse si era reso conto di volermi bene. Molto più bene di quanto se ne voleva ad una semplice sorella.
Come potevo ora dirgli quello che avevo deciso di fare? Come avrei potuto dirgli che…?
No. Non potevo cambiare la mia decisione.
Era proprio per quello che non potevo rimanere al fianco del mio “fratellino”, proprio perché lui per me cominciava a non essere più un fratello. E questo non potevo permetterlo, questo avrebbe rovinato tutto.
«Miles. Noi non… non rimarremo» sussurrai, mentre mi concentravo attentamente su un punto dello squarcio sulla sua spalla. Non avrei incrociato il suo sguardo nemmeno sotto tortura in quel momento.
Non in quell’istante in cui sentii tutta la felicità scemare via dalla sua voce e certamente dal suo viso. Non in quel momento in cui avevo distrutto tutte le aspettative sul nostro futuro insieme.
«Cosa vuol dire “non rimarremo”?» chiese titubante.
La sua voce esprimeva una paura profonda, oscura, e mi resi conto che quello non era stato proprio il modo migliore di annunciarglielo. Mi dispiaceva, e tanto. Ma non avevo scelta.
Rimasi in silenzio, continuando ad occuparmi di lui, senza avere la forza di rispondere a quella sua domanda così pressante. L’atmosfera nel frattempo si era fatta pesante nella stanza.
«Franziska. Voglio che mi guardi negli occhi e mi ripeta quello che hai detto» disse lui, con una sorta di minaccia.
Forse si stava arrabbiando, o forse si stava spaventando, ma io non mi sarei lasciata intimorire dal suo atteggiamento. Con sguardo glaciale e indecifrabile incrociai il suo, in cui i nuvoloni di tempesta erano sempre più oscuri.
Cosa stava provando in quel momento?
Presi fiato e ripetei quello che stavo dicendo.
«Io e Annika partiamo. Torniamo in Germania, a casa» dissi, a voce non troppo alta ma scandendo per bene le parole, in modo che lui le capisse.
E in quel momento, mentre lui assimilava quello che gli avevo annunciato e ne comprendeva appieno il significato, riuscii a vedere oltre la sua maschera il dolore farsi strada dentro di lui. Mi resi conto che noi gli saremmo mancate, e molto, e che non voleva lasciarci andare via.
Ma la scelta era stata fatta, e lo facevo per Annie. Non potevo essere così egoista da anteporre i miei desideri ai suoi bisogni.
«Ma avevi detto che saresti rimasta qui negli Stati Uniti. Mi ricordo esattamente queste parole dette da te, quel giorno al parco» commentò lui, e con ciò sottintendeva “Cos’è cambiato? Cosa ti ha fatto cambiare idea?”.
Di cose ne erano cambiate parecchie in quei pochi giorni, ma la più importante rimaneva di certo la mia nipotina. O forse… forse quella che aveva più importanza era il legame che si era formato tra me e Miles?
Presi le fasciature nuove dal pacchetto e le passai intorno alla sua spalla, cercando di trovare qualcosa da dire che non sarebbe suonato troppo come una falsa scusa. Ma ero certa che qualsiasi cosa avessi risposto, da lui sarebbe stata percepita come tale. Era ovvio.
«Le mio priorità sono cambiate, Miles. Annika ha bisogno di tornare nel suo paese, dove potrà studiare e vivere più serenamente. La conferma del suo affidamento mi arriverà entro pochi giorni. Forse oggi stesso. E la riporterò in Germania» punto. Non c’era nulla da discutere. Speravo che se ne rendesse conto e mi lasciasse finire il mio lavoro in silenzio.
E in effetti lui non disse più una parola, e il suo sguardo diventò talmente indecifrabile che nemmeno io, che lo conoscevo bene, riuscii a capire cosa stesse pensando.
Io però volevo saperlo. Volevo allo stesso tempo che non mi chiedesse altre spiegazioni e mi lasciasse partire, e che mi fermasse, mi dicesse che Annika gli sarebbe mancata… ma soprattutto che io gli sarei mancata.
Ma non si sarebbe mai esposto fino a tanto.
Non lui, lui mi avrebbe fatto un semplice cenno di saluto e mi avrebbe guardato allontanarmi, come aveva fatto anche un anno prima, dopo il caso che aveva definitivamente rovinato la mia carriera in America. 


Angolino dell'autrice: 
Bien, siamo alla fine gente! 
Il prossimo sarà l'epilogo, e sarà (credo) anche un po' più corto di questi capitoli. Non so, dipenderà da me! 
Che cosa ne pensate della svolta che ha preso la storia? E della decisione di Franziska di tornare nella sua patria? 
E la prossima serie, si svolgerà in America o in Germania? 
Avrete risposta a questa domanda solo se leggerete Bonfire Heart! Il seguito di Eternal Flame, prossimamente su questi schermi *-* 
Okay, dopo essermi fatta pubblicità da sola, faccio pubblicità a qualcun altro: vi consiglio vivamente la storia di Rurue, una cara mia lettrice. Si tratta di un crossover tra Harry Potter e le Cronache di Narnia davvero interessante! 

-->
Enigmi dal passato

Bueno. Adesso il nostro caro Manny (evocato da Maya sotto stretta sorveglianza) risponderà alla domanda di Key:

K: 
Manny, perché hai deciso per questo abbigliamento raffinato ma antico, che tra parentesi ti fa sembrare un mammuth rinascimentale? ^W^
M: Signorina Neko. Innanzitutto il mio perfetto nome è Manfred, e non le permetto di storpiarlo in questo modo. Ma visto che sono un uomo educato, risponderò comunque alla sua domanda. I von Karma sono una leggenda da tempi molto antichi: il mio bis-bis-bisnonno Wolfgang von Karma fu il nostro capostipite. Egli decise che l'abbigliamento perfetto era quello utilizzato dalla nobiltà dei suoi tempi, e questa legge si è tramandata di padre in figlio fino a me, e poi a mia figlia Franziska. Spero che anche mia nipote Annika continuerà la nostra stirpe, visto che è rimasta l'ultima.


Va beeene, grazie Manny. Poi vorrei farti notare che appena Franziska e Annika si sposeranno, non ci sarà più alcun von Karma. Vi sarete estinti u.u 

Inoltre ecco l'immagine di oggi, cioè una citazione di T&T. La inserisco perché come potete notare nel testo, l'ho fatta citare da Miles nei confronti di Franziska (so che non se ne sarà sicuramente accorto nessuno, vi sfido a trovarla u.u) ed è semplicemente bellissima <3

Image and video hosting by TinyPic
Bene carissimi, vi saluto e aspetto i vostri commenti!
Un bacione,
Kirlia <3
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ace Attorney / Vai alla pagina dell'autore: kirlia