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Autore: Assasymphonie    25/08/2013    1 recensioni
E Antonio sapeva che aveva ragione.
Un uomo morto non racconta bugie.
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Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Inghilterra/Arthur Kirkland, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo del capitolo: Dead man tells no lies.

Personaggi: Antonio Carriedo ( Spagna ) / Arthur Kirland ( Inghilterra )

Rating: Arancione

Note dell'autore: One-shot / Storica / Guerra / Angst

Disclaimer: Personaggi, luoghi e abitudini sono di proprietà del mangaka; lo scritto e le situazioni sono di mia proprietà.

 

 

.Dead man tells no lies.

 

 

« Vira a tribordo! » L'enorme vascello, dal nome vaiolato dagli elementi e ormai illeggibile, le vele sporche e la polena dai lineamenti piangenti nel suo casto manto sacro seguirono scricchiolando e schioccando quell'ordine dato dalla sommità del castello di poppa. Mani magre e nervose stringevano e giravano il timone a doppia ruota, l'intero corpo dell'uomo teso nello sforzo di far girare la nave per affiancarla ad un altro scafo, possente e bene armato altrettanto. Alle spalle contratte schioccava nel vento una bandiera sottile di seta, croce rossa in campo bianco. La croce di San Giorgio garriva in risposta alle bande gialle e rosse che si stavano avvicinando velocemente, forse troppo. Il vento in poppa lo avevano loro e l'uomo al timone lo sapeva: scorno apparì sulle labbra sottili e screpolate da una salsedine che rendeva pesante la giacca verde smeraldo, le cinture di pelle scura e i capelli biondi e stopposi sul cranio ancora coperto da un tricorno dalle piume variopinte, da piccole perle irregolari e decorato con il medesimo oro degli orecchini pendenti ai lobi. Perché sembrava tutto a sfavore della sua nave, la Elizabeth, e invece tutto a favore di quel cane spagnolo che si faceva sempre più vicino? Ingaggiare battaglia in acque di nessuno, gli unici suoni erano gli ordini urlati in due lingue diametralmente opposte, lo scalpiccio dei piedi degli uomini sul fasciame e il sibilo delle lame sguainate, dei moschetti caricati e dei cannoni pronti.

Eppure gli occhi verdi di Arthur Kirland non si spostavano di nemmeno un metro da un altro paio di globi verdi su una nave dal legno scuro, approntata alla medesima maniera, tesa al solo fine di allineare le fiancate e cominciare con la sola musica che osassero conoscere entrambi. Quanti morti entrambi avrebbero dovuto contare una volta finito lo scontro? Le acque dell’oceano sarebbero divenute rosse, lacrime salate sarebbero andate a sciogliersi lungo le guance dei morti. Lo sapeva, lo sentiva. Fu un brivido che gli percorse in un attimo la colonna vertebrale ad avvertirlo di un diverso sguardo posato su di sé, a farlo voltare verso la prua della nave e a fargli chiudere gli occhi per un lungo, flebile, momento; le lunghe ciglia bionde sfiorarono gli zigomi appuntiti proprio mentre le labbra si schiudevano a dare l’ordine che avrebbe dato inizio a tutto. « Fuoco. »

 

Il sorriso lo aveva perso nel momento in cui la vedetta aveva annunciato l’avvistamento di una bandiera di cui qualunque spagnolo navigante per mare conosceva ogni colore, ogni forma, persino ogni possibile consistenza: Antonio aveva stretto le dita scure attorno al parapetto di babordo, la puzza che pareva già aleggiare in quell’angolo di mondo gli faceva arricciare il naso, aggrottare le sopracciglia e scurire gli occhi verdi, ombrati da quei ricci sempre più ribelli, chiusi in una coda bassa con un nastro del medesimo rosso sangue della lunga giacca. Pretenziosa forse, i bottoni in oro e i pizzi attorno al collo, il mantello tenuto su una spalla da una lunga cintura traversante il petto fatta di oro e smeraldi e rubini e diamanti rilucenti sotto quel sole caldo e carezzevole. Portava spezie e oro, la nave capitanata da Antonio Carriedo, un carico per il quale i corsari della regina inglese avrebbero potuto anche fare follie, come quella di avvicinare il galeone spagnolo da tribordo. Nessun segnale, nemmeno un grido, eppure Spagna poteva vedere fin troppo bene le sempre più vicine labbra di Inghilterra sillabare ordini precisi in una lingua secca e gutturale che gli distorse ancor più i lineamenti cesellati e mediterranei, facendolo somigliare ad una grottesca maschera da tragedia. Lo sapeva, era consapevole già da prima della sua presenza sul galeone? Era un attacco mirato o-- « Ai cannoni, aspettate il mio segnale, non date quartiere a quei cani inglesi! » Se era il rombo dei cannoni il suo desiderio, Antonio avrebbe concesso anche di più. Il parapetto fu lasciato andare con un moto di gelida stizza e gli alti stivali di cuoio nero calcarono pesantemente il fasciame, salirono a due a due le scalette solo per concedere alla pelle scura la presa salda sul timone a ruota singola. Le loro posizioni erano simili e le navi frusciavano lungo il mare fino ad affiancarsi così pericolosamente da permettere ad Antonio di arricciare le labbra in un sorriso ad uso e consumo del duro e consunto inglese posto di fronte ai suoi occhi.

L’attimo fu cruciale, le bocche dei cannoni avrebbero potuto donarsi un bacio da quanto erano vicine e poi… « Fuoco! »

 

L’acqua fu coperta dal fumo dei cannoni esplosi e le orecchie di tutti coloro a bordo delle navi vennero invase dal rombo distruttore delle cariche esplosive, dal legno ridotto in schegge minuscole e ordini urlati al di sopra della caligine. Era bastato un attimo, una parola e l’intero mondo attorno a loro si era dissolto in una nuvola dall’odore acre e pregna di cenere. I danni non potevano neppur essere contati che i fianchi delle navi arrivarono a toccarsi, il parapetto della più grande nave spagnola morse violentemente i finimenti dorati della sorella inglese, e tutto si capovolse. Le vele furono abbandonate, il sartiame lasciato scendere e solo il tintinnare delle spade, il rombo delle strombe livellate contro visi e viscere sparse era padrone dell’aria ancora carica di cenere.

Arthur Kirkland non si era mosso: neppure la palla di cannone che era andata a distruggere il parapetto di fronte al timone gli aveva dato abbastanza motivi per lasciare la presa e rimaneva immoto, la sinistra mollemente poggiata sul timone… fino a quando lo scintillio di una lama, per un semplice battito di ciglia, venne sostituito dal clangore di due spade che si scontrano a mezz’aria. Il timone venne sostituito da un sorriso viscido in direzione dell’uomo che emergeva dalla caligine iniziante a diradarsi: alla fine era venuto, con tutta la sua boria, con la sua espressione di furore sorridente. « Too slow. » Furono parole lente e disgustose, mormorate un attimo prima di rincarare la dose contro uno spagnolo dalle sopracciglia sollevate e lo sguardo pieno di disastrosa meraviglia.

I loro uomini combattevano e morivano sulle loro navi, il sangue impregnava i legni scuro e chiaro eppure rimanevano statici, nel loro incrociar le spade.

Si andavano studiando, perdendosi in quelle differenze cromatiche dei loro occhi ma col medesimo fondo nero, pieno di nequizia e di sorrisi distorti che si donavano l’un l’altro come il pegno di una dama, quando fu Arthur stesso ad interrompere il prologo. Districò la lama e si allontanò di un paio di passi, tenendo la mancina dietro la schiena e sfiorando la spada spagnola con la propria. Una carezza, un invito reso in silenzio e più seducente di un seno nudo e offerto. Bastò tanto poco a far scattare la miccia della risata nel mediterraneo la cui lama anelava a quelle carezze, pronta ad accogliere il bacio del miglior amante al mondo… per ora. Fu solo un turbinio di carminio quello che seguì, il corpo dello spagnolo si torse per offrire ad Arthur null’altro che un affondo laterale parato con fragore dalla lama meno sottile e pesante di Inghilterra; non bastava, lo si leggeva nei suoi occhi. « Non sai proprio stare al gioco, Inglaterra. » Non ottenne altro che un sibilare velenoso.

Per quanto tempo andarono avanti con la spada nessuno fu effettivamente in grado di dirlo, ma entrambe le Nazioni non smisero nemmeno per un attimo di sorridere, tremendamente soddisfatti di quel canto, terribilmente vicini più di una volta a lasciarsi andare a ben altre battaglie eppure sempre pronti ad allontanarsi, seguendo solo l’indole della spada, la sensazione inebriante di star combattendo non al primo sangue ma all’ultimo e ancora più in là dove nessuno sarebbe potuto arrivare. Ah, combattere per sempre, danzare al ritmo dei colpi parati o schivati, il sottofondo delle grida dei morti e dei morenti ormai completamente privi di importanza, che meraviglia!

Fu solo quando Inghilterra riuscì a far scattare in alto il braccio altrui che il mondo parve rallentare, che gli occhi di Spagna si fecero più grandi e le esplosioni dei cannoni si fecero lente, maledettamente lente. L’acqua sarebbe apparsa meno densa del momento in cui gli angoli delle labbra di Arthur si sollevarono insieme alla canna della pistola; il proiettile partì con lente volute di fumo contro Antonio che, immobile sulle scalette di poppa, riuscì solo a seguirlo con lo sguardo e a sentirlo scavare nella carne della spalla sinistra. Fu un dolore talmente intenso da farlo boccheggiare, seguito dalla risata sguaiata di un inglese ormai con in pugno la verginità della vittoria che avanzava, che lo afferrava per il bavero e passava le dita sul e nel foro slabbrato della giacca, della carne, dell’orgoglio stesso. Antonio gorgogliò qualcosa ma non poté avere risposta, già il suo sangue era nella ghignante bocca altrui addobbata di boria, di lussuria, di adrenalinica vittoria. « When the sun is set, nothing can replace it. »

Spagna scansò quella presa malata, mordendosi a sangue le labbra piene, lanciando ad Arthur un ultimo sguardo, un’ultima considerazione. La mano della spada tremava, furono i suoi uomini a trascinarlo via, gli occhi fissi su Arthur Kirkland, il nuovo padrone del mondo, le labbra imbrattate del suo sangue e il cappello piumato stretto nella destra, nella pantomima di un inchino avvolto in una nebbia rosso sangue. E Antonio sapeva che aveva ragione.

Un uomo morto non racconta bugie.

 

.Fine.

   
 
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