Titolo
del capitolo: Dead
man tells no
lies.
Personaggi:
Antonio
Carriedo (
Spagna ) / Arthur Kirland ( Inghilterra )
Rating:
Arancione
Note
dell'autore: One-shot
/ Storica /
Guerra / Angst
Disclaimer:
Personaggi,
luoghi e
abitudini sono di proprietà del mangaka; lo scritto e le
situazioni sono di mia
proprietà.
.Dead
man tells no lies.
«
Vira a
tribordo! » L'enorme vascello, dal nome vaiolato dagli
elementi e ormai
illeggibile, le vele sporche e la polena dai lineamenti piangenti nel
suo casto
manto sacro seguirono scricchiolando e schioccando quell'ordine dato
dalla
sommità del castello di poppa. Mani magre e nervose
stringevano e giravano il
timone a doppia ruota, l'intero corpo dell'uomo teso nello sforzo di
far girare
la nave per affiancarla ad un altro scafo, possente e bene armato
altrettanto.
Alle spalle contratte schioccava nel vento una bandiera sottile di
seta, croce
rossa in campo bianco. La croce di San Giorgio garriva in risposta alle
bande
gialle e rosse che si stavano avvicinando velocemente, forse troppo. Il
vento
in poppa lo avevano loro e l'uomo al timone lo sapeva: scorno
apparì sulle
labbra sottili e screpolate da una salsedine che rendeva pesante la
giacca
verde smeraldo, le cinture di pelle scura e i capelli biondi e stopposi
sul
cranio ancora coperto da un tricorno dalle piume variopinte, da piccole
perle
irregolari e decorato con il medesimo oro degli orecchini pendenti ai
lobi. Perché
sembrava tutto a sfavore della sua nave, la Elizabeth, e invece tutto a
favore
di quel cane spagnolo che si faceva sempre più vicino?
Ingaggiare battaglia in
acque di nessuno, gli unici suoni erano gli ordini urlati in due lingue
diametralmente opposte, lo scalpiccio dei piedi degli uomini sul
fasciame e il
sibilo delle lame sguainate, dei moschetti caricati e dei cannoni
pronti.
Eppure
gli occhi verdi di Arthur Kirland non si spostavano di nemmeno un metro
da un
altro paio di globi verdi su una nave dal legno scuro, approntata alla
medesima
maniera, tesa al solo fine di allineare le fiancate e cominciare con la
sola
musica che osassero conoscere entrambi. Quanti morti entrambi avrebbero
dovuto
contare una volta finito lo scontro? Le acque dell’oceano
sarebbero divenute
rosse, lacrime salate sarebbero andate a sciogliersi lungo le guance
dei morti.
Lo sapeva, lo sentiva. Fu un brivido che gli percorse in un attimo la
colonna
vertebrale ad avvertirlo di un diverso sguardo posato su di
sé, a farlo voltare
verso la prua della nave e a fargli chiudere gli occhi per un lungo,
flebile,
momento; le lunghe ciglia bionde sfiorarono gli zigomi appuntiti
proprio mentre
le labbra si schiudevano a dare l’ordine che avrebbe dato
inizio a tutto. «
Fuoco. »
Il
sorriso lo aveva perso nel momento in cui la vedetta aveva annunciato
l’avvistamento di una bandiera di cui qualunque spagnolo
navigante per mare
conosceva ogni colore, ogni forma, persino ogni possibile consistenza:
Antonio
aveva stretto le dita scure attorno al parapetto di babordo, la puzza
che
pareva già aleggiare in quell’angolo di mondo gli
faceva arricciare il naso,
aggrottare le sopracciglia e scurire gli occhi verdi, ombrati da quei
ricci
sempre più ribelli, chiusi in una coda bassa con un nastro
del medesimo rosso
sangue della lunga giacca. Pretenziosa forse, i bottoni in oro e i
pizzi
attorno al collo, il mantello tenuto su una spalla da una lunga cintura
traversante il petto fatta di oro e smeraldi e rubini e diamanti
rilucenti
sotto quel sole caldo e carezzevole. Portava spezie e oro, la nave
capitanata
da Antonio Carriedo, un carico per il quale i corsari della regina
inglese
avrebbero potuto anche fare follie, come quella di avvicinare il
galeone
spagnolo da tribordo. Nessun segnale, nemmeno un grido, eppure Spagna
poteva
vedere fin troppo bene le sempre più vicine labbra di
Inghilterra sillabare
ordini precisi in una lingua secca e gutturale che gli distorse ancor
più i
lineamenti cesellati e mediterranei, facendolo somigliare ad una
grottesca
maschera da tragedia. Lo sapeva, era consapevole già da
prima della sua
presenza sul galeone? Era un attacco mirato o-- «
Ai cannoni, aspettate il
mio segnale, non date quartiere a quei cani inglesi! » Se era
il rombo dei
cannoni il suo desiderio, Antonio avrebbe concesso anche di
più. Il parapetto
fu lasciato andare con un moto di gelida stizza e gli alti stivali di
cuoio
nero calcarono pesantemente il fasciame, salirono a due a due le
scalette solo
per concedere alla pelle scura la presa salda sul timone a ruota
singola. Le
loro posizioni erano simili e le navi frusciavano lungo il mare fino ad
affiancarsi così pericolosamente da permettere ad Antonio di
arricciare le
labbra in un sorriso ad uso e consumo del duro e consunto inglese posto
di
fronte ai suoi occhi.
L’attimo
fu cruciale, le bocche dei cannoni avrebbero potuto donarsi un bacio da
quanto
erano vicine e poi… « Fuoco! »
L’acqua
fu coperta dal fumo dei cannoni esplosi e le orecchie di tutti coloro a
bordo
delle navi vennero invase dal rombo distruttore delle cariche
esplosive, dal
legno ridotto in schegge minuscole e ordini urlati al di sopra della
caligine.
Era bastato un attimo, una parola e l’intero mondo attorno a
loro si era
dissolto in una nuvola dall’odore acre e pregna di cenere. I
danni non potevano
neppur essere contati che i fianchi delle navi arrivarono a toccarsi,
il
parapetto della più grande nave spagnola morse violentemente
i finimenti dorati
della sorella inglese, e tutto si capovolse. Le vele furono
abbandonate, il
sartiame lasciato scendere e solo il tintinnare delle spade, il rombo
delle
strombe livellate contro visi e viscere sparse era padrone
dell’aria ancora
carica di cenere.
Arthur
Kirkland non si era mosso: neppure la palla di cannone che era andata a
distruggere il parapetto di fronte al timone gli aveva dato abbastanza
motivi
per lasciare la presa e rimaneva immoto, la sinistra mollemente
poggiata sul
timone… fino a quando lo scintillio di una lama, per un
semplice battito di
ciglia, venne sostituito dal clangore di due spade che si scontrano a
mezz’aria. Il timone venne sostituito da un sorriso viscido
in direzione
dell’uomo che emergeva dalla caligine iniziante a diradarsi:
alla fine era
venuto, con tutta la sua boria, con la sua espressione di furore
sorridente. «
Too slow. » Furono parole lente e disgustose, mormorate un
attimo prima di
rincarare la dose contro uno spagnolo dalle sopracciglia sollevate e lo
sguardo
pieno di disastrosa meraviglia.
I
loro
uomini combattevano e morivano sulle loro navi, il sangue impregnava i
legni scuro
e chiaro eppure rimanevano statici, nel loro incrociar le spade.
Si
andavano studiando, perdendosi in quelle differenze cromatiche dei loro
occhi
ma col medesimo fondo nero, pieno di nequizia e di sorrisi distorti che
si
donavano l’un l’altro come il pegno di una dama,
quando fu Arthur stesso ad
interrompere il prologo. Districò la lama e si
allontanò di un paio di passi,
tenendo la mancina dietro la schiena e sfiorando la spada spagnola con
la
propria. Una carezza, un invito reso in silenzio e più
seducente di un seno
nudo e offerto. Bastò tanto poco a far scattare la miccia
della risata nel
mediterraneo la cui lama anelava a quelle carezze, pronta ad accogliere
il
bacio del miglior amante al mondo… per ora. Fu solo un
turbinio di carminio
quello che seguì, il corpo dello spagnolo si torse per
offrire ad Arthur
null’altro che un affondo laterale parato con fragore dalla
lama meno sottile e
pesante di Inghilterra; non bastava, lo si leggeva nei suoi occhi.
« Non sai
proprio stare al gioco, Inglaterra. » Non ottenne altro che
un sibilare
velenoso.
Per
quanto tempo andarono avanti con la spada nessuno fu effettivamente in
grado di
dirlo, ma entrambe le Nazioni non smisero nemmeno per un attimo di
sorridere,
tremendamente soddisfatti di quel canto, terribilmente vicini
più di una volta
a lasciarsi andare a ben altre battaglie eppure sempre pronti ad
allontanarsi,
seguendo solo l’indole della spada, la sensazione inebriante
di star
combattendo non al primo sangue ma all’ultimo e ancora
più in là dove nessuno sarebbe
potuto arrivare. Ah, combattere per sempre, danzare al ritmo dei colpi
parati o
schivati, il sottofondo delle grida dei morti e dei morenti ormai
completamente
privi di importanza, che meraviglia!
Fu
solo
quando Inghilterra riuscì a far scattare in alto il braccio
altrui che il mondo
parve rallentare, che gli occhi di Spagna si fecero più
grandi e le esplosioni
dei cannoni si fecero lente, maledettamente lente. L’acqua
sarebbe apparsa meno
densa del momento in cui gli angoli delle labbra di Arthur si
sollevarono
insieme alla canna della pistola; il proiettile partì con
lente volute di fumo
contro Antonio che, immobile sulle scalette di poppa, riuscì
solo a seguirlo
con lo sguardo e a sentirlo scavare nella carne della spalla sinistra.
Fu un
dolore talmente intenso da farlo boccheggiare, seguito dalla risata
sguaiata di
un inglese ormai con in pugno la verginità della vittoria
che avanzava, che lo
afferrava per il bavero e passava le dita sul e nel foro slabbrato
della
giacca, della carne, dell’orgoglio stesso. Antonio
gorgogliò qualcosa ma non
poté avere risposta, già il suo sangue era nella
ghignante bocca altrui
addobbata di boria, di lussuria, di adrenalinica vittoria. «
When the sun is
set, nothing can replace it. »
Spagna
scansò quella presa malata, mordendosi a sangue le labbra
piene, lanciando ad
Arthur un ultimo sguardo, un’ultima considerazione. La mano
della spada
tremava, furono i suoi uomini a trascinarlo via, gli occhi fissi su
Arthur
Kirkland, il nuovo padrone del mondo, le labbra imbrattate del suo
sangue e il
cappello piumato stretto nella destra, nella pantomima di un inchino
avvolto in
una nebbia rosso sangue. E Antonio sapeva che aveva ragione.
Un
uomo
morto non racconta bugie.
.Fine.