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Autore: Violet2013    26/08/2013    12 recensioni
Ranma torna a Nerima due anni dopo il matrimonio mancato, deciso a far tornare tutto come prima, ma ogni cosa sembra essere cambiata: nessuna faccia è più la stessa e gli equilibri si sono stravolti.
Riuscirà a riconquistare la sua amata Akane?
ATTENZIONE: IN VIA DI REVISIONE (modificata fino al cap 6)
TRATTO DAL CAPITOLO 7:
''Nessuno avrebbe mai conosciuto l'inferno che i due ragazzi stavano passando, e che avevano passato per due lunghi anni lontani l'uno dall'altra, con la forte consapevolezza di essere legati da un filo invisibile, un filo elastico che si allungava, e si allungava tanto, ma quando tornava a stringersi faceva così male da soffocare.
Quei due potevano stare lontani per giorni, mesi, anni, ma non potevano stare vicini. Non senza sentire lo stomaco in subbuglio, il cuore correre come un treno, le gambe tremare, le braccia che fremevano per toccarsi''.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TCP5
Run my baby, run my baby, run.
Run from the noise of the street and the loaded gun.
Too late for solutions to solve in the setting sun,
so run my baby, run my baby, run.
Garbage, Run, baby, run.




Nerima, esterno giorno, 8 agosto 1996





Ryoga camminava per le vie di Nerima, finalmente sicuro di sè, grazie ai trucchetti che Ataru gli aveva insegnato per ricordare le strade, almeno quelle che faceva più spesso.
Bastava prendere dei punti di riferimento.
Pensava a quanto fosse felice della sua vita in quel momento, a quanta strada avesse fatto negli anni, e soprattutto a quanto fosse stato cieco a non capire subito che Ukyo era il suo destino.
Stavano insieme da ormai un anno abbondante, e lei era sul punto di dargli ciò che più desiderava al mondo: una famiglia.
Gli aveva detto di essere incinta dopo 3 settimane dal test di gravidanza, durante la cena di Natale a casa Tendo, mentre erano circondati dalla loro famiglia acquisita: quella dei loro amici più intimi.
Entrambi erano cresciuti lontano dai genitori, ed entrambi non desideravano altro che costruire qualcosa che potesse essere chiamato ''casa''.
Il giovane Hibiki sorrise al ricordo delle lacrime di gioia di Ataru, quello che in breve tempo era diventato il suo migliore amico, insieme a Mousse.
Era davvero speciale, quel ragazzo, e non biasimava certo Akane per essersi innamorata di lui.
Era così puro e maturo, e non aveva alcun problema a manifestare i propri sentimenti. Inoltre aveva un carattere talmente gioviale e trascinante, da conquistare chiunque solo aprendo la bocca.
Trovò ciò che cercava, il negozio di articoli per bambini, e vi entrò: mancava poco al parto, e voleva fare a suo figlio il suo primo regalo: una mini tutina da karate.



Ranma si sentiva spaesato, non camminava per quelle strade da più di due anni.
In contronto alle dimensioni enormi delle strade americane, alla decadenza di Parigi ed alla chiassosità del centro, le vie del suo vecchio quartiere  gli sembravano minuscole come quelle di un piccolo villaggio. I volti, anche quelli che non aveva mai visto prima, gli sembravano familiari, e l'odore era quello dei ricordi più emozionanti e puri, quelli in cui ci si rifugia quando si ha bisogno di provare una sensazione positiva.
Era quasi sull'orlo delle lacrime per essere ritornato, finalmente, nell'unico posto al mondo in cui si fosse mai sentito amato.
Aveva deciso di fare una passeggiata chiarificatrice prima di andare a bussare a casa Tendo: non sapeva cosa avrebbe trovato, ed era preparato al peggio.
Se Ryoga ed Akane si fossero sposati Soun gliel'avrebbe certamente detto, o sarebbe arrivato alle orecchie di Shampoo, che glielo avrebbe riferito. Ma se fossero stati fidanzati? Cosa avrebbe potuto fare in quel caso?
Aveva passato la notte in bianco, sdraiato su una panchina del parco, ed i pensieri gli si erano chiarificati: lui voleva Akane. La amava con ogni goccia del suo sangue, con ogni centimetro della sua pelle e con ogni battito del suo cuore.
No, non l'aveva dimenticata, e le cento o più avventure di una notte che aveva avuto non avevano fatto altro che chiarirgli le idee.
Akane era l'unica.
Si era sorpreso a sperare di trovarla ancora come l'aveva lasciata: una ragazzina appena diciottenne un po' timida ed ingenua, e soprattutto pura.
Gli sarebbe piaciuto insegnarle a fare certe cose, essere il primo, l'unico, il solo.
Ne era passato di tempo, era vero, ma Ryoga era un imbranato, e lei era sempre stata un po' impacciata con gli uomini. Magari si erano dati solo qualche bacetto.

Quando vide il suo ex migliore amico svoltare l'angolo quasi non lo riconobbe: Ryoga era più muscoloso, forse anche più alto, ed il suo aspetto era decisamente più curato.
Indossava un paio di jeans, delle scarpe da ginnastica alla moda ed una camicia azzurra a maniche lunghe, benchè fosse luglio inoltrato. I capelli erano ordinatamente tenuti insieme con il gel, e si era fatto crescere un paio di baffetti sottili e delle basette di media lunghezza, che gli stavano molto bene.
Era un uomo. A tutti gli effetti.
In preda alle paranoie lo seguì nel suo giro di shopping, ed impallidì quando lo vide entrare in un negozio di articoli per bambini.
Senza far notare la sua presenza lo seguì all'interno del negozio, ed inorridito lo spiò mentre acquistava una tutina da karate.
Lo sentì dire alla commessa che sarebbe diventato padre da lì a breve, e che dopo il parto avrebbe finalmente sposato la donna che amava da sempre.
Il sangue gli si gelò, e per poco non svenne.
Quando si riprese, si accorse che l'ex amico era già uscito. Si precipitò fuori dal negozio, ed iniziò a rincorrerlo.
"Ryoga! Ryoga aspetta, bastardo!"



Ryoga camminava tranquillamente con il suo nuovo acquisto nello zaino, quando si sentì chiamare a gran voce.
Si girò lentamente e vide corrergli incontro l'ultima persona che si aspettasse di vedere.
Ranma correva a perdifiato urlando il suo nome: certo, mancava da due anni, probabilmente era felice di vederlo.
L'emozione gli fece dimenticare tutti i rancori, dopotutto le vite di tutti loro erano andate avanti, e non aveva senso vivere nel passato, soprattutto quando il presente era così roseo.
Allargò le braccia ed attese l'arrivo del codinato, che, però, gli si buttò addosso ed iniziò ad attaccarlo.

"Hey! Ranma! Sei tornato! Dai, non voglio fare a botte, stupido! Sono un padre, ora!"
L'orgoglio con cui Ryoga pronunciò quella frase fomentò ulteriormente la rabbia del codinato. Lo buttò a terra e gli si scagliò addosso, tirandogli un pugno che sarebbe stato mortale per qualunque altro uomo.

L'eterno disperso si accorse che qualcosa non andava solo dopo qualche minuto: la faccia di Ranma non era distesa ed impenitente come tutte le volte in cui combattevano per gioco o per goliardia, inoltre aveva detto una frase che l'aveva lasciato perplesso:
"Come hai potuto, Ryoga? Eri il mio migliore amico!"
Contraccambiò il colpo, era molto più forte dell'ultima volta in cui avevano combattuto. Immobilizzò Ranma e gli chiese spiegazioni.
"Tu! Maledetto! Lo avevo sempre detto che lei era mia! Sapevi che sarei tornato! Come hai potuto, Ryoga?''
"Ma che dici? Ranma, fermo! Si può sapere di che stiamo parlando?"
"So tutto! Sei un traditore! Io la amavo, Ryoga! L'ho sempre amata, e tu lo sapevi! Eri il mio migliore amico!"
Ryoga rimase di stucco quando vide Ranma inginocchiarsi per terra, con gli occhi lucidi e le mani tra i capelli. Non poteva capacitarsi di quanto appena sentito. Dunque Ranma amava Ukyo?
"Ranma! Sii uomo, alzati!"
"No, è troppo tardi, è tutto perduto!"
Era sinceramente intenerito. Era raro vedere una persona egocentrica e spocchiosa come Ranma mollare la presa e lasciarsi andare così, soprattutto davanti ad altra gente.
Si chinò di fronte a lui, incurante degli sguardi dei passanti, e gli porse la mano, che il codinato rifiutò malamente.
"Ranma, io non potevo sapere... Avevo capito che eri strano coi sentimenti, ma sinceramente...Io avevo sempre pensato che ti piacesse Akane!"
"Ryoga..."- Ranma sgranò gli occhi. In una frazione di secondo l'amico capì che c'era stato un malinteso, e scoppiò a ridere fragorosamente.
Si alzò, e tese nuovamente la mano al suo amico, che stavolta l'accettò e la strinse, alzandosi anche lui.
"Ranma... Abbracciami, stupido!"



"Dunque tu ed Ukyo, eh?"
Mangiava il suo gelato sorpreso, seduto sul bordo di una fontana.
Crescere significava anche quello: non trovava più sconveniente mangiare un alimento tanto grazioso e colorato in pubblico, forse perchè non era più ossessionato dall'idea di essere un vero uomo.

Ryoga sorrise orgoglioso. Ora che si erano chiariti si rese conto di quanto Ranma gli fosse mancato, nonostante tutto, e di quanto fosse felice di condividere la sua gioia con lui.
"E' maschio o femmina?"
"Maschio. Ne sono molto fiero. Lo chiameremo Peter, come Peter Pan. E' stata Akane a decidere per un nome con la P. Ora che sono guarito, le manca qualcuno da chiamare P-Chan".
Ranma non riuscì ad assimilare la notizia principale dell'enunciato: Ryoga voleva dirgli che anche lui era guarito, finalmente, ma l'unica parola che rimbombava nella testa del codinato era ''Akane''.
Il giovane Hibiki, allo stesso tempo, si maledì per la leggerezza. Ranma gli aveva appena confessato i suoi sentimenti per la sua amica, inoltre era tornato. Forse per restare. Come avrebbe gestito la situazione, ora? Dopotutto sia lui che Ataru erano suoi amici, ma la persona a cui voleva più bene in assoluto era lei, Akane. Cosa avrebbe dovuto fare? Aiutare il suo vecchio amico o parteggiare per quello nuovo? Ataru era certamente il migliore dei partiti per la sua ''sorellina'', ma aveva sempre sospettato che, in segreto, lei pensasse ancora a Ranma.
Inoltre, lui le aveva spezzato il cuore. Ripetutamente. Solo chi era stato a Nerima quella maledetta estate poteva capire cos'avesse passato la piccola Tendo.
Cercò di sviare il discorso chiedendo al codinato del suo nuovo lavoro, ma lui non sembrava realmente preso dalla conversazione. D'improvviso zittì Ryoga e glielo chiese: dritto e conciso.
"Come sta Akane?"
"Hem, Akane... Bene! Molto bene...Ora"
"Che vuol dire, ora?"
"Ranma, io ti voglio bene, ma non piombare subito nella sua vita. Dalle un po' di tempo, ok? Sta preparando un combattimento con uno sfidante davvero forte, e stavolta siamo veramente preoccupati per la Palestra... Per favore, non distrarla anche tu... Ci sarà tempo e modo, e poi lei sta con..."
"Basta!" -sbottò il codinato, buttando a terra il cono vuoto- "Ora mi spieghi perchè tutti quelli con cui parlo di Akane mi dicono di lasciarla perdere! Avanti, parla!"
Ryoga guardò l'orologio: gliel'aveva regalato Ukyo per il suo compleanno, due settimane prima, e segnava le 11 meno 5.
"Oddio, Ranma... Perdonami, ma ho perso la cognizione del tempo, devo scappare al lavoro! Se ti va stasera passa da noi, ti lascio l'indirizzo, così saluti anche Ukyo, ok?"



Ranma aveva camminato per tutto il giorno senza fermarsi mai: era stato al Furinkan, scandagliando ogni luogo, dal terrazzo alla piscina. Inutile dire che tutto gli parlasse di lei.
Era stato al ristorante di Obaba, in cui però aveva trovato solo dei camerieri che non aveva mai visto, e al chiosco di Ukyo,chiuso per ferie, probabilmente perchè la proprietaria stava per partorire.
Era persino passato davanti casa Kuno, gli sarebbero andati bene anche quel pazzo o sua sorella, pur di vedere una faccia conosciuta, pur di sapere che qualcosa era rimasto come prima.
Ma era disabitata, il giardino non era curato e non si sentivano risate isteriche o pianti di ninja impauriti.
Casa Hibiki non era lontana da casa Tendo.
Si era lasciato quella parte del quartiere per ultima: sapeva che le emozioni che gli avrebbe provocato sarebbero state difficili da gestire.
Ironia della sorte, per arrivare dal suo amico avrebbe proprio dovuto passarci davanti.
Prese coraggio e si incamminò.
Per poco una moto non lo investì, mentre attraversava la strada: un bel ragazzo più o meno della sua età alzò la visiera del casco e gli urlò ''Scusa amico!", ripartendo a tutta velocità, dopo essersi assicurato di non avergli fatto del male. Ranma maledì il progresso.
Solo due anni prima, in quella via, non vedeva passare altro che pedoni, o al limite ragazzini in bici.
Ma i tempi erano cambiati, e lui stesso si era piegato all'uso dell'automobile, quando viveva in America, benchè la considerasse solo un modo per inquinare ed impigrirsi, un pessimo sostituto ad una salubre camminata.
E lui amava camminare, come amava qualunque attività fisica, ma quella passeggiata gli era sembrata una tortura infernale: ad ogni passo i polpacci gli bruciavano un po' di più, ed i piedi gli sembravano dei macigni.
Dopo la grande curva, proprio davanti alla casa della vecchia signora che lo bagnava sempre annaffiando i fiori, si fermò, prendendo un bel respiro.
Il Dojo Tendo era lì dov'era sempre stato, solo l'insegna era un pochino più grande, ma quello che lo stupì era la quantità di gente che ne usciva: decine e decine di ragazzini, con caricati sulle spalle dei borsoni, stavano salutando Ryoga, sulla soglia.
Dovette sforzarsi per riprendere fiato. Ryoga nella sua tuta era così professionale, e sembrava così felice di fare quel lavoro. Nulla a che vedere con la frustrazione che provava lui nella sua palestra d'elite frequentata solo da ricchi turisti e mogli di imprenditori con la fissa della forma fisica, seduto dietro ad una scrivania ad incasellare numeri.
Aveva sbagliato tutto, era quella la sua vita: combattere ed insegnare, portare avanti le seppur bizzarre tradizioni di famiglia, spronare i più giovani, educarli all'amore per quella che, ne era certo, era la più alta delle Arti. Magari addirittura formare un nuovo Ranma Saotome, un giorno, proprio come Obaba ed il vecchio Happosai avevano fatto con lui.
Iniziò a darsi dello stupido: era felice per il suo amico, ma lì avrebbe potuto esserci lui. Avrebbe dovuto esserci lui. Tutti desideravano quello per il giovane Saotome, fin dall'inizio, ma lui aveva sempre vissuto la decisione di suo padre come una condanna a morte. Il Dojo, l'unione delle due Scuole, il matrimonio con Akane.
Aveva, letteralmente, sputtanato tutto. E non poteva incolpare altri che se stesso per quello che gli stava capitando.
Vide che il ragazzo con la moto era fermo e chiacchierava animatamente con Ryoga, per cui non proseguì, per non fare la figura dello stupido, e li osservò da lontano.
I due ridevano, sembravano amici di vecchia data. Ad un certo punto Mousse, il vecchio caro Mousse, uscì sulla soglia e salutò il ragazzo, anche lui calorosamente.
Ranma iniziò a chiedersi chi fosse l'uomo misterioso, ma subito tutti i suoi dubbi furono fugati.

Era diversa, ma l'avrebbe riconosciuta tra mille donne.
Ed era bellissima.
Akane era appena uscita dal Dojo, e stava sorridendo abbracciata ai suoi due amici di sempre mentre il motociclista scattava foto a ripetizione.
I capelli le si erano allungati di almeno 30 centimetri, e le ricadevano morbidi lungo i fianchi, stranamente ricci, benchè la ragazza li avesse sempre avuti lisci come spaghetti. Il suo fisico era qualcosa di indescrivibile: Akane era visibilmente dimagrita, ed il suo stile era quanto di più sexy il giovane Saotome avesse mai visto: indossava dei pantaloni in seta colorata, leggermente stretti sulla caviglia, che le fasciavano i fianchi stretti ed il sedere rotondo, un top bianco con la pancia scoperta che lasciava ben poco all'immaginazione, aprendosi  in una scollatura a cuore sul seno, decisamente più generoso di quanto ricorsasse, e mostrando la pelle abbronzatissima, e dei sandali col tacco alto in pelle color cuoio.
Il giovane aveva sempre paragonato il suo corpo femminile, che con molta poca modestia trovava perfetto, a quello della piccola Akane, decisamente più normale, sebbene armonico ed allenato.
In quel momento, nascosto dietro un albero e vergognandosi come un verme, proprio lungo quella strada che aveva percorso mille e una volte a testa alta, Ranma Saotome si sentì un idiota.
Capì quanto potesse essere stato stupido ed infantile il suo comportamento, ma soprattutto, capì cosa aveva fatto alla povera Akane.
Quella ragazza così bella, che prima del suo arrivo, il codinato lo ricordava molto bene, era insidiata da una quantità indefinibile di uomini ogni mattina, si era vista portare via tutto da lui e dalla sua stupidità.
Lui che era il suo fidanzato, che avrebbe dovuto corteggiarla e dirle ogni giorno quanto fosse bella, non faceva che criticarla, per tutto. L'aveva avvilita nella sua totalità di donna.
Deglutì a fatica, pensando a tutte le volte in cui aveva sorpreso Akane a guardarsi sconsolata le cosce, o a pinzarsi con due dita quel poco di adipe che avvolgeva i suoi fianchi, o fare silenziosi  paragoni mentali tra il sedere di Shampoo ed il suo.
Lui le criticava l'essere un maschiaccio, il non essere sexy, ma la verità era una: era tutta colpa sua.
Se Akane non vestiva o agiva in maniera femminile e provocante era solo per colpa di tutti i complessi che le aveva messo in testa Ranma.

Non sei carina, non hai sex-appeal.

La guardava e sorrideva amaramente di se stesso e della sua poca lungimiranza, ma fu una momento d'ilarità molto breve: si spense appena la sua ex fidanzata buttò le braccia al collo del motociclista e lo baciò appassionatamente.
Ranma si sentì morire dentro: aveva sempre considerato Akane come un qualcosa di suo, egoisticamente, come una proprietà, un suo diritto. Sapeva di averla lasciata sola per due lunghi anni, di averle fatto del male, ma eliminato Ryoga dai possibili pretendenti, era fermamente convinto che l'avrebbe trovata come l'aveva lasciata.
Invece c'era un polipo, dritto di fronte a lui, che se la stava letteralmente mangiando sotto ai suoi occhi, e lui non poteva fare niente perchè non ne aveva alcun diritto, perchè lei non si stava divincolando in difficoltà fremendo per l'arrivo del principe Ranma in sella al suo panda bianco, sperando che l'andasse a salvare, come succedeva ogni volta in cui qualche bizzarro soggetto si metteva in testa di sposarla e la faceva rinchiudere nel suo castello.
Ranma non era più l'eroe della storia, senza macchia e senza paura, lo era qualcun altro, e persino Ryoga sembrava non avere nulla da ridire a riguardo.
Odiò l'uomo di fronte a sè con tutte le sue forze, ne desiderò una morte lenta e dolorosa, possibilmente per mano sua, voleva indietro ciò che gli era sempre appartenuto, pur nel pieno della consapevolezza di non possederlo più.
Quel ragazzo in moto che dispensava sorrisi a profusione e sembrava ben voluto da tutti non poteva saperlo, ma gli aveva rovinato la vita.
E pensare che, ironia della sorte, gliel'aveva anche detto: ''Scusa, amico''.
  
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