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Autore: _Frame_    26/08/2013    2 recensioni
I piccoli difetti che ce li fanno amare diventano delle vere e proprie patologie.
Otto pazienti rinchiusi in un ospedale.
Un ospedale da cui non si potrà più uscire.
Benvenuti alla clinica Welt di Berlino.
Genere: Dark, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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 CAPITOLO 12
 

 
 

Kolokolokolokolokolo...
 

 
Ludwig ha detto di stare molto attenti, di non abbassare mai la guardia, quando entreremo nella cella numero sette. Mentre girava la chiave della serratura, le sue dita tremavano più del solito. Da fuori non sembra, perché Ludwig è sempre fermo e composto, ma sento che è davvero agitato. Non l’ho mai visto così. Ho paura, sento che potrebbe succedere qualcosa di davvero molto brutto.
 
 
Cella #7
Paziente: Ivan Braginski
 
Passo sotto l’architrave di ferro bianco, coprendomi la fronte con il braccio per ripararmi dalla luce. La schiena di Ludwig, però, mi protegge a sufficienza. Non appena varco la soglia della stanza, lui ruota il capo all’indietro, ma il suo sguardo mi scavalca e punta su Gilbert. Lui è l’ultimo ad entrare.
Ludwig aggrotta la fronte.
“Chiudila bene, mi raccomando.” Gli dice con voce profonda.
Gilbert, dopo un sospiro, si appiglia alla chiusura a ruota dell’entrata, e appoggia una spalla contro la porta metallica.
“D’accordo.” Risponde con un’altra sbuffata.
Fa peso su un piede e trascina la pesante anta sul pavimento. Gli ingranaggi cigolano, poi il tonfo, e le serrature che si incastrano di nuovo.
Ora siamo sigillati.
Gilbert scolla le mani dalla chiusura e se le strofina sulla giacca della divisa. “Fatto.”
Ludwig annuisce, socchiudendo le palpebre.
“Bene. Allora...”
Si sfila il Transfert dalla spalla, lasciandolo cadere tra le dita. Impugna le due fasce e i cavi, guardandoli con aria di sfida. Poi, il suo viso si distende, e gli occhi di fuoco si placano.
“A questo penseremo dopo.” Conclude, e il Transfert cade dalla sua mano.
Una delle fasce gli finisce su un piede, e lui la scosta con un movimento lento, ammucchiandola nel gomitolo di cavi che ciondola sulle piastrelle.
Io strabuzzo gli occhi.
“Eh? Ma, Ludwig, non dobbiamo usare....?”
“Che bello, dottore. Ci sono altre persone.”
Una voce mi ricorda di voltare la testa. Ludwig non ha mai scostato lo sguardo da davanti sé, da quando siamo entrati. Io ruoto solamente un occhio, puntandolo verso il centro della stanza. La barriera è abbassata, per fortuna!
Al di là del vetro forato, seduto sul bordo della solita brandina bianca, Ivan ci sorride con le palpebre chiuse davanti agli occhi. Ludwig ci ha detto il cognome, prima, ma è ancora più difficile del suo.
Io tendo il collo, poggiando il peso sul piede allungato davanti a me. Arriccio il naso, inclinando la testa di lato.
“Ludwig, sei sicuro che quello sia Ivan?” Gli chiedo.
La morsa intorno al mio stomaco si scioglie, e mi scappa addirittura un sorriso. “Non sembra pericoloso.”
Anche Ivan continua a sorridere, osservandoci con quell’espressione calma e pacifica dipinta sul volto. Si appoggia le mani sulle gambe, avvolgendole delicatamente intorno alle ginocchia, senza stringere troppo sulla stoffa della divisa. Inclina lievemente la testa di lato, distendendo ancora di più le labbra, ma i capelli non riescono a toccargli la spalla.
Il riverbero delle lampade gli accarezza le ciocche, facendole risplendere di una luce bianca, dai riflessi di platino. La frangia ondeggia, coprendogli un sopracciglio.
“È stata proprio una bella idea, far venire altre persone, dottore. Ci si sente sempre così soli, qui.”
La sua voce morbida, ovattata dal vetro, ti avvolge come una carezza.
Io raddrizzo la schiena e mi giro verso Ludwig. Lui si è scurito in volto, i suoi occhi sono diventati più cupi. Io provo a sorridergli.
“Non sembra che ci sia da avere paura.” Gli dico, ma Ludwig scuote la testa.
“Ricordi cosa vi ho detto prima, Feliciano?” Mi domanda, aggrottando la fronte.
Io ruoto gli occhi al cielo, portandomi un indice tra le labbra.
“Beh, sì. Hai detto che Ivan è pericoloso e che, anche se può sembrare innocuo, non bisogna mai fidarsi. Che...”
“Esatto. Per cui...” Mi interrompe Ludwig.
Abbassa gli occhi, portandosi le mani dietro la schiena. Il suo sguardo si assottiglia, quando cade sul Transfert ammucchiato ai suoi piedi.
“Ora dovete darmi del tempo per pensare a come affrontare la questione. Devo essere sincero, anche durante le normali sedute alzavo raramente la barriera. Non lo trovavo...” Si morde un labbro. “Non lo trovavo sicuro, ecco tutto. Conosco i suoi precedenti, e non me la sento di mettere così a rischio la vostra incolumità per la mia sconsideratezza.”
Ludwig si lascia andare, appoggiandosi al muro con la schiena ricurva e il capo chino.
“Vi chiedo solo di... di farmi pensare a come gestire la situazione.”
Io inarco le sopracciglia e mi avvicino a lui di qualche passo. È davvero strano, vederlo così abbattuto. Tiene le palpebre abbassate sugli occhi, come se si vergognasse di incrociare il suo sguardo con il mio. Una rapida scossa mi trapassa il cuore, un tremito mi serpeggia su per la schiena.
Ludwig è sempre stato quello forte, quello che risolve ogni situazione. Se si lasciasse andare così, noi...
“Ludwig, stai bene? Non ti devi abbattere.”
Piego le labbra in un sorriso, anche se so che non lo riesce a vedere. “Vedrai che troveremo una soluzione e...”
“Cosa? Non vuole aprire la barriera, dottore?” La voce ovattata di Ivan tronca la mia frase prima che io possa finirla.
Mi volto di scatto, e lui mi sta guardando con due profondi occhi violacei, spalancati sotto la frangia. La luce bianca gli sfiora gli iridi, e un cupo riflesso scuro gli trapassa lo sguardo.
Le palpebre tornano ad abbassarsi, e il sorriso riprende ad accarezzargli le labbra.
“Sarebbe un peccato, dottore.” Continua Ivan. “Questa barriera è così fastidiosa. Stare separati non è per nulla bello. Visto che ci sono altre persone, sarebbe di gran lunga meglio stare tutti insieme, non è d’accordo?”
Ludwig inarca le sopracciglia, una goccia di sudore gli lacrima da una tempia. Io ruoto lo sguardo verso la parete, vicino alla porta blindata. Il piccolo pulsante rosso salta subito all’occhio, in mezzo a tutto quel bianco.
Gilbert mi si piazza subito davanti, interrompendo la mia contemplazione.
“Per una volta sono d’accordo.” Dice Gilbert, aggrottando la fronte.
Si mette le mani sui fianchi e inclina il capo verso Ivan. “È inutile perdere tempo in chiacchiere, Ludwig. Alla cella numero sette, poi! Ormai siamo quasi giunti alla fine e abbiamo capito tutti come andranno le cose.”
Ruota il busto verso il centro della stanza, scollando gli occhi scarlatti, taglienti come una lama affilata, da Ludwig. “Adesso tu userai il Transfert, capirai di aver gettato alle ortiche anni e anni di studi. In realtà questo qui si rivelerà essere un povero disgraziato come tutti gli altri. Racconterà una favoletta strappalacrime per convincere tutti, tu lo libererai, lui uscirà, vivrà felice e contento, e fine della storia.”
Gilbert getta il capo all’indietro, squadrando Ludwig con un ghigno sulle labbra. I due si scambiano un’occhiata gelida.
“E poi, magari, mi dirai anche che il suo caso è collegato con quello della numero otto, giusto? Sarebbe davvero il massimo.” Conclude, sollevando un sopracciglio.
Ludwig abbassa le palpebre e arriccia il naso. La sua schiena è sempre incollata alla parete bianca.
“Se proprio insisti, te lo confermo fin da subito.” Ludwig socchiude un occhio, la luce azzurra è tornata a risplendere nei suoi iridi. “Ivan Braginski, cella numero sette, e Natalia Arlovskaya, cella numero otto, sono fratelli.”
Io strabuzzo lo sguardo, e il labbro inferiore mi cade verso il basso. Raddrizzo la schiena, continuando a fissare la figura china di Ludwig.
“Fratelli? Tutti e due qui dentro?” Inarco le sopracciglia in un’espressione triste. “Ma... ma allora dobbiamo...”
“Fratellastri.” Ivan mi interrompe di nuovo.
Io e Gilbert ci voltiamo verso di lui, e anche Ludwig fa scattare il capo, sollevando il mento. Ivan abbassa la fronte, come volesse nascondere gli occhi chiusi sotto la frangia. La sua bocca continua a sorridere, imperterrita, ma le sue labbra vacillano per un istante. Anche la stoffa della divisa sembra tremare.
Ivan alza le spalle, nascondendo il viso dentro al colletto della maglia bianca fino alla punta del naso.
“Natalia è la mia sorellastra. Dovrebbe saperlo, dottore. I nostri cognomi sono diversi, infatti.”
Oh, no! Altri cognomi difficili? Non riuscirei mai a fare il lavoro di Ludwig. No, non ce la farei proprio.
Ludwig abbassa lo sguardo. Si porta due dita su una tempia, iniziando a massaggiarsela con movimenti circolari. Un angolo delle sue labbra si piega verso il basso.
“Sì, di questo sono a conoscenza. In realtà, non è un dettaglio fondamentale, non cambia molto le cose. Avete comunque trascorso l’infanzia insieme, ed è solo questo particolare che...”
“Aspetta, aspetta, ho capito bene?” Esclama d’un tratto Gilbert.
La sua voce acida e graffiante riesce subito a sovrapporsi a quella calma di Ludwig. Gilbert ci sta fissando con gli occhi sgranati, gli iridi scarlatti scintillano come fiammelle. Piega la bocca in un sorrisetto sadico, e un canino gli brilla sotto la luce delle lampade.
“Avete davvero detto sorellastra? Vuoi dire che... che nella numero otto...” Alza un sopracciglio, e punta l’indice contro la porta blindata che lui stesso ha sigillato. “Vuoi dire che nella numero otto c’è una donna?”
Il suo ghigno diventa un vero e proprio sorriso. Anche io sgrano lo sguardo, rimanendo imbambolato davanti a quella scoperta.
“Una ragazza? Qui dentro?” Domando a Ludwig, sbarrando le palpebre
Lui annuisce.
“Esatto. Ma, con Arlovskaya, il discorso che vi ho fatto per Braginski vale ancora di più.” S’inumidisce le labbra, inarcando un sopracciglio. “Anzi, forse con lei la faccenda è ancora più difficile. È quasi impossibile instaurare un dialogo. Francamente, se dovessi scegliere su chi puntare il dito ed etichettare come causa persa, qui dentro, sceglierei proprio lei.”
Gilbert scuote la testa. Attraversa la stanza saltellando come un grillo, e in sole tre falcate è già davanti a Ludwig. Mi dà una spinta sulla spalla, mettendomi in disparte, e china il capo verso quello del fratello.
“Se qui dentro c’è davvero una donna, allora non può essere trascurata, no?” Gli dice, senza smettere di ghignare.
Ludwig inarca un sopracciglio, ma Gilbert si giunge le mani davanti al petto come in segno di preghiera.
“Ti prego, fammi dare un’occhiatina. Ci metto un attimo, giuro. Mentre tu ti scervelli qua, io potrei andare nella numero otto e...”
“Escluso, Gilbert!” Tuona Ludwig, rizzandosi finalmente in piedi.
Allarga le spalle, ingigantendo la sua ombra su Gilbert.
“Non hai sentito cosa ho appena detto?” La voce si è calmata, e Ludwig trae un leggero sospiro. “È pericoloso. Smettila di giocare con le persone, Gilbert. Pensavo ti fosse bastata l’esperienza che hai avuto con Bonnefoy.”
Gilbert strabuzza gli occhi in un’espressione disgustata. Gli angoli delle labbra cadono verso il mento, e l’iride gli inizia a vacillare. Distoglie lo sguardo sconvolto da Ludwig, soffocando dei deboli rantolii in mezzo alla gola.
“Non... non centra niente. Ora...” Dice, grattandosi la nuca con gesti nervosi. “Ora non ha mica detto che voglio utilizzare di nuovo il Transfert. Voglio solo dare un’occhiata, non faccio del male a nessuno.”
La mano si ferma, sommersa dai capelli argentati che ondeggiano sotto il suo tocco. Ruota gli occhi di nuovo verso Ludwig, ma li tiene più bassi. Sembra quasi che puntino i suoi pantaloni. Gilbert assottiglia lo sguardo, mentre Ludwig lo indurisce.
“Pensala come vuoi.” Gli dice Ludwig, inarcando le sopracciglia. “Ma la risposta rimane no.”
Gilbert sospira, quasi sbuffando, e ruota il busto di lato. Si è ingobbito, con la testa nascosta tra le spalle come un mostriciattolo.
“D’accordo, d’accordo, come vuoi.” Gli risponde gracchiando.
I suoi occhi, però, d’un tratto si accendono come tizzoni, e saettano di novo verso Ludwig. Gilbert si getta nella direzione di prima, buttando tutto il peso solo su un piede. Allunga le mani verso il bacino di Ludwig, le dita si contraggono come zampe di ragno. Un angolo delle labbra si solleva quasi fino all’orecchio.
“Mie!”
Ludwig solleva le braccia dai fianchi, e rimane a fissare il fratello con occhi bassi e increduli. La bocca ha ceduto, le labbra rimangono socchiuse e mute. Gilbert si getta su di lui, schiacciandolo contro il muro. La sua testa preme contro il petto di Ludwig.
“Gilbert... ma che stai...?”
“Prese!”
Gilbert si scolla, scattando all’indietro con un balzo felino. La sua mano è alzata verso il soffitto, e lui la guarda con aria trionfale. La luce delle lampade si schianta in mezzo alle sue dita, il mazzo di chiavi metalliche scintilla come un gioiello sotto i raggi del neon.
Gli iridi azzurri di Ludwig si rimpiccioliscono come spilli, sollevati verso il braccio di Gilbert. Un gemito gli si mozza in gola. Non riesce a muovere un muscolo, è ancora ridotto come un insetto spiaccicato contro il muro. Il labbro inferiore si abbassa, e sento la sua lingua schioccare sul palato.
“Tu... pazzo incosciente...” Sibila con voce storpiata dalla rabbia.
Ludwig butta fuori una sbuffata d’aria dalle narici e stringe i denti, guardando Gilbert in cagnesco. “Non fare idiozie, Gilbert! Ridammi le chiavi, o...”
“Rilassati, Lud. Non c’è alcun problema.” Lo tranquillizza Gilbert, facendo roteare il mazzo intorno all’indice.
Gira i tacchi, ed impugna tra le dita la chiave che ha visto usare prima da Ludwig per aprire la cella numero sette.
“Te l’ho già detto. Do un’occhiata veloce e poi torno qui. Non hai nulla da temere.”
Si piazza davanti alla porta blindata, immobile come una statua. Getta il capo all’indietro, squadrandoci con un sorriso beffardo stampato in volto. La luce delle lampade fa brillare la sua pelle lattea.
“Ci vediamo tra poco.”
 
Gilbert lascia la porta socchiusa. Uno spiffero d’aria, quasi impercettibile, s’intrufola nell’apertura. Mi passa vicino all’orecchio, agitandomi il ciuffo sopra la spalla. Ludwig s’irrigidisce come un palo, i suoi occhi tremano, lividi di rabbia. Digrigna i denti, e lo smalto stride sotto la sua morsa furibonda.
“Razza di...!” Soffoca un’imprecazione in gola e si morde un labbro per trattenerla nello stomaco. Il suo viso diventa paonazzo.
Giro lo sguardo verso Ivan, che se n’è rimasto in silenzio tutto il tempo, a guardare la sceneggiata di Gilbert sempre con quel suo sorriso stampato sulle labbra. Quando i nostri occhi s’incontrano, Ivan abbassa le palpebre, coprendosi gli occhi che mi spiavano da sotto la frangia. Mi sorride e i ricambio. Non posso farne a meno, anche se quel suo sorriso è davvero strano.
Ludwig stringe i pugni sui fianchi e strizza le palpebre, tremante di rabbia.
“Spero che lo faccia a fette.” Ringhia tra i denti.
Io mi torno a mettere al suo fianco, e piego la testa in cerca dei suoi occhi furenti. Lui si porta una mano sulla fronte, riprendendo a massaggiarsi le tempie come prima.
“Non dovresti dire queste cose, Ludwig.” Gli dico, sollevando gli angoli della bocca. “Soprattutto quando non le pensi per davvero.”
Ludwig scosta le dita, lasciando aperto uno spiraglio. La luce di un suo occhio mi lancia una fugace scintilla blu.
“Gilbert a volte farà anche delle cose un po’ sceme.” Continuo, inclinando la testa. “Beh, non solo a volte, ma è comunque tuo fratello e sono sicuro che sarebbe triste se sapesse che dici queste cose su di lui. E poi, tu gli vuoi bene, no? Scommetto che saresti triste anche tu se lo facessero davvero a fette.”
Ludwig ruota gli occhi al cielo e la scintilla scompare dietro alla sua mano. Rilassa le spalle, sospirando a fondo con la bocca.
“È vero, il dottor Beilschmidt...” La voce di Ivan mi coglie alla sprovvista, facendomi rimbalzare sul posto dalla sorpresa. Ruoto il busto, osservandolo da sotto le ciocche della frangia che mi cade davanti agli occhi.
Ivan continua a sorridere. “È proprio una brava persona, sei d’accordo?”
In un primo momento, rimango imbambolato. Non mi aspettavo davvero di sentire un’affermazione del genere da lui, e non so cosa rispondergli. Dopotutto, Ludwig è sempre colui che lo sta tenendo chiuso al Welt. Poi, però, allargo il sorriso sotto le guance, e piego le sopracciglia in un’espressione decisa. Ma è ovvio che so come rispondergli!
Stringo i pungi davanti al petto, sollevando il mento piegato a terra.
“Ah, certo che lo è! Ludwig è in assoluto la persona più brava e straordinaria che io abbia incontrato qui a Berlino!”
Ruoto i piedi, facendoli strisciare sul pavimento lucido, e mi volto completamente verso di lui. “Ludwig è un dottore davvero in gamba. È riuscito a liberare un sacco di persone, qui al Welt, e ha anche guarito mio fratello. Dopo andremo via tutti insieme come ci siamo promessi, e tutto solo grazie a lui!” Annuisco deciso, stringendo ancora di più il pungo davanti a me. “Sì, Ludwig è davvero una persona fantastica!”
Ludwig è riemerso da dietro le dita, e mi guarda con un’espressione contorta. Inarca il sopracciglio sopra a un occhio semichiuso, e arriccia la bocca in una smorfia buffa. Io volto il capo, guardandolo come se mi aspettassi di ricevere dei complimenti.
Lui allarga una mano verso la mia spalla. “Ehm, non è il caso che tu gli dica tutte queste cos...”
“E tu gli vuoi bene?” Interviene Ivan con quella sua voce così morbida e calda.
Io sollevo le sopracciglia e guardo prima Ludwig – ha ancora quell’aria distrutta e devastata – poi poso di nuovo gli occhi su Ivan. Gli rivolgo subito un sincero sorriso.
“Beh, Ludwig è il mio più grande amico. Quindi, certo che gli voglio bene, è ovvio!”
Ivan ricambia il sorriso e inclina la testa di lato.
“Bene, è davvero bello avere degli amici. Sai...”
Le sue palpebre si alzano. Rivelano due occhi profondi, velati come da un’aura scura. Gli iridi violacei s’incupiscono, e sul suo viso cala un’ombra grigia, come una maschera.
“Anche io ho sempre desiderato averne.” La sua voce si è arrochita, il caldo tono morbido è stato completamente sepolto da questo nuovo suono. Sembra quasi che sorga direttamente dallo stomaco, tanto è profondo e cupo.
Un brivido mi corre sulla schiena, attanagliandosi alla spina dorsale come se avesse degli artigli pungenti. Quella voce ha sfiorato il mio cuore con un tocco di ghiaccio, lasciandolo congelato in mezzo al petto. Poi, Ivan sorride di nuovo, e tutto torna normale. Il ghiaccio si scioglie.
“E lei, dottore?” Domanda a Ludwig, abbassando le palpebre.
Ludwig scatta, sgranando gli occhi. Evidentemente, anche lui è rimasto colpito da quel mutamento, ma sembra ancora più scosso di me. Ludwig solleva un braccio e se lo passa sulla fronte, visibilmente imperlata di sudore. Il suo respiro si è appesantito.
Ivan inclina la testa di lato. “Anche lei gli vuole bene?”
Ludwig strabuzza le palpebre e le labbra gli si contorcono in mille forme diverse. Prova a muoverle un paio di volte, ma non dice nulla. Ludwig ruota il capo verso di me con un gesto meccanico, arrugginito. Aggrotta la fronte e solleva le guance che gli sono diventate tutte rosse.
“Beh, ecco... insomma... io...” Il suo balbettare mi fa ridere.
Mi porto il dorso della mano davanti alla bocca, per trattenere gli sghignazzamenti, ma s’interrompono subito.
Un rumore improvviso raggela l’aria della stanza, e sia io che Ludwig torniamo immediatamente seri. Nel corridoio si sente un forte rimbombare, come se qualcuno stesse ruzzolando sul pavimento. Io e Ludwig ci giriamo verso l’entrata e rimaniamo a fissarla. Il mio sguardo vacilla, sto iniziando a spaventarmi, mentre quello di Ludwig è fermo e freddo come una pietra.
La porta blindata di spalanca di colpo. Sbatte contro il muro, portandosi dietro Gilbert, appeso come un panno sporco sull’apertura. Il suo corpo è tutto un tremito, il suo busto si alza e si riabbassa con scatti violenti. Gilbert si lascia scivolare sull’altro lato della porta e getta tutto il peso sulla sua superficie con una sola spinta della schiena.
La porta blindata si richiude sbattendo, e il colpo che dà la serratura mi fa saltare sul posto. Gilbert si accascia a terra, sedendosi con le gambe divaricate davanti a lui e le braccia abbandonate sui fianchi. Continua a buttar giù grosse boccate d’aria, quasi strozzandosi, deformando il viso già stropicciato dallo spavento. Le dita tremanti si schiudono, lasciando cadere per terra il mazzo di chiavi di Ludwig. Tintinna, quando raggiunge le piastrelle.
Gilbert ruota gli occhi allucinati verso di noi, e Ludwig si sporge in avanti.
“Ehi, Gilbert, che è successo?”
Gilbert continua ad annaspare e non risponde. Dalla sua fronte sta gocciolando una cascata di sudore gelido.
Ludwig gli corre incontro e si accovaccia al suo fianco. Aggrotta la fronte, scurendosi in volto. Immagino che sia ancora arrabbiato.
“Stai bene? Ti ha forse ferito in qualche maniera?” Gli domanda, ma Gilbert scuote la testa.
I capelli gli ondeggiano sulla fronte, incollandosi sulla pelle.
“No... anf... non mi... anf... non mi ha fatto niente... ma...” Si passa una mano sul viso, distendendosi la pelle in tutte le direzioni.
Quando solleva le dita, la faccia gli è diventata tutta rossa.
“Ma preferisco che stia là dov’è. Quella è matta, Ludwig.” Continua, martellandosi un dito sulla tempia. “Non so davvero come tu faccia a trattare con una così.”
“Hai chiuso bene la porta?” Gli domanda Ludwig, ingrossando la voce.
Gilbert rilassa le spalle, e le palpebre si socchiudono davanti agli occhi.
“Certo che l’ho fatto! Avevo anche abbassato la barriera, ma...”
“Hai abbassato la barriera?!”
Ludwig si sporge in avanti e gli afferra un lembo della divisa con uno scatto di rabbia. “Come hai potuto compiere un’incoscienza simile? Hai una minima idea di quello...?”
“Ehi, ehi, calmo. Ti ho detto che l’ho chiusa.” Si difende Gilbert, scollandosi le sue mani di dosso.
Ludwig arretra, e lascia andare i vestiti di Gilbert. Le dita scivolano dalla stoffa lentamente, quasi accarezzandola. Ludwig abbassa lo sguardo, chinando la fronte verso il pavimento.
“Me lo auguro per te.” Gli dice con aria sconsolata.              
Gilbert sbuffa, traendo un sospiro di sollievo, e i suoi occhi ruotano immediatamente verso il centro della cella, ancora tagliato in due dal vetro forato.
“Ma, come?” Dice, inarcando un sopracciglio. “Non avete ancora combinato niente? Si può sapere cosa avete fatto in tutto questo tempo?”
Ivan gli sorride, rilassando le palpebre davanti agli occhi.
“Oh, stavamo solo parlando del dottor Beilschmidt.” Gli risponde.
Io annuisco e torno a portare il pugno chiuso davanti al petto.
“Sì, è vero! Stavamo dicendo che, oltre ad essere un bravo medico, è anche una persona fantastica!”
Gilbert gira lo sguardo verso di me con aria svogliata.
“Tu che sei suo fratello...” Continuo, guardandolo finalmente negli occhi. “Dovresti saperlo più di noi. Giusto, Gilbert?”
Gilbert mi risponde con un’alzata di spalle. Un angolo della sua bocca si piega leggermente verso l’alto e il suo ghigno ricompare.
“Beh, mai quanto me.” Risponde, posandosi una mano sul petto.
Ludwig scuote la testa e si dà una spinta per alzarsi più facilmente. Abbassa lo sguardo, dandosi una ripulita alla divisa, e rimane in silenzio. Ivan scuote la testa e la frangia gli ondeggia sopra la fronte.
“Mhm. No, tu non mi piaci proprio, invece.” Dice a Gilbert, sorridendo.
Gilbert gli lancia un’occhiata di fuoco, e il suo ghigno di autocompiacimento si piega in una smorfia di rabbia. Anche lui imita Ludwig, ma si alza con uno scatto ancora più fulmineo. Si cinge le mani ai fianchi e allunga il collo verso Ivan.
Gilbert inarca le sopracciglia. “Ah, povero illuso, non sai quello...”
“Non hai l’aria molto intelligente.” Continua Ivan, distendendo le labbra. “Tu sei uno di quelli che fanno le cose senza pensare, vero? Sì, le persone come te sono in assoluto quelle più sceme e sconsiderate.”
Ivan socchiude gli occhi, sprigionando di nuovo quella strana ombra che gli galleggia sotto la fronte, incupendogli il volto. Le labbra si abbassano, appiattendosi.
“Non dovresti comportarti così. Non è un atteggiamento conveniente, lo sai?”
Gilbert ci rimane di sasso. Il suo sguardo si pietrifica, come se si fosse congelato.
Io arretro di un passo, cercando Ludwig con gli occhi. Anche lui si è scurito in volto, i lineamenti del suo viso si sono irrigiditi d’un colpo.
Gilbert, ad un tratto, scuote la testa come se si fosse risvegliato da un sonno profondo. Solleva un braccio, indirizzando l’indice verso Ivan. Sembra quasi che la punta del dito tremi ancora.
“Wahahahah, sai cosa m’importa di quello che pensi tu?” Gli domanda, ma penso che sia... Com’è che si dice? Ah, sì, retorico!
Gilbert abbassa un sopracciglio, ghignando come un animale. “Tu vali meno delle mie scarpe, qui dentro. Lo sai? Non hai nemmeno il diritto di aprire bocca su di me.”
Ivan non reagisce. Si limita ad assottigliare lo sguardo, e a piegare all’insù gli angoli della bocca. Il suo sorriso, questa volta, mi fa accapponare la pelle.
Gilbert stringe i pugni sui fianchi, e getta la testa verso Ludwig.
“Allora, questo ti basta per capire la situazione?” Gli chiede, aggrottando le sopracciglia. “Devi usare il Transfert, oppure no? Guarda che non sei costretto a lasciarlo libero.”
Ruota gli occhi di nuovo su Ivan, e alza il naso al cielo. “I matti, quelli veri, vanno tenuti in gabbia.”
Ludwig scuote la testa, e muove qualche passo verso di me. Socchiude le palpebre davanti agli occhi, e le pupille si abbassano verso i miei piedi. Anche io punto lo sguardo sul pavimento.
Scosto un piede, e rischio quasi di inciampare tra i cavi raggomitolati del Transfert. Faccio un balzo all’indietro, stando attento a non calpestare nulla.
“Ora non prenderla sul personale, Gilbert.” Gli risponde Ludwig, portandosi due dita su una tempia.
“Comunque...” Continua, sempre con aria pensosa. “Voglio provarci lo stesso, anche se il rischio è più alto del solito.”
Ivan rilassa il viso, risucchiando di nuovo dentro alla pelle quell’aura cupa e grigia che gli aleggia sul volto. Le sopracciglia si sollevano, e le palpebre sbattono un paio di volte sugli occhi che brillano di una luce violacea. Puri, senza alcuna macchia d’ombra.
“Provare cosa, dottore?” Domanda a Ludwig. La sua voce è tornata morbida come una carezza.   
Ludwig alza lo sguardo e lascia scivolare a mano sul suo fianco. Aggrotta la fronte, e le sue dita si allungano verso il pavimento.
“Ah, giusto. Dimenticavo che con te non ne ho ancora parlato.”
Si schiarisce la voce, spostando i piedi che coprono le due fasce giacenti al suolo, come per mostrargliele meglio.
“Vedi, la mia intenzione è quella di usare questo nuovo strumento sperimentale per capire più a fondo i meccanismi della tua psiche. È un metodo che ha funzionato con tutti gli altri pazienti, anche se non è del tutto professionale. Con questo...” Ludwig aggrotta la fronte, e le sopracciglia si inarcano sopra i suoi occhi. “Con questo sarò in grado di capire cosa provi, e cos’hai provato nelle esperienze passate che poi ti hanno condotto qui dentro.”
Ivan ruota gli occhi al soffitto, la luce delle lampade gli fa scintillare l’iride sotto l’ombra dei capelli.
“Mhm. Quindi, lei capirà appieno il mio stato d’animo attuale e quello passato, dottore?”
Ludwig annuisce. “Se tu me lo permetterai.”
Ivan rimane con lo sguardo puntato al soffitto, come se ci stesse pensando su. Di nuovo quella strana luce buia gli attraversa gli occhi, ma solo per un secondo. Nemmeno Ludwig, infatti, sembra accorgersene. Ivan abbassa le palpebre, e torna a sorridere come prima.
“Sembra interessante.” Risponde, piegando la testa di lato.
Ludwig abbandona nuovamente la fronte verso il pavimento, ma rimane immobile. Guarda il Transfert come se ora avesse paura d’indossarlo, e gli iridi azzurri rimpiccioliscono. Stringe i pugni sui fianchi, inumidendosi le labbra.
“D’accordo, allora. Se...”
“Oh, dunque alziamo la barriera? Finalmente!” Esclama Gilbert.
Io rimbalzo sul posto, scattando dalla sorpresa. Io e Ludwig ci voltiamo verso Gilbert e lui ci osserva con aria impaziente. La bocca è piegata in un ghigno che gli arriva quasi alle orecchie. Gli occhi tremano, fremendo dall’emozione.
“Non temere, ci penso io.” Dice, voltandosi con una veloce piroetta.
Ludwig allunga una mano verso di lui, ma riesce a compiere solo un passo. È come se avesse le gambe fossilizzate al suolo.
“Gilbert, aspetta!” Esclama, ma Gilbert è già arrivato alla parete.
Solleva il coperchio trasparente, e spinge tutto il peso sul pugno che si schianta contro il pulsante rosso.
Io e Ludwig ci irrigidiamo. Il rumore degli ingranaggi ci solletica l’orecchio. Una goccia di sudore mi rotola fin sotto il mento, cadendo sulla stoffa della divisa. Io ruoto una pupilla verso il centro della cella. Il mio occhio trema, come tutto il mio corpo.
Ivan si è alzato in piedi e alza il naso al cielo. Il suo sguardo è fisso sulla barriera che si sta lentamente ritirando dentro al muro.
Butto giù un grosso boccone di saliva che quasi mi si blocca nella gola, secca com’è. Ho paura, ma non so perché.
 
La barriera s’incastra, il tonfo degli ingranaggi che si fermano rimbomba tra le pareti, sopprimendo anche l’ultimo agghiacciante cigolio.
Gilbert rilassa le spalle e lascia scivolare la mano dalla parete. Il pugno striscia sul muro e, quando si stacca, le dita si rilassano cadendo al suo fianco. Gilbert abbassa una palpebra.
“Ecco.” Dice, con un sorriso di autocompiacimento. “Non ci voleva poi così tanto, no?”
Io non riesco ancora a muovermi. Ludwig compie qualche passo lento, meccanico, che tonfa sul pavimento rompendo il silenzio glaciale. Si mette davanti a me, e la sua ombra si ingrandisce sul mio petto. Provo ad allungare il naso verso l’alto, ma la sua spalla mi ostruisce la vista. Sento solo la voce di Gilbert che continua a gracchiare come una cornacchia.
“E tu che avevi tanta paura. Di cosa, poi, non ne ho proprio idea. Fidati, in un batter d’occhio potremo finalmente...”
“Gilbert, attento!”
La voce di Ludwig tuona più di un fulmine a ciel sereno.
La sua schiena viene attraversata da un forte tremito e lui si sporge in avanti, come per lanciarsi su qualcosa. Fa cadere tutto il peso solo su un piede, e lì rimane. Le sue spalle si inarcano in avanti, abbassandosi. Ora posso vedere cosa sta succedendo nel mezzo della cella numero sette.
Traggo una profonda boccata d’aria, e il boccone mi rimane incastrato nel mezzo della gola. Il mio intero corpo si paralizza, il sangue nelle vene si ghiaccia, raggelandomi il cuore che ha smesso di battere. I capelli mi si infradiciano di sudore e le ciocche rimangono appiccicate sulla fronte.
L’urlo di Gilbert mi fa arrivare una vampata di caldo improvviso che mi investe come una fiammata rovente. La vista si offusca, ma riesco ancora a vedere il corpo di Gilbert avvolto tra le braccia di Ivan.
Ivan stringe la morsa attorno al busto di Gilbert, avvicinandosi la sua schiena al petto. Le palpebre distese davanti agli occhi, il sorriso dipinto sul volto.
“Mollami! Mollami, bastardo! Tieni le tue manacce lantane dal sottoscritto!”
Gilbert si dimena come un topo in gabbia, cercando di sfilarsi da quella presa. Ha le mani bloccate ai fianchi e riesce a muovere solo le dita. Un braccio di Ivan gli preme sul bacino, avvolgendogli entrambi i gomiti, l’altro è avvinghiato attorno alla sua gola. Gli tiene il mento sollevato verso l’alto e Gilbert riesce a guardare in basso solo con la coda dell’occhio.
Io scatto in avanti, e mi appiglio alla manica del camice di Ludwig.
“Ludwig, fermalo!” Esclamo, quasi con le lacrime agli occhi.
Gilbert non sarà gentile e in gamba come Ludwig, ma nemmeno lui si merita questo!
Gilbert stringe i denti, e soffoca un lamento che gli muore in gola. Le due scintille scarlatte, che brillano tra le palpebre strizzate, ci fulminano.
“Fate qualcosa! Mi vuole ammazzare!” Geme.
Ludwig stringe i pugni sui fianchi e la sua schiena si gonfia. Inarca le spalle e pesta un passo pesante davanti a lui.
Ivan socchiude un occhio, ma la sua espressione serena rimane immutata.
“Io non lo farei, se fossi in lei.” Gli dice con voce mielata.
Ludwig si arresta subito, bloccandosi come una statua. Gilbert sgrana gli occhi lucidi e vacillanti.
“Ma... ma che cazzo stai facendo?” Gli urla, dilaniando la bocca. “Muoviti a liberarmi, Ludwig! Cosa credi che ti faccia? Non è nemmeno armato!”
Ludwig raddrizza la schiena e la sua ombra scura torna a calare su di me. Alza un palmo al cielo e scuote la testa con un movimento rigido.
“È pericoloso in ogni caso, Gilbert. Ora non ti devi agitare. Resta calmo e fai quello che ti dico. Potrebbe comunque essere in grado di spezzarti il collo e...”   
Cosa?! Non dire stronzate! Non voglio ritrovarmi con la testa staccata!”
Gilbert strizza le palpebre e alza ancora di più la fronte al cielo. La sua pelle risplende, investita dalla luce delle lampade.
“Fa’ qualcosa!” Urla. “Saltagli addosso, sparagli, o...”
Gilbert sgrana gli occhi. Il riverbero bianco gli fa tremare gli iridi che brillano come braci incandescenti. Rimane con la bocca mezza spalancata, ma non saprei dire per quanto tempo. Io sono paralizzato dalla paura, protetto dalla schiena di Ludwig. I secondi sembrano interminabili.
D’un tratto, però, Gilbert chiude le labbra e la sua lingua schiocca sul palato.
“Sparare.” Sibila. Quell’unica parola gli serpeggia giù dalla bocca come un sospiro.
I suoi occhi si abbassano, cadendo proprio sotto il braccio di Ivan che gli sta ancora stringendo il bacino.
“La pistola.”
Lui e Ludwig scattano. Gilbert inizia a dimenare il braccio per provare a scollarsi dalla morsa di Ivan e recuperare la pistola. Ludwig balza in avanti come un grillo, allungando le dita verso la cintura del fratello.
Ivan socchiude le palpebre, e anche i suoi occhi si abbassano.
“Oh, hai davvero una pistola?” Dice con tono morbido.
Scioglie lentamente la presa dal busto di Gilbert e la sua mano scorre sul suo fianco come se lo stesse accarezzando. Gilbert si paralizza, strozzando un gemito tra i denti serrati. Ivan stringe la presa attorno al collo de suo prigioniero e, quando la sua mano cade sulla custodia in pelle bianca della pistola, il suo sorriso si allarga.
“Eh, sì. Eccola qua.”
Le sue dita si infilano sotto la chiusura come serpi. Il tappo scatta e la linguetta si alza. La luce si schianta sul metallo della pistola, e quel scintillio quasi mi abbaglia.
Ludwig interrompe di colpo il suo scatto fulmineo, puntando i piedi a terra. Il pavimento cigola sotto le sue suole.
Ivan impugna la parte sporgente dell’arma. Lascia scorrere l’indice all’interno del grilletto, e il pollice scivola con naturalezza sopra la sicura. Solleva il gomito, sfilandola dalla custodia, e la tuffa sotto i raggi delle lampade al neon.
“Presa!” Esclama tutto contento. Il sorriso gli si ingrossa sulle guance e le sue palpebre si assottigliano.
Gilbert si lascia scappare un urlo acuto che quasi mi spacca i timpani. Smette di agitarsi e si fa semplicemente cadere verso il basso. Ormai la presa di Ivan ha ceduto quasi completamente, è troppo concentrato sulla pistola.
Gilbert sguscia via dalle sue braccia e si accascia al pavimento come uno straccio bagnato. Il suo collo si inarca all’indietro, gli occhi non riescono a staccarsi dall’arma. Si appoggia con tutto il peso sulle mani aperte sulle piastrelle, dietro la sua schiena, e le sue gambe iniziano a spingerlo all’indietro. Arretra come un gambero impaurito, finendo con le spalle al muro in pochi istanti.
Anche Ludwig alza il capo, e rimane abbagliato dalla luce metallica che si irradia dalla pistola. Muove le gambe all’indietro, piombando di fronte a me. La sua schiena mi protegge.
Allunga un braccio vicino al mio fianco, e mi spinge ancora di più dietro alle sue spalle. Io tremo come una foglia e riesco solo a nascondermi il viso tra le mani gelide che affondo tra i capelli. Le dita di Ludwig rimangono appoggiate sul mio busto. Si sfregano sulla stoffa della mia divisa, a causa dei miei spasmi continui.
Mi viene da piangere. Ludwig mi sta proteggendo mettendo a repentaglio la sua stessa vita e io non so fare altro che frignare dietro di lui.
“Non ti muovere.” Mi sussurra. La sua voce è ferma, non sembra per niente agitata.
Io socchiudo un occhio, gonfio e lucido, e lo sollevo sopra di me. Non riesco a vedere Ludwig in volto, è girato dalla parte di Ivan, ma mi basta guardare le sue spalle dritte, solide come una quercia, per capire che non sarò mai forte quanto lui.
Deglutisco un boccone amaro e annuisco.
“Va... va bene.” Singhiozzo.
La voce di Ivan, però, mi costringe a disubbidire.
“Mhm. Direi che non è il caso che tu te ne stia lì dietro.” Dice.
Non riesco a vedergli il viso, ma credo che stia sorridendo. È lo stesso tono che usa quando ha il sorriso stampato sulle labbra.
Ludwig arretra di un passo, portando la sua mano ancor più vicina al mio busto. Affondo completamente con il viso dentro al camice, immergendo il naso tra le sue scapole.
“Non farlo, Feliciano. Resta dietro di me.”
“Le ho detto che non è il caso, dottore.”
Io strizzo gli occhi, strofinando la fronte sulla schiena di Ludwig. Quando parla, sento la sua cassa toracica vibrare.
“Mi creda, dottore...” Continua Ivan con quel suo tono tenero e dolce. “Lo faccia uscire di lì. Altrimenti sarò costretto a sparare.”
Una scossa mi fa fermare il cuore dentro al petto. Sento la mano di Ludwig stringere la presa attorno a me.
“D’accordo.” Gli dice. “Provaci.”
Il groppo in gola si scioglie. “No, Ludwig!” Esclamo.
Tutto ma non questo. Tutto ma non questo, ti prego.
Mi scollo dalla sua schiena e scivolo delicatamente via dalla sua presa. La sua mano scorre, cadendo di nuovo al mio fianco. Mi lascio travolgere dai raggi della lampada, mettendomi vicino a Ludwig, a capo chino. Un altro tremito mi corre sulla spina dorsale, e le mie spalle si arricciano, piegandomi verso il basso. Ruoto gli occhi verso il centro della cella, e il sangue mi si ghiaccia nelle vene.
Ivan sorride. Le palpebre sono chiuse davanti ai suoi occhi.
“Così va meglio.” Dice.
Fa scorrere il pollice sul dorso della pistola, appoggiandolo sulla sicura. Il mirino si solleva verso di me, il foro della canna mi guarda come una bocca scura e profonda. Un vortice pronto a risucchiarmi. Il pollice di Ivan scivola verso il basso e la sicura scatta.
“Vedete, è molto meglio senza quella barriera fastidiosa. Ora possiamo stare tutti insieme.”
Mi lascio scappare un gemito. Chino la testa, avvolgendomi il capo tra le dita tremolanti e sudate. Il silenzio cala.
 
Anche se gli occhi di Ivan sono coperti dalle palpebre, sento comunque tutto il loro peso spingere sulle mie spalle. Rimango piegato verso il pavimento, con la testa spremuta tra le mani. Provo a socchiudere un occhio, quello sinistro, ma la vista vacilla.
Anche Gilbert sta tremando, raggomitolato sulla parete come un cucciolo spaurito. Ludwig respira a fatica. Gli occhi allucinati, attraversati da una scossa di paura, non si scollano da Ivan. E dalla pistola.
“Allora, dottore...” Inizia Ivan, distendendo il sorriso pacifico sulla labbra. “Questo esperimento avrebbe dovuto metterla nei miei panni, giusto? Avrebbe dovuto farle capire come ci si sente a vivere nella mia testa?”
Ludwig socchiude le labbra e lascia passare un filo d’aria dentro alla bocca. Si inumidisce la lingua, poi annuisce.
“Esatto. Detto in parole povere, è proprio così.”
“Mhm, capisco.”
Ivan piega la testa di lato e le sue guance si sollevano.
“Mi dica, dottore, lei sa che cosa sia la sofferenza?”
Ludwig sgrana gli occhi e il fiato appena riacquistato gli muore in gola. Butta fuori una boccata d’aria dalle narici e abbassa le palpebre.
“È ovvio, Braginski. Ogni essere umano ha sperimentato la sofferenza almeno una volta nella vita. È un sentimento naturale, che sorge spontaneo nelle nostre menti. Io non sono da meno. Anche io, come tutti, ho sofferto in certe occasioni della mia esistenza.”
“Mhm. Beh, allora è molto strano, dottore.”
Ivan piega leggermente il gomito verso il petto, il mirino della pistola si abbassa di una manciata di centimetri.
“In tutti questi anni in cui sono rimasto chiuso qui al Welt, lei ha sempre avuto la stessa faccia. Sì, ogni giorno in cui io e lei ci incontravamo la sua espressione non mutava.”
Le palpebre di Ivan si sollevano lievemente. Una scintilla violacea si irradia dai suoi occhi. “Sempre quell’aria seria e grigia. Non ha mia dato segno di provare qualche tipo di emozione, davanti a me. Mai. Nonostante io l’abbia vista ogni singolo giorno, durante questi ultimi anni.”
Ivan raddrizza il capo sul collo, le sue sopracciglia si abbassano, distendendo la fronte sotto l’ombra dei capelli.
“No. Secondo me lei non sa cosa sia la sofferenza, dottore.” Conclude, appiattendo le labbra.
Ludwig s’irrigidisce, il suo corpo viene scosso da un leggero tremito. Aggrotta la fronte, contorcendo la bocca in un ghigno di rabbia.
“Se dici questo, Braginski.” Dice, ma la sua voce è ferma e decisa. Non sembra arrabbiata. “Allora dovresti provare a spiegarmi tu, cosa sia la sofferenza.”
Ivan alza gli occhi al cielo. Il suo viso torna dolce e pacifico. I lineamenti si rilassano e lui inizia a fissare il soffitto con aria pensosa.
“Mhm. Cosa ne penso? Beh, direi che sofferto anche io nella mia vita e, ovviamente, qui al Welt dove sono costretto a starmene chiuso, senza vedere o parlare con qualcuno. Però, di una cosa sono certo.”
Torna ad abbassare la fronte. Le palpebre si richiudono davanti alle gemme viola incastonate sul viso, e le labbra si inarcano, piegando gli angoli della bocca verso l’alto.
“È decisamente molto meglio vedere la sofferenza dipinta sul volto di qualcun altro, che provarla direttamente sulla propria pelle.” Lo dice quasi ridendo. Con un tono così ingenuo che pare uscito dalla bocca di un bambino.
Sento una piccola fiammella ardermi nel petto. Raccolgo tutto il coraggio che ho in corpo e scuoto la testa, ancor prima che Ludwig abbia tempo di reagire.
“Questo... questo non è giusto.” Dico con voce tremante.
Tutti si voltano a guardarmi, persino Gilbert, che è ancora ammutolito con le spalle al muro.
Io sgrano gli occhi lucidi, velati dalle lacrime che ancora non scorrono, e incrocio lo sguardo con quello di Ivan che ha socchiuso un occhio.
“Tutti quanti soffriamo, è vero. So anch’io cosa significa e so anche che è una sensazione bruttissima.” Arriccio il naso e aggrotto le sopracciglia, sperando di riuscire a trattenere il pianto.
“Ma è sbagliato augurare agli altri il dolore che ci tocca. Le persone sono fatte per aiutarsi a vicenda, in quei momenti, non per soffrire al nostro posto.” Scuoto la testa e i capelli ondeggiano. “No, è sbagliato. Sarebbe solo un’ingiustizia.”
Ivan ruota di nuovo gli occhi al cielo, rapito dalla luce della lampada bianca.
“Mhm, ingiustizia?” Dice, arricciando le labbra. “In realtà, credo che nessuno mi abbia mai spiegato cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.”
Abbassa lo sguardo su di me e mi sorride. “Così io faccio solo ciò che mi fa sentire bene e non mi fa soffrire. È questa l’unica cosa giusta da fare, non credi? Per cui, se io dico che è meglio che voi restiate qui dentro, lo faccio perché desidero che voi rimaniate. Non è perché io voglio realmente farvi del male, siete voi che mi costringete a farvene.”
Sento un tonfo al cuore,e  gli occhi si girano involontariamente verso la porta blindata. Fuori c’è il corridoio, e ancora più fuori del corridoio...
Scuoto la testa.
“No, dobbiamo uscire. Non capisci, fuori... fuori c’è qualcuno che ci sta aspettando!” Esclamo, supplicandolo con occhi vacillanti.
Ludwig stringe i pugni e aggrotta le sopracciglia sotto la fronte.
“Non ti preoccupare, Feliciano.” Mi dice, puntando gli occhi verso Ivan. “Usciremo di qui. Non ricordi? Te l’ho promesso.”
Ivan socchiude un occhio, e il nero torna a galleggiare intorno a lui come una polvere scura e pesante. Alza di nuovo la pistola, come se si fosse ricordato solo ora di averla in mano. Ma la punta contro Ludwig.
“Sì, oggi lei è davvero strano, dottore.” Gli dice, ma la sua voce è mutata.
Di nuovo quel suono cupo e profondo, come se provenisse dalle viscere del suo corpo.
“Come mai oggi il suo sguardo è diverso? Non era mai capitato, ma mi piaceva vederla così spento e triste.”
Ludwig deglutisce un boccone di saliva, una goccia di sudore gli scivola giù per il collo, entrandogli nel camice. Ivan fa scivolare l’indice sopra il grilletto, il pollice si sposta dalla sicura fino alla guancetta.
“Ha detto di voler provare cosa si sente stando dentro alla mia testa, vero? In questo caso, dovrebbe soffrire, dottore.”
Ludwig arretra di un passo. Fissa la pistola come se fosse un cane feroce intento a divorarlo.
“Aspetta, non...”
Il mio cuore si ferma, tutto il mio corpo si congela. Non riesco a muovere una singola unghia.         
Non può sparargli. Non voglio. Mi ha sempre protetto, e io ora non posso fare niente. Niente. Vorrei buttarmi davanti a lui ma le gambe non si muovono.
Muovetevi, gambe. Vi prego, muovetevi!
“No, Ludwig!”
Il mio urlo squarcia il silenzio, ma viene assorbito subito. Il rimbombo dello sparo rimbalza tra le pareti, risucchiando le mie parole come inglobandole dentro ad una bolla.
La canna della pistola getta una sbuffata di fumo grigio. Ma, il mirino è puntato su di me.
 
 
Perché non sento dolore? Mi ha appena sparato, ora dovrei ritrovarmi per terra a rantolare come un animale in una pozza di sangue.
E se fossi già morto?
Una goccia di sudore gelido, quasi sfrigolante sopra la mia pelle rovente, mi scivola sopra una palpebra strizzata. Il liquido salmastro si incastra tra le ciglia, raccogliendosi dentro all’occhiaia infossata.
La lingua secca, incastonata tra i denti stretti, è incollata al palato, incapace di muoversi. Solo quando provo a socchiudere le labbra mi ricordo di avere anche un naso.
L’aria che mi penetra nelle narici è l’unico suono in tutta la stanza, sommersa in un silenzio disarmante. Quando l’ossigeno mi gonfia i polmoni, la mia schiena scrocchia, costringendomi a raddrizzare le spalle. Rilasso le dita delle mani e le unghie fuoriescono dalla carne, insudiciate di sangue tiepido. Ora i palmi mi bruciano, soprattutto quando il sudore scivola sopra i graffi.
Allora sono vivo!
Chiamo a raccolta l’ultima briciola di coraggio che è avanzato in un polveroso angolino del mio cuore, e socchiudo le palpebre arrugginite e innaffiate dai liquami che continuano a spurgare dalla mia fronte. La mia faccia brucia così tanto che sembra stia andando a fuoco.
Solo un raggio di luce mi trafigge l’occhio, e non è nemmeno tanto forte. Forse, è perché, prima di colpire il mio viso, striscia direttamente sulla spalla di Ludwig. L’ombra scura della sua schiena mi copre fino alla punta dei capelli.
Un pugno di ghiaccio mi colpisce in pieno lo stomaco. Un boccone di bile mi risale la gola e io la ricaccio giù ustionandomi il petto. Il conato di vomito si torna a sciogliere, divorandomi le interiora come se avessi ingoiato mille aghi roventi.
Sollevo le sopracciglia sopra gli occhi sgranati, persi e vacillanti nel vuoto.
…No…
La testa di Ludwig si piega in mezzo alle spalle, la sua schiena si inarca verso la pancia. Ludwig si raggomitola come un riccio, abbassando le braccia rigide e contratte sul suo busto. Fino ad un secondo fa erano spalancate ai suoi fianchi.
La luce torna ad abbagliarmi, colpendomi prima con il riflesso dorato dei capelli di Ludwig che si china lentamente davanti a me. Il riverbero mi schiaffeggia gli occhi, e io ritorno alla realtà.
Socchiudo lentamente le labbra, secche e asciutte, e la figura di Ivan torna a materializzarsi al centro della stanza.
“…Ludwig...” Solo un sibilo. Non esce nient’altro dalla mia bocca.
Ludwig, con uno sforzo disumano, tenta di tenersi in equilibrio. Barcolla un paio di volte, poggiando il peso sui piedi che traballano al suolo. Poi, le sue spalle si ammosciano e lui si accascia su di me. Il suo corpo che mi piomba sulla pancia mi mozza il fiato, il peso della sua schiena mi schiaccia contro il muro. Le mie braccia si allungano intorno ai suoi fianchi, ma rimangono pietrificate a mezz’aria.
I miei occhi continuano a fissare il vuoto. Le orbite si gonfiano di lacrime pungenti, le palpebre iniziano a cedere sotto tutto quel peso. Le pupille sono sommerse, innaffiate dal sale, e la vista mi si appanna.
Non ce la faccio più.
I polmoni si gonfiano e quasi esplodono con tutta quell’aria che risucchio dalle narici. Finalmente la bocca si spalanca, le lingua si stacca dal palato portandosi dietro un filo di saliva.
Ludwig!
Gli occhi mi esplodono, spargendo fiumi di lacrime che rotolano fin dentro le labbra.
Ludwig non si muove.

 

   
 
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