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Autore: BlackPearl    26/08/2013    24 recensioni
Come definire Elettra? Apparentemente cinica, piuttosto indisponente, amante del 'vivi, lascia vivere e non rompere le scatole'.
In termini matematici, Elettra sta alla gente come i gatti stanno all'acqua.
Elettra conosce Christian.
Come definire Christian? Affascinante, provocatorio, autentico.
Prendete Elettra, prendete Christian, e metteteli in una camera d'albergo, costretti a una notte di convivenza forzata.
Io, fossi in voi, mi metterei comoda. Perché questo, signori miei, è solo l'inizio.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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«Su, pigrona, alzati, che oggi abbiamo ospiti!»

Scollo una palpebra e muovo la pupilla fino a inquadrare la figura di Anne che sta aprendo le tende. Vuole uccidermi? Io sono invalida!

«Ospiti? Che ospiti?» Apro anche l’altro occhio e mi metto a sedere. La schiena scricchiola facendomi storcere il naso. Ho la stessa mobilità di Tutankhamon, a forza di stare sempre a letto. Menomale che domani si torna al lavoro!

Ugh.

Lavoro.

Christian.

Magari rimando ancora… non è che mi senta poi così bene…

A me pareva ti sentissi una favola ieri mattina quando ti sei svegliata col suo petto a un palmo dal naso.

«Anne? Mi rispondi?» Mia cugina mi ignora alla grande e si dilegua con un sorriso e la scusa di dover passare l’aspirapolvere.

Perché ho una bruttissima sensazione a proposito degli ospiti che ha invitato la mia cara consanguinea? Il mio sesto senso è quasi sempre infallibile, sapete.

Sì, come quando hai pensato che Christian stesse dietro a Margot.

Perché, non può essere vero?

Certo, infatti è rimasto tutta la notte abbracciato a Margot a tenerle compagnia mentre sua cugina tornava dalla casa dei suoceri, nevvero?

Tu sei un esserino diabolico e io scoprirò come sopprimerti.

«Sei ancora lì? Almeno va’ in cucina, che cambio le lenzuola.» Anne entra con panno e spruzzino e inizia a pulire le ante specchiate del mobile accanto al letto.

La fisso per qualche secondo senza guardarla veramente. Perché tutta questa efficienza alle otto del mattino? Che venga la zia Libby a trovarci? Si sa, quando vengono le mamme a casa si vuole sempre apparire come le regine del pulito. Tipo la pubblicità del Viakal, esatto.

Espiro lentamente, dal naso, mentre tasto il pavimento coi piedi alla ricerca delle pantofole. Quando raggiungo la cucina, scorgo un Cooper assonnato coi capelli sparati in almeno tre direzioni diverse che inzuppa un biscotto nel latte con sguardo vacuo.

«Ha buttato anche te giù dal letto?» Chiedo, sprofondando sulla sedia – il che mi causa un’onda d’urto a partire dall’osso sacro che va a sbattere direttamente contro la parete superiore del cranio – e lui annuisce mentre cerca di mettermi a fuoco.

«Come faccia ad essere piena di energia con una creatura in grembo è un mistero.» Commenta, grugnendo quando la metà bagnata del biscotto cade nel latte prima che possa portarla alla bocca.

«Non è neanche al secondo mese, Coop. È presto per sentirsi stanche!» A conferma di ciò, Anne passa svolazzando dal corridoio al soggiorno spolverando tutto ciò che trova nel suo passaggio.

«Chi viene a cena?» Domando a Cooper, fingendomi disinteressata. Poi cambio idea. Disinteressata un cavolo. Io sono malata e loro invitano gente, tzè!

«Rachel.» Risponde lui dopo un po’, non prima di aver lanciato un’occhiata dubbiosa alla moglie.

Rachel? Oh.

«A pranzo, non a cena: Anne vuole accendere il barbecue. Di cui mi occuperò io. Arrostendomi la faccia, naturalmente.»

«Siamo particolarmente allegri stamattina, eh?» Aggrotto la fronte, e lui sorride. Sembra isterico.

«Che vuoi, stanotte mi ha mandato in bianco con la scusa del bambino!» Esclama, e sembra un neonato a cui hanno strappato il sonaglino. Pare che possa mettersi a urlare da un momento all’altro.

Inizio a ridere e credo che non mi riprenderò più. «Te l’ha ritorto contro!» Dico fra le risate, tenendomi la pancia tra le mani. Mentre mi riprendo, mi accorgo che i punti non tirano più come prima. Si stanno riassorbendo. O stanno per cadere, o come cavolo ha detto il dottore.

«Perché non mi date una mano invece di stare lì a ridere alle mie spalle?» Sbraita Anne, armata di guanti gialli e detersivo.

Cooper e io ci scambiamo un’occhiata furtiva, quasi fossimo stati scoperti a combinare una marachella, e lentamente ci defiliamo verso le rispettive camere per vestirci e metterci in azione.

 

***

 

«Dunque, come mai quest’idea di invitare Rachel?» Domando, con la nonchalance di Horatio Caine davanti a un cadavere.

Anne smette di pelare le patate e mi guarda timorosa per un piccolo frangente, poi riprende come se nulla fosse successo. Fa spallucce. «Così. Pensavo che le facesse piacere. Ho invitato anche Thomas, così possono stare ancora un po’ insieme prima che lui parta. Non credi?»

Spiegazione del tutto logica. E allora perché ha l’espressione di un cerbiatto che ha appena visto le luci di un camion puntate sulla sua faccia mentre attraversa la strada?

«Fai parte anche tu del piano Cupido, ora?» Sorrido, mentre taglio le patate sbucciate nella classica forma a bastoncino da fast food e poi le immergo in una ciotola d’acqua fredda.

«Perché no? Tu sei stata fuori uso, tanto vale darvi una mano.» Replica lei, passando alla mia sinistra per scolare le patate precedentemente ammollate e asciugarle con un panno per togliere l’acqua in eccesso. Noi cuciniamo sano, mica come il McDonald’s.

«A che ora arrivano? Sei sicura che Thomas si troverà a suo agio qui? Dopotutto, vi conosce a malapena.» Anne si mordicchia un’unghia prima di versare l’olio nella friggitrice.

«Conosce te però, no? Puoi aprire anche l’altra anta della finestra? Altrimenti puzzeremo di frittura in eterno.» Faccio come dice e torno da lei. Pare che si tenga impegnata per non parlarmi e/o guardarmi in faccia.

Mette a riscaldare l’olio e ticchetta sul ripiano di marmo per un secondo e mezzo, poi si morde l’interno della guancia. «Sai come funziona la friggitrice, vero? Prima cottura a 150°, seconda a 190°. Dovrei finire di lavare il bagno…» Indica dietro di sé col pollice e, senza nemmeno aspettare una risposta, sparisce. Poi ricompare per un istante. «Ah, arrivano tra meno di mezz’ora.»

 

Meno di mezz’ora dopo, esco dalla stanza vestita e profumata e vado ad aprire la porta, mandata da Anne che sta sgridando Cooper sulla quantità di carbone che ha usato per accendere il barbecue.

«Ciaaaoooo!» Davanti a me, una coloratissima Rachel e un elegante Thomas, con un vassoio di dolci – suppongo – tra le mani, mi salutano gioviali. Abbraccio la prima e stringo la mano al secondo, spostandomi per farli entrare.

«Wow, che bella casa.» Commenta Thomas educato, mentre Anne appare in soggiorno per accoglierli. Sto per chiudere la porta quando Rachel mi ferma.

«Aspetta, sta venendo Christian. Siamo arrivati insieme.»

Anne diventa piccola come Pollicina e dal mio sguardo, Rachel intuisce che non ne sapevo niente.

«Oh, meraviglioso. Tutti al riparo!»

«Sei una…» Punto il dito contro Anne con una miriade di insulti sulla punta della lingua, ma mi fermo perché ci sono due orecchie non ancora formate nella sua pancia e non voglio che sentano queste cose. «Hai capito.» Sibilo, espirando lentamente. Lei mi guarda colpevole con un sorriso a fin troppi denti e si volta verso la porta quando Orione – già, è tornato all’assalto! – bussa con la mano affacciandosi timidamente.

«Prego, prego, entra! Ormai sei di casa, si può dire, giusto?» Mia cugina continua lo show improvvisando una risatina frivola.

Ah, giusto.

Lo so che non avete dimenticato e che state morendo dalla voglia di sapere cos’è successo venerdì notte nel mio letto. Tecnicamente, nel letto della camera degli ospiti di Anne.

Beh, perfettamente nulla. Cosa vi aspettavate?

Christian ha accettato l’invito a dormire con me – mi faceva pena, poverino, su quel divano – e i miei cugini sono stati talmente gentili da farlo restare per tutta la notte. Ovviamente in quel momento mi sono amaramente pentita di averlo invitato nel mio letto, ma ero stanca e non ci ho badato più di tanto. Nemmeno quando si è fatto prestare un paio di pantaloncini e una canottiera da Cooper e si è infilato sotto le coperte e sembravamo marito e moglie.

Cielo.

Vogliamo parlare di cosa ti è VERAMENTE passato per la testa in quel momento?

Cosa? No, non interessa a nessuno. Il succo della cosa, comunque, è che poi è andato via alle sette scrollandosi qualcosa di dosso – me, completamente e convulsamente appollaiata sul suo braccio – e dandomi un bacio sulla fronte mentre io mugugnavo qualcosa sulla sua maleducazione ad andare via a quell’ora.

E dunque, non l’ho più sentito da quel bacio. Sulla fronte, sempre, s’intende.

«Ciao.» Dopo aver salutato Anne, che ha voluto immediatamente far fare il giro della casa ai piccioncini, mi ritrovo – di nuovo – sulla soglia della porta con Christian Wayne e il suo profumo che inizia a riempire l’aria. Si attacca agli atomi fluttuanti e ci resta per ORE. E non scherzo!

Chiudo la porta e torno a guardarlo. «Ciao. Non sapevo venissi anche tu.»

Direttamente da “Cortesie per gli ospiti”, proprio.

Christian sembra interdetto – mi pare ovvio, cretina! – e allunga lo sguardo oltre le mie spalle per cercare aiuto. Deve aver individuato Cooper in terrazza, perché fa un cenno di saluto nella sua direzione, poi sposta lo sguardo su di me.

Espira con le labbra serrate, l’espressione da interdetta a rassegnata. «Anch’io sono felice di vederti, Elettra.» Mi dà una specie di pacca amichevole sulla spalla e sparisce alla volta della cucina con una busta della spesa in mano che noto solo ora.

Resto a fissare la porta e l’aria vuota davanti a me e per un istante mi viene da piangere.

Quando mi giro, vedo che Rachel mi sta fissando con uno sguardo di disapprovazione.

«Che c’è?» Chiedo, stizzita.

«Potresti essere meno… te, per una volta nella vita?!» Alza le braccia e aspetta una risposta. Mando giù un improvviso groppo che mi si è formato in gola e mi rendo conto di odiarmi quando faccio così. Lo sguardo speranzoso e allegro di Christian si è spento, quando l’ho accolto con quella frase. Non era necessario dirgli quella cosa. No.

Soprattutto dopo tutto quello che ha fatto per te, direi, commenta Violet nella mia testa e per una volta non trovo nulla da ribattere.

Quando noi donne combiniamo un guaio, la prima cosa che ci viene in mente è… cercare di ripararlo? No, certo che no. Dopotutto, abbiamo avuto senz’altro un buon motivo per combinarlo. Piuttosto, proviamo a sondare il terreno, per capire quanto grande sia il buco nero che abbiamo generato.

È per questo motivo che mi dirigo in terrazza, dove Cooper e Christian mi danno le spalle e sembrano concentrati a disquisire di carne. Mi avvicino furtivamente.

«Caspita, hai svaligiato una macelleria?» Ridacchio, vedendo la quantità decisamente abbondante di carne che Christian ha tirato fuori dal suo sacco della spesa. Sul tavolo vedo due bottiglie di Chianti che prima non c’erano. Ha portato di tutto!

Guardo Orione in attesa di una risposta ma lui sembra non avermi sentito. Sta parlando di costolette con Cooper e sembra piuttosto assorto. Finisce di svuotare il sacco sul ripiano accanto alla griglia, poi piega il sacco di cartone con cura e cerca con gli occhi un posto dove poggiarlo.

«Dai a me, lo ripongo io…» Mi offro, allungando la mano davanti a lui.

«Sì.» Risponde secco, mollandomi il sacco senza degnarmi neanche di uno sguardo. «Penso che dovremmo cuocere prima le salsicce…» Continua a dire a Cooper. Entro in cucina come un fantasma e apro l’anta del mobile dove Anne tiene i sacchi della spesa. Osservo Christian togliersi la camicia azzurra e restare in t-shirt bianca. Dio, quei muscoli. Hanno già acceso la brace? No? Ah, era una vampata?

Lo scollo a V gli scopre parte del torace, dove indugio con lo sguardo prima di essere colta in flagrante da Anne. Mia cugina mi infila due dita nei fianchi facendomi sobbalzare.

«Esci o no? Portiamo gli antipasti fuori, dai.»

«Sì, sì. Certo.» Borbotto e l’aiuto insieme a Rachel. Thomas, intanto, ha imitato Christian liberandosi del cardigan leggero e restando in camicia.

«Mi aiuti ad arrotolare le maniche?» Chiede a Rachel, sorridendole timido. Lei diventa rosso Thomas e lo fa aumentando di gradazione a ogni risvolto. Lui la guarda tenero mentre lei cerca di fare il lavoro più accurato possibile. Vedo che anche Christian li osserva con un sorriso negli occhi; prima di tornare a guardare la griglia incrocia i miei e io sorrido incoraggiante, ma lui sposta lo sguardo su Cooper senza ricambiare.

Sì, è arrabbiato.

La risposta è... ESATTA! Hai vinto un orsacchiotto. O meglio, un orsacchiottone indiavolato.

Esco di nuovo in terrazza nascondendomi dietro le bottiglie d’acqua e coca-cola, ma il camuffamento è inutile dal momento che i tre uomini sono sempre rivolti dalla parte opposta. D’accordo. Tanto Christian finisce sempre per sedersi accanto a me, quindi parleremo a tavola e scoprirò che è tutto a posto e mi sono semplicemente impressionata. Sì. Andrà così.

«Come ci sistemiamo?» Domanda, per l’appunto, Thomas, quando Anne invita tutti ad accomodarsi.

«Chi si siede a capotavola?» Cooper indica il posto e io, nella totale convinzione che ci si sarebbe messo lui, non posso far altro che assistere sgomenta al movimento quasi impercettibile della mano di Christian che si solleva e indica chiaramente che quel posto sarà suo. Anne sbatte le palpebre manifestando la sua sorpresa e prova a dissuaderlo: «Ma no, si siede Cooper lì…» Mi lancia un’occhiata preoccupata e al tempo stesso confusa, che scema nella delusione quando Christian rifiuta gentilmente e prende definitivamente posto.

«Cooper può sedersi qui, così continuiamo quella conversazione…?» Indica il posto alla sua sinistra e mio cugino annuisce e si siede obbediente.

Anne guarda il posto alla destra di Christian come Scrat può guardare la sua amata ghianda.

«Io mi siedo qui allora, tra uomini…» Ridacchia ingenuamente Thomas, adocchiando la stessa sedia che stava avidamente guardando mia cugina. Prego in aramaico che non prova a opporsi anche stavolta. Fortunatamente non lo fa, ma si limita a lasciarsi cadere sulla sedia accanto a suo marito. Rachel fa lo stesso dall’altro lato; quando si siede, Thomas le mette un braccio intorno alle spalle e la stringe dolcemente per qualche istante.

Dunque, a me tocca il posto all’altro capo del tavolo. Beh, se non altro, ce l’ho di fronte. Se Anne avesse avuto un tavolo da otto posti, mi sarei dovuta sedere accanto a lei (perché Rachel oggi mi odia) e avrei dovuto mangiare praticamente spalmata sul tavolo per avere un minimo di contatto visivo o conversazione con qualcuno. Almeno, così, li vedo tutti.

Bene.

Iniziamo a mangiare con un ‘buon appetito’ generale e io ripeto esattamente la scena della festa di fidanzamento di Nancy: mi tuffo sul cibo per riempirmi la bocca. Ascolto educatamente Anne e Rachel parlare di ecografie e di possibili nomi, e ogni tanto intervengo commentando questo o quello.

«E se fosse maschio? Che nomi vi piacciono?» Domanda Rachel, addentando il suo crostino. «Mmm, è buoniffimo!» Commenta con la bocca piena alzandolo in segno di omaggio a mia cugina.

Anne sorride e poi riflette sulla domanda. «Beh… se proprio devo dirlo, il mio nome maschile preferito è sempre stato Christian…»

«HA.» Faccio una risata finta e breve quanto un battito di mani, carica di sarcasmo e di isterismo dovuto alla situazione. Rachel guarda sommessamente il suo piatto e Anne accenna un timido sorriso. Ehi, perché sono tutti in silenzio?

Guardo davanti a me e vedo che Christian ha seguito il botta e risposta. O botta e “suono gutturale indistinto simile al colpo di tosse di una iena”.

Se fossi in te mi scuserei gentilmente e mi andrei a cuocere la faccia sulla griglia.

Cooper e Thomas non si sono accorti di nulla, ma quando percepiscono il silenzio si interrompono e per qualche secondo ci guardiamo tutti in maniera piuttosto confusa.

«Che è successo?» Domanda Cooper, cadendo dalle nuvole.

«Niente.» È Christian a rispondere, guardandomi dritto negli occhi. È tornato il suo sguardo indecifrabile. Oh, santa me. Non ne faccio una giusta oggi, ho capito! «Dicevi, di quella serie?» Si rivolge a Thomas e la conversazione riprende così come si era interrotta.

Riesco a trovare un po’ di pace quando Christian si alza per rispondere ad una telefonata di lavoro. Dato che si dirige verso la casa, intuisco che ci metterà un po’ di tempo, perciò decido di alzarmi e in uno scatto fulmineo finisco per appollaiarmi sulla sua sedia, sorridendo a Cooper. Mi sento estraniata laggiù, oh.

Il mio caro cugino acquisito distoglie lo sguardo da sua moglie e, parlando mentre maciulla un peperone, mi dà di gomito.

«Sai, è proprio arrabbiatissimo.» Cogliendo la mia espressione confusa si accinge ad aggiungere dettagli. «Christian. Con te.»

Sbuffo, pentendomi immediatamente del cambio di posto. Ora me ne torno dall’altro lato a infilzarmi con i bastoncini degli spiedini.

«Oh, per favore, non ti ci mettere anche tu! Anne ti ha fatto il lavaggio del cervello?» Me la immagino di notte che gli sussurra frasi ambigue su me e Christian, in loop, per lobotomizzarlo psicologicamente e costringerlo ad adempiere la sua volontà.

«No, io sono un futuro papà e vedo dove c'è l'amore. Lo fiuto. Lo sento con ogni fibra del mio essere.» Solleva le mani in piena pratica mantra e poi torna a guardarmi. «Io SO.»

Alzo un sopracciglio e mi inclino leggermente all’indietro, scansando gli ultrasuoni di demenza che sta emettendo in questo momento. «Credevo fossi un avvocato, non un sensitivo del cavolo.»

Cooper ride. «Dev’essere un nuovo superpotere del mio status.»

«Comunque, potrebbe essere arrabbiato per i cavoli suoi. Che c'entro io?»

Coop mi lancia un’occhiata molto eloquente, poi sospira. Per finta. «Okay, hai ragione. Magari è nervoso per lavoro. Guadagnati una promozione e vai a sentire cos’è successo.» Indica la casa con un cenno del capo e io inorridisco.

«Non mi avvicino neanche morta. Quello mi sbrana.»

«Allora tu c'entri qualcosa...» Agitando una salsiccia davanti alla mia faccia scrutandomi con occhio critico. «Sputa il rospo.»

«Io... No. Cioè, d’accordo, potrei non averlo accolto come si aspettava. Ma che vuole, che gli faccia la festa ogni volta che lo vedo? E poi ormai dovrebbe conoscermi.» Incrocio le braccia al petto e grugnisco.

Cooper mastica lentamente, con aria pensosa. Scommetto che ora mi darà una risposta arguta da avvocato, di quelle che ti fanno vincere le cause. O perdere, nel mio caso.

«Quindi lui è arrabbiato per come lo hai accolto. Si aspettava un trattamento diverso dal saluto – spero tu l'abbia salutato almeno – e questo significa che è successo qualcosa che pensava avrebbe influito sul tuo caratteraccio…» Prende un respiro e sento che avevo ragione. Quasi quasi mi piaceva di più come sensitivo. «Anche io ti conosco e direi che possono essere successe due o tre cose al massimo per influenzarti nei saluti, di cui UNA ed UNA soltanto che causerebbe la tua ira dopo. Dunque… CHE AVETE FATTO?»

Sbarro gli occhi e la mia mascella cade al suolo. NO, NO, NO! È arrivato alla conclusione sbagliata! Mentre penso a come formulare una risposta non fraintendibile, lui si volta di scatto verso Anne e parte in quarta: «Anne, non puoi portare i piatti nelle tue condizioni!» Mia cugina lo guarda come se gli fosse partito qualche neurone. «Ti aiuto, andiamo.» E così, mi lascia a fissare la mezza salsiccia ancora infilzata nella forchetta.

Ironia della sorte… l’oggetto delle nostre confabulazioni decide di tornare proprio in quel momento. Notando che la sua sedia è occupata – già, proprio e ancora dalla sottoscritta – prende posto su quella di Cooper.

Oh salve Chris, ci sei anche tu a questo tavolo!

Si guarda intorno per un istante e poi, vedendo che Rachel e Tom sembrano impegnati in una conversazione piuttosto intima, sposta lo sguardo sul cellulare.

Il tuo fegato sta friggendo come un wurstel sulla piastra.

Potrei chiedergli di passarmi il sale.

Peccato che non tu non stia mangiando. E che, oltretutto, sia seduta al posto sbagliato.

E lui non mi ha detto nulla al riguardo. È troppo impegnato a far cosa, poi? Giocare a Candy Crush Saga?

Christian Wayne non potrebbe mai giocare a Candy Crush Saga.

E allora perché non butta quel dannato telefono?

Hai mai sentito parlare di “evitare qualcuno usando qualsiasi cosa si abbia tra le mani”?

Grrr.

«Sai che è maleducazione guardare il cellulare quando sei in compagnia?» Giuro, non avevo pensato di dirla così.

Christian alza lentamente lo sguardo dallo schermo del suo smartphone e mi rivolge un’occhiata raggelante.

«Sai che è maleducazione rivolgere la parola a qualcuno solo per fargli notare che è maleducato?»

Rispondo dapprima guardandolo in cagnesco ed espirando come se potesse uscirmi del fumo dalle narici da un momento all’altro.

«Sei tu che non mi rivolgi la parola, mica io.»

Christian stira le labbra in un sorriso decisamente forzato. «Forse invece di stare a puntualizzare sulla mia educazione potresti chiederti perché!»

Faccio roteare gli occhi esasperata e gonfio le guance. «Dovevo farti le fusa?! Scusa tanto se non sono un persiano! Sei stato abituato male con Alexandra che scodinzola ogni volta che ti vede!» Ho pronunciato il nome di Alexandra come se fosse veleno e credo anche di aver leggermente sputacchiato.

«I gatti non scodinzolano, quelli sono i cani.»

Sto per tirare fuori il mio bazooka di riserva dal reggiseno e stavolta prenderò accuratamente la mira.

«Capisci il senso, idiota! Erano due paragoni diversi!»

«Idiota. Hai anche il coraggio di darmi dell'idiota? Tu. Quella che ha ballato la lap dance da ubriaca in un locale malfamato! Tu. Tu dai dell'idiota a me?!»

«Beh, almeno tu sei sobrio ora!»

«Certo che sono sobrio. Non sono abituato ad ubriacarmi, io...»

«Ci mancherebbe, già deliri da lucido!»

«Io starei delirando? Ovvio, come al solito la perfetta Elettra Wayne non ha fatto niente per darmi sui nervi. Io mi chiedo cosa diavolo ho fatto per meritar...» Si blocca di colpo quando, nella foga del discorso che sta prendendo decisamente una brutta piega, si volta e vede Anne che lo osserva rapita. «Che c'è?» Domanda, accigliato.

Mia cugina agita la mano come a liquidare la faccenda. «Oh, nulla, continuate pure! Può darsi che arriverete finalmente a baciarvi, come nei litigi dei film!» Batte le mani eccitata e guarda Cooper che sbatte lentamente le palpebre e deglutisce vistosamente.

«Oh, ehm, non farci caso. È incinta...» Dice rivolto a Christian e gira l’indice accanto alla tempia, tipico gesto di chi indica la perdita di una qualche rotella.

Anne intercetta il movimento e spalanca la bocca. «CARO, se c'è uno svitato fra me e te perché IO sono incinta, sei tu!»

«Oh buon Dio, non iniziate a discutere! Voi siete innamorati e gli innamorati non discutono.» Dichiaro, perentoria.

Cooper prende un gran respiro e assume di nuovo l’espressione dell’illuminato. «Invece sì, Elettra. E la parte più bella è fare pace.» Rivolge un sorriso smagliante a me e Christian con tanto di sopracciglia sollevate a mo’ di incoraggiamento.

«Cosa avete messo nella carne? State delirando tutti e quattro. Beh, a dire il vero tutti e cinque, perché Thomas mi ha appena chiesto di venire a Panama con voi!» Rachel torna tra noi con il volto che sprizza gioia da tutti i pori e finalmente fa rilassare un po’ l’atmosfera. Non che fosse tesa, capiamoci. Almeno, non in senso cattivo. È solo che c’è sempre una strana tensione quando sono con Christian. No, Violet, non intervenire, ti censuro in partenza.

«A Panama?! Sul serio?!» Mi porto una mano alla bocca e guardo Thomas riconoscente. Una faccia amica! Almeno non sarò sola con quello svitato di Tony e quella sciagurata di Lily.

E Christian, sì, già.

Che mi odia, sì, già.

Non era questo che volevi, Elettra?

«Mi accompagneresti in bagno?» Rachel si alza e mi trascina via dai commensali e dalla mia voce interiore che parla sempre a sproposito. È talmente emozionata che ha dimenticato di avercela anche lei con me.

«Cosa vuol dire secondo te?» Mi chiede, confusa e agitata, una volta entrate in bagno. «Gli piaccio davvero? Vuole andare oltre? Oddio, cioè, siamo usciti solo tre volte e... invitarmi a venire con voi... io...»

La interrompo bloccandole le mani che agita convulsamente e la guardo divertita.

«Rach. È un viaggio a cui avrei potuto invitarti anche io. Non è nulla di eccessivamente impegnativo se non vuoi che lo diventi. E comunque, come direbbe mia sorella, dopo il terzo appuntamento di solito si passa al... livello successivo. Magari Thomas voleva una location più esotica.» Scoppio a ridere e lei diventa paonazza. Quando si ricompone, facendosi aria con la scatola di strisce depilatorie che ha trovato nell’armadietto, mi guarda minacciosa.

«Verrò solo se fai pace con l’orsacchiottone.»

«Cosa?!» No, no, non mi piace questa conversazione. «Perderesti la possibilità di passare intere giornate con Thomas per colpa di un presunto litigio tra me e quel decerebrato?!» Starà sicuramente scherzando.

Rachel fa spallucce. «Non ho ancora dato una risposta a Thomas, quindi...» Si guarda distrattamente le unghie, l’aria altezzosa.

«Ma non badare a Christian! Quando gli passerà la sindrome premestruale tornerà come prima!»

«A me non sembra proprio.» Va bene, è decisa su questa linea.

«Cosa dovrei fare, sentiamo? Prostrarmi al suo cospetto e baciargli i piedi?» E magari fargli aria con un ramo di palma. Ma per favore!

«Beh, baciarlo potrebbe essere un’idea...»

«Assolutamente non contemplata, era questo che stavi per dire?» La guardo torva. Il solo pensiero di baciarlo mi agita tutti gli organi interni.

Rachel riflette battendosi un dito sulle labbra. «D’accordo, faremo finta che aspetti anche tu una location migliore per quello.» Mima il segno delle virgolette con le dita, facendomi il verso. «Però adesso potresti approfittare del momento in cui Anne e io prepareremo le coppette col gelato e la macedonia e Cooper e Thomas saranno impegnati a smontare il barbecue per parlargli. Scusarti. Fai qualcosa, per l’amor del cielo! Cerca di rimediare in qualche modo. Intese?» Punta i suoi occhi con due dita e poi le sposta verso i miei. «Ti tengo d’occhio.»

Alzo le braccia e mi arrendo. «E va bene. Ti odio.»

Il fatidico momento non tarda ad arrivare. Anzi, arriva troppo presto e io non ho ancora pensato a cosa dirgli.

Rachel prende quasi di peso Anne per portarla in cucina, scoccandomi un’occhiata di incoraggiamento/minaccia. Cerco di trattenere uno sbuffo e, prima che Christian possa alzarsi per aiutare i due uomini, gli afferro delicatamente un braccio per attirare la sua attenzione. Si volta, quell’azzurro guarda proprio me.

«Ehm...» Deglutisco a vuoto e faccio uno sforzo immane per ripescare la lingua che s’era nascosta chissà dove. Riesco perfino ad accennare un sorriso simile a una smorfia spastica. «Possiamo parlare un attimo?»

Ci spostiamo sulla parte più lontana del terrazzo, su un grande dondolo al riparo dal sole e da orecchie indiscrete. Quando ci sediamo, mi pento di averlo invitato a parlare. Non ho la minima idea di cosa dirgli e lui mi sta guardando con quegli occhi che... non lo so, davvero.

Mi sta passando tutta la vita davanti.

Fossi in te mi soffermerei sugli ultimi mesi e ci farei un pensierino sul baciargli i piedi.

Christian sospira, torna a fissare il pavimento e, con mio sommo sgomento tira fuori il cellulare dalla tasca.

«Sul serio?! Di nuovo?!» Esclamo scioccata.

Lui blocca lo schermo e mi sorride. «Oh, allora parli...»

«Può sembrarti facile.» Bofonchio, infastidita.

Christian si stringe nelle spalle. «Solitamente lo è. Pensi una cosa, prendi fiato e lasci che le parole ti escano di bocca...»

Colgo la palla al balzo e annuisco timidamente. «Beh, a volte escono quelle sbagliate...»

«Oh, tipo “non sapevo venissi anche tu” invece di “oddio, che bello, ci sei anche tu, non vedevo l'ora di rivederti”?» Fa un gran sorriso pieno di entusiasmo nel pronunciare la frase e io gli do un mezzo spintone.

«Sì, vabbè, come no! La prossima volta ti salto addosso, che dici?!»

«Con comodo.» Dice, sornione, aprendo le braccia e indicandosi. Poi intercetta il mio sguardo e alza le mani. «No, okay, scherzavo. Non uccidermi.»

«Flirti così spudoratamente con tutte o sono fortunata?» Mi informo, sbattendo le ciglia in modo amabile.

«Con te è più divertente.» Replica lui con un sorriso malizioso.

«Ah. Okay. Bene.» Incrocio braccia e gambe e cerco di restare impassibilmente indifferente. O indifferentemente impassibile.

«Mmm... gambe e braccia incrociate: segno di chiusura totale.» Riflette Christian squadrandomi.

«Che c’è, adesso sei diventato Freud?» Tutti psicologi al giorno d’oggi!

«No, se fossi Freud parlerei di sesso. E anche lì avrei molto da dire.»

Lo guardo incredula ma non riesco a trattenere un sorriso. «Credevo di star parlando con Christian, non con Tony.»

Lui ridacchia, poi si fa serio. «D’accordo, ti ascolto.»

«No, adesso non mi va più di chiederti scusa.» Mormoro, alzando piano piano lo sguardo per osservare la sua reazione.

«Se ripeti la parolina magica e poi scappi via come al solito va bene lo stesso. Non mi aspetto un sermone di due ore.»

«Intendi “per favore”? Quella parolina magica?» Sbatto innocentemente gli occhi e lui per risposta li alza al cielo.

«Sei peggio di una bambina di tre anni.»

«È sempre buono per una donna dimostrare meno anni di quanti ne abbia in realtà, no?» Lo sfido con un sorriso interiore gigantesco.

Christian ne accenna uno e si avvicina lentamente col viso, la mano destra va ad accarezzarmi la pelle della guancia e due secondi dopo... mi stringe le guance tra le dita muovendomi la faccia a destra e sinistra.

«Chiedimi scusa o continuerò a torturarti la faccia come faceva mia sorella con me quando ero piccolo!»

«EHII!» Provo a dire con le labbra strette in modo ridicolo, cercando di staccare le mani che sembrano ancorate alla mia faccia come i tentacoli di una piovra. Per un istante immagino Christian coi capelli e la pancia di Ursula e mi viene da ridere.

«Lossciomi!» Quello doveva essere un ‘lasciami’, ma sono stata privata dell’uso della bocca da questo immenso demente che ho di fronte. Allungo la mano a tirargli i capelli e lui me la blocca senza il minimo sforzo. I muscoli sotto la maglia bianca guizzano deconcentrandomi parecchio.

«Una parolina e sei libera.» Sussurra, tanto serafico ed etereo che mi viene voglia di rovesciargli un secchio di vernice in testa.

«Voffonculo ti vo bone?!» Rispondo, tentando un sorriso idiota.

Christian contiene una risata e scuote la testa. «No, non vo bone.» Sono tentata di sbuffare ma temo che gli farei la doccia. Quasi quasi questo mi tenta ancora di più. «Su, piccola Lemon, ce la puoi fare!»

«Lemon? Perché Lemon, scusa?» Domando, accigliata.

Perché sei acida.

Christian sembra colto alla sprovvista e distoglie lo sguardo dal mio. «Ovviamente per i tuoi… ehm…»

Sbalzi d’umore degni di una vedova allampanata che è appena andata in menopausa?

«…capelli? Sono diventati più biondi ultimamente.»

Sorrido interiormente al suo tentativo di non spiattellare tutta la verità come invece sta allegramente facendo la mia vocina interiore, e gli intimo di lasciarmi una volta per tutte.

Lui sembra valutare la cosa, poi accenna una smorfia dubbiosa. «No, mi piace vederti con le labbra protese verso di me.» Sento però che allenta leggermente la presa, permettendomi almeno di parlare senza sembrare diversamente scema.

Sono seriamente tentata di farti la doccia, Christian. No, non come credi tu.

«Eddai.» Piagnucolo. «Ho anche detto “scusa”. In “Perché Lemon, scusa?”» Azzardo un altro sorriso angelico e il mio carceriere alza gli occhi al cielo, per poi finalmente mollare l’osso. Mi massaggio le guance che sembrano essere rientrate di cinque centimetri ed emetto un sospiro di sollievo.

«Domani allora torni in ufficio? Ce la fai?» Chiede apprensivo lanciando uno sguardo veloce al mio addome.

«Certo, sto molto meglio. Il mio osso sacro non vuole vedere più il materasso se non per la notte.» Faccio una smorfia di dolore al solo pensiero di quello che mi ha fatto patire durante la convalescenza.

«Non affaticarti inutilmente, comunque. Non puoi permetterti di trattenerci al tuo capezzale, a Panama.» Mi fa l’occhiolino e io faccio schioccare la lingua.

«Nessuno ve lo chiederebbe, in ogni caso. Così come nessuno te l’ha chiesto in ospedale.» Aggiungo, per poi mordermi la lingua quando vedo la sua espressione. Simulo due colpetti di tosse e, nel mezzo, mormoro: «Però mi ha fatto piacere, grazie.» La sua espressione torna serena anche se non del tutto soddisfatta.

«D’accordo, Lem. Accetto le tue pseudo scuse, ora possiamo tornare dagli altri.» Prima che possa replicare si alza e io gli corro dietro col dito puntato.

«Smettila di chiamarmi così!» Ordino, ma lui non sembra ascoltarmi.

«Preferisci Lemmy?» Rilancia, abbagliandomi con un sorriso. No, caro. Quello potrà funzionare con Alexandra, ma con me…

«Ele! Lo vuoi il gelato o no?» Rachel mi fa un cenno e io annuisco.

«Sì, sì, arrivo.» Esclamo, e rimando il dibattito sul mio nomignolo nuovo di zecca a un momento più opportuno.

 

«Grazie della splendida compagnia. Thomas, è stato un piacere conoscerti meglio. Senza rugby di mezzo.» Sta dicendo Anne a Rachel e al suo nuovo-quasi-boyfriend-wannabe.

«Oh, il piacere è stato mio.» Ridacchia lui. «Prometto di non parlarne più in tua presenza. Pare che le donne in stato interessante siano inclini alla violenza brutale.» Ridiamo tutti e ne approfitto per stritolare Rachel e abbracciare Thomas.

«Ci vediamo domani.» Mi strizza l’occhio e cede il posto a Christian.

«Grazie anche a te. Non c’è bisogno che ti dica quanto ti-»

«No, non c’è bisogno.» Diciamo in contemporanea io e Cooper, bloccando la frase sul nascere. Anne diventa color porpora e si nasconde dietro a un sorriso a trentadue denti.

Christian sogghigna e saluta affettuosamente la coppia, accordandosi con Cooper per “quella partita”. Quale partita? Cooper pratica qualche sport?

Prima che possa scavare a ritroso nella mia mente alla ricerca di qualche indizio al riguardo, Christian mi posa una mano sul braccio. Ci guardiamo senza dire nulla, né un ‘ciao’, né un ‘a domani’. È come se ci fossimo già detti tutto prima, tra un mezzo insulto e l’altro. Il mio cuore fa un capitombolo quando si china velocemente per baciarmi una guancia e contemporaneamente stringe di più la presa sul braccio. La mia mano corre automaticamente sulla sua, carezzandone leggermente il dorso prima di lasciarlo andare.

Quando Anne chiude la porta, mi accorgo di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo.

 

**********

 

«BENTORNATA!»

È un coro unanime ed allegro quello che mi accoglie nella reception della Macmillan Publishers alle nove in punto del mattino seguente.

All’appello ci sono proprio tutti, tranne il grande capo e… il “piccolo” capo. Cerco con lo sguardo il suo codino biondo con l’insana, irrisoria e totalmente fuori luogo speranza di trovarlo in corridoio, ma resto delusa.

«Mi stavate spiando o siete appostati qui dalle otto? Non è una valida scusa per non lavorare, sapete.» Rido per nascondere un po’ del mio imbarazzo nel vedere tutte queste persone che mi sorridono e vengono ad abbracciarmi con affettuosa veemenza. Mi fa sentire… strana.

Quando tocca a Tony, aggrotto le sopracciglia notando il sorriso idiota e un tantino maligno che gli curva le labbra. Qualcosa mi dice che ha combinato un guaio dei suoi, o sta pensando di farlo.

«Hai salutato tutti?» Mi chiede, sciogliendo il nostro abbraccio.

Annuisco. «Sì, sì.» Confermo, guardando i nostri colleghi tornare pian piano alle rispettive postazioni.

«Allora vieni con me.» Non faccio in tempo a chiedergli spiegazioni che vengo trascinata nello studio di Christian. Pare che alla gente piaccia proprio trascinarmi nei luoghi meno opportuni!

Quando chiude la porta alle nostre spalle, non posso credere ai miei occhi. Nel bel mezzo della stanza c’è un lettino che ha l’aria di essere del tipo ospedaliero e Christian con un camice bianco addosso e un’espressione del tutto rassegnata. “Non è colpa mia”, sembra urlare da ogni poro della sua pelle.

Guardo Tony per un istante prima di snocciolare tutte le imprecazioni possibili e immaginabili ma lui sfodera un amabile sorriso – sì, amabile un corno! – e mi spinge verso il lettino.

«Ora voi due giocate al dottore.»

SANTO CIELO!

Mi sveglio di soprassalto, tutta sudata, e sgrano gli occhi verso il soffitto riacquistando tranquillità man mano che realizzo che era soltanto un sogno.

Devo smetterla di guardare le repliche di Grey’s Anatomy.

Perché, vuoi dire che non avresti gradito l’idea?

Certo che no. Come puoi solo pensare di pensare una cosa del genere?

Tu non hai idea di quello che ti aspetta in vacanza, vero?

Ehm.

Speaking of, devo ancora fare una lista di cose da portare, anche se so che chiuderò la valigia esattamente dodici ore prima di partire. Come sempre. Mai una volta che non procrastini, io. E devo anche andare a trovare la zia Libby, se non voglio rischiare il linciaggio estremo e l’esclusione da ogni testamento della mia famiglia.

La lista magari la faccio stamattina al lavoro, se non devo stare dietro a Christian. Ti prego, ti prego, Dio, no. Voglio stare da sola nel mio ufficio a compilare la mia lista chilometrica e più dettagliata del protocollo di sicurezza della Casa Bianca e a cercare info su Panama – e/o vie di fuga nel caso in cui Tony voglia coinvolgermi in qualche attività discutibile, ma acqua in bocca.

Il pensiero di Tony e le sue idee strambe mi accompagna in ufficio, con un leggero batticuore e un oscuro presentimento dovuto anche al sogno di questa mattina.

Quando varco la soglia della mia amata casa editrice, però, vengo accolta dal silenzio. Le luci sono spente, fatta eccezione per quelle di emergenza, che illuminano discretamente l’ambiente. Resto immobile al centro della reception in attesa che il mio cervello decida il da farsi.

«Ehilà?» Domando, incerta. «C’è nessuno?»

Dopo aver ricevuto in risposta semplicemente l’eco di quello che ho appena detto, mi avvio lentamente verso il corridoio che porta al mio ufficio. Sbircio in quello di Christian ma è tutto buio e non vedo nulla.

Il rumore della fotocopiatrice mi fa sobbalzare. Sta arrivando un fax.

«Che paura...» Mi porto una mano al petto e proseguo verso la mia stanza. Da quel che riesco a vedere è vuota, come l’ho lasciata. O forse no, perché non ero propriamente lucida quando l’ho lasciata. In ogni caso non c’è traccia di Lily.

Che abbiano anticipato le ferie? Perché non mi hanno avvertito? E perché l’ufficio era aperto? Forse c’è solo Martin, di sopra?

Mentre mi pongo tutte queste domande, mi infilo nell’ascensore e attendo sommessamente che mi porti al piano di sopra. Quando le porte si aprono, lo scenario si ripete: tutto buio, qualche raggio di sole filtra dalle tende illuminando la scrivania di Nancy. Strano, non sembra la scrivania di una che è andata in ferie. No, non è possibile...

Nel momento in cui faccio un passo davanti alla sala riunioni, il mio cuore rischia di balzarmi fuori dal petto verso l’infinito e oltre, quando scorgo delle ombre e subito dopo, neanche il tempo di realizzare, un “SORPRESA!” mi esplode nei timpani terrorizzandomi dalla paura.

«AAAAAAAAAAAHHH!» Grido, sopraffatta dalle luci e i palloncini e i coriandoli e tutto lo staff della MP che sorride e saltella allegramente per la stanza trascinandomi al suo interno.

Quando riapro gli occhi, oltre a tutti i colori coi quali è addobbata a festa la nostra seria e austera sala riunioni, vedo sul lungo tavolo sette torte di medie dimensioni, ognuna con una lettera del mio nome disegnata sopra con qualcosa di sicuramente commestibile e dall’aspetto veramente invitante.

«Non sapevamo che gusti ti piacessero, perciò abbiamo optato per sette torte più piccole con gusti differenti.» Commenta Lily, intercettando il mio sguardo tra il perplesso e lo scioccato.

E il riconoscente. Sì, lo vedo, è inutile che fai la dura, Rambo dei poveri!

«M-mi piace tutto...» Balbetto, emozionata.

«Ne abbiamo scelta una ciascuno, tirando a indovinare. Poi decreterai il vincitore. BENTORNATA ELE!» La piccolina tutto pepe mi abbraccia, dando il via ad un applauso che sta quasi per terminare con le mie lacrime. Non ci posso credere.

Ad uno ad uno, tutti vengono ad abbracciarmi, compreso il grande capo Martin che sono sicura non vede l’ora di tuffarsi nella torta con le fragole. La sta fissando manco fosse Monica Bellucci. Giuro.

Tony mi stritola sballottandomi su e giù come se avessi tre anni, e Thomas invece fa il solito gentiluomo con tanto di baciamano.

«E Rachel?» Domando, ormai mi manca sempre ed è come se fosse di casa anche qui.

«Sta lavorando, ma ha scelto la torta insieme a me. È quella lì.» Indica la torta che porta la lettera “L”, che somiglia tanto a un dolce tipico italiano, di pasta sfoglia e pan di spagna ricoperto dallo zucchero a velo e farcito con la crema chantilly.

«C’è il liquore dentro?» Domando, con l’acquolina in bocca.

«Esatto. Ti piace?»

«Potrei morirci.» Sbavo copiosamente pregustandone il sapore. Complimenti a Rachel, ha praticamente azzeccato il mio dolce prefer...

«Bentornata.» Una carezza leggera sul capo mi distoglie dal pensiero della mia succulenta torta. Christian mi sorride, chinandosi a darmi un bacio veloce sulla fronte. «Come ti senti?»

«A parte il fatto che vi odio e che non dovevate, bene.» Borbotto, arrossendo. Questo posto mi sta cambiando. Io non sono così.

No, tu eri così. È stato quel senza palle a cambiarti.

Tony approfitta del momento di silenzio per stappare lo champagne. «Ottimo. Appurato che la nostra traduttrice sta bene e che, come sapevamo, ci detesta per questa sorpresa che l’ha messa al centro dell’attenzione per ben dieci minuti, direi che possiamo buttarci sulle torte. Chi le taglia?»

 

Ho la pancia piena come un uovo e sto per vomitare.

Mi vogliono male in quest’ufficio, chiaramente. Ho assaggiato tutte le torte e fatto il bis di due, le più buone: quella scelta da Thomas e Rachel e quella scelta da… beh, Christian. Il fatto è che non ho la più pallida idea di come abbia fatto a capire che amo la combinazione menta-cioccolato e la sua torta era, appunto, una After Eight. Deliziosa.

Sì, è stata lei la vincitrice. Quella ufficiosa, intendo. Ufficialmente ho fatto vincere la torta diplomatica di Thomas e Rachel. Ma sono sicura che Christian abbia colto l’espressione di pura estasi che ha pervaso le mie membra quando ho assaggiato la sua. Ha tenuto quel sorrisino soddisfatto sul volto per tutto il tempo.

Quando tutti torniamo di sotto, mi dirigo senza pensarci due volte nel mio ufficio, lieta di rivedere le cose a me familiari. Sposto le tende in modo che passi la luce e resto senza fiato quando noto un mazzo di rose rosse sulla scrivania.

Sorpresa, non riesco a fare a meno di sorridere. Ora mi sente quel codino biondo completamente impazzito! Ha avuto anche il coraggio di scrivere un biglietto? Ha proprio esagerato con questi…

“Sono felice che ti sia ripresa. Sei bellissima. E.”

Rabbrividisco da capo a piedi e getto il biglietto sulla scrivania come se mi avesse morso. Ho il cuore che batte all’impazzata e mi accorgo, grazie alla brezza leggera che soffia dalla finestra, di avere la fronte imperlata di sudore.

«Non capisco proprio perché tu non mi abbia fatto vincere. Sei una testarda e pensavo che avessimo trovato un accordo riguardo alla tua- ehi, tutto bene?» Christian piomba provvidenzialmente nel mio ufficio beccandomi a fissare il fascio di rose come se fosse un alieno. Si avvicina cauto alla scrivania e segue il mio sguardo atterrito per poi emettere un “oh” alquanto perplesso.

«Portali via.» Mormoro, immobile. «Ti prego.»

Christian fa il giro della scrivania e avvicina una mano al mio viso, senza però toccarlo. Sembra averci ripensato. Torna a guardare i fiori e poi legge il biglietto.

«“E”?» Aggrotta le sopracciglia. «“E” di…?»

«Ethan.» Rispondo in un soffio.

«Chi? Quel maniaco che mi ha dato un pugno?!» La sua fronte si distende per il tempo necessario a fargli ricordare l’accaduto, poi si acciglia nuovamente. «Sul serio?! Come sa che lavori qui?»

«Lui… abita al piano di sotto…» Deglutisco a fatica per continuare. So già che Christian mi ucciderà per non averglielo detto. La cosa bella è il fatto che non l’abbia scoperto già. Quel montato di Ethan non gliel’ha detto che abitava sotto di me? «Come fa a sapere che mi sono ripresa se ho passato la settimana da Anne?»

Il brillante redattore non sembra per niente scalfito dalla mia domanda indagatrice. Non credo per disattenzione, no. E nemmeno per menefreghismo. Semplicemente la sua mente non sarà andata oltre la prima informazione recepita.

«Cosa? Lui abita al piano di sotto?!» La sua espressione è a dir poco furibonda. Gli occhi azzurrissimi sono spalancati e sono fermamente convinta che voglia farmi morire in modo lento, doloroso e pressoché infinito. «Stai scherzando.»

«Ehm, no.» Dico, la vocina piccola e sottile.

Christian alza una mano e istintivamente stringo gli occhi, pronta a… non so, essere schiacciata come una zanzara tigre contro la parete immacolata. Lui però non vuole colpirmi – eh, ci mancherebbe sai – ma si porta semplicemente la mano nei capelli, seguendone la superficie perfettamente tirata a lucido. Espira lentamente. È arrabbiatissimo.

«Non osare farmi un’altra paternale, sai?» Dico, quando torna a piantarmi quei diamanti blu pungenti e spigolosi negli occhi.

«Se l’avessi saputo prima…» Sibila, a denti stretti.

«Cosa?» Alzo le braccia. «L’avresti chiuso in casa o mi avresti rapita e portata nel tuo appartamento?» Mi rendo conto che sto alzando la voce e inspiro profondamente per calmarmi. Non ho voglia di litigare, ho mangiato troppi dolci e non riesco a trovare abbastanza cattiveria per battibeccare col mio caro omonimo.

«Quando torniamo dal viaggio tu ed io andiamo a vedere quegli appartamenti.» Mi intima, puntandomi il dito contro a mo’ di monito.

«O cosa, mi sculacci?» Non so davvero cosa mi prenda. Giuro che non avevo intenzione di rispondere così. Semplicemente, la sua abitudine di comandarmi a bacchetta mi infastidisce più di ogni altra cosa al mondo!

Christian sta facendo uno sforzo per non fare qualcosa di davvero brutto. Ha le narici dilatate e lo sguardo più ostile che abbia mai visto.

Senza dire una parola, fa marcia indietro e se ne va dal mio ufficio, sbattendo la porta e facendomi sussultare. Resto a fissare il vetro che vacilla con le labbra schiuse e il cuore che mi scalpita nella gabbia toracica.

Santo cielo, ma guardate che mi tocca fare adesso!

«Ehi, dove correte tutti?» Domanda allegro Danny, ma quando vede la mia espressione il suo sorriso si spegne di botto.

«Dov’è andato Duke?» Chiedo, tesa, quando vedo che il suo ufficio è aperto e tristemente vuoto.

«È volato per il corridoio esattamente cinque secondi fa.» Indica col pollice la reception e io mi ci precipito senza nemmeno ringraziarlo. Faccio la stessa domanda ad Alexandra, che risponde nel medesimo modo, aggiungendo qualche secondo.

Non so davvero cosa sto per fare.

Con uno sbuffo esasperato mi dirigo verso la grande porta a vetri e scendo le scale di corsa, nel tentativo di beccare Christian ancora per strada.

ECCOLO!

Con un balzo in avanti degno della Vedova Nera, lo afferro per un braccio e lui si ferma, voltandosi prima di attraversare la strada.

«Elettra…» Mi guarda stupito, incredulo di vedermi proprio davanti a lui. Sono meravigliata anch’io, se è per questo.

«Ciao…» Ridacchio, adesso non troppo convinta di aver fatto la scelta giusta seguendolo.

Lo stupore dura poco, lasciando spazio alla freddezza glaciale di poco prima, e con essa Christian si tira indietro liberandosi anche dalla presa sul suo braccio.

«Cosa vuoi?»

Deglutisco per prendere tempo e poi farfuglio con un’alzata di spalle: «Controllo che tu non faccia danni.» Lui mi guarda con un’espressione che, tradotta in gergo moderno, potrebbe essere solo espressa con un “WTF?!” e io mi affretto ad aggiungere: «E inoltre voglio il numero del tizio che ti ha cambiato la porta.»

Christian mi scruta impassibile per un istante, poi scoppia in una risata alquanto isterica, che sebbene sia tale almeno mi tranquillizza un po’.

«Sei così… Elettra.» Dice, scuotendo la testa, mentre si riprende dall’attacco di risate.

«E cos’è, un’offesa?» Domando accigliata.

Lui sospira, perso nel mio sguardo. «No... sei tu. Sei così, prima mi fai incazzare a morte e poi con una frase idiota riesci a calmarmi all'istante.»

Se quello non è uno sguardo innamorato io non so proprio cosa potrebbe esserlo.

«Q-questo perché ormai ho capito come funzioni e sfrutto la cosa a mio favore. Tzè.» Balbetto, imbarazzata. Quello sguardo mi ha toccato fin dentro le viscere.

«Dovrei farti licenziare per quanto sei fastidiosamente saccente.» Replica lui, puntandosi le mani sui fianchi.

Faccio lo stesso e lo guardo con aria di sfida. «E perché non lo fai?»

Proprio quando i suoi occhi stanno indugiando pericolosamente sulle mie labbra, Rachel appare alle nostre spalle ed esclama stridula: «Si può sapere cos’ha questo marciapiede che vi fa sempre litigare?»

Sono sicura che Christian sta pensando: “Si può sapere perché non riesco mai a baciare questa benedetta ragazza?”

In effetti, colgo una traccia di impazienza mista ad esaurimento nel sospiro di Orione.

«Non saprei, tu che dici?» Mi chiede, alzando un sopracciglio.

Sono talmente confusa da tutti questi sguardi e quei sospiri e Violet che non la smette di parlare, che non riesco a trovare una risposta decente.

«Su, fate pace. Da bravi bimbi.» Propone la malefica Rachel, tirandoci nel suo rifugio per i caffeinomani.

«Nooo, non voglio!» Non voglio dover passare ancora del tempo con lui! Lui è pericoloso!

«Come puoi resistere alla tentazione di qualcosa di caramelloso?» Ecco, vedete? Lui conosce tutti i miei punti deboli!

«Ooooh, vi odio!» Biascico, mentre mi lascio trascinare verso le dolci tentazioni di Christian e il caramello. E verso l’obesità più totale.

 

**********

 

Ho sempre pensato che la zia Libby somigliasse a Kathy Bates. Sì, insomma, la “Molly Brown” di Titanic. Ha la stessa corporatura, lo stesso taglio vaporoso e gli stessi occhi vispi.

Dopo aver fatto la conoscenza dei due nuovi pappagallini e del rimpiazzo del povero vecchio Sandokan, glorioso gatto persiano morto alla veneranda età di diciassette anni, zia Libby mi fa accomodare su uno dei divani color verde pistacchio che riempiono il suo salotto.

«Allora, disgraziata, come stai?» Chiede sorridente, incrociando le dita fresche di manicure. Si tratta ancora bene, la zia.

«Sto bene, direi. Il cambiamento si è rivelato sorprendentemente semplice, in confronto alle aspettative. Mi piace molto, qui.» Sorrido, ed è vero. Miami è proprio una bella città.

«Il lavoro come va?»

Dovete sapere che la zia Libby non è una di quelle zie che fanno domande a caso, magari sempre le stesse – che tu abbia dieci anni o trentanove – quando ti vedono. Sono quasi sicura che, pur non aspettando la mia visita, sa bene dove andare a parare in questa conversazione. È troppo arguta. Le laccano anche il cervello insieme alle unghie?

«Va bene. Sono stata accolta positivamente…» Mormoro, lasciando cadere la frase.

Se per positivamente intendi da colleghi simpatici e gentili e da un capo che ti muore dietro, beh, magari hai usato un piccolo eufemismo.

Eccolo lì. Lo sguardo indagatore della zia Libby. Mi affretto a cambiare argomento.

«E tuuu, piuttosto? Diventerai nonna! Ma ci pensi?» Esclamo con un sorriso smagliante.

Pessima, pessima scelta. Non dovevo dirlo con così tanto entusiasmo. Mi sono praticamente puntata i riflettori addosso.

«Come si chiama, cara?»

Deglutisco a vuoto.

«Chi?»

«L’uomo che ti sta facendo perdere la testa.»

«Cosa?!» Scoppio in una risata da persona nevrotica e instabile e lei sorride. Anzi, ghigna. Ah, il gossip. Cosa non può fare alla gente. «Cosa te lo fa pensare?»

Lei fa spallucce, sapendo di aver messo a segno un punto. «Mah. Il fatto che sembra tu abbia le emorroidi, per esempio. Sei seduta sulla punta del cuscino, rigida come il mio povero Napoleone quand’è morto.» Chi? Ah, l’altro gatto. Nomi poco impegnativi, vero?

Mi limito a sorridere, colpevole. Il fatto è che lei ispira troppa fiducia. Fa troppo venir voglia di parlare. E io non voglio parlare.

Perché vuoi continuare a negare l’evidenza, idiota.

«Zia…» Piagnucolo, nascondendomi il viso tra le mani.

«Ho capito, tesoro. Vado a preparare un Bloody Mary.»

Mezz’ora dopo, ho praticamente riassunto gli ultimi mesi a una Libby sempre più attenta e partecipe. Le sue guanciotte si riempiono di soddisfazione quando le mostro una foto di Christian.

«Anne aveva ragione. Manzo di prima scelta, uh?» Mi dà di gomito.

Okay. Questa non è mia zia. Questa è la reincarnazione di Dolly Parton.

Un momento. «Anne? Che ti ha detto Anne?!» Lo sapevo, c’era da immaginarselo. Piccola megera in stato interessante.

«Oh, solo qualcosina. Del tipo che in ospedale ti sorvegliavano centonovantuno centimetri di bicipiti e pettorali. Mica male.»

Alzo gli occhi al cielo e lei scopre i denti sotto le labbra tinte di rosso.

«Dunque, mi pare ovvio che lui abbia intenzioni serie, con te.»

«Serie? No, non credo. Io…»

«Lascia parlare me, d’accordo?» Mi blocca chiudendo gli occhi come se le mie risposte le provocassero un’istantanea emicrania.

Sì, perché dici un sacco di idiozie.

«Ma…»

«Cos’hai intenzione di fare, tu?» Mentre parla, si alza per dar da mangiare al pappagallino numero uno, ovvero Pepito.

«Perché, devo per forza avere intenzione di fare qualcosa?» Ribatto accigliata. Pepito sembra aver capito quello che ho detto e gracchia qualcosa di terribile nella mia direzione.

«Vuoi semplicemente continuare a trattarlo più o meno come il tuo tappetino per la doccia finché non cambia qualcosa? Per esempio, il tuo cervello bacato?» Domanda lei scandendo piano le parole, con un’espressione innocente. Come se non mi stesse dando dell’idiota.

Sbuffo e mi sistemo meglio tra i cuscini. «Per voi è tutto facile!» Esclamo, stufa. «Fai questo, Elettra! Dici quello, Elettra! E tu perché non ti sei più risposata dopo zio John?» Chiedo, forse con troppa veemenza. Ops. Magari questo è un tasto che non avrei dovuto toccare.

Mi aspetto di essere mandata a cogliere ma zia Libby soppesa la mia domanda con una strana luce negli occhi.

«Perché non ho mai trovato nessuno come lui.» Dice, infine. Guardo la foto che li ritrae felici e spensierati qualche mese prima che venisse a mancare e mi lascio andare in un sospiro.

«Tu credi di poter essere felice con lui, Elettra?» La domanda squarcia l’aria come un coltello farebbe con un lenzuolo.

«Non so, io… non credo di conoscerlo abbastanza…»

Lei mi blocca posando una mano sulla mia. «Sì, ma a pelle… il tuo istinto cosa ti dice?»

Guardo i suoi occhi limpidi e sinceri e ci penso. Il mio istinto – se non consideriamo Violet, che è il mio basso istinto – mi dice che sì, potrei provarci. Forse Christian è davvero la manna dal cielo, ma in tal caso perché avrebbe scelto proprio me, con un mondo di ragazze a sua disposizione? Meno complicate, meno isteriche, meno idiote?

Non faccio in tempo ad esternare queste mie perplessità che la mia perspicace zia coglie subito il punto.

«Tu hai paura. Ed è comprensibile, dopo quello che è successo con colui che porta il nome di tuo zio ma non ha nemmeno un decimo dei suoi attributi. Sai che succede, piccola mia, quando non si è più abituati a ricevere amore? Succede che non ti fidi più, che preferisci restare solo. Succede che quando qualcuno ti dice che ti vuole bene davvero, tu sorridi e pensi ‘come no’. Succede questo, e quando trovi qualcuno che ti ama davvero, muori di paura.(*)» Le sue parole sono quanto di più doloroso io abbia sentito negli ultimi tempi. «Devi ricominciare a fidarti delle persone. Christian è un’ottima partenza.»

Annuisco lentamente ma resto in silenzio, perché so che se parlassi la voce mi si incrinerebbe. Il fatto è che ha ragione, così come ce l’avevano le tre Marie scellerate prima di lei. Non a caso una è sua figlia.

«Lo vuoi un consiglio dalla tua vecchia zia e il suo Bloody Mary Bum Bum Bum?» Chiede, scimmiottando la canzone di un vecchio film e strappandomi un sorriso. «Approfitta del viaggio per conoscerlo meglio. Smonta per un po’ la corazza dell’ultimo samurai che ti ritrovi e passa del tempo con lui. Spassionatamente. O passionatamente, se te la senti.» Quasi le lancio il mio bicchiere addosso ma mio malgrado mi ritrovo a ridere.

«Va bene vecchia bacucca. Ci proverò.» La abbraccio forte, contenta di averla rivista e, sinceramente, anche di essermi confidata con lei.

 

**********

 

“I passeggeri del volo DF660 sono pregati di recarsi all’imbarco.”

«Mica è il nostro?»

«Ti risulta che il nostro sia diretto alle Mauritius? Ci senti o l’alta quota ti ha già otturato le orecchie?!»

FHISJSJADSBUSHH.

«Ahia!»

Scene d’ordinaria follia in un ordinario aeroporto tra due ordinari colleghi di lavoro.

Beh, in realtà di ordinario non c’è proprio nulla, a partire dal gruppo sgangherato di cui faccio parte, passando per la valigia extra large che mi ha prestato Anne e concludendo col mio nuovo compagno di giornale. Sì, sto dividendo il quotidiano con Christian e ho sbuffato soltanto una volta. Faccio passi da gigante, vero?

«Christopher, vuoi un caffè?» Mormora Danny, forse per salvarlo dalle grinfie di Clara la nevrotica prima che si azzuffino per un semplice volo aereo.

«Ma io non avevo sentito, perciò ho domandato!» Si sta giustificando ancora il povero webmaster mentre Danny lo trascina verso il bar.

«Ditemi, fanno spesso così?» Domanda confuso Martin, che alla fine ha deciso di partecipare con la nuova fiamma Phoebe. Ma non ditelo a nessuno o perderà il titolo di bello e dannato cinquantenne in auge, anche se fiuto una storia seria, sì, sì.

«Solo quando Clara è sessualmente frustrata.» Rispondo. Il che si verifica praticamente sempre, e dall’occhiata che le rivolge Martin noto che è cosa risaputa anche nei piani alti.

«Anche loro due sono sessualmente frustrati.» Interviene Rachel, indicando me e Christian.

Ma come le salta in mente di dire una cosa del genere davanti a Macmillan?!

Le tiro uno schiaffo senza farmi notare troppo. «Cretina!»

«E questo cosa vorrebbe sottintendere, che a Clara piace Christopher?» Ribatte confusamente il boss cercando di associare le due cose sulla base della verità universalmente accettata che io e Christian ci piacciamo. Assurdo, vero?!

«Non vuol dire assolutamente nulla.» Borbotto e scatto in piedi, trascinando la prima persona che mi trovo davanti – Lily – in direzione di non so cosa.

Non facciamo neanche mezzo metro che veniamo sballottate da qualcuno che stava correndo. Alzo gli occhi e ne incrocio un paio alquanto familiari.

«Di nuovo l’idiota della pista di Monza? Ma ce l’hai per abitudine?!»

Il giovane uomo scoppia a ridere profondendosi in scuse e, come prevedibile, prova a offrirmi di nuovo un caffè.

«Il lupo perde il pelo ma non il vizio…» Faccio schioccare la lingua, annoiata.

«E nemmeno la speranza.» Replica lui con un sorriso smagliante mentre si passa una mano tra i capelli scuri.

«No, grazie…» Indugio sul nome che non conosco.

«Marcel.» Mi aiuta lui, con un piccolo inchino.

«Sì, Marcel, è stato un piacere scontrarsi di nuovo con te, ma vedi-»

«C’è qualche problema?» Quando Christian appare accanto al bel francesino – solo adesso che ho saputo il suo nome ho realizzato cosa avesse di strano il suo accento – d’un tratto il suo charm da Petit Prince svanisce come una bolla di sapone dopo un tête-à-tête con un riccio di mare. La bellezza di Christian offuscherebbe quella di parecchi, parecchi uomini, e la sua altezza e forma fisica direi che ne intimorisce almeno la metà di loro.

«No, nessuno.» Mi affretto a dire, prima che Orione s’infiammi di gelosia. Dopo la faccenda dei fiori di Ethan – cosa che lui ha pensato di collegare alle telefonate anonime – sta sempre sull’attenti quando un portatore di testosterone mi gira intorno troppo a lungo. «Il ragazzo è scivolato e voleva offrire un caffè a Lily per scusarsi, ma gli stavamo giustappunto spiegando che il suo ragazzo è proprio lì al bar che ci guarda, e quindi…»

«…stavo tagliando la corda.» Marcel capisce tutto al volo e sparisce altrettanto velocemente prima che Christian lo incenerisca.

«Chi era quel tizio?» Si informa Danny comparendo alle nostre spalle, rivolto principalmente a Lily. Ho notato che anche lui squadrava il povero Marcel come un falco, prima. Lily gli strappa di mano il suo shakerato e dopo averlo sorseggiato rumorosamente glielo restituisce facendo spallucce.

«Un tizio.»

Quando Danny sposta lo sguardo su di me per avere qualche notizia in più, non posso fare a meno di sorridere per la malcelata apprensione nella sua espressione apparentemente disinteressata. Christian si sposta accanto a lui e gli poggia un gomito sulla spalla. Praticamente è l’unico che può farlo tra noi, vista l’altezza da watusso che condividono. Fanno quasi paura e quasi schifo, per quanto sono belli. Opposti nei colori ma entrambi schifosamente attraenti.

Sì, certo, schifosamente.

Danny lo guarda e gli sorride, dandogli una pacca sulla schiena. Due amiconi.

Ah, sì, volevano sapere chi era quel “tizio”.

«Quel tizio mi ha investito all’aeroporto di Roma quando sono partita per Miami. Correva a cento all’ora e mi ha fatto prendere una bella botta al sedere.» Faccio una smorfia e istintivamente me lo massaggio, ricordando il dolore come se fosse ieri. «Visto che è recidivo, voleva scusarsi con un caffè, ma allora come oggi abbiamo rifiutato. Idiota. Avrebbe dovuto pagarmi la visita dall’osteopata, altroché!» Con la battuta salvo un po’ la situazione e torniamo tutti a sorridere spensierati. Poi, quando Christopher e Clara ricominciano a litigare come Tom e Jerry decidiamo di fare un giro prima che Danny li prenda di peso e li spedisca sul primo aereo per lo Zimbabwe.

In quel momento, Tony ci raggiunge e mi circonda le spalle col braccio, pizzicandomi la guancia con due dita.

«Allora, ce lo fai o non ce lo fai il siparietto caraibico con quel completino dei camerini, mia adorabile geisha?»

Gli tiro una gomitata che lui aveva evidentemente previsto perché la scansa con poca difficoltà.

«Di che stai parlando, mio adorabile idiota?» Chiedo vagamente isterica ma senza farlo notare troppo, cercando di trasmettergli mentalmente che se non cambia argomento all’istante sarà morto entro la fine del prossimo minuto.

Danny e Lily – ma soprattutto Lily – hanno già teso occhi e orecchie per capire di che sta parlando quel cialtrone.

«Ti verso l’acido muriatico sulle tue sfere preferite.» Sibilo tra i denti, facendo finta di dargli un bacio sulla guancia, e dall’espressione con tanto d’occhi sbarrati capisco che ci siamo intesi splendidamente.

«Mi aveva promesso di insegnarmi a ballare la danza del ventre, ma è talmente cattiva questa ragazza… cattiva.» Dice, salvandosi in calcio d’angolo. «Sei cattiva, frrrr.» Borbotta, trasformandosi in un gattaccio dispettoso che, fortunatamente, è talmente convincente da far distogliere lo sguardo ai due curiosoni che tornano a tubare in pace. Quando non ci guardano più, Christian tira l’orecchio a Tony.

«Aaaaaaaahiaaaahairagionescusa!» Orione lo lascia sorridendo e io non posso non alzare gli occhi al cielo, divertita. «Non lo faccio più, va bene. È solo che è davvero uno spreco, capisci… tu sprechi questo ben di Dio e... d’accordo, ho capito, non c’è bisogno di aggiungere altro.» Cambia rotta quando Christian gli lancia un’occhiata fulminante degna del più incavolato degli Zeus.

«Ciaooooooooo!» Una Alexandra sorridente ed eccitata saluta il gruppo con un bacio generale soffiato in aria. Marilyn Monroe la vendetta. Quando la vedono, tutti si alzano in piedi e iniziano a raccattare la loro roba. Stavamo aspettando lei per fare il check-in, visto che a sua detta è la prima volta che prende l’aereo e non sapeva come fare. Contenta lei. Non stiamo qui senza poter fare nulla e lei arriva pure in ritardo. Come se non mi fosse già simpatica abbastanza!

«Non guardarla come se fosse un sondino gastrico. È una brava ragazza.» Mi sfotte Christian, sempre pronto a cogliere ogni mio sguardo, sospiro, smorfia o guizzo del sopracciglio.

«Il sondino gastrico devi sopportarlo per un quarto d’ora al massimo. Pensavo più a un catetere, vista la mia recente esperienza in ospedale…»

«Da quando ti sta così antipatica?»

Da quando ho scoperto che ti va dietro.

«Mpf, non lo so. Da sempre. Con quel sorriso alla Monna Lisa e quegli occhioni da cucciolo indifeso. Puah. È delle santarelline che devi preoccuparti…» Scuoto la testa, bofonchiando una specie di sermone sulla presunta innocenza delle ragazze con l’aria smarrita mentre ci avviciniamo alle sedie dove erano appostati gli altri.

Sollevo il mio valigione che più che un bagaglio sembra un mobile a quattro ante – e non passa nemmeno inosservato, visto che è di un color melone decisamente acceso e molto lucido – e appendo la tracolla sulla spalla, barcollando appena quando mi metto in moto carica come un somaro. Sarà anche più capiente, questa valigia, ma pesa quanto due morti. Anne me l’ha voluta prestare sostenendo che mi sarebbe servita più roba essendo così lontana da casa, in un paese che lei crede essere al pari del precedentemente citato Zimbabwe.

«Vuoi una mano?» Christian ridacchia guardando il mobile aranciato e, senza attendere una risposta o un cenno affermativo, sposta la mia mano e afferra il gancio per trascinarla praticamente senza sforzo. Ha almeno la decenza di avere le rotelle, la valigia... pure funzionanti, devo ammettere. Sempre meglio della mia.

Mi schiodo da terra quando lui è a una ventina di passi più avanti e mi schiarisco la voce prima di parlare. «Ehm, grazie. Vuoi che ti porti la borsa?» Mi fa pena caricato di un mobile, di un trolley di dimensioni normali – perché gli uomini sono così efficienti? – e del suo bagaglio a mano, una tracolla simile alla mia.

«Non preoccuparti, ce la faccio.» Mi domando se dovrei insistere. «Hai portato anche Anne e Cooper?» Ride, indicando l’armadio. Sono talmente tesa e imbarazzata che non posso fare a meno di unirmi alla risata.

«Beh, da momento che me l’ha prestata così grande ho pensato di riempirla bene.»

«Con scorte di cibo per l’intera durata del soggiorno? Guarda che abbiamo l’all inclusive, non c’era bisogno…» Continua a prendermi in giro, ma in un modo che non mi dà fastidio. Gli mollo uno schiaffo sul braccio e lui ride, le guance sollevate e gli occhi divertiti. Sembra felice. Sono io a renderlo così?

«Mi prendi il biglietto e il passaporto dalla borsa, per favore?» La sua domanda mi distoglie dalla mia.

«Certo.» Mormoro, senza sapere dove mettere le mani. La cerniera della borsa è proprio davanti al primo bottone appuntato della camicia sportiva che indossa. Mentre la apro, ne sfioro la stoffa e il suo profumo inizia a solleticarmi le narici. È già abbastanza invitante quando sono a distanza di sicurezza, ma adesso che sono a un palmo dal suo collo mi destabilizza parecchio. Trovo la cartellina coi documenti al primo colpo – che fortuna! – e richiudo la zip come se, a inspirare di nuovo, mi sarei potuta giocata il cervello.

Cervello? Quale cervello?

Dopo aver fatto la coda al check-in e passati i controlli di sicurezza, ci sistemiamo al piano di sopra aspettando che chiamino il nostro volo. Christopher ha finalmente smesso di andare nel panico ad ogni annuncio e così ha scongiurato la sua dipartita per la Papua Nuova Guinea. Stringo la mia bella tracolla viola contenta di essermi liberata del mostro arancione e, a tal proposito, cercando anche di dimenticare la mia gigantesca figura di escremento allo stato liquido quando, al check-in, la valigia non passava nell’apposito spazio per mandarla all’imbarco. Tra l’altro quando l’ho sollevata – cioè, quando Christian l’ha sollevata – credevo non rientrasse nei minimi consentiti per un bagaglio. Invece sì, come mi aveva assicurato Anne, ovviamente. Sarà il colore a farla sembrare più grande? O sono gli altri che hanno portato una pochette in confronto? Dubbi amletici pre-partenza.

Mezz’ora dopo la voce gracchiante ci avverte di metterci in fila al gate. Abbiamo fatto giusto in tempo, penso con un sospiro. Vorrei ben dire, per colpa di quella scansafatiche di Marilyn stavamo anche per perdere l’aereo! Lo vedete che la mia antipatia è più che giustificata?!

Quando metto piede sulla scaletta metallica, inizio ad avvertire la stretta allo stomaco. Rachel dietro di me si affaccia per invitarmi a proseguire, visto che ho rallentato la coda, e io mi faccio coraggio. Un passo dopo l’altro mi avvicino alle hostess che ci accolgono e ci indicano il nostro posto. Sbaglio o quest’aereo è più piccolo del solito? No, sono paranoica. Paranoia pura, sì. È tutto normale. Quante ore di volo sono? Poche. Sì. Poche. In un batter d’occhio saremo arrivati.

Mi sistemo al mio posto e subito dopo arriva Lily che si sistema accanto a me. Le sorrido poco convinta e lei si guarda intorno alla ricerca del suo amato. Lo trova due file dietro di noi, seduto accanto a Christian.

«Oooh, sei laggiù!» Inizia a mugolare, beccandosi un’occhiata malevola da parte di una hostess dall’aria intransigente.

«Signorina, le consiglio di non voltarsi e di allacciare le cinture di sicurezza.» Le dice, facendola sbuffare.

«Spero proprio che le si rompa un tacco. Cicciona.» Fa una smorfia e mi guarda. Io sono già parecchio allacciata – se possibile mi allaccerei anche la sua cintura – e più che parecchio nervosa. «Oh, no. Non mi dire che hai paura di volare.»

«Certo che non ho paura. No, non si vede?!» Gracchio, stridula. Suppongo di avere anche gli occhi iniettati di sangue, a questo punto.

«Oh, cielo.» Lily si appoggia al sedile e si fa aria con uno dei fogli delle emergenze. «Anche io ho un po’ paura e non posso sedermi vicino a una persona già impanicata, oh no.» D’un tratto è diventata bianca come la camicia della hostess cicciona.

«Vattene! Vattene vicino a Danny, forza!» Strepito con un gesto stizzito della mano. Non voglio più sentire gente parlare. State zitti e fate partire questo dannato affare! Oddio, oddio.

Oddio, stanno chiudendo la porta.

Ho la netta sensazione che moriremo, o ci schianteremo come in Grey’s Anatomy. E poi Mark dirà finalmente a Lexie che la ama, e lei morirà, e poi anche lui morirà, e poi-

«Signore, le posso chiedere di prendere posto?» Dice un’altra hostess a qualcuno proprio vicino a me.

«Sì, ecco fatto.» Risponde lui, sprofondando nel sedile accanto al mio. «Ciao.» Christian mi sorride, per niente sorpreso di vedermi rilassata come un uomo che cammina scalzo sui carboni ardenti e in più, accidentalmente, inciampa in un porcospino. Sì, sono rilassatissima.

«Christian…» Piagnucolo, cercando un po’ di conforto. Ho già volato con lui e spero che anche stavolta riesca a tranquillizzarmi. ODDIO STIAMO PARTENDO. Moriremo. Cioè, per forza. C’è Clara che porta una sfiga colossale e l’hostess cicciona che pesa troppo per questo aereo!

«Vuoi?» Christian mi riscuote porgendomi una cuffia del suo iPod. Sto quasi certamente per morire ma ciò non vuol dire che non possa farlo con della sana musica nelle orecchie, giusto? Prendo la cuffia e mi preparo ad ascoltare la selezione musicale di Christian. Chissà che gusti ha. Se ascolta roba metal giuro che mi paracaduto senza pensarci due volte.

Quando sento le prime note di Love Somebody, dei Maroon 5, spalanco la bocca. Gli piacciono i Maroon 5? Gli piacciono i Maroon 5?!

«Che c’è, credevi di essere l’unica?» Dice leggendomi nel pensiero. Sono scioccata e quasi non mi accorgo quando l’aereo inizia a decollare.

Non è vero, me ne accorgo troppo.

Christian mi stringe la mano e Adam inizia a cantare. Quando torniamo diritti, tira fuori un Mars formato mini dal taschino della camicia e me lo porge con un sorriso dolcissimo.

 

#But if I fall for you, i’ll never recover

If I fall for you, i’ll never be the same#

 

La verità di quelle parole mi viene sbattuta in faccia come una porta blindata e non riesco a distogliere lo sguardo da quello di Christian mentre la canzone prosegue.

 

#I know we’re only half way there

But you can take me all the way#

 

Prendo il Mars e Christian mi fa appoggiare sulla sua spalla. Il cuore mi batte forte mentre mi accarezza delicatamente il braccio; mi sa che morirò per altre cause, inutile dare la colpa all’aereo.

 

#Love me today, don’t leave me tomorrow#

 

Sollevo il viso a questa frase e Christian mi stringe ancora di più, scuotendo lentamente la testa per dire che no, non mi lascerà. Ed ecco che Adam ricomincia: se mi innamoro di te, non guarirò più.

Io odio davvero ammetterlo, ma credo che a questo punto sia troppo tardi.

 

 

 

~ Note

Ma buon salve! Ebbene sì, non sono un miraggio ma ho aggiornato davvero! XD

Mi dispiace tanto, troppo per il ritardo. Non posso promettere che i prossimi aggiornamenti saranno più regolari ma ci proverò, sul serio. Grazie anche alle “minacce” via MP XD

Lo so che in fondo in fondo non mi odiate, soprattutto per come è finito il capitolo.

VERO?

So come farmi perdonare, ammettetelo. Almeno, ci ho provato.

Fatemi sapere cosa ne pensate, io intanto ringrazio enormemente la mia fida Cos e la sua abile sostituta #WikiFede, colonne portanti della mia ispirazione, insieme a tutte le altre ragazze del gruppo. Mary, grazie anche a te per il soprannome “Lemon” e per aver dato un tocco in più alla zia Libby col suo Bloody Mary! Siete u-ni-che. Visto? So anche fare la divisione in sillabe.

(*) Questa frase, è di proprietà di Francesco Roversi, un talentuoso ragazzo di appena diciassette anni che scrive cose del genere sulla sua pagina Facebook. Facciamo un po’ di sano spam, eccola qui.

Non mi resta che dire: PANAMA ARRIVIAMOOOOOOO!

Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo e beccatevi un miliardo di abbracci per le stupende recensioni che mi lasciate e per i numeri di preferite/seguite che aumentano sempre più. Mi fate piangere.

All yours,

Sara.

 

P.S.: In arrivo una grandissima sorpresa per i fan di Rachel e Tom :D (Così non ti puoi più tirare indietro, Cos! BWAHAHAH )

 

   
 
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