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Autore: Mordreed    26/08/2013    2 recensioni
Mentre qui in Italia ci struggiamo in attesa dei due capitoli conclusivi di questa meravigliosa saga, nessuno ci impedisce di immaginare possibili situazioni e scenari futuri per ingannare il tempo e allevare le nostre sofferenze mentre aspettiamo che la Rizzoli pubblichi finalmente gli ultimi due libri. Perciò questa mia storia è la mia personale visione del quinto libro. Riprende subito dopo la fine di 'Promessa di Sangue' e descrive possibili scenari futuri. Cosa succederà a Rose ora che è tornata? Il rapporto con Lissa sarà ancora come quello di una volta? E Dimitri sarà per lei un sogno amaro o un piacevole incubo? Lo spirito spingerà le ragazze in direzioni impensabili? Per Rose e Dimitri c'è ancora speranza? E la società dei Moroi è a un punto di non ritorno?
Tutte domande che troveranno risposta in questa serie. Spero vi piaccia e ci tengo molto a sapere che ne pensate!
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Click. Click. Click.
Mi trovavo da sola negli spogliatoi della palestra dopo una sessione di allenamento libero.
Avevo addirittura saltato la cena per dar sfogo alla rabbia e scaricare l’elettricità che crepitava nei miei muscoli tesi.
Evitai di accendere le luci e di far troppo rumore. Qualche guardiano avrebbe potuto beccarmi lì dopo il coprifuoco e punirmi.
Perciò l’unica luce era quella che entrava dai vetri sigillati delle finestre. Un debole chiarore lunare che alternava zone di luce a zone di profonda tenebra.
Ero sola questo lo sapevo.
Click. Click. Click.
Eppure.. non riuscivo a togliermi dalla testa quella imbarazzante sensazione che qualcuno, nascosto nell’ombra, mi stesse fissando.
Click. Click. Click.
Una delle docce gocciolava scandendo un ritmo preciso, lento e ipnotico.
Un ritmo angosciante che non faceva altro che accrescere la mia ansia.
Click. Click. Click.
Decisi di ignorare quell’insensata paura.
Qualcuno una volta mi aveva detto:
“Non hai nulla da temere se hai il coraggio di guardare il buio. Dentro il buio”
Forse quella sera quel coraggio mi mancava.
Click. Click. Click.
Ok. È solo acqua.
Decisa a vincere quel sentimento d’ansia cominciai a sfilarmi la canotta restando in reggiseno.
Avrei continuato a fare quello che dovevo. Come se non avessi nulla da temere.
Perché in fondo, era proprio così.
Ma quando la mia canotta cadde su una delle panche vuote e scrostate la sensazione di due, o forse più, paia d’occhi che mi trafiggevano la schiena aumentò vertiginosamente.
Questo mi bloccò dal procedere nel spogliarmi. Indugiavo sui lacci dei pantaloni della mia tuta e potei giurare di aver sentito un risolino leggero. Come portato dal vento notturno che animava le fronde dei sempreverdi la fuori.
E allora un dubbio mi balenò alla mente..
“Adrian se sei tu..”
La mia voce tremò e non sembrò affatto dura e minacciosa come volevo. Mi sentivo stupida a parlare al buio che mi circondava ma anche.. terrorizzata.
“.. se sei tu.. giuro che..”
Ma non conclusi quella finta minaccia perché in qualche modo adesso sapevo che c’era qualcuno e che quel qualcuno non aveva gli occhi verdi e dolci di Adrian.
Una brezza leggera mi sfiorò la schiena.
Spalancai gli occhi e mi voltai pronta a difendermi, ma.. non c’era nessuno.
Di nuovo quel vento passò rapido e fulminio a sfiorarmi la schiena.
Mi voltai ancora ma niente.
Attesi e al rumore delle gocce che dall’erogatore cadevano sul pavimento piastrellato della doccia, si aggiunse quello martellante del mio cuore.
Di nuovo quella brezza innaturale mi sfiorò le braccia provocando brividi intensi sul mio corpo sudato e svestito.
Mi voltai ancora di scatto e sentii letteralmente il cuore salirmi in gola. Soffocandomi.
Questa volta c’era qualcuno.
“Rose”
La sua voce mi scatenò lo stesso effetto che si ha nel guardare un mare in tempesta contro un cielo macchiato d’inchiostro. Nel vedere la natura morire nella fredda morsa dell’inverno o della pioggia che scivola su una finestra in un pomeriggio d’autunno.
Malinconia. Struggente dolcezza. Incantevole tormento.
Il mio cuore non poté sopportarlo.
“Rose”
Ripeté Dimitri afferrando le mie braccia e scuotendomi.
Ero come pietrificata. Come un umano difronte allo sguardo di Medusa.
“Rose. Rose guardami”
La sua voce assunse un’urgenza improvvisa e inaspettata, tale da scacciare il torpore che mi soffocava.
Fissai le sue labbra mentre ripetevano la parole ‘Guardami’.
Ma io non ne udivo il suono.
Alla fine obbedii.
Lo guardai e pensai davvero di impazzire.
Scossi il capo incapace di credere a quanto vedevo.
No. No. No. Non era possibile.
Lui mi fissava in silenzio, con una determinazione che gli avevo solo visto in battaglia.
Mi diceva, anzi mi pregava in silenzio di credergli.
Ma io non ne ero capace.
Perché quello che vedevo, era davvero il suo viso.
Erano davvero i suoi occhi.
Caldi, scuri, brillanti e.. tormentati.
Nessuna striatura di rosso li macchiava o ne occludeva l’anima.
Il suo viso era davvero animato da tutte quelle emozioni. Non era più una semplice maschera di fredda rabbia e spietata crudeltà.
Era il viso di Dimitri. Erano i suoi occhi, quelli di quando era ancora umano.
Mentre le mie difese cedevano come pietre difronte a un torrente, lui approfittò di quel momento per colpirmi definitivamente.
Mi prese la mano destra e lentamente la condusse al centro del suo petto.
Lo sentivo.
Batteva. Di nuovo.
La mia mano giaceva li, nello stesso punto in cui, più e più volte, avevo sognato di piantargli un paletto.
La mia gola era cartavetrata. Le parole mi morirono più volte dentro, prima di raggiungere la bocca.
Alla fine riuscì a dire, con la voce più bassa e rotta che avessi mai udito:
“C-come?”
Lui sembrò rilassarsi. Sentii il suo cuore accelerare e le sue spalle afflosciarsi.
Sapeva che ormai avevo compreso che era lui.
Dimitri Belikov.
Un dhampir, un guardiano e l’uomo che amavo.
“Non posso spiegarti adesso..”
Rispose lui scuotendo il capo e fissando con circospezione le tenebre dietro di noi.
“Dimmi solo..”
“Rose!”
Mi interruppe lui scuotendomi e tornando a parlare con la stessa urgenza di poco prima.
“Rose ascoltami.. non possiamo parlare adesso. C’è qualcosa di cui devi occuparti ora..”
Continuava a fissare il buio oltre la mia schiena. Incuriosita mi voltai anch’io ma non vidi nulla.
E fu in quel momento che le sue mani roventi, abbandonarono le mie braccia.
Mi girai allarmata ma lui non c’era più.
Scomparso nello stesso modo in cui aveva deciso di rivelarsi.
Dal nulla. Inaspettatamente.
Mi ritrovai di nuovo sola in quella stanza buia.
Click. Click. Click.
Era tutto come prima.
La canotta sudata sulla panca, la doccia che gocciolava, il borsone accanto ai miei piedi.
Nessun segno che testimoniasse il fatto che Dimitri era stato li fino a un secondo prima.
Mi presi la testa fra le mani e chiusi gli occhi frustrata.
Stavo forse impazzendo?
Click. Click. Click.
Mi ero forse immaginata tutto?
Click. Click. Click.
Un soffio d’aria gelida mi pizzicò le braccia.
Sollevai di scatto il viso pronta a ritrovarmelo li davanti.
Ma Dimitri non c’era.
Però qualcosa si staccò dalle tenebre davanti a me.
Era un’ombra, così veloce da non darmi l’opportunità di osservarla meglio.
Era un guizzo di oscurità indefinita che si muoveva con agilità sorprendente.
Mi circondò e sembrava che volesse attaccarmi. Io giravo su me stessa nella speranza di capire cosa fosse quel turbinio nero pece.
E poi.. sparì.
Di nuovo ero sola con quella doccia che perdeva.
Click. Click. Click.
Mi stava friggendo il cervello.
Mi mossi decisa a individuare quale delle tante docce fosse, per stringere il rubinetto e farla finita.
Era la doccia numero sette.
Ma ciò che vidi mi colse impreparata.
La mia mano scattò rapida davanti alla mia bocca per impedirmi di urlare e .. vomitare.
Non era acqua quella che gocciolava dall’idrante.
Era sangue.
Sangue umano.
Conficcata lì in alto c’era la testa di un uomo che non conoscevo. Aveva gli occhi chiusi e l’espressione serena della morte.
Sembrava un inquietante sopramobile azteco, ma era reale.
Dal collo in giù, gocce di sangue colavano sull’azzurro delle piastrelle.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Questa volta il suono era diverso e giungeva dalla direzione opposta facendosi sempre più forte e insistente a tal punto da coprire quello del sangue al mio fianco.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Rumore di tacchi a spillo sul pavimento.
Mi voltai nel momento esatto in cui qualcuno usciva dalle tenebre lì infondo e si rivelava.
I raggi di luna bagnarono il viso dell’ospite mostrandomi la sua identità.
Quanto dolore poteva sopportare un cuore prima di smettere di battere?
Era quello che mi chiesi in quel preciso istante.
La luce argentea della luna sembrava far brillare quella carnagione più pallida del solito.
Indossava una giacca di pelle nera stretta in vita che le lasciava scoperti gli avambracci.
Aveva un paio di pantaloni aderenti e scarpe col tacco alto dello stesso colore.
Era lei l’ombra che mi aveva perseguitata.
I suoi capelli, di un biondo innaturale, erano raccolti in un’alta coda di cavallo.
Ma ciò che più mi inquietava non era il suo insolito look o il suo viso che rifletteva una bellezza glaciale e.. vuota.
Erano i suoi occhi.
Freddi. Morti. E circondati da un anello di rosso cremisi.
Il colore del sangue.
Lissa era una.. Strigoi.
“Ciao Rose”
Sorrise. Ma il suo non era un sorriso.
Era un ghigno.
Era la morte che mi rideva in faccia.
“Sono venuta per portarti nel posto in cui dovresti essere da anni”
Quando era comparsa, lo shock e il dolore erano stati così forti da anestetizzare tutto in me.
Era come se qualcuno mi avesse squarciato il petto con un bisturi e adesso, dopo aver perso sangue e aver visto gli organi cedere uno dopo l’altro, non restava più nulla.
Lissa continuò, scambiando il mio silenzio per confusione.
“Il regno dei morti”
Sibilò e tutto quel che ricordo e che la mia mente lenta riuscì a registrare, fu lo scatto di un predatore che balzava su di me e mi ficcava un paletto nel cuore.
 
Aprii gli occhi mentre il mondo intorno a me vibrava come se il più violento dei terremoti fosse in atto.
Poi mi accorsi che era il mio corpo a tremare in preda alle convulsioni.
‘È stato solo un sogno.
Solo un sogno.
Solo un sogno’
Continuavo a ripetermi dondolandomi e tremando sudata nel mio letto.
‘Era un sogno.
Solo un sogno.
Solo un.. incubo’
Mentre snocciolavo quel mantra a bassa voce, la mia mente finì per crederci e calmarsi.
Il battito cardiaco rallentò e improvvisamente, dopo tutto quel caldo e quel sudore, sentii freddo.
Era come se fossi malata. Come se avessi la febbre.
‘Solo un sogno. Solo un sogno’
Mi misi una mano sul petto.
Intatto.
Nessuna ferita sanguinante. Nessun paletto conficcato.
Salii lentamente con la mano sulla mia maglietta zuppa e sentii un rigonfiamento sotto di essa.
Tirai fuori il ciondolo che Adrian mi aveva dato la sera prima.
Era quello intriso del potere dello spirito per aiutarmi a gestire la pazzia che Lissa mi inviava attraverso il nostro strano legame.
Lo strinsi forte tre le mani e quello mi aiutò a calmarmi del tutto.
Era come se sottili e invisibili onde marine mi cullassero, lavando via ogni tensione e paura.
Quando il mio respiro tornò ad essere basso e inudibile mi misi a sedere scostandomi una ciocca di capelli, incollati alla mia fronte madida di sudore.
Era stato solo un incubo.
Adesso ne ero convinta.
Ma prima dovevo fugar via ogni minimo dubbio.
Dovevo controllare che il mondo girasse ancora nel senso giusto.
Chiusi gli occhi e come un bimbo sullo scivolo di un parco giochi, entrai dentro di lei.
Lissa dormiva.
La sua mente era come l’oceano durante la bassa marea.
Calma. Piatta. Limpida.
Era ancora lei. La mia amica. La mia sorella di sangue e compagna di vita.
Nessun pensiero malvagio oscurava la sua mente. Nessuna vibrazione negativa otturava il nostro legame. Lissa c’era. Era viva.
Il che significava davvero che quello era stato solo un brutto incubo, il peggiore della mia vita.
E se Lissa non era una Strigoi, solo pensarlo adesso, da sveglia, mi viene da sorridere di fronte a quella irrazionalità, allora significava anche che Dimitri era ancora un non morto.
Non l’umano del mio sogno.
Questo mi impedì dall’essere pienamente felice per Lissa, come dovevo.
Per un attimo ci avevo creduto davvero. Pensavo che Dimitri era tornato ad essere quello che era.
Ma era stato solo un sogno nel suo caso, e un incubo in quello di Lissa.
Il mondo girava ancora nel senso giusto dopotutto. O quasi..
Lissa si voltò nel suo  letto come se un pensiero fastidioso fosse appena giunto dalla sua coscienza per oltrepassare le basse difese della sua mente e farsi strada in lei.
Attesi mentre la sua bocca pronunciava parole disconnesse e senza senso.
Forse stava sognando.
Sperai solo che i suoi sogni fossero a base di fragole e unicorni e non spietati e violenti come i miei.
Decisi che ora di ritornare con la mente nella mia stanza, anche se di riprendere a dormire non se ne parlava.
Ma prima che abbandonassi definitivamente Lissa, udii le sue labbra aprirsi e pronunciare una parola.
O meglio.. un nome.
“Christian”
Fu l’ultima cosa che ascoltai, prima di tornare nel mio letto.
 
‘Solo un sogno. Solo un sogno’
Sembrerà strano, ma quel giorno dovetti ripetere quelle parole più e più volte per impedire alla sottile traccia di oscurità e dolore che mi minacciava, di sopraffarmi.
La campanella suonò decretando l’inizio delle lezioni.
Ero nel corridoio degli armadietti, come metà della scuola, stavo prendendo i libri per iniziare la prima ora.
Con un gesto titanico sorrisi addirittura al mio vicino di armadietto, Eddie.
“Tutto bene Rose?”
Mi aveva chiesto con quel tono gentile che lo contraddistingueva da sempre.
“Tutto bene”
Avevo mentito io mettendo nel mio zaino il libro di Arte Slava.
E a quel punto, nel vociare sommesso del corridoi, l’avevo risentito.
Quel rumore.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Questa volta sembrava però triplicato.
“Rose”
Eddie mi afferrò un braccio fissandomi spaventato.
“Ti senti bene?”
Non mi importava nemmeno che faccia avessi  in quel momento e cosa ne pensasse lui.
Per me esisteva solo quel rumore.
Tic. Tac. Tic. Tac.
Spietato come le lancette di una torre campanaria, si avvicinava graffiandomi il cervello.
Mi voltai lasciando cadere alcuni opuscoli.
Tutti gli studenti presenti si zittirono all’istante, appiattendosi contro i muri per lasciar passare tre ragazze, che con indolenza cavalcavano quel corridoio come fosse una passerella di una sfilata d’alta moda.
Al loro passaggio, vidi sguardi invidiosi, gelosi, di desiderio e di ammirazione.
Ma nessuno dei presenti aveva la mia espressione.
Quella di una che vede il suo peggior incubo seguirla sino nella realtà.
Lissa era al centro, circondata da due ragazze che camminavano al suo fianco.
Una riconobbi era Annabeth e l’altra la reale e parente di Adrian di cui non conoscevo il nome.
Il trio avanzava, a bordo di tacchi a spillo, nel corridoio come se fosse di loro proprietà.
Avevano il tipico fare di chi si crede abbastanza ricco da comprare il mondo.
Ma non era quello a turbarmi.
Era Lissa.
O meglio, i suoi vestiti.
La mia bocca si spalancò mentre riconoscevo la stessa giacca di pelle dal taglio francese. Gli stessi pantaloni aderenti e neri del sogno.
La stessa coda di cavallo alta.
Terrorizzata fissai subito i suoi occhi.
Aveva usato la matita per far risaltare il loro chiarore.
Nessuna traccia di rosso.
Ma non mi tranquillizzai affatto.
Il nero dei suoi abiti non faceva altro che evidenziare il suo fisico slanciato e pallido.
La vidi rivolgere uno sguardo d’intesa a un ragazzo che la spogliava con gli occhi davanti a tutti, e un occhiolino ad Aaron che accanto al suo armadietto riponeva le cuffie e un libro di narrativa.
Al fianco di Lissa, Annabeth e la ragazza senza nome, marciavano un passo indietro rispetto a lei.
Era Lissa il pezzo da novanta. Era lei a dominare il trio.
Col cuore compresso in una gabbia troppo stretta per farlo battere, aspettai che Lissa giungesse da me e.. non so, mi salutasse?
Non lo fece.
Dapprima mi oltrepassò come se fossi parte del muro. Poi voltò appena la testa indietro per rivolgermi un sorriso indolente. Da vera gatta morta.
Restai pietrificata esattamente come lo ero stata nel sogno.
Quando lei sparì in una delle aule, seguita da un folto numero di ragazzi, la campana suonò ancora invitando gli studenti ad entrare nelle varie classi.
“Ehi ma dove vai? Rose? Abbiamo lezione adesso!”
Ignorai le urla di Eddie, mentre a capo chino e con gli occhi gonfi di lacrime scappavo chissà dove.
Dovevo solo allontanarmi da lì a qualunque costo.
 
Quando fui abbastanza lontana da non sentire più il suono di alcuna chiacchiera o risata, allora permisi ai miei occhi di cedere.
Le lacrime scesero sul mio viso mentre singhiozzavo sommessamente, cercando di non attirare troppo l’attenzione.
Correvo ancora, anche se ormai mi trovavo in un corridoio deserto e buio.
La luna la fuori splendeva gioiosa, insensibile al mio dolore.
A capo chino e con la vista annebbiata non riuscii a impedirmi di sbattere contro qualcosa.
O meglio qualcuno.
Mi bloccai impietrita sperando che non fosse nessun guardiano della scuola.
Lui o lei, fece un passo indietro. Io fissavo le sue scarpe senza vederle davvero.
“Sta un po’ attenta piccola dhampir.. mh, ma stai marinando la scuola?”
Adrian.
Non so perché, ma ascoltando la sua voce mi sentii improvvisamente sollevata e.. libera di piangere. Senza ritegno. Senza vergogna.
Senza che fossi Rose Hathaway ma solo una piccola dhampir qualunque.
“Ehi.. che succede?”
Crollai contro il suo petto mentre le sue braccia mi circondavano e mi strappavano dall’oscurità e dal dolore.
Non fece più domande ma continuò a stringermi dandomi quello di cui avevo più bisogno.
Silenzio. Amore. Comprensione.
Mi accarezzava le spalle, mi baciava la testa mentre io piangevo come una bambina sopravvissuta ad una catastrofe.
“Andrà bene. Starai bene”
Continuava a ripetermi senza crederci davvero.
Non ci credevo nemmeno io, ma sentirmelo dire più e più volte cominciava a sembrare reale.
Una speranza luminosa in fondo al tunnel.
Mi calmai anche se facevo fatica a respirare.
Annaspavo come se fossi appena uscita dopo minuti, dal fondo di una vasca.
Adrian mi baciò i capelli un’ultima volta poi si staccò da me prendendomi per mano.
Il mio corpo bruciò infastidito da quella mancanza.
D’un tratto non c’era più il suo petto a sorreggermi e a farmi da scudo. Ero di nuovo sola.
Mi condusse attraverso un piccolo corridoio che non avevo mai visto.
Una scorciatoia?
In breve ci ritrovammo davanti a una porta familiare.
L’aprii ed entrammo nella sua stanza illuminata dal chiarore dei raggi lunari.
Si accomodò sul tappeto ai piedi del letto e aprì le braccia invitandomi a restare.
Lo feci.
Mi acciambellai su di lui, avvolta di nuovo dal suo abbraccio. Dal suo calore.
Reale. Pulito.
Piansi ancora fino al punto in cui i miei occhi diventarono due sacche secche e arrossate.
Il mio viso poggiava contro il suo maglione che era di puro cashmere e profumava del suo dopobarba.
“Scusami”
Rantolai col tono di una morta.
“Per cosa?”
Mi domandò lui confuso. La sua voce mi giunse così vicina come se lui fosse dentro me. O io dentro lui.
Poi mi accorsi che era perché le sue labbra erano appoggiate al mio orecchio.
“Il tuo maglione.. è di cashmere vero? Te l’ho rovinato tutto..”
Deliravo.
“Mh.. non era un granché. Avevo anche intenzione di buttarlo. Ralph Lauren ha appena messo sul mercato la nuova collezione, questo ormai è vintage”
Chissà come.. sorrisi.
Sentii involontariamente gli angoli delle mie labbra tendersi all’insù.
“Perché tu sei ricco e puoi permettertelo”
Affermai con voce flebile facendo una constatazione ovvia e senza senso.
“E tu lo scopri ora e non certo quando ti ho prestato milioni di dollari, tempo fa..”
Replicò lui facendo affermazioni piatte e vuote come le mie.
Forse non ero la sola a delirare.
Questo mi fece sorridere. Di nuovo.
Sospirai mentre il silenzio tornò a cullarci.
Io restavo ancora lì, a respirare il suo odore.
“Ti va di dirmi cosa è successo?”
Strusciai la fronte contro il suo collo, indugiando.
Alla fine sollevai il viso trovandomi il suo a pochi centimetri.
Mi andava?
Certo che no. Ma lui aveva passato l’ultima ora a consolarmi. Mi aveva aspettato in silenzio e mi aveva raccolta dal corridoio come un rottame vecchio e malconcio.
Gli dovevo una spiegazione.
“Ho fatto un sogno stanotte.. un incubo”
La mia voce era così vuota e anonima che non sembrava la mia.
“C’era Dimitri.. ed era.. umano. Mi diceva che adesso non poteva parlare con me perché dovevo occuparmi di una cosa. E continuava a fissare oltre la mia spalla. Quando mi sono voltata lui era sparito..”
Mentre i miei occhi erano lontani e persi in quei ricordi, il dolore al petto ritornò in tutta la sua potenza. Mi disintegrò.
“..al suo posto c’era.. Lissa. Ma non era più lei. Aveva ucciso un uomo, gli aveva..”
Deglutii mentre un profondo senso di nausea mi mordeva lo stomaco.
“..staccato la testa.. e lei era una.. Strigoi”
Anche se la mia mente era di nuovo bloccata in quello spogliatoio buio e deserto, sentii nel presente che mi abbracciava, Adrian sussultare nervoso e.. sorpreso.
“..lei.. lei.. ha detto che era li per riportarmi dove dovevo stare.. tra i morti. E mi ha.. mi ha uccisa alla fine”
Mi toccai il petto perché il dolore era così intenso che al suo posto poteva benissimo esserci un paletto senza che io me ne accorgessi.
Non c’era nulla.
Solo il ciondolo sotto la mia maglietta.
“Mi sono svegliata e ho controllato che fosse tutto normale. Come doveva essere. Ma non sono più riuscita a chiudere occhio. Prima… quando mi hai.. trovata..”
D’un tratto mi sentii profondamente a disagio per la mia fragilità. Al pensiero di come mi aveva recuperata in quel corridoio, le mie guance avvamparono di imbarazzo e.. rabbia.
Perché ero così debole?!
“..ero appena scappata da lei. Da Lissa”
Fissai i suoi occhi verdi e splendenti come le foglie di quercia illuminate dal sole.
Questo mi diede la forza per continuare e restare aggrappata a lui. Solo così potevo fuggire da quel mare di tenebra e ricordi strazianti.
“Lei.. era identica al sogno. Aveva gli stessi abiti, la stessa espressione.. e lo so che questa è una cosa stupida.. ma rivederla così è stato come assistere al suo funerale”
Lui scosse il capo freneticamente e parlò con la sua voce calma e tranquilla.
“Non è affatto stupido Rose.. se fosse capitato a me io avrei dato di matto”
Le sue parole mi calmarono, stranamente.
Gli credevo.
Tornai a poggiare la testa sulla sua spalla. Fissai fuori dalla finestre la luna che ci guardava dall’alto, in quel cielo senza nuvole.
“Credi che Lissa c’è ancora? La mia migliore amica, dico.. quella che conosco”
“Rose Lissa è sempre lì. Rivestita da strati di stronzaggine e arroganza. Ma è sempre li. Si comporta da viziata figlia di papà solo perché sa che questo ti manda in bestia. Persino quando litigate e non vi parlate più, lei fa qualcosa per dirti che c’è ancora”
Sospirai mentre la verità delle sue parole agiva come un balsamo sulla mia anima in fiamme.
Ma adesso dovevo chiedergli quello che più mi tormentava.
“E credi mai che Lissa possa.. insomma.. possa tramutarsi in una Strigoi?”
Non potevo sopportarlo. Non dopo aver perso anche Dimitri.
Lei era l’unica ragione che mi impediva di impazzire e continuare a vivere.
“Non finché vivrai”
Mormorò Adrian. Sembrava pensieroso perché subito aggiunse:
“..E nemmeno oltre. Lissa è troppo pura per vivere nelle tenebre”
Sapevo che era la verità adesso, ma avevo bisogno di sentirmelo dire.
Il mio cuore tornò a battere, come se quei lacci che l’opprimevano fossero magicamente spariti.
“Grazie Adrian”
Dissi con un filo di voce.
“Non ringraziarmi piccola dhampir.. è quello che voglio”
Corrugai la fronte.
“Vedermi debole e sofferente?”
Chiesi e lui sbuffò rumorosamente da qualche parte sopra la mia testa.
“No stupida dhampir.. quel che voglio è prendermi cura di te”
Attesi un attimo prima di replicare.
“Non ho bisogno di nessuno. Sono forte. Sono un guardiano”
Lui rise.
“Persino quando sei debole e allo stremo, resti sempre e comunque la persona più forte, stupida, masochista e testarda che io conosca”
Sorrisi anch’io.
“E’ un complimento?”
Domandai.
“No. Un semplice dato di fatto”
 
 
   
 
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