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Autore: EIP    02/03/2008    0 recensioni
Una donna a comando di una astronave costretta ad un atterraggio forzato, l'esodo dei suoi passeggeri sul pianeta viola Mar Sara e altri inquietanti sviluppi...
Sessione EIP di Kaos e Dragon85, iniziata il 15/02/2008.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MIKHAILA VARTUSAN, L'ARPIA DELLO SPAZIO

(Sessione EIP - Extreme Improvisation Project - di Kaos Rising e Dragon85, iniziata il 18/02/08)

Capitolo Due


I passeggeri del cargo spaziale, guidati dalla rigida e - a titolo garantito e certificato - acida comandante Mikhaila Vartusan, si fecero strada nel fango violetto e viscoso del deserto di Mar Sara, accompagnati da un vento umido che penetrava in profondità nelle loro ossa. Le loro gambe, ormai incrostate da vari strati di fanghiglia, cominciarono a sentire ben presto la fatica, tanto che pareva loro che cento metri fossero cento chilometri. A questo si aggiunse il fatto che cominciò a calare la Lunga Notte Astrale di Mar Sara, che durava pressappoco 7 giorni terrestri. Quando si dice la sfiga.
Così, alla pesantezza del viaggio, si unirono i brividi di freddo e la totale assenza di luce naturale.
Mikhaila era dura, rozza e con molta poca pazienza. Ma non le piaceva vedere quelli che amava definire "civili grassi come oche" morire di stenti nel bel mezzo di un deserto di fango viola su un pianeta lontano. Pertanto, in un raro sprazzo di sensibilità, fece gesto ai suoi sottoufficiali di fermarsi e far capire a chi li seguiva che la cosa valeva per tutti. Dopodichè, quando la carovana interruppe la marcia, aprì il microfono interno del respiratore verso Tomasson.
Nonostante tutto quel che era successo a bordo della Meridianus voleva una spiegazione, possibilmente sensata, a quell'inaudito e pazzo colpo di testa. In tutti i sensi, dato che il naso le faceva ancora un male della madonna. "Tomasson, scarto umano e rifiuto della società."
Ecco, si poteva senz'altro appurare che la diplomazia non fosse proprio il punto forte di Mikhaila Vartusan.
Tomasson inspirò profondamente ed espirò in altrettanto modo, lasciando una macchia di vapore acqueo sulla superficie del respiratore. Dio, se gli urtava ai nervi, quella vocina stridula e incazzosa! Arpia era senz'altro il soprannome più azzeccato per lei, data l'analogia del suo comportamento con le famose creature della mitologia greca.
"Che cazzo vuole, 'comandante'?" asserì con un malcelato tono di sfida.
Seppur si sentisse punta in un piccolo angolo del suo orgoglio, Mikhaila Vartusan sentiva quasi adorare sempre di più l'odio che il suo sottoposto nutriva per lei. Le dava una forza che non riusciva a identificare, qualcosa che la spingeva a cercare ancora di più la provocazione.
"Allora, ti è sceso il testosterone da macho fallito?". Sì fermò, aspettando un qualsiasi cenno da parte sua per poter poi proseguire. Ma da parte di Joe non arrivò un rumore, se si eccettua un respiro decisamente nervoso e contratto.
"Non le darò un'altra testata, se è questo che teme. Però, visto che non metterò mai più piede nella plancia di comando di un incrociatore grazie alla sua spregevole delazione, credo che mi toglierò qualche sassolino dalla scarpa".
La Vartusan alzò un sopracciglio dalla sorpresa: sapeva che il buon Tomasson era una testa piuttosto calda, ma non pensava che trovasse tanto stomaco da rivolgerle quelle parole sprezzanti e prive di qualsiasi rispetto per la sua carica.
"Dunque, immagino tu...sì, proprio tu...voglia sapere perché ho dato fuori di matto prima, no? Semplice. Ne ho pieni i coglioni di vederti atteggiare a primadonna che neanche Wonder Woman ai tempi d'oro. Sei un comandante bravissimo, su questo non posso proprio recriminare nulla. Ma come persona mi fai veramente schifo. Sei dispotica, intollerante, sempre perennemente incazzata. Si può sapere da dove ti sale tutta quella rabbia? È davvero come penso io, cioè che scopi poco?".
Zaff. Colpita e affondata.
Mikhaila non si era mai veramente chiesta da dove derivasse la natura del suo carattere. Forse davvero per via del fatto che la sua vita sessuale era più piatta di una sogliola, oppure... oppure non lo sapeva nemmeno lei. Adorava farsi grande a spese di terzi? Forse sì, forse no.
Di una cosa era sicura: godeva da matti nel far sentire inferiori gli altri rispetto a lei. Per quale motivo non lo sapeva, e non voleva nemmeno saperlo. Le provocava il gusto di un orgasmo intenso, ogni volta che la sottomissione rasentava l'idolatria.
Voleva essere invidiata?
Ah, forse.
Ma più di ogni altra cosa, più di qualsiasi altra cosa, voleva essere *adorata*.
E Joe Tomasson aveva appena dimostrato, con fatti inoppugnabili, che provava una varia gamma di sentimenti nei suoi confronti. Ma fra nessuno di questi c'era qualcosa che si avvicinava vagamente all'adorazione.
E il buon ex-Primo Ufficiale, quasi sentita la piccola vittoria appena ottenuta, spinse ancora più in là la conversazione: "E se pensi che sia un problema mio, che magari non so riconoscere le qualità di una persona, stai pur tranquilla che non è così. O mi vuoi far credere che non ti sei mai accorta di come Finkel, il povero Kastle o il tanto bistrattato mozzo Jakob ti guardano di sbieco, a volte? Dovresti sentire che gentili commenti hanno per te, in privato. Quando stanno sul leggero si limitano a "cazzo incartapecorita stronza di", e ti ho detto tutto".
Mikhaila non era sorpresa da quella rivelazione. Sapeva di avere l'astio di tutti puntato su di lei, ma questo non sembrava darle fin troppo fastidio. In fondo sapeva di esser stronza e acida nell'animo. Interpretava l'odio nutrito nei suoi confronti come l'invidia che i suoi sottoposti provavano per lei. E l'invidia è un demone che parla decisamente la lingua del muto apprezzamento, quello non rivelato perché incapace in un qualsiasi modo di raggiungere la perfezione desiderata.
Quello che non sapeva era che lo sprezzo di Tomasson e degli altri sottoposti non era quello nato dall'invidia, ma dalla non-sopportazione. E, sebbene Joe continuasse a ribadirlo con una sincerità sconcertante e disinibita, le orecchie della sua mente continuavano a recepire un messaggio del tutto errato.
"Ti rode il fegato che una donna sia un tuo superiore, vero, stronzetto?"
Tomasson si permise di ridere alla stupidità del comandante Vartusan.
"Cosa te lo fa credere? Sei mio superiore perché hai più anzianità di me, sei più brava e bla bla bla. Potresti essere un uomo, un transessuale, una piovra a cinquanta tentacoli ma saresti comunque meglio portata per sedere al posto di comando. Lo ripeto, visto che pari far finta di non sentirmi: dal punto di vista professionale, mio caro capitano, non posso muoverti un appunto che sia uno. E anzi, ne approfitto per scusarmi della frecciata sulla Magellano. Ero nervoso e quello è stato un colpo basso".
Il comandante dell'ormai ex-nave passeggeri avvertì qualcosa pungere di nuovo nella profondità della sua anima, nel momento in cui le labbra di Tomasson pronunciarono la parola "Magellano". Ma ancora più stupita la lasciò il fatto che quella testa calda di Joe si fosse scusato per averle fatto ricordare quel peso per lei ancora difficile da sopportare. Si ritrovò ad apprezzare il suo sottoposto per questo, ma una voce maligna nella sua testa le urlava di non lasciarsi andare all'emozione, soprattutto con quell'uomo.
"Non basterà questo per farti perdonare, Tomasson." E detto ciò chiuse il collegamento.
:Joe rise ancora. Non sopportava Mikhaila Vartusan, neppure un po'. Però era quel tipo di persona che non poteva non trovare divertente tanta stupidità, tanta zucconeria e tanta insistenza condensate in un'unica figura umana.
Scrollò le spalle, per nulla stupito da come quella conversazione si era conclusa. Anzi, era andata fin troppo bene in un certo senso. Si aspettava fulmini in testa, calci in mezzo alle palle e qualsiasi pessimo abuso, fisico o retorico che sia. E invece, seppur per un brevissimo momento, gli sembrava come di aver fatto breccia.
Non è che volesse far breccia chissà dove, sia chiaro. Non era nemmeno stato lui a cominciare, d'altronde. Però, buttato in mezzo alla pista, si era difeso come meglio aveva potuto, senza mancare di portare qualche affondo ogni tanto. E, semplicemente, era contento di come si era comportato.
Perché, va bene, Mikhaila Vartusan gli stava sulle palle. Ma Tomasson non era quel tipo di persona che non era in grado di essere felice per vedere un suo simile tirarsi fuori dal pantano dell'ignoranza.
Tomasson nella sua vita aveva visto cose davvero così terribili che non riusciva a restare insensibile di fronte a manifestazioni di crisi altrui. Anche se quel qualcuno era Mikhaila Vartusan.
Non era peggio del suo vecchio comandante, quando era soldato semplice nella Fanteria Spaziale del Tredicesimo Glorioso Reggimento. Un nome estremamente pomposo per descrivere una realtà che faceva pena più della pena stessa. Lì tutto era ammesso e concesso, e le manifestazioni di solidarietà tra i componenti del reggimento erano praticamente inesistenti. Ognuno nel momento del pericolo pensava solo a se stesso e a nessun altro. Il suo comandante, inoltre, era uno di quegli stronzi colossali che vorrebbero i loro soldati a leccargli le suole delle scarpe. Sì, decisamente peggio della Vartusan.
Fu lì che Tomasson si rese conto di quanto abbietto ed egoista può diventare un essere umano. Era partito con l'entusiasmo di chi pensa di intraprendere una grande avventura, e tornò sulla Terra minato sia nel corpo che nello spirito. Soprattutto dopo l'attacco subito da parte dei nativi di uno dei pianeti colonizzati. I Ghiskan, così si facevano chiamare quelle creature simil-rettili, difesero strenuamente il proprio pianeta, fino al quasi totale annientamento. Tomasson rimase schifato dalla crudeltà umana, dalle torture che loro infliggevano con immenso piacere ai Ghiskan prigionieri, dell'assoluta mancanza di pietà alcuna.
Liberi e sguinzagliati come bestie feroci allo sbando, alla ricerca di placare i propri istinti nella maniera più subdola e bassa.
Ma Tomasson non era come loro. Tomasson era un uomo d'onore, di sani principi. Non si fece travolgere da questo schifo, e imparò moltissimo da questa lezione di vita.
Imparò che gli uomini si comportano in una precisa maniera quando qualcosa forza il loro equilibrio interiore.
E quindi, cosa aveva turbato l'equilibrio interiore del comandante Vartusan? Perché Joe Tomasson credeva fermamente che le persone, di per sè, fossero se non proprio buone almeno neutre. Cioè che fossero eventi esterni a modellarne il carattere, i modi di fare e quant'altro.
C'era anche da dire che Mikhaila gli stava davvero sui coglioni, ma di brutto. E di solito, per quanto persona nobile e fondamentalmente buona, Tomasson aveva il difetto di disinteressarsi di chi gli stava sui coglioni. Eppure, da circa un'ora a quella parte, non gli riusciva più di farlo col suo capitano. Ex-capitano, si corresse.
Che fosse stato quell'incontro ravvicinato del terzo tipo, quando la Meridianus si era fracassata sulla superficie di Mar Sara e lui si era trovato ingarbugliato fra cinture di sicurezza appiccicose e la faccia, che solo in quel momento gli era parsa vaghissimamente imbarazzata, della Vartusan?
Oddio. Vaghissimamente imbarazzata.
Più che altro gli sembrava che la sua faccia stesse per andare in ebollizione. Era così pericoloso il contatto fisico tra loro due? Cioè, era stato il loro primo contatto fisico in senso stretto del termine. Prima di allora se si erano stretti la mano una o due volte era già un miracolo.
Il suo essere così fredda e distaccata poteva averla portata ad avere paura del contatto fisico altrui? Era la sua aria di superiorità una semplice barriera utile per schermarsi dall'apprensione altrui? Poi, un fulmine a ciel sereno colpì Tomasson.
Possibile che il suo comandante si comportasse così perché aveva paura di essere commiserata?
Commiserata? Mikhaila Vartusan, l'Arpia dello Spazio? Chi poteva avere il fegato di commiserarla?
E in realtà l'idea reggeva, visto come aveva reagito nel momento in cui lui aveva citato la Magellano e l'immane disastro che aveva involontariamente provocato quel giorno di ormai sette anni prima.
Tomasson aveva saputo cos'era successo a grandi linee e non si era mai addentrato nello specifico nei fatti. E in quel preciso istante, con le caviglie affondate nella fanghiglia viola di Mar Sara e un capo d'imputazione per tradimento e disordini e sa il cazzo cosa che gli pendeva sulla testa, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era quella. A ciò che davvero era successo su Lagushas e sul come un asso del pilotaggio come Mikhaila Vartusan era riuscita a combinare un casino di tali proporzioni.
Tentennò parecchio prima di riaprire l'interfono chiedendo a Mikhaila se poteva parlarle.
Mikhaila strabuzzò gli occhi ascoltando la voce incerta e tremante di Tomasson che le chiedeva di poter parlare. Non seppe con esattezza cosa provò in quel momento. Forse un senso di potere, forse un senso di strana pietà nei suoi confronti, forse rabbia, forse l'insieme di tutte queste cose. Mikhaila si sentiva tesa tra le innumerevoli sfaccettature di se stessa: non sapeva con precisione assoluta quale di queste parti si sarebbe manifestata, in quel momento.
Perciò rimase senza parole.
Tomasson, che attendeva già il berciare irritato del suo ex-comandante, restò interdetto di fronte al suo silenzio. Cosa stava accadendo?
Nella sua testa si figurò una statua di pietra raffigurante Mikhaila Vartusan che, una spada laser in pugno, menava fendenti sbudellando chiunque avesse la sfortuna di capitarle sotto tiro. E all'altezza della guancia sinistra si formò una piccola crepa.
"Comandante, posso parlarle?" ribadì più insicuro che mai. Non sapeva bene perché stava facendo tutto questo, in realtà. Era solo spinto da una strana, stranissima, quasi aliena curiosità di avere ben chiaro lo schianto della Magellano e il ruolo della Vartusan in tutto quello che era successo.
"Cosa vuoi, Tomasson?" La sua voce era di un tono più basso, leggermente roco. Joe deglutì, sentendosi quantomai a disagio.
"Ecco... io..." Era completamente a corto di parole, preso da uno strano imbarazzo che non riusciva ad abbandonarlo. Come mai per tutto il resto era così sicuro, deciso e diretto nei confronti del suo ormai ex-comandante e ora invece non riusciva ad emettere suono?
Aveva paura che le sue parole l'avrebbero ferita?
Forse. Ma Mikhaila era Mikhaila, cazzo. L'Arpia dello Spazio a buon nome e a titolo garantito al limone. Era sicuro che con la sua scorza da rettile mancato avrebbe sopportato qualsiasi colpo di qualsiasi portata. Certo, avrebbe avuto un qualche cedimento, come poco prima, ma niente che non poteva esser superato.
Ma, proprio mentre Joe era riuscito a prendere coraggio, qualcosa interruppe il flusso dei suoi pensieri.
Il rombo di un'immane esplosione avvenuta a pochi chilometri da lì riecheggiò nell'atmosfera densa e umida di Mar Sara, costringendo tutti quanti ad abbassarsi al suolo.
Era la Meridianus che dava il suo roboante addio alla realtà materiale sminuzzandosi in miriadi e miriadi e miriadi di pezzi, il più piccolo dei quali poteva tranquillamente provocare seri danni fisici ad eventuali persone che si fossero trovate sulla sua traiettoria.
Sebbene fossero ormai parecchio distanti equipaggio e passeggeri della fu nave turistica subirono gli effetti della deflagrazione e alcuni furono anche sbalzati a terra, per fortuna senza nessunissimo danno a parte una culata e un po' di mal di testa.
Joe, che si era meccanicamente tuffato per evitare un frammento di lamiera che stava per decapitarlo, era lì solo fisicamente. Sebbene non fosse riuscito a spiaccicare mezza parola era comunque curioso, curioso, curioso. Curioso in maniera quasi patologica, si disse con ironia. E dire che non era mai stato così.
"Comandante" tentennò ancora, approfittando del fatto che la comunicazione non era mai stata interrotta "volevo chiederle come è potuto succedere il disastro della Magellano. E mi scuso sin da ora per la mia insensibilità nel farle rivangare nuovamente, a così poca distanza di tempo dall'ultima volta, quella tragedia. Ma non posso proprio fare a meno di chiedermi come sia stato possibile che un pilota eccellente come lei abbia potuto provocare un simile cataclisma".
Rifiatò. Ce l'aveva fatta.
Mikhaila, da canto suo, fu totalmente e irrimediabilmente presa in contropiede. Cercò di mantenere una parvenza di dignità, anche se Tomasson non la poteva di certo vedere in faccia, e a sua volta rifiatò per cercare una buona risposta. O le parole migliori per mandarlo a cagare, non era ancora sicura.

  
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