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Autore: Kaho    02/03/2008    5 recensioni
Gli occhi neri, lasciati scoperti dalla sciarpa che Kakashi era solito non togliersi mai, la osservavano criticamente, e Anko avvertì – non per la prima volta – la sensazione che Hatake la stesse scandagliando.
Si sentiva così
nuda, davanti a lui. E lei non era certo tipo da farsi problemi se un uomo la vedeva in intimo. Eppure, con un solo sguardo, Kakashi la faceva sentire scoperta e lo odiava proprio per questo.
Anko Mitarashi è una semplice studentessa dell'università di Psicologia: sicura e allegra, ecco come appare a tutti. Ma dietro la facciata, si nasconde un passato difficile da buttare alle spalle… e pare che solo il criminologo Kakashi Hatake, colui che l'ha avuta in cura già una volta, sia l'unica ancora di salvezza della ragazza.
[ KakaAnko ] [Theme Song: Wonderwall, Oasis]
Spin off della spendida long-fic “Cosa significa...Normale?” di Arwen5786. Si può leggere anche senza seguire la storia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anko Mitarashi, Kakashi Hatake
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi sono di Kishimoto. “Cosa significa…Normale?” appartiene ad Arwen5786 a cui ho chiesto il consenso. Makoto Higurashi, invece, è un personaggio inventato da me… anche se è la coppia migliorata di Hinata! XD

 

La shot si può leggere senza seguire la long-fic di Arwen… ma se non lo fate, cominciate! Merita! ^^

 

 

 

 

 

Wonderwall

~ Maybe Salvation

 

 

 

And all the roads we have to walk are winding [E tutte le strade che dobbiamo percorrere sono tortuose]

And all the lights that lead us there are blinding [E tutte le luci che ci guidano sono accecanti]

There are many things that I would [Ci sono molte cose che]

Like to say to you [Vorrei dirti]

But I don't know how [Ma non so come]

 

Because maybe [Perchè magari]

You're gonna be the one that saves me [sarai colei che mi salverà]

And after all [Dopotutto]

You're my wonderwall [Sei la mia ancora di salvezza]

 

                   Wonderwall, Oasis

 

 

 

 

“La lezione, per oggi, è conclusa.”

Il professor Tsuki appoggiò il libro di ‘Organi Sensoriali’ sul tavolo, cominciando a riordinare gli appunti della lezione appena terminata, senza badare alla massa di studenti che usciva di fretta dall’Aula 7 di Psicologia dell’università.

Anko Mitarashi, giovane allieva, lo imitò in maniera più caotica, gettando gli appunti dentro la borsa larga e colorata, che si buttò sulle spalle, uscendo quasi di corsa dall’Aula.

“Ehi Anko!”

Si girò al richiamo, masticando con enfasi una cicca.

Una ragazza sui vent’anni stava sventolando pacata una mano verso di lei in segno di saluto, il viso pallido pulito da trucchi e occhi chiari che spiccavano sulle guance spruzzate di graziose lentiggini.

Le labbra di Anko si sollevarono in quello che pareva un piccolo ghigno, piuttosto che un sorriso, e la mano inanellata si levò, agitandosi nell’aria con più energia di quella della ragazza poco distante.

“Ehi Makoto! Come è andata la lezione speciale?!” berciò scherzosa, avvicinandosi alla compagna di università.

Makoto Higurashi sorrise dolcemente, arrossendo con moderatezza e nascondendo il viso dietro una sciarpa dai cangianti colori. “Piuttosto bene, grazie.” Confessò, stringendosi al petto due volumi di modeste dimensioni.

“Oh, quanto avrei voluto anche io far parte del corso di approfondimento!” si lamentò ad alta voce Anko, guardando avidamente i libri e gli opuscoli in mano alla sua compagna di appartamento da alcuni mesi. Questa arrossì, vergognosa.

“Purtroppo sei entrata un anno dopo, altrimenti con i tuoi voti saresti già insieme a me.” replicò educata la Higurashi, “…ho sentito che sei la migliore del primo anno…

Anko avvertì un piacevole calore all’altezza del petto, e finalmente un bel sorriso d’orgoglio le illuminò il volto; ridendo, mise un braccio intorno al collo di Makoto e l’avvicinò a sé, esclamando giuliva: “Meglio! Non vedo di passare i primi anni e fare un po’ di sano praticantato!”

“Decisa verso psicanalisi allora?” domandò incerta Makoto, mal celando un sorrisetto davanti all’esuberanza della compagna.

“Credo proprio di sì!” rispose quella, liberandola dalla forte presa, “…è diventata un’ambizione, aiutare le persone in difficoltà…

“Eppure non mi sembri il tipo.”

Makoto non vide come Anko si era leggermente irrigidita, guardava solo la postura ritta e quello sguardo scuro, che esprimevano – o così vedeva lei – la sicurezza in se stessa che Anko possedeva: e la invidiò un poco, perché Anko era bella e forte, non banale e lentigginosa come lei. Non immaginava che gli stessi pensieri, solo inversi, avevano animato la mente di Anko nei primi mesi in cui abitavano insieme, e che di tanto in tanto le si ripresentassero, quando trovava più dura adattarsi al nuovo stile di vita.

La verità era che Makoto credeva di conoscere Anko, ma non vedeva altro che la forza, cieca all’insicurezza che la Mitarashi era brava a celare a tutti. O quasi.

“Ma smettiamola di parlare di me! Come si svolge il corso?” chiese Anko, avviandosi per i corridoi affollati.

“È su la psicologia infantile/adolescenziale: è un ramo molto interessante, secondo me… lo tiene un giovane dottore che viene direttamente dall’istituto di cura della celebre dottoressa Tsunade.”

Makoto si portò nervosamente un ricciolo ribelle dietro l’orecchio, visibilmente rosso.

“Ho letto parecchi articoli su di lei, dicono che sia la Freud del ventesimo secolo… ma i giornalisti tendono sempre a esagerare! Piuttosto…” lo sguardo di Anko si era fatto smaliziato, mentre osservava la compagna con gli occhi a terra e un tenue rossore diffuso. “È così carino, questo professore, che al solo nominarlo arrossisci?”

Makoto sussultò lievemente e le lanciò un’occhiata supplichevole, nascondendo con una mano la guancia cocente.

“Smettila Anko!”

Anko rise di gusto, scompigliandole i capelli. “E chi sarebbe, questo ennesimo uomo che ti fa battere il cuore? Posso almeno avere la descrizione?”

Makoto storse le labbra, ferita dal sarcasmo pungente di Anko.

“Non dire questo… sei sempre così crudele quando ti racconto delle mie cotte… e poi questo non mi piace…” tentò di difendersi malamente.

Anko sospirò, mordendosi un labbro.

“Scusa, non volevo offenderti… solo che… ecco tu ti lasci coinvolgere dagli uomini troppo facilmente. Basta un bel visino per addolcirti… invece, dovresti stare più attenta: sono una specie infida che meriterebbe l’estinzione.”

Makoto sbattè le palpebre. “Ma per caso hai avuto solo sfortuna con gli uomini, Anko?”

Anko rise vuotamente, sistemandosi la borsa che continuava a scenderle lungo la spalla, lasciata nuda dalla maglietta scollata.

“Direi di sì, Makoto. Direi che sono stata decisamente sfortunata.”

“Si vede.” Affermò l’universitaria, scostandosi ancora un ricciolo dalla fronte. “Potresti provare ad uscire con qualcuno, sono certa che ti aiuterebbe, sai? Non ha senso che tu coltivi questa fissa femminista scorretta.”

“Quando mi sentirò di farlo, lo farò.” La rassicurò Anko, tentando di distendere le labbra serena; non le venne un gran sorriso, ma bastò per illuminare il volto di Makoto.

“Mi racconti, ora, di questo professore?” sogghignò la Mitarashi, e Makoto annuì.

“Ecco lui–

“Signorina Higurashi?”

Makoto si voltò, e divenne di varie sfaccettature di rosso. “Professor Hatake!” ululò sorridendo ampliamente alla vista del giovane dottore.

Kakashi Hatake allungò verso di lei un blocco di appunti. “Credo abbia dimenticato questo, nell’Aula.”

Makoto alzò le sopracciglia sorpresa, agguantando il blocco lesta.

Io… oddio! Mi spiace così tanto… sono davvero distratta…” si scusò, accennando ad un inchino, vedendo di scorcio la borsa variopinta di Anko, che le ricordò la sua presenza. “Ehm, Professore, le presento una mia amica, la signorina–

“Ciao Anko.”

Makoto non poteva vedere il volto del Professor Hatake, nascosto da una sciarpa grigio cenere, ma poté giurare che stesse sorridendo solo dal tono con cui aveva salutato Anko, immobile e tesa accanto a lei.

“Hatake.” Lo salutò Anko, senza allegria, anzi, quasi con disprezzo. “Che ci fai qui? Non dovresti salvare menti deviate in questo momento?” ironizzò accusatoria e irrisoria, lasciando Makoto ancora più perplessa di prima.

Le palpebre di Kakashi Hatake si chiusero in un’espressione beota.

“È quello che sto facendo: salvo giovani menti dalla monotonia delle lezioni.”

“Non ti ci vedo così altruista.” Fu la dura risposta di Anko, a cui Kakashi non pareva aver fatto caso.

“Eh, in effetti mi ci ha costretto Tsunade: quella donna è una schiavista.” Sospirò stanco. Il sopracciglio scuro di Anko si incurvò, creando una piccola ruga in mezzo alla fronte. “Ma tu non eri un criminologo?”

“Ora psichiatra, ho cambiato generis” le spiegò con nonchalance, rivolgendosi poi a Makoto. “Le spiace se parlo con Anko qualche minuto, signorina?”

La Higurashi scosse la testa, ancora stordita da quella scena informale e strana. Si chiese in che rapporti era stata Anko, con quel professore.

“Oh, non c’è problema… grazie per gli appunti… Anko, noi beh… ci vediamo lunedì, ok? Ciao!”

“Makoto aspetta– !”

Prima che potesse fermarla, la ragazza era già scappata e l’aveva lasciata sola con lui, Kakashi Hatake. Anko contò fino a dieci, e si mise le mani sui fianchi morbidi, tentando di apparire altezzosa.

“Che vuoi?!” sbottò, cominciando a battere un piede sul pavimento, sbuffando.

Kakashi appariva decisamente più rilassato. “Mi chiedevo come stavi, Anko. In fondo sono… sette mesi, forse, che non vieni più nel mio ufficio.”

Lei strinse la cinghia, mordendosi una guancia. “Sono solo sei, e sto benissimo. Se non sono venuta, di vede che non ne avevo più bisogno.”

Gli occhi neri, lasciati scoperti dalla sciarpa che Kakashi era solito non togliersi mai, la osservavano criticamente, e Anko avvertì – non per la prima volta – la sensazione che Hatake la stesse scandagliando.

Si sentiva così nuda, davanti a lui. E lei non era certo tipo da farsi problemi se un uomo la vedeva in intimo. Eppure, con un solo sguardo, Kakashi la faceva sentire scoperta e lo odiava proprio per questo.

“Nulla? né incubi, né malori, niente di niente?” chiese ancora lui, critico e professionale.

Anko strinse le spalle. “Te l’avrei fatto sapere.”

“E invece non l’avresti fatto.”

Replicò sagace lui, e ancora Anko si sentì esposta. Come faceva a conoscerla così bene? Ah, giusto. Era il suo lavoro.

“Mi spiace che tu non abbia fiducia in una tua paziente.” Rispose a tono, fingendosi offesa. “Ti sembrerà di certo strano, ma non sono stupida e l’avrei fatto. Scusa, sono in ritardo per una lezione…

“Aspetta.”

Il sospiro arrendevole di Kakashi fermò la sua corsa verso la libertà – ergo, lontano da quell’individuo di nome Hatake.

Si sforzò di apparire seccata piuttosto che timorosa. “Sì? Che c’è?”

Kakashi le allungò un bigliettino, dove aveva scritto un numero di telefono a biro. “C’è il mio numero di casa: usalo se ne hai bisogno. Buona giornata.”

Prima che potesse rifiutarlo, Kakashi si era già dileguato. Anko strinse la mascella, pensando che quella non era una buona giornata e che aveva urgente bisogno di buttarsi nel letto e riposare.

 

 

*

 

 

Camminava lungo il corridoio bianco.

Il rumore dei tacchi seguiva il suo passo deciso, mentre si inoltrava nell’ospedale, guardandosi intorno sospettosa.

D’un tratto si sentì prendere per un braccio: ebbe a malapena il tempo di gridare “Cosa succede?!” che una mano premette sulla sua bocca.

Anko spalancò gli occhi e urlò.

Un manichino senza faccia la stava trattenendo, bloccandole i polsi e ogni possibilità di uscita. Un manichino vivo.

“Lei non può camminare da sola in quest’ospedale. Ha bisogno di cure.”

Cure?! Quali cure?!

Anko cominciò a scalpitare, muovendo freneticamente le lunghe gambe coperte da calze a rete nere, che non indossava da mesi, ormai. “Ma io sto benissimo! Mi lasci andare!” tentò di replicare, ma il medico senza volto la tratteneva con facilità, bloccandole i movimenti.

Avvertì gli occhi pungerle e affondò i denti nel braccio del dottore per scappare, ma non vi era verso.

Vide Kakashi osservarla placido, in mano il solito libro da pervertito e un accenno di sorriso. Era senza maschera, ma gli mancava la bocca.

Anko si portò una mano sul viso e gridò e gridò, dimenandosi dalla stretta che la opprimeva. Allora un gruppo di infermieri senza occhi né orecchie né sopracciglia le venne addosso, per tenerla ferma, bombardandola di domande, di ordini, di consigli: Anko si portò le mani alle orecchie, piangendo, implorando o ordinando loro di stare zitti.

“ZITTI! ZITTI!”

“Signorina Mitarashi, lei sta male, lasci che la aiutiamo…

“È una sporca prostituta, ma può essere guarita.”

“Un po’ di pillole e vedrà: sarà una persona normalissima.”

“LO SONO GIÀ! IO SONO SOLO ANKO, CHIARO?!”

“È peggio di quanto credessimo.”

“Dobbiamo intervenire: cosa facciamo, dottore?”

“Operiamo.”

“NO! NON VOGLIO! KAKASHI AIUTO!”

I singhiozzi cominciarono a scuoterla, mentre tentava di scavare tra la folla e raggiungere Kakashi, così vicino eppure così sordo ai suoi richiami.

D’un tratto, il buio.

Anko, spaesata, mosse rapidamente gli occhi ancora lacrimanti, per orientarsi. Una luce si accese, illuminando il volto del suo peggior incubo.

Pein la fissava duramente, i piercing che l’accecavano, luccicanti come coltelli al sole.

Un sorriso tagliente.

“Anko cara, vieni: ci divertiremo.”

Poi, solo altre urla.

 

Anko sobbalzò sul letto, con un grido.

Ansimava pesantemente, e si sentiva il pigiama appiccicato alla schiena. Un brivido di freddo e sollievo la percorse, mentre si toccava le guance bagnate, strofinandovi il palmo in modo da cancellare le lacrime.

Buttò indietro le coperte e posò i piedi nudi sul freddo pavimento dell’appartamento, che divideva con Makoto. Tirò un sospiro, ringraziando i Kami che l’amica fosse dai suoi genitori per il week-end.

Aprì il frigo e si prese un bicchiere e una bottiglia di succo all’arancia.

Si buttò su una sedia, versandosi la bibita e bevendola avidamente, ignorando le gocce che le sfuggivano dalle labbra, strisciando sul suo collo.

Appoggiò i polsi contro le palpebre.

Non agitarti. Sono solo incubi. Stupidi, inutili incubi. Soggezione e inconscio.

Questo non la rassicurò molto. Pur avendo appena iniziato da tre mesi la facoltà di Psicologia, sapeva benissimo quanto importanti fossero i sogni per capire e superare i traumi del passato di una persona.

Ma non poteva, non voleva parlare di quei suoi assurdi incubi con nessuno, perché non voleva tornare nella clinica.

Non voleva ritornare ad essere la puttana di un mafioso, ma solo una studentessa di nome Anko.

Ispirò aria, ignorando il tremolio che la scuoteva vistosamente.

C’era anche Kakashi questa volta, ma non si era avvicinato. Però, come mai era lì? Razionalmente si rese contro che era un fattore nuovo nei suoi incubi, e se ne meravigliò. Imputò la colpa all’incontro di quella mattina, e buttò casualmente l’occhio sul suo biglietto da visita che aveva lasciato sopra il tavolo.

Un numero di cellulare scritto a biro spiccava sul bianco accecante.

Anko si morse le labbra, poi lo prese e scivolò velocemente in salotto, premendo la cornetta contro l’orecchio. E compose il numero di Kakashi Hatake.

 

 

*

 

 

Kakashi inchiodò la macchina e l’accostò davanti ad un palazzo in periferia. Controllò velocemente se l’indirizzo fosse giusto, poi saltò giù dalla vettura, chiudendola con un ‘click’ sulla chiave elettronica, e fece le rampe di scale a due a due.

Dire che fosse sorpreso dalla chiamata notturna di Anko era un mero eufemismo: il suo sonno pesante era stato interrotto appena aveva sentito la voce della ragazza alla cornetta, tremante e sottile.

Sapeva che non avrebbe dovuto essere così ansioso per lei, ma non poteva impedirselo: con Anko Mitarashi si sentiva coinvolto sul piano emotivo, e avvertiva il bisogno di aiutarla, anche a costo di sacrifici come il suo salutare sonno.

Bussò con frenesia alla porta, ansimando per la corsa, e subito si trovò l’uscio aperto e un’Anko coperta da un’enorme maglietta e pantaloni felpati, che si mordeva nervosa un’unghia, osservandolo di sottecchi.

Kakashi avvertì il suo stomaco contrarsi, alla vista di Anko così fragile ed esposta.

“Hai dimenticato la maschera.” Lo accolse lei, con voce atona. C’erano tracce di fondotinta sul suo viso, spalmato malamente a causa delle lacrime ancora fresche.

Kakashi alzò le spalle. “Ce l’ho in tasca, ma non credo che serva, dato che mi hai già visto in viso… posso entrare?”

Lei annuì, sospettosamente, scostandosi di lato.

Kakashi entrò nell’appartamento, e appoggiò il cappotto sul tavolo, desideroso di cominciare a discorrere con lei. Il suo volto sciupato non le aveva affatto rincuorato, anzi, il suo stomaco a quella vista si era contratto, in modo estraneo.

“Non vuoi che te l’appenda?” propose gentilmente Anko. Kakashi scosse la testa, in segno di diniego.

“Preferirei che ci sedessi e parlassimo; che ne dici?”

Anko tremò, ma annuì facendogli strada nel salotto e accomodandosi sul divano, stringendo le gambe a sé, verso la coscia, la schiena voltata verso di lui, seduto normalmente sul divano ad una debita distanza.

Kakashi osservò il suo nervosismo palese, evidenziato da come torturava la maglia e come muovesse gli occhi per la stanza, evitando il suo sguardo.

“So cosa stai pensando: che ho bisogno di tornare in terapia. Ma non ne ho affatto bisogno, invece.”

Diretta e secca, dietro tutta quell’arroganza c’era una ragazza ancora fragile, che non voleva accettare il suo aiuto. Kakashi sospirò.

“Non lo penso.” La rassicurò, avanzando di un centimetro verso di lei. “Perché mi hai chiamato, Anko?”

Lei si morse il labbro inferiore, azzardandosi a guardarlo.

“Avevi detto che potevo farlo, no?” ritorse sprezzante, schiarendosi appena dopo la voce, un po’ più timida di come avrebbe voluto.

Kakashi sorrise internamente.

“Certamente, ma non mi avresti mai chiamato senza motivo. Ne vuoi parlare?”

“No.” Kakashi inarcò appena le sopracciglia, e Anko voltò il viso verso il televisore spento. “Cioè, forse sì.”

“Uhm.” Kakashi odiava quel suo orgoglio, a volte, anche se era la prima cosa di lei che lo avesse colpito, quando le aveva parlato per la prima volta. “Ipoteticamente, quel forse sì sta per…?”

Anko sospirò, passandosi una mano tra i corti capelli neri. Li ha tagliati, notò distrattamente lui, guardando le magre dita chiare spuntare tra la chioma corvina.

“Kakashi, non usare questi giochetti con me.”

La voce di Anko era tagliente e fiera, ma non lo intimorì affatto.

“E tu non essere così astiosa, e parlami del perché stai male.”

Anko sospirò e Kakashi fu distratto dal suo prosperoso petto che si alzava e abbassava. L’occhiata ammonitrice di lei lo convinse a riportare tutta la sua attenzione sul suo volto.

Lo psicanalista tossicchiò, imbarazzato, facendola sorridere appena. Si congratulò con se stesso sia per aver evitato un pungo sia per averla fatta sorridere.

Ecco… diciamo che ho fatto dei sogni.”

“Mi stai chiamando perché hai fatto sogni erotici su di me?”

Stavolta il pugno non lo evitò, e lo centrò in pieno stomaco, togliendogli il fiato. Anko lo fissava furente, digrignando quasi i denti.

“Hatake sei un demente pervertito!”

“Scusa, scusa,” si affrettò lui, azzardando un piccolo sorriso imbarazzato. “M’è scappata la battuta! Non lo pensavo, sul serio!” anche se mi piacerebbe molto.

Anko sbuffò, ma si rilassò, e si rimise seduta, portandosi inconsciamente più vicina a lui.

“Sogni, eh?” indagò lui, osservandola critico.

Lei si irrigidì. “Diciamo più incubi.” Corresse vaga, ricominciando a torturarsi l’unghia cortissima.

“E cosa succede in questi incubi?”

Anko deglutì, e aprì la bocca, ma nessuna parola uscì dalle sue labbra.

Kakashi osservò pacato. “Non sei ancora pronta a parlarne?”

La nota dolce nella sua voce la fece stizzire. “Certo che sono pronta! Altrimenti non ti avrei chiamato, imbecille!”

Kakashi portò istintivamente la mani in avanti in posizione difensiva. “Ehm, sì va bene Anko… calmati però…

“Io sono perfettamente calma.”

Non osò contraddirla: non voleva finire come quel cuscino sotto le mani della ragazza. Sarebbe stata una fine orribile e senza senso.

Tossì nuovamente, per cambiare l’atmosfera, e divenne serio.

“Allora, chi era il protagonista del sogno?”

Anko abbassò gli occhi nocciola, e i polpastrelli delle dita sfiorarono i pantaloni felpati: vi era un nonché di malinconico e stanco, in quel viso smunto solcato da leggere occhiaie, ma anche una grande forza, di cui Kakashi si era accorto subito; rispetto a molte altre ragazze, prostitute si da ragazzine, Anko era riuscita a superare in parte il suo dramma e ad uscire da quel circolo vizioso a testa alta; ora doveva solo compiere l’ultimo passo… e lui voleva aiutarla in questo. Perché sentiva che quella fastidiosa ansia che lo aveva seguito in quei sei mesi senza di lei, non gli avrebbe mai dato tregua finchè non avesse saputo che lei stava bene.

…c’ero io.” Cominciò a raccontare incolore la ragazza.

“Vedevi il tutto in prima persona, o vedevi la tua figura come se fossi un spettatore esterno?”

Anko si sistemò meglio sul divano, incrociando le braccia sul seno prosperoso. “Ha importanza?”

Kakashi tentò di non distrarsi. “Potrebbe.” Mormorò pigramente, causando un nuovo sospiro della ragazza.

“In prima persona. Ora posso continuare o mi interromperai ancora?”

Kakashi si lasciò sfuggire un sorriso, appoggiando un gomito sullo schienale del divano e appoggiando, sopra il palmo, il volto rilassato.

“Procedi.”

Anko strinse le labbra, e lui temette un attacco d’ira che fortunatamente non arrivò.

“Beh, insomma, ero io. Mi trovavo nel corridoio di un ospedale – perché cazzo l’ho sognato non ne ho idea, dato che sono stata in prigione e non in ospedale… mah… - comunque, c’era questo corridoio… e ad un tratto, ecco, sono stata presa da una specie di manichino che parlava e mi stringeva forte, un dottore che assomigliava a Frankestain, a dirla tutta… uno schifo…” biascicò con foga, tergiversando. “e poi c’erano così tanti Frankestain che mi volevano rinchiudere perché era una puttana e io cercavo di fermali… e tu mi guardavi, ma non mi vedevi, senza maschera né bocca…

Anko dovette fermarsi avvertendo la nausea assalirla, mozzandole il fiato.

Kakashi inarcò un sopracciglio. “Senza bocca? Non mi pare di averla dimenticata.”

“La smetti di fare il cretino?!”

Sbuffò, rubando dal tavolino un paio di cioccolatini. “Sei senza senso dell’umorismo, dovresti rilassarti…

“In modo da lasciarmi assalire da un pervertito come te?”

“Non sarebbe male.”

Anko odiò il calore che si diffondeva sulle sue guance.

“Pervertito idiota!”

“Irresistibile cliente isterica.”

Kakashi sorrise obliquo, e Anko replicò con un’occhiata scettica. “Ma siamo sicuri che sei laureato?” borbottò, rubandogli di mano il cioccolatino scartato.

“Così pare… tutto qui il sogno? Fobia da ospedale?”

Anko morse un cioccolatino, lasciando vagare gli occhi per la stanza in ordine. Chissà come sarebbe stato vivere da sola, se avrebbe mantenuto tutto pulito come faceva Makoto. Dubitava.

“Allora?”

“Infine c’era Pein. Che mi guardava fisso. E… e mi invitava a divertirci. Lo diceva sempre quando… quando–

“Anko. Stai piangendo.”

Si portò il palmo sulla guancia, scacciando le lacrime che rotolavano giù, tonde e inarrestabili.

“Lo so, scemo! Lo so! Non ho bisogno che tu me lo dica, non ho bisogno di te! Perché cavolo ti ho chiamato?!” urlò tra i singulti, nascondendo il viso nella manica della maglietta.

Kakashi spalancò gli occhi, allarmato.

Anko… non volevo, io – scusami, sono stato indelicato e–

“Va al diavolo!” gli urlò lei, alzando gli occhi fiammeggianti. “Tanto tu sei qui solo per dovere! Che cazzo vuoi saperne di me, uh? pensi anche tu che sia una puttana?! Eh?! Dimmelo almeno in faccia, stronzo! E io che ti credevo… credevo… AAH!” gemette frustrata, coprendosi le orecchie con le mani.

Anko…

“Non ti sento! Non ti sento!”

“Anko.”

“C’è qualcuno qui? Oh, un ronzio odioso! Che mosca fastidiosa…

Kakashi sentì il sangue ribollire nelle vene: quella testarda, odiosa

Prima che riuscisse a capacitarsi di quello che faceva, le prese il volto tra le mani e la baciò, irruente, premendosi contro di lei.

Anko, dapprima istupidita, si aggrappò ai suoi capelli precocemente sale e pepe, cozzando il naso contro quello dritto di Kakashi, forzando l’entrata nella sua bocca, per baciarlo. Kakashi rispose con altrettanto impeto, schiacciandola contro il divano, accarezzandole le gambe lunghe sotto i pantaloni felpati.

Anko ansimava mentre si staccava dalle sue labbra, e lo fissava con espressione indecifrabile, finalmente muta.

Kakashi sospirò, e le accarezzò una guancia.

“Avrei voluto che questo fosse accaduto dopo una cenetta a lume di candela. Prevedo parecchie scenate, dopo questa mi uscita.”

Lei non rispose, ma assottigliò pericolosamente gli occhi.

“Lo so che sei arrabbiata, e credo che tu ne abbia il diritto. Però non ho saputo resistere, io… Anko, dannazione, devi smetterla di tenerti tutto dentro. Il tuo subconscio ne soffre, e il risultato sono questi incubi… hai bisogno di distrarti, di qualcosa che… che… cancelli tutto il resto.”

“Immagino tu voglia essere questo qualcosa.”

L’audacia della ragazza lo stupì, e si ritrovò ad accarezzarle distrattamente i capelli.

“Se me lo permetti… perché no?”

Lei stette in silenzio per un po’, poi abbandonò il capo sul cuscino, pensierosa.

“Non so… io…

Kakashi sorrise mesto. “Prenditi tempo, Anko. Io sono qui…” si alzò dal divano, e subito lei avvertì la mancanza del calore del suo corpo su di sé.

Mancanza era un sentimento estremamente emotivo che implicava un qualche legame con Kakashi. Questo la atterrì.

“Ti scrivo il mio indirizzo su questo foglietto” il dottore sventolò un pezzo di carta in aria, e lo appoggiò sul tavolo, afferrando nel contempo il giaccone. “Mi apriresti?”

Anko si riscosse e si alzò, andò alla porta e l’aprì, mordendosi le labbra nervosa. Sapevano ancora di cioccolata.

“A presto, spero.” La salutò sorridente lui, uscendo dall’uscio. Anko sospirò, e si appoggiò contro la porta chiusa, pensierosa. Osservò quel biglietto sul tavolo, invitante.

Appena due sere più tardi, Anko lo afferrò e si recò a quell’indirizzo. E così anche la seguente e quella dopo ancora.

 

Un nuovo vizio cancella quello precedente.

Eppure quello non era un vizio: ma aveva lo stesso effetto obliante, in lei.

La sua medicina, la sua salvezza. Forse, l’aveva trovata.

 

 

 

*^*^*^*^*^*

 

 

Non c’è stato nulla da fare appena ho letto il passaggio nel capitolo 23 – per la precisione, il flash-back in cui Kakashi parlava per la prima volta con Anko – ho dovuto scriverci qualcosa sopra: mi piacevano troppo in quel passaggio! *_* E pensare che a me la KakaAnko non dispiace, ma neppure entusiasma, ma Cami è stata troppo brava nel delinearli e io… li ho adorati, in quel frangente, ecco! XD

Commenti? Uh, spero solo di non aver sparato cavolate sull’università di Psicologia ^^;

Ringrazio Cami per avermi lasciato il permesso di scriverla… sempre gentile e disponibilissima! *_* Sono contenta di averli resi come li hai descritti tu! >_<

E, approfittando che sia una KakaAnko, questa è per Mimi, perché so che le piace tantissimo, come coppia! Gecchan, ti adoVo! *-*

 

Mi ritiro – tornando a scrivere, tra l’altro XD – e attendo i vostri giudizi, augurandovi buona settimana! ^^ Ricordate che lasciare una recensione non prende tanto tempo! ;)

 

 

Bye,

Kaho

 

  
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