Disclaimer: I
personaggi sono di Kishimoto. “Cosa significa…Normale?”
appartiene ad Arwen5786 a cui ho chiesto il consenso. Makoto Higurashi, invece, è un personaggio inventato da me… anche se è la coppia migliorata di Hinata! XD
La
shot si può leggere senza seguire la long-fic di Arwen… ma se non lo
fate, cominciate! Merita! ^^
Wonderwall
~
Maybe Salvation
And all the roads we have to walk are winding [E tutte le strade che dobbiamo
percorrere sono tortuose]
And all the lights that lead us there are blinding [E
tutte le luci che ci guidano
sono accecanti]
There are many things that I would [Ci
sono molte cose che]
Like to say to you [Vorrei dirti]
But I don't know how [Ma non so come]
Because maybe [Perchè magari]
You're gonna be the one that saves me [sarai colei che
mi salverà]
And after all [Dopotutto]
You're my
wonderwall [Sei la mia ancora di
salvezza]
Wonderwall,
Oasis
“La
lezione, per oggi, è conclusa.”
Il
professor Tsuki appoggiò il libro di ‘Organi
Sensoriali’ sul tavolo, cominciando a riordinare gli appunti della lezione
appena terminata, senza badare alla massa di studenti che usciva di fretta dall’Aula
7 di Psicologia dell’università.
Anko
Mitarashi, giovane allieva, lo imitò in maniera più
caotica, gettando gli appunti dentro la borsa larga e colorata, che si buttò
sulle spalle, uscendo quasi di corsa dall’Aula.
“Ehi
Anko!”
Si
girò al richiamo, masticando con enfasi una cicca.
Una
ragazza sui vent’anni stava sventolando pacata una mano verso di lei in segno
di saluto, il viso pallido pulito da trucchi e occhi chiari che spiccavano
sulle guance spruzzate di graziose lentiggini.
Le
labbra di Anko si sollevarono in quello che pareva un piccolo ghigno, piuttosto
che un sorriso, e la mano inanellata si levò, agitandosi nell’aria con più
energia di quella della ragazza poco distante.
“Ehi
Makoto! Come è andata la lezione speciale?!” berciò scherzosa, avvicinandosi
alla compagna di università.
Makoto
Higurashi sorrise dolcemente, arrossendo con
moderatezza e nascondendo il viso dietro una sciarpa dai cangianti colori.
“Piuttosto bene, grazie.” Confessò, stringendosi al petto due volumi di modeste
dimensioni.
“Oh,
quanto avrei voluto anche io far parte del corso di approfondimento!” si
lamentò ad alta voce Anko, guardando avidamente i libri e gli opuscoli in mano
alla sua compagna di appartamento da alcuni mesi. Questa arrossì, vergognosa.
“Purtroppo
sei entrata un anno dopo, altrimenti con i tuoi voti saresti già insieme a me.”
replicò educata la Higurashi, “…ho
sentito che sei la migliore del primo anno…”
Anko
avvertì un piacevole calore all’altezza del petto, e finalmente un bel sorriso d’orgoglio
le illuminò il volto; ridendo, mise un braccio intorno al collo di Makoto e
l’avvicinò a sé, esclamando giuliva: “Meglio! Non vedo di passare i primi anni
e fare un po’ di sano praticantato!”
“Decisa
verso psicanalisi allora?” domandò incerta Makoto, mal celando un sorrisetto
davanti all’esuberanza della compagna.
“Credo
proprio di sì!” rispose quella, liberandola dalla forte presa, “…è diventata un’ambizione, aiutare le persone in difficoltà…”
“Eppure
non mi sembri il tipo.”
Makoto
non vide come Anko si era leggermente irrigidita, guardava solo la postura
ritta e quello sguardo scuro, che esprimevano – o così vedeva lei – la
sicurezza in se stessa che Anko possedeva: e la invidiò un poco, perché Anko
era bella e forte, non banale e lentigginosa come lei. Non immaginava che gli
stessi pensieri, solo inversi, avevano animato la mente di Anko nei primi mesi
in cui abitavano insieme, e che di tanto in tanto le si ripresentassero, quando
trovava più dura adattarsi al nuovo stile di vita.
La
verità era che Makoto credeva di
conoscere Anko, ma non vedeva altro che la forza, cieca all’insicurezza che la Mitarashi era brava a celare a tutti. O quasi.
“Ma
smettiamola di parlare di me! Come si svolge il corso?” chiese Anko, avviandosi
per i corridoi affollati.
“È
su la psicologia infantile/adolescenziale: è un ramo molto interessante,
secondo me… lo tiene un giovane dottore che viene
direttamente dall’istituto di cura della celebre dottoressa Tsunade.”
Makoto
si portò nervosamente un ricciolo ribelle dietro l’orecchio, visibilmente
rosso.
“Ho
letto parecchi articoli su di lei, dicono che sia la Freud del ventesimo secolo… ma i giornalisti tendono sempre a esagerare! Piuttosto…” lo sguardo di Anko si era fatto smaliziato,
mentre osservava la compagna con gli occhi a terra e un tenue rossore diffuso.
“È così carino, questo professore, che al solo nominarlo arrossisci?”
Makoto
sussultò lievemente e le lanciò un’occhiata supplichevole, nascondendo con una
mano la guancia cocente.
“Smettila
Anko!”
Anko
rise di gusto, scompigliandole i capelli. “E chi sarebbe, questo ennesimo uomo
che ti fa battere il cuore? Posso almeno avere la descrizione?”
Makoto
storse le labbra, ferita dal sarcasmo pungente di Anko.
“Non
dire questo… sei sempre così crudele quando ti
racconto delle mie cotte… e poi questo non mi piace…” tentò di difendersi malamente.
Anko
sospirò, mordendosi un labbro.
“Scusa,
non volevo offenderti… solo che…
ecco tu ti lasci coinvolgere dagli uomini troppo facilmente. Basta un bel
visino per addolcirti… invece, dovresti stare più
attenta: sono una specie infida che meriterebbe l’estinzione.”
Makoto
sbattè le palpebre. “Ma per caso hai avuto solo
sfortuna con gli uomini, Anko?”
Anko
rise vuotamente, sistemandosi la borsa che continuava a scenderle lungo la
spalla, lasciata nuda dalla maglietta scollata.
“Direi
di sì, Makoto. Direi che sono stata decisamente sfortunata.”
“Si
vede.” Affermò l’universitaria, scostandosi ancora un ricciolo dalla fronte.
“Potresti provare ad uscire con qualcuno, sono certa che ti aiuterebbe, sai?
Non ha senso che tu coltivi questa fissa femminista scorretta.”
“Quando
mi sentirò di farlo, lo farò.” La rassicurò Anko, tentando di distendere le
labbra serena; non le venne un gran sorriso, ma bastò per illuminare il volto
di Makoto.
“Mi
racconti, ora, di questo professore?” sogghignò la Mitarashi,
e Makoto annuì.
“Ecco
lui– ”
“Signorina
Higurashi?”
Makoto
si voltò, e divenne di varie sfaccettature di rosso. “Professor Hatake!” ululò
sorridendo ampliamente alla vista del giovane dottore.
Kakashi
Hatake allungò verso di lei un blocco di appunti. “Credo abbia dimenticato
questo, nell’Aula.”
Makoto
alzò le sopracciglia sorpresa, agguantando il blocco lesta.
“Io… oddio! Mi spiace così tanto… sono
davvero distratta…” si scusò, accennando ad un
inchino, vedendo di scorcio la borsa variopinta di Anko, che le ricordò la sua
presenza. “Ehm, Professore, le presento una mia amica, la signorina–
”
“Ciao
Anko.”
Makoto
non poteva vedere il volto del Professor Hatake, nascosto da una sciarpa grigio
cenere, ma poté giurare che stesse sorridendo solo dal tono con cui aveva
salutato Anko, immobile e tesa accanto a lei.
“Hatake.”
Lo salutò Anko, senza allegria, anzi, quasi con disprezzo. “Che ci fai qui? Non
dovresti salvare menti deviate in questo momento?” ironizzò accusatoria e
irrisoria, lasciando Makoto ancora più perplessa di prima.
Le
palpebre di Kakashi Hatake si chiusero in un’espressione beota.
“È
quello che sto facendo: salvo giovani menti dalla monotonia delle lezioni.”
“Non
ti ci vedo così altruista.” Fu la dura risposta di Anko, a cui Kakashi non
pareva aver fatto caso.
“Eh,
in effetti mi ci ha costretto Tsunade: quella donna è una schiavista.” Sospirò
stanco. Il sopracciglio scuro di Anko si incurvò, creando una piccola ruga in
mezzo alla fronte. “Ma tu non eri un criminologo?”
“Ora
psichiatra, ho cambiato generis” le spiegò con nonchalance, rivolgendosi poi a
Makoto. “Le spiace se parlo con Anko qualche minuto, signorina?”
La
Higurashi scosse la testa, ancora stordita da quella
scena informale e strana. Si chiese
in che rapporti era stata Anko, con quel professore.
“Oh,
non c’è problema… grazie per gli appunti…
Anko, noi beh… ci vediamo lunedì, ok? Ciao!”
“Makoto
aspetta– !”
Prima
che potesse fermarla, la ragazza era già scappata e l’aveva lasciata sola con
lui, Kakashi Hatake. Anko contò fino a dieci, e si mise le mani sui fianchi
morbidi, tentando di apparire altezzosa.
“Che
vuoi?!” sbottò, cominciando a battere un piede sul pavimento, sbuffando.
Kakashi
appariva decisamente più rilassato. “Mi chiedevo come stavi, Anko. In fondo sono… sette mesi, forse, che non vieni più nel mio
ufficio.”
Lei
strinse la cinghia, mordendosi una guancia. “Sono solo sei, e sto benissimo. Se
non sono venuta, di vede che non ne avevo più bisogno.”
Gli
occhi neri, lasciati scoperti dalla sciarpa che Kakashi era solito non
togliersi mai, la osservavano criticamente, e Anko avvertì – non per la prima
volta – la sensazione che Hatake la stesse scandagliando.
Si
sentiva così nuda, davanti a lui. E
lei non era certo tipo da farsi problemi se un uomo la vedeva in intimo.
Eppure, con un solo sguardo, Kakashi la faceva sentire scoperta e lo odiava
proprio per questo.
“Nulla?
né incubi, né malori, niente di niente?” chiese ancora lui, critico e
professionale.
Anko
strinse le spalle. “Te l’avrei fatto sapere.”
“E
invece non l’avresti fatto.”
Replicò
sagace lui, e ancora Anko si sentì esposta. Come faceva a conoscerla così bene?
Ah, giusto. Era il suo lavoro.
“Mi
spiace che tu non abbia fiducia in una tua paziente.” Rispose a tono,
fingendosi offesa. “Ti sembrerà di certo strano, ma non sono stupida e l’avrei
fatto. Scusa, sono in ritardo per una lezione…”
“Aspetta.”
Il
sospiro arrendevole di Kakashi fermò la sua corsa verso la libertà – ergo,
lontano da quell’individuo di nome Hatake.
Si
sforzò di apparire seccata piuttosto che timorosa. “Sì? Che c’è?”
Kakashi
le allungò un bigliettino, dove aveva scritto un numero di telefono a biro. “C’è
il mio numero di casa: usalo se ne hai bisogno. Buona giornata.”
Prima
che potesse rifiutarlo, Kakashi si era già dileguato. Anko strinse la mascella,
pensando che quella non era una buona giornata e che aveva urgente bisogno di
buttarsi nel letto e riposare.
*
Camminava
lungo il corridoio bianco.
Il
rumore dei tacchi seguiva il suo passo deciso, mentre si inoltrava
nell’ospedale, guardandosi intorno sospettosa.
D’un
tratto si sentì prendere per un braccio: ebbe a malapena il tempo di gridare
“Cosa succede?!” che una mano premette sulla sua bocca.
Anko
spalancò gli occhi e urlò.
Un
manichino senza faccia la stava trattenendo, bloccandole i polsi e ogni
possibilità di uscita. Un manichino vivo.
“Lei
non può camminare da sola in quest’ospedale. Ha bisogno di cure.”
Cure?!
Quali cure?!
Anko
cominciò a scalpitare, muovendo freneticamente le lunghe gambe coperte da calze
a rete nere, che non indossava da mesi, ormai. “Ma io sto benissimo! Mi lasci
andare!” tentò di replicare, ma il medico senza volto la tratteneva con
facilità, bloccandole i movimenti.
Avvertì
gli occhi pungerle e affondò i denti nel braccio del dottore per scappare, ma
non vi era verso.
Vide
Kakashi osservarla placido, in mano il solito libro da pervertito e un accenno
di sorriso. Era senza maschera, ma gli mancava la bocca.
Anko
si portò una mano sul viso e gridò e gridò, dimenandosi dalla stretta che la
opprimeva. Allora un gruppo di infermieri senza occhi né orecchie né
sopracciglia le venne addosso, per tenerla ferma, bombardandola di domande, di
ordini, di consigli: Anko si portò le mani alle orecchie, piangendo, implorando
o ordinando loro di stare zitti.
“ZITTI!
ZITTI!”
“Signorina
Mitarashi, lei sta male, lasci che la aiutiamo…”
“È
una sporca prostituta, ma può essere guarita.”
“Un
po’ di pillole e vedrà: sarà una persona normalissima.”
“LO
SONO GIÀ! IO SONO SOLO ANKO, CHIARO?!”
“È
peggio di quanto credessimo.”
“Dobbiamo
intervenire: cosa facciamo, dottore?”
“Operiamo.”
“NO!
NON VOGLIO! KAKASHI AIUTO!”
I
singhiozzi cominciarono a scuoterla, mentre tentava di scavare tra la folla e
raggiungere Kakashi, così vicino eppure così sordo ai suoi richiami.
D’un
tratto, il buio.
Anko,
spaesata, mosse rapidamente gli occhi ancora lacrimanti, per orientarsi. Una
luce si accese, illuminando il volto del suo peggior incubo.
Pein
la fissava duramente, i piercing che l’accecavano, luccicanti come coltelli al
sole.
Un
sorriso tagliente.
“Anko
cara, vieni: ci divertiremo.”
Poi,
solo altre urla.
Anko
sobbalzò sul letto, con un grido.
Ansimava
pesantemente, e si sentiva il pigiama appiccicato alla schiena. Un brivido di
freddo e sollievo la percorse, mentre si toccava le guance bagnate,
strofinandovi il palmo in modo da cancellare le lacrime.
Buttò
indietro le coperte e posò i piedi nudi sul freddo pavimento dell’appartamento,
che divideva con Makoto. Tirò un sospiro, ringraziando i Kami
che l’amica fosse dai suoi genitori per il week-end.
Aprì
il frigo e si prese un bicchiere e una bottiglia di succo all’arancia.
Si
buttò su una sedia, versandosi la bibita e bevendola avidamente, ignorando le
gocce che le sfuggivano dalle labbra, strisciando sul suo collo.
Appoggiò
i polsi contro le palpebre.
Non agitarti. Sono solo incubi.
Stupidi, inutili incubi. Soggezione e inconscio.
Questo
non la rassicurò molto. Pur avendo appena iniziato da tre mesi la facoltà di Psicologia,
sapeva benissimo quanto importanti fossero i sogni per capire e superare i
traumi del passato di una persona.
Ma
non poteva, non voleva parlare di quei suoi assurdi incubi con nessuno, perché
non voleva tornare nella clinica.
Non
voleva ritornare ad essere la puttana di un mafioso, ma solo una studentessa di
nome Anko.
Ispirò
aria, ignorando il tremolio che la scuoteva vistosamente.
C’era
anche Kakashi questa volta, ma non si era avvicinato. Però, come mai era lì?
Razionalmente si rese contro che era un fattore nuovo nei suoi incubi, e se ne
meravigliò. Imputò la colpa all’incontro di quella mattina, e buttò casualmente
l’occhio sul suo biglietto da visita che aveva lasciato sopra il tavolo.
Un
numero di cellulare scritto a biro spiccava sul bianco accecante.
Anko
si morse le labbra, poi lo prese e scivolò velocemente in salotto, premendo la
cornetta contro l’orecchio. E compose il numero di Kakashi Hatake.
*
Kakashi
inchiodò la macchina e l’accostò davanti ad un palazzo in periferia. Controllò
velocemente se l’indirizzo fosse giusto, poi saltò giù dalla vettura,
chiudendola con un ‘click’ sulla chiave elettronica, e fece le rampe di scale a
due a due.
Dire
che fosse sorpreso dalla chiamata notturna di Anko era un mero eufemismo: il
suo sonno pesante era stato interrotto appena aveva sentito la voce della
ragazza alla cornetta, tremante e sottile.
Sapeva
che non avrebbe dovuto essere così ansioso per lei, ma non poteva impedirselo:
con Anko Mitarashi si sentiva coinvolto sul piano
emotivo, e avvertiva il bisogno di aiutarla, anche a costo di sacrifici come il
suo salutare sonno.
Bussò
con frenesia alla porta, ansimando per la corsa, e subito si trovò l’uscio
aperto e un’Anko coperta da un’enorme maglietta e pantaloni felpati, che si
mordeva nervosa un’unghia, osservandolo di sottecchi.
Kakashi
avvertì il suo stomaco contrarsi, alla vista di Anko così fragile ed esposta.
“Hai
dimenticato la maschera.” Lo accolse lei, con voce atona. C’erano tracce di
fondotinta sul suo viso, spalmato malamente a causa delle lacrime ancora
fresche.
Kakashi
alzò le spalle. “Ce l’ho in tasca, ma non credo che serva, dato che mi hai già
visto in viso… posso entrare?”
Lei
annuì, sospettosamente, scostandosi di lato.
Kakashi
entrò nell’appartamento, e appoggiò il cappotto sul tavolo, desideroso di
cominciare a discorrere con lei. Il suo volto sciupato non le aveva affatto
rincuorato, anzi, il suo stomaco a quella vista si era contratto, in modo
estraneo.
“Non
vuoi che te l’appenda?” propose gentilmente Anko. Kakashi scosse la testa, in
segno di diniego.
“Preferirei
che ci sedessi e parlassimo; che ne dici?”
Anko
tremò, ma annuì facendogli strada nel salotto e accomodandosi sul divano,
stringendo le gambe a sé, verso la coscia, la schiena voltata verso di lui,
seduto normalmente sul divano ad una debita distanza.
Kakashi
osservò il suo nervosismo palese, evidenziato da come torturava la maglia e
come muovesse gli occhi per la stanza, evitando il suo sguardo.
“So
cosa stai pensando: che ho bisogno di tornare in terapia. Ma non ne ho affatto bisogno, invece.”
Diretta
e secca, dietro tutta quell’arroganza c’era una ragazza ancora fragile, che non
voleva accettare il suo aiuto. Kakashi sospirò.
“Non
lo penso.” La rassicurò, avanzando di un centimetro verso di lei. “Perché mi hai
chiamato, Anko?”
Lei
si morse il labbro inferiore, azzardandosi a guardarlo.
“Avevi
detto che potevo farlo, no?” ritorse sprezzante, schiarendosi appena dopo la
voce, un po’ più timida di come avrebbe voluto.
Kakashi
sorrise internamente.
“Certamente,
ma non mi avresti mai chiamato senza motivo. Ne vuoi parlare?”
“No.”
Kakashi inarcò appena le sopracciglia, e Anko voltò il viso verso il televisore
spento. “Cioè, forse sì.”
“Uhm.”
Kakashi odiava quel suo orgoglio, a volte, anche se era la prima cosa di lei
che lo avesse colpito, quando le aveva parlato per la prima volta.
“Ipoteticamente, quel forse sì sta per…?”
Anko
sospirò, passandosi una mano tra i corti capelli neri. Li ha tagliati, notò distrattamente lui, guardando le magre dita
chiare spuntare tra la chioma corvina.
“Kakashi,
non usare questi giochetti con me.”
La
voce di Anko era tagliente e fiera, ma non lo intimorì affatto.
“E
tu non essere così astiosa, e parlami del perché stai male.”
Anko
sospirò e Kakashi fu distratto dal suo prosperoso petto che si alzava e
abbassava. L’occhiata ammonitrice di lei lo convinse a riportare tutta la sua
attenzione sul suo volto.
Lo
psicanalista tossicchiò, imbarazzato, facendola sorridere appena. Si congratulò
con se stesso sia per aver evitato un pungo sia per averla fatta sorridere.
“Ecco… diciamo che ho fatto dei sogni.”
“Mi
stai chiamando perché hai fatto sogni erotici su di me?”
Stavolta
il pugno non lo evitò, e lo centrò in pieno stomaco, togliendogli il fiato.
Anko lo fissava furente, digrignando quasi i denti.
“Hatake
sei un demente pervertito!”
“Scusa,
scusa,” si affrettò lui, azzardando un piccolo sorriso imbarazzato. “M’è
scappata la battuta! Non lo pensavo, sul serio!” anche se mi piacerebbe molto.
Anko
sbuffò, ma si rilassò, e si rimise seduta, portandosi inconsciamente più vicina
a lui.
“Sogni,
eh?” indagò lui, osservandola critico.
Lei
si irrigidì. “Diciamo più incubi.” Corresse vaga, ricominciando a torturarsi
l’unghia cortissima.
“E
cosa succede in questi incubi?”
Anko
deglutì, e aprì la bocca, ma nessuna parola uscì dalle sue labbra.
Kakashi
osservò pacato. “Non sei ancora pronta a parlarne?”
La
nota dolce nella sua voce la fece stizzire. “Certo che sono pronta! Altrimenti
non ti avrei chiamato, imbecille!”
Kakashi
portò istintivamente la mani in avanti in posizione difensiva. “Ehm, sì va bene
Anko… calmati però…”
“Io
sono perfettamente calma.”
Non
osò contraddirla: non voleva finire come quel cuscino sotto le mani della
ragazza. Sarebbe stata una fine orribile e senza senso.
Tossì
nuovamente, per cambiare l’atmosfera, e divenne serio.
“Allora,
chi era il protagonista del sogno?”
Anko
abbassò gli occhi nocciola, e i polpastrelli delle dita sfiorarono i pantaloni
felpati: vi era un nonché di malinconico e stanco, in quel viso smunto solcato
da leggere occhiaie, ma anche una grande forza, di cui Kakashi si era accorto
subito; rispetto a molte altre ragazze, prostitute si da ragazzine, Anko era
riuscita a superare in parte il suo dramma e ad uscire da quel circolo vizioso
a testa alta; ora doveva solo compiere l’ultimo passo…
e lui voleva aiutarla in questo. Perché sentiva che quella fastidiosa ansia che
lo aveva seguito in quei sei mesi senza di lei, non gli avrebbe mai dato tregua
finchè non avesse saputo che lei stava bene.
“…c’ero io.” Cominciò a raccontare incolore la ragazza.
“Vedevi
il tutto in prima persona, o vedevi la tua figura come se fossi un spettatore
esterno?”
Anko
si sistemò meglio sul divano, incrociando le braccia sul seno prosperoso. “Ha
importanza?”
Kakashi
tentò di non distrarsi. “Potrebbe.” Mormorò pigramente, causando un nuovo
sospiro della ragazza.
“In
prima persona. Ora posso continuare o mi interromperai ancora?”
Kakashi
si lasciò sfuggire un sorriso, appoggiando un gomito sullo schienale del divano
e appoggiando, sopra il palmo, il volto rilassato.
“Procedi.”
Anko
strinse le labbra, e lui temette un attacco d’ira che fortunatamente non
arrivò.
“Beh,
insomma, ero io. Mi trovavo nel corridoio di un ospedale – perché cazzo l’ho
sognato non ne ho idea, dato che sono stata in prigione e non in ospedale… mah…
- comunque, c’era questo corridoio… e ad un tratto,
ecco, sono stata presa da una specie di manichino che parlava e mi stringeva
forte, un dottore che assomigliava a Frankestain, a
dirla tutta… uno schifo…”
biascicò con foga, tergiversando. “e poi c’erano così tanti Frankestain
che mi volevano rinchiudere perché era una puttana e io cercavo di fermali… e tu mi guardavi, ma non mi vedevi, senza maschera
né bocca…”
Anko
dovette fermarsi avvertendo la nausea assalirla, mozzandole il fiato.
Kakashi
inarcò un sopracciglio. “Senza bocca? Non mi pare di averla dimenticata.”
“La
smetti di fare il cretino?!”
Sbuffò,
rubando dal tavolino un paio di cioccolatini. “Sei senza senso dell’umorismo,
dovresti rilassarti…”
“In
modo da lasciarmi assalire da un pervertito come te?”
“Non
sarebbe male.”
Anko
odiò il calore che si diffondeva sulle sue guance.
“Pervertito
idiota!”
“Irresistibile
cliente isterica.”
Kakashi
sorrise obliquo, e Anko replicò con un’occhiata scettica. “Ma siamo sicuri che
sei laureato?” borbottò, rubandogli di mano il cioccolatino scartato.
“Così
pare… tutto qui il sogno? Fobia da ospedale?”
Anko
morse un cioccolatino, lasciando vagare gli occhi per la stanza in ordine.
Chissà come sarebbe stato vivere da sola, se avrebbe mantenuto tutto pulito
come faceva Makoto. Dubitava.
“Allora?”
“Infine
c’era Pein. Che mi guardava fisso. E… e mi invitava a
divertirci. Lo diceva sempre quando… quando– ”
“Anko.
Stai piangendo.”
Si
portò il palmo sulla guancia, scacciando le lacrime che rotolavano giù, tonde e
inarrestabili.
“Lo
so, scemo! Lo so! Non ho bisogno che tu me lo dica, non ho bisogno di te!
Perché cavolo ti ho chiamato?!” urlò tra i singulti, nascondendo il viso nella
manica della maglietta.
Kakashi
spalancò gli occhi, allarmato.
“Anko… non volevo, io – scusami, sono stato indelicato e– ”
“Va
al diavolo!” gli urlò lei, alzando gli occhi fiammeggianti. “Tanto tu sei qui
solo per dovere! Che cazzo vuoi saperne di me, uh? pensi anche tu che sia una
puttana?! Eh?! Dimmelo almeno in faccia, stronzo! E io che ti credevo… credevo… AAH!” gemette
frustrata, coprendosi le orecchie con le mani.
“Anko…”
“Non
ti sento! Non ti sento!”
“Anko.”
“C’è
qualcuno qui? Oh, un ronzio odioso! Che mosca fastidiosa…”
Kakashi
sentì il sangue ribollire nelle vene: quella
testarda, odiosa –
Prima
che riuscisse a capacitarsi di quello che faceva, le prese il volto tra le mani
e la baciò, irruente, premendosi contro di lei.
Anko,
dapprima istupidita, si aggrappò ai suoi capelli precocemente sale e pepe,
cozzando il naso contro quello dritto di Kakashi, forzando l’entrata nella sua
bocca, per baciarlo. Kakashi rispose con altrettanto impeto, schiacciandola
contro il divano, accarezzandole le gambe lunghe sotto i pantaloni felpati.
Anko
ansimava mentre si staccava dalle sue labbra, e lo fissava con espressione
indecifrabile, finalmente muta.
Kakashi
sospirò, e le accarezzò una guancia.
“Avrei
voluto che questo fosse accaduto dopo una cenetta a lume di candela. Prevedo
parecchie scenate, dopo questa mi uscita.”
Lei
non rispose, ma assottigliò pericolosamente gli occhi.
“Lo
so che sei arrabbiata, e credo che tu ne abbia il diritto. Però non ho saputo
resistere, io… Anko, dannazione, devi smetterla di
tenerti tutto dentro. Il tuo subconscio ne soffre, e il risultato sono questi incubi… hai bisogno di distrarti, di qualcosa che… che… cancelli tutto il
resto.”
“Immagino
tu voglia essere questo qualcosa.”
L’audacia
della ragazza lo stupì, e si ritrovò ad accarezzarle distrattamente i capelli.
“Se
me lo permetti… perché no?”
Lei
stette in silenzio per un po’, poi abbandonò il capo sul cuscino, pensierosa.
“Non
so… io…”
Kakashi
sorrise mesto. “Prenditi tempo, Anko. Io sono qui…”
si alzò dal divano, e subito lei avvertì la mancanza del calore del suo corpo
su di sé.
Mancanza…
era un sentimento estremamente emotivo che implicava un qualche legame con
Kakashi. Questo la atterrì.
“Ti
scrivo il mio indirizzo su questo foglietto” il dottore sventolò un pezzo di
carta in aria, e lo appoggiò sul tavolo, afferrando nel contempo il giaccone. “Mi
apriresti?”
Anko
si riscosse e si alzò, andò alla porta e l’aprì, mordendosi le labbra nervosa.
Sapevano ancora di cioccolata.
“A
presto, spero.” La salutò sorridente lui, uscendo dall’uscio. Anko sospirò, e
si appoggiò contro la porta chiusa, pensierosa. Osservò quel biglietto sul
tavolo, invitante.
Appena
due sere più tardi, Anko lo afferrò e si recò a quell’indirizzo. E così anche
la seguente e quella dopo ancora.
Un nuovo vizio cancella quello
precedente.
Eppure quello non era un vizio: ma
aveva lo stesso effetto obliante, in lei.
La sua medicina, la sua salvezza.
Forse, l’aveva trovata.
*^*^*^*^*^*
Non
c’è stato nulla da fare appena ho letto il passaggio nel capitolo 23 – per la
precisione, il flash-back in cui Kakashi parlava per la prima volta con Anko –
ho dovuto scriverci qualcosa sopra: mi piacevano troppo in quel passaggio! *_*
E pensare che a me la KakaAnko non dispiace, ma
neppure entusiasma, ma Cami è stata troppo brava nel
delinearli e io… li ho adorati, in quel frangente,
ecco! XD
Commenti?
Uh, spero solo di non aver sparato cavolate sull’università di Psicologia ^^;
Ringrazio
Cami per avermi lasciato il permesso di scriverla… sempre gentile e disponibilissima! *_* Sono
contenta di averli resi come li hai descritti tu! >_<
E,
approfittando che sia una KakaAnko, questa è per
Mimi, perché so che le piace tantissimo, come coppia! Gecchan,
ti adoVo! *-*
Mi
ritiro – tornando a scrivere, tra l’altro XD – e attendo i vostri giudizi,
augurandovi buona settimana! ^^ Ricordate che lasciare una recensione non
prende tanto tempo! ;)
Bye,
Kaho