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Autore: micRobs    28/08/2013    4 recensioni
Nick/Jeff | Long Fic | AU, Fluff, Angst lieve, Lime | Romantico
"Rescue me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza."
Dal capitolo 1: "Per essere giugno inoltrato, la temperatura non era esattamente delle più estive. L’aria di quella sera era fresca e frizzante e il cielo minacciava pioggia da un momento all’altro. Nick premette il piede sull’acceleratore, desideroso di mettere quante più miglia possibili tra se stesso e quella strada desolata. Era partito da circa sei ore e quel viaggio, già di per sé infinito, stava prendendo una piega ancora peggiore a causa di quella deviazione che lo aveva costretto ad abbandonare la sicurezza della statale in favore di quel tratto sterrato e ignoto. Il suo navigatore sembrava conoscere la direzione, però, quindi Nick si era ciecamente affidato a lui nella speranza che lo avesse condotto sano e salvo a Chicago."
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval | Coppie: Nick/Jeff
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Pairing: Nick/Jeff
Genere: Sentimentale / Romantico / Commedia / Fluff / Angst accennato.
Avvertimenti: Slash, AU, Lime.
Rating: Arancione.
Capitoli: ~8/10
Introduzione:Rescue me è la storia di un salvataggio. È la storia di un viaggio inaspettato e di due vite che si intrecciano.
Rescue me è la storia di due storie ma, soprattutto, Rescue me è la storia di chi ha compreso che esistono molteplici modi per trarre in salvo qualcuno e che, spesso, la meta prefissata non è così lontana come sembrava alla partenza.
Note d’autore: As usual, tante e alla fine.
Note di Betaggio: Un nome, una garanzia. Un milione di volte, grazie. Vals.
 
  



8. From my lies.

 



 

Quando Nick e Jeff giunsero a Las Vegas, le eccentriche e variopinte luci della città si stagliavano già contro il manto scuro del cielo.

Nick aveva ormai perso la cognizione del tempo, ma la verità era che non aveva avuto né modo e né motivo di desiderare che quel viaggio finisse. L’abitacolo della macchina di Jeff, con i finestrini abbassati e lo stereo sintonizzato su una frequenza a caso, era un ottimo posto in cui passare la vita – in cui passare tutte le vite – e il ragazzo si era goduto l’aria fresca che gli sferzava il viso e le chiacchiere concitate di Jeff, senza il bisogno di preoccuparsi di nient’altro che non fosse fisicamente lì con lui.

Qualsiasi imbarazzo tra loro sembrava essersi dissipato come un’inconsistente nuvola di fumo e quella rinnovata intimità che li legava rendeva le conversazioni molto più semplici e naturali. Oltre che interessanti e stimolanti. Jeff parlava con la sua solita parlantina entusiasta e di tanto in tanto distoglieva lo sguardo dalla strada per voltarsi a sorridergli, con quella complicità e sintonia che erano schizzate alle stelle in seguito agli avvenimenti delle precedenti ventiquattro ore.

Aveva smesso di farsi domande e aveva smesso di prestare ascolto alla voce di sua madre nelle retrovie della sua testa. Per una volta, per un’unica e meravigliosa volta, voleva solo smettere di pensare, smettere di fare calcoli e pianificare ogni cosa, smetterla di essere lungimirante e iniziare a vivere nel presente. Con Jeff al suo fianco – che canticchiava motivetti di canzoni a caso e si allungava a sfioragli la mano che lui teneva posata sulla gamba – farlo era sorprendentemente più semplice che dirlo. 

«Quindi qual è il piano?» Domandò Nick, approfittando di un attimo di silenzio da parte di Jeff. «Ci accampiamo in macchina e poi domani visitiamo la città?»

L’altro non rispose subito, ma continuò a tamburellare le dita sul volante, le labbra strette come se stesse riflettendo su questioni talmente pesanti da opprimergli le tempie. Nick lo osservò affascinato, non riuscendo a trattenere un sorriso all’espressione concentrata di Jeff e alla sua fronte leggermente aggrottata. Credeva di essersi abituato alla sua presenza, alle sue stranezze, alle sue T-shirt con le stampe, alle sue piccole manie e fissazioni, invece quel ragazzo continuava a sorprenderlo in maniera inaspettata e piacevole. Proprio quando Nick credeva di essere riuscito ad ottenere un quadro completo della sua personalità, ecco che Jeff gli dimostrava quanto si fosse sbagliato, donandogli l’ennesima chiave di lettura.

«In realtà» esordì il ragazzo, la sua espressione nuovamente rilassata ed entusiasta. «Las Vegas la si vive di notte, quindi io direi di trovare un hotel in cui sistemarci e poi andarci a fare un giro» e, detto ciò, gli rivolse un sorriso esaltato e radioso a cui Nick non avrebbe mai potuto negare nulla.

«Mi piace» fece una smorfia e annuì concorde, anche perché non aveva alcun motivo per non esserlo. «Ma l’hotel lo pago io.»

Jeff provò a opporsi strenuamente a quella decisione e Nick dovette richiamare a sé ogni briciolo di forza di volontà che possedesse, per non lasciarsi convincere dal suo broncio contrariato; alla fine, riuscì a spuntarla solo promettendo solennemente che il prossimo hotel lo avrebbe lasciato pagare a Jeff.

Non fu una promessa così difficile da fare, dopotutto. A Nick bastava sapere che ci sarebbe stata una prossima volta: al resto ci avrebbe pensato poi.
 

 

*°*°*°


 
 
Trovare un hotel in cui pernottare non si rivelò un’impresa così semplice, come Nick aveva scioccamente creduto. L’errore basilare era stato quello di non aver tenuto conto della quantità indecente di hotel che si trovavano in quella città e tra i quali, ovviamente, i due ragazzi non sapevano quale scegliere.

“Mmmh, ma quello è il Castello di Re Artù?”

“Quello con la piramide nera. Assolutamente. No, ma l’hai vista?”

“Nick, quello ha dei leoni. Vivi. Nelle gabbie.”

“Sbaglio, o quello è un vulcano? Attivo.”

Nick non aveva visto Jeff così entusiasta neanche a Chicago, neanche in presenza dei suoi grattacieli e dei secoli di storia celati in quelle torri impressionanti. I suoi occhi brillavano come mai prima e, forse era anche merito delle luci dei casinò e delle attrazioni di quella città che lo illuminavano di colori sgargianti e psichedelici, ma sembrava davvero fremere per fare suo ogni singolo particolare che si nascondeva dentro quelle strutture bizzarre e affascinanti. Continuava a guardarsi intorno, le labbra schiuse e l’espressione impaziente ed eccitata, indicando uno o l’altro edificio e voltandosi poi a cercare l’approvazione e l’entusiasmo sul viso di Nick; quest’ultimo non avrebbe mai potuto mostrarsi in altro modo, dato che la sola vista della felicità dipinta sul viso di Jeff bastava a farlo emozionare e a coinvolgerlo.

Come se non bastasse, lui non era mai stato a Las Vegas e, sebbene sapesse più o meno a cosa stava andando incontro, mai avrebbe potuto essere preparato a tutto quello. A tutti quei colori, a tutte quelle luci, a tutta quella vita. L’ora di cena era passata da un pezzo, ma le strade brulicavano di persone festanti, di auto lussuose – “Quella era davvero una limousine? Assurdo, sembra di essere finiti in un episodio di C.S.I.” – e di rumore. Rumore di fuochi d’artificio, degli spettacoli acquatici offerti dalle fontane di numerosi hotel, di messaggi pubblicitari che scorrevano su enormi schermi luminosi, di musica all’aperto, di risate.

«Io proporrei di fermarci un attimo e fare il punto della situazione» proruppe Jeff dopo qualche attimo di silenzioso e mistico stupore. Nick non poté non dargli ragione, così i due ragazzi accostarono la macchina all’angolo di una strada relativamente poco trafficata e decisero di affidarsi alle infallibili guide cartacee di Jeff per stabilire dove sistemarsi. Era incredibile quanta roba fosse contenuta in quella tracolla, Nick aveva perso il conto di quante cose aveva visto Jeff estrarvi; in un momento di pura irrazionalità, si domandò quanto dovesse pesargli sulle spalle.

«Dunque» esordì il ragazzo, dispiegando una cartina tra loro e poi sollevando lo sguardo per accertarsi che fossero nel posto giusto. «Noi siamo qui» e, così dicendo, puntò il dito su un punto imprecisato della mappa.

Il “qui” in questione, scoprì Nick, era la Las Vegas Strip, ovvero la strada con la più alta concentrazione di hotel e casinò di tutta la città. Lui non faceva alcuna fatica a crederlo, visto la varietà e la quantità assurda di edifici che li circondava. I numeri, poi, erano decisamente esorbitanti: ebbene, li informò la guida, su quella strada erano posizionati la bellezza di diciannove hotel. Considerando che ogni hotel era un paese a sé, Nick non era certo di voler sapere quanti turisti fosse in grado di ospitare quell’unica strada.

«Come lo scegliamo?» Domandò Jeff, la sua voce suonava vagamente afflitta. «Andiamo a caso? Quello che ci ispira di più? Quello più economico o quello con il nome più intrigante?»

Nick fece schioccare la lingua e gettò uno sguardo un po’ allarmato alla riproduzione stilizzata della Las Vegas Strip, con la disposizione precisa di tutti gli hotel. «La prima mi piaceva» fece una smorfia e cercò l’approvazione nello sguardo di Jeff. «Chiudiamo gli occhi e puntiamo il dito, lasciamo scegliere alla sorte.»

E forse era il sorriso radioso e coinvolgente in cui si era aperto, ma Jeff si lasciò convincere praticamente subito. «Beh, se non altro, riduciamo la scelta a due sole alternative» concordò, poi prese un respiro profondo e chiuse gli occhi. «Pronto?»

Nick annuì, anche se l’altro non poteva vederlo, e lo imitò. «Al tre?» Domandò e puntò il dito orientativamente dalle parti della cartina.

«Al tre» la voce di Jeff lo raggiunse puntuale e pimpante, alla sua destra. «Uno.»

«Due.»

«Tre.»

Pronunciarono insieme quell’ultima parola. E poi sorrisero, ancora con gli occhi chiusi, quando le loro dita si scontrarono sulla carta.
 

 

*°*°*°


 
 
L’hotel The Mirage si trovava esattamente al centro della Las Vegas Strip e non molto distante dal posto in cui i due ragazzi avevano parcheggiato la macchina. Raggiungerlo non fu affatto difficile, dal momento che vi erano già passati davanti poco prima e – seguendo le indicazioni della guida di Jeff – nessun altro hotel aveva al suo esterno una cascata e un vulcano attivi. Nick aveva aperto gli occhi e si era voltato verso Jeff che lo osservava sorpreso e con la testa lievemente inclinata di lato, le loro dita che ancora si sfioravano in corrispondenza dell’hotel Mirage.

«Siamo stati fortunati» aveva esordito il ragazzo, ma Nick non gli aveva lasciato il tempo di aggiungere altro, perché si era sporto verso di lui e aveva catturato le sue labbra con le proprie, la mano al sicuro tra i capelli biondi di Jeff e il cuore che palpitava veloce.

Erano stati molto più che fortunati.

L’interno dell’hotel era diametralmente opposto a quello dell’Hotel Sax di Chicago, ma non per quello li lasciò diversamente a bocca aperta. Approssimativamente, era grande forse il doppio dell’appartamento a New York di Nick e ugualmente il doppio luminoso e arioso. Il rumore prodotto delle loro scarpe sul pavimento di marmo li accompagnò mentre si dirigevano verso il bancone della reception, entrambi con le labbra schiuse e lo sguardo che saettava veloce da una parte all’altra dell’immensa hall.

«Pensi che abbiano una camera libera?» Mormorò Jeff e, anche se aveva parlato a voce bassissima, l’eco delle sue parole risuonò chiaramente nell’ambiente. «Come non detto, sto zitto.»  

Nick scosse la testa e piegò le labbra in un sorriso divertito e sereno. Sebbene avesse trascorso gran parte della giornata seduto in macchina, si sentiva carico come al risveglio di un lungo sonno ristoratore. Sospettava cha la causa fosse da ricercare nell’intrinseco e contagioso buon umore di Jeff.

«Sarebbe il colmo, andiamo!» Lo rassicurò, passandosi una mano tra i capelli. «Questo posto avrà tipo… non lo so, duemila stanze!»

Mezz’ora – e diversi centimetri di opuscoli di ogni genere di attrattiva offerto da quell’albergo – più tardi, Nick e Jeff scoprirono che le camere erano più di tremila, che ce n’era ben più d’una libera e che potevano scegliere tra una doppia o due singole, come preferivano.

Mentre Jeff infilava la chiave nella serratura ed entrambi si affacciavano su quella che sarebbe stato un po’ la loro alcova per i prossimi due giorni, Nick stava ancora cercando di capire dove avesse trovato il coraggio di proporgli di dividere una matrimoniale.

 
 

*°*°*°


 
 
Se avesse dovuto utilizzare una sola parola per descrivere Las Vegas, Nick avrebbe scelto “diversa”. Diversa da qualsiasi cosa avesse visto in precedenza, diversa da qualsiasi esperienza avesse mai fatto, diversa da qualsiasi stile di vita avesse mai osservato. Sembrava di stare su un altro pianeta, come se fossero finiti in una dimensione parallela, una volta entrati nella città. L’universo in cui si trovavano era diametralmente opposto dalla vita quotidiana a cui Nick era abituato, ma non avrebbe saputo dire se fosse migliore o peggiore. Certo, Las Vegas era considerata la patria della trasgressione e della libertà e, lui era pronto a giurarlo, figurava sulla lista dei luoghi da visitare di qualsiasi essere umano di età compresa tra i diciassette anni e la pensione. Il punto però era proprio quello: Las Vegas era bella per un paio di giorni, per una settimana anche, ma Nick sospettava che dopo un po’ diventasse stancante ed alienante. Lui e Jeff stavano camminando da circa quaranta minuti e già avevano assistito a tre spettacoli di fontane e all’eruzione di un vulcano: dopo un po’ si cadeva sempre negli stessi schemi e nella stessa routine e annoiarsi diventava facile.

La compagnia di Jeff, comunque, rendeva quel viaggio molto più interessante e quella semplice passeggiata per la Las Vegas Strip diventava un’occasione per arricchire maggiormente il suo bagaglio di aneddoti e informazioni più o meno utili – almeno a suo parere. Tra la cultura personale del compagno e l’immancabile guida turistica cartacea, Nick scoprì più cose di quante credeva di poterne memorizzare.

Siccome l’hotel Mirage si trovava praticamente al centro della strada principale, i due ragazzi avevano tirato a sorte per decidere da che parte dirigersi per iniziare il loro giro di esplorazione; la monetina a cui avevano affidato la scelta li aveva indirizzati verso Sud e così era quella la direzione verso cui i due ragazzi stavano camminando.

Poco dopo essere passati accanto alla fedele replica della Tour Eiffel, che abbelliva l’esterno del Paris Las Vegas e che fece venire ad entrambi una gran voglia di volare in Francia – “Sebastian adorerebbe questo posto, credo che non gli rivelerò mai la sua esistenza” –, i due ragazzi si fermarono davanti a quello che era indubbiamente l’hotel più grande che avessero visto fino a quel momento.

“MGM Grand Las Vegas” li informò la guida, ma era una precisazione pressoché inutile, visto che il nome dell’hotel era riprodotto in enormi e squadrate lettere luminose, direttamente sulla facciata dell’edificio che, a causa delle luci che lo illuminavano, appariva color verde smeraldo.
«
E noi che pensavamo che il nostro avesse un numero astronomico di stanze» la voce di Jeff, stupefatta e incredula, portò Nick a spostare lo sguardo su di lui; il ragazzo stava scorrendo le pagine della sua guida dedicate a quell’hotel. «Qui pare ce ne siano qualcosa come… non lo so, più di cinquemila. Ma dici che riescono a riempirle? Te li immagini quei poveri inservienti, quando c’è il pienone?»

Nick sollevò entrambe le sopracciglia e sgranò lievemente gli occhi al solo pensiero dell’enorme via vai di persone, causato dalla bellezza di cinquemila camere occupate. «Dio, deve essere allucinante, davvero da perderci la testa.»

«Anche se dubito che raggiungano mai il numero massimo» continuò Jeff, facendo schioccare la lingua. «La guida dice che solo su questa strada ci sono un totale di» voltò velocemente qualche pagina per cercare l’informazione che gli serviva. «Sessantacinquemila stanze. Insomma, si parla di più di un milione di persone! Tutta questa gente perché mai dovrebbe venire a Las Vegas contemporaneamente

Nick fece una smorfia, non potendo non dargli ragione, erano delle cifre davvero esorbitanti. «Mmmh, se mai dovessero evacuare Manhattan a causa di un improvviso attacco alieno, potrebbero portare tutti gli abitanti qui senza alcun problema.»

«Come? Ti immagini le code in autostrada? Saremmo tutti morti prima di uscire da New York.»

Scoppiarono entrambi a ridere e tornarono a dedicare la loro attenzione alla facciata dell’hotel che avevano di fronte, al cui ingresso sostava un’enorme statua di un leone dorato. La guida di Jeff li informò che quella era la più grande statua di bronzo presente negli Stati Uniti – Nick accantonò quel dettaglio tra le cose che non era necessario sapere.

«Qui dice che, una volta, l’ingresso principale sulla strada consisteva in una gigantesca bocca di leone e che la si doveva attraversare per accedere al casinò.»

«Inquietante, direi io.»

«E non solo tu, aggiungerei io» proseguì Jeff, mentre entrambi si avvicinavano maggiormente alla statua. «Sembra che abbiano avuto problemi legali perché, indovina un po’?, per alcune culture popolari pare porti sfortuna farsi mangiare da enormi leoni dalle zanne acuminate per entrare in locali in cui sperperare tutto il proprio patrimonio, giocando d’azzardo.»

Nick non riuscì a trattenere una risata. «Forse davano la colpa alla bocca di leone se perdevano tutti i loro averi» suppose, con una lieve scrollata di spalle. «Quella del casinò è stata solo una strategia difensiva.»

L’altro ragazzo parve pensarci su per qualche attimo, alternando lo sguardo da Nick alla statua che aveva sostituito l’ingresso originale. «Ha una sua logica» approvò, dopo qualche attimo.

Non si preoccuparono di avvicinarsi di più, perché a quell’ora della sera le strade erano davvero affollatissime e loro erano particolarmente ansiosi di andare a visitare altro. Quegli edifici erano uno diverso dall’altro e loro morivano dalla voglia di vederli tutti. Passarono davanti alla riproduzione del castello di Camelot che avevano visto anche al loro arrivo – si trovava al centro dei quattro palazzi che costituivano l’Excalibur Hotel and Casinò – e rimasero per un momento incantati ad osservare il personale all’ingresso vestito in abiti medioevali per accogliere i visitatori.

«Lo sai che, circa dieci anni fa, in questo casinò è stato vinto il più alto jackpot della storia di Las Vegas?»

«Oso chiedere a quanto ammontava?»

«Non sono neanche certo di saperlo leggere.»

Ma ciò che li lasciò davvero senza fiato, comunque, si trovava accanto all’Excalibur ed aveva la forma di una piramide. Enorme e rivestita di vetro nero riflettente, il Luxor Hotel era uno degli edifici più belli e particolari che Nick avesse mai visto.

Ogni hotel era ispirato ad un tema portante e Nick non aveva fatto alcuna fatica a capirlo, anche senza l’aiuto della guida, ma l’ideatore e il costruttore di quel preciso albergo meritavano infinita gloria e ammirazione, perché ciò che avevano realizzato era davvero spettacolare.

«Mi è capitato di incontrarlo qualche volta nel corso degli studi» rivelò Jeff, il mento all’insù mentre osservava l’hotel quasi senza fiato. «A proposito di edifici moderni con forme e strutture non appartenenti al nostro concetto di praticità.»

Nick aggrottò la fronte in un’espressione confusa e si voltò a guardarlo; gli occhi di Jeff brillavano delle mille luci della città notturna, ma non solo: al loro interno, riusciva a vedere la passione che il ragazzo aveva per ciò di cui stava parlando e quello era uno spettacolo che gli bloccava puntualmente il respiro. «Ti riferisci all’interno della piramide?» Domandò, studiandolo assorto.

Jeff annuì e allungò una mano verso la piramide, tracciandone i contorni con l’indice. «Siccome ha questa forma così particolare, è l’unico hotel al mondo ad essere provvisto di speciali tipi di ascensori che salgono e scendono in senso obliquo» spiegò a un Nick completamente affascinato dalle sue parole. «Circa di quaranta gradi, se non ricordo male; sarebbe bellissimo andarci, ma mi pare siano riservati ai soli ospiti dell’hotel e al personale che vi lavora.»

Grattacieli, l’abitacolo di una macchina, hotel dalle strutture più stravaganti, il Gran Canyon, ascensori obliqui: Nick iniziava a sospettare che qualsiasi posto sarebbe stato bellissimo da visitare, se Jeff fosse stato in sua compagnia.

 
 

*°*°*°


 
 
Quando tornarono in camera, erano quasi le tre del mattino e gli occhi faticavano a stare aperti. Con il senno di poi, non era stata un’idea granché furba parcheggiare la macchina e camminare a piedi per il tratto inferiore della Las Vegas Strip; Nick non aveva idea di quanti chilometri avessero fatto né di come avessero fatto a farli, ma sentiva ogni muscolo implorare pietà e l’unica cosa che desiderava era stendersi e dormire per le successive diciotto ore.

Quando uscì dal bagno dopo una doccia velocissima, Jeff era già a letto e, dalla sua espressione distesa, Nick immaginò che stesse anche dormendo. Rimase per qualche attimo sull’uscio della porta, incantato ad osservarlo come gli capitava ormai di fare fin troppo spesso; era girato sul fianco, i capelli biondi sparsi sul cuscino e le mani strette a pugno accanto al viso, il lenzuolo che gli copriva la metà inferiore del corpo. Provò un’inaspettata fitta dalle parti del torace, pensando a quanto fosse bello e delicato. Inaspettata, ma assolutamente non spiacevole.

Cercando di fare meno rumore possibile, scivolò accanto a lui sotto le lenzuola e spense la luce sul comodino, poi si girò sul fianco con tutta l’intenzione di dedicare a lui gli ultimi sguardi della giornata. Forse era la stanchezza, ma non gli faceva neanche più così tanta paura essere steso al suo fianco, in un letto matrimoniale. Era solo strano, ma era una stranezza talmente intima che Nick non sapeva cosa dovesse provare e cosa no.

«Hai spento la luce?»

La voce bassa e assonnata di Jeff lo fece sorridere dolcemente. «Sì, tranquillo» assicurò ed esitò un attimo, poi gli scostò con delicatezza i capelli dal viso. «Dormi, dai.»

Quello scosse lievemente la testa, gli occhi ancora chiusi: era chiaramente in dormiveglia. «No, ti devo… dire una cosa» biascicò confusamente.                                                                                            
Tipico di Jeff, pensò, non smetteva di parlare neanche quando era ora di dormire. «Me la dirai domani, non ti preoccupare.»

Ma Jeff sembrava essere di altro avviso, si passò una mano sugli occhi ma rimase comunque in stato semicomatoso. «Nick... non ti volevo dire una bugia» sbadigliò e Nick aggrottò la fronte, cercando di capire a cosa si stesse riferendo. «Ma non potevo…»

Stava delirando, quello era ormai ovvio, così gli fece passare nuovamente le dita tra i capelli, con l’intenzione di calmarlo e cercare di tranquillizzarlo. «Non è nulla, Jeff» mormorò, cercando di suonare convincente, «ne parliamo domani.»

«L’aereo» di nuovo, la mano di Jeff corse a stropicciarsi gli occhi. «A Chicago… non ti volevo dire una bugia.»

Il ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre a quella nuova informazione. Di che accidenti sta parlando? Aveva uno strano presentimento, uno che gli chiudeva la bocca dello stomaco e gli accelerava i battiti cardiaci, così fermò il movimento della mano e aggrottò lievemente la fronte. «Quale aereo, Jeff?» Domandò, cautamente, quasi timoroso della sua risposta.

E fu in quel momento che Jeff aprì gli occhi e che gli rivolse uno sguardo lucido e appannato, ma inequivocabilmente sveglio. «Quello che ti avevo detto… che era appena partito.»

Nick trattenne il respiro per quelli che parvero anni, il rumore assordante del proprio cuore a rimbombargli nelle orecchie, prima che Jeff continuasse.

«Non era vero, volevo solo trascorrere la giornata con te.»                      


 
 
 
 

 

 
Sono in un ritardo vergognoso che non so neanche come provare a giustificare, quindi vi prego solo di provare ad essere clementi con me e con la mia disorganizzazione. Vi giuro che non farò passare tutto questo tempo per il prossimo aggiornamento, avete la mia parola.

Ad ogni modo, questo capitolo è stato assurdamente difficile da scrivere, perché Nick e Jeff proprio non ne volevano sapere di collaborare ed io ammetto che arrivata a metà volevo cancellare tutto e mandare tutto al diavolo. Spero che il risultato sia stato comunque di vostro gradimento e che lo sviluppo del loro rapporto vi sembri plausibile; so che in questo capitolo hanno parlato relativamente poco, ma vi anticipo già da adesso che il prossimo sarà incentrato maggiormente su loro due e sulla loro – lo dico così, perché non so dirlo in altro modo – intimità.

Comunque, anche se sono passati tre mesi dall’ultimo aggiornamento, io le cose non me le dimentico, quindi passo subito a svelare il mistero delle citazioni di cui vi avevo parlato nello scorso capitolo. In ordine erano:

-          “L’idea era di fare un viaggio da solo, perché sapeva essere un’esperienza da fare almeno una volta nella vita”, direttamente da Elizabethtown.
-          “Ma non è questo il punto, il punto è che... Jeff non poté sapere quale fosse il punto", Alec e Magnus, Shadowhunters – Città di Vetro. *coff* pagina 122 *coff* ♥
-          “Cabina d’emergenza della polizia inglese”, chiaro riferimento al Tardis, di Doctor Who.
-          “American Horror Story”, questa è quella più esplicita, ma io l’ho considerata comunque.
-          “Lannister, Stark e Targaryen” sono tre delle casate di Game of Thrones.

Ebbene, il toto citazioni è stato vinto da whateverhappend e quindi, come promesso, avrà diritto al suo premio (che posterò sulla mia pagina in questi giorni).

Adesso mi dileguo e vi do appuntamento al prossimo capitolo che, ripeto, cercherò di far arrivare quanto prima. Per lamentele, informazioni sugli aggiornamenti, fangirling gratuito, deliri random, spoiler sulle mie storie e quant’altro, mi trovate qui

 
Robs.
   
 
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