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Autore: silvia_arena    28/08/2013    2 recensioni
Rimasero lì per qualche istante, immobili; entrambi con i respiri pesanti, entrambi spaventati per la sorte dell’altro.
Fu lei a rompere il silenzio.
«Connor.»
Lui levò lo sguardo su di lei, non ancora calmo.
«Credevo che i tuoi incubi fossero finiti.»
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Violenza
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Il piccolo Ratonhnhaké:ton correva intorno alla tenuta di Achille, rincorrendo le farfalle. Sua madre, dall’aspetto giovane e immacolato anche dopo il difficile parto, era seduta sulle scale a guardarlo.

Aveva quattro anni, il piccolo Ratonhnhaké:ton. Aveva i lineamenti Mohawk, amava dipingersi i segni tipici dei nativi sul volto, e raccoglieva alcuni ciuffi di capelli in piccole treccioline che gli ricadevano sulla fronte.

Era la copia di suo padre.

La giovane donna, appena ventunenne, si chiedeva cos’avrebbe dato per vedere il suo amato Connor all’epoca in cui era felice e spensierato come suo figlio – prima che gli inglesi distruggessero il suo villaggio, costringendolo ad una vita da Assassino.

Il bambino in quel momento giunse davanti a lei, esclamando: «L’ho presa, mamma! L’ho presa!» Aprì di poco le mani, rivelando una farfalla di colore giallo che cercava di sfuggire dalle dita del piccolo Ratonhnhaké:ton e librarsi in cielo.

Il giovane mezzosangue nativo non riusciva a smettere di sorridere per la sua conquista, mostrandola, fiero, alla madre. Lei rise e, accarezzandogli i capelli, sfiorò affettuosamente il naso del figlio col proprio. «Sei stato proprio bravo, Ratonhnhaké:ton.»

Il bambino era gioviale, orgoglioso di se stesso e della lode della madre.

«Ma adesso lasciala libera» ammonì la ragazza.

Un’espressione sorpresa si dipinse sul volto di Ratonhnhaké:ton. «Ma l’ho catturata per te!» si giustificò, allungando le braccia verso la madre per mostrarle meglio la farfalla.

«E ti ringrazio» rispose la giovane donna, sorridendogli e sfiorandogli la fronte. «Ma è lì che lei deve stare.» Indicò le altre farfalle che volavano in cerchio a qualche metro da loro. «Con la sua famiglia» continuò. «Non credi?»

Il piccolo Ratonhnhaké:ton si rattristò. «Anche papà dovrebbe stare qui con la sua famiglia» protestò. «Eppure non c’è.»

Per la ragazza fu un colpo al cuore. Riusciva a malapena a sopportare la mancanza di Connor, e se questa era sofferta anche da suo figlio, forse non ce l’avrebbe fatta... Ma s’impose di essere forte.

«Papà è in guerra» affermò, reprimendo le lacrime. «Lo sai, Ratonhnhaké:ton.»

Il piccolo si sedette accanto a lei sui gradini, guardando la farfalla ancora rinchiusa fra le sue mani.

«E non può tornare? Nemmeno per un po’?» domandò, confuso.

«Non prima che la guerra sia finita» fu la risposta di sua madre.

«Ma tornerà?» insistette il piccolo.

Lo sguardo della giovane si perse nella foresta che si estendeva davanti la tenuta di Achille. Fissò l’orizzonte dal quale ogni giorno sperava arrivasse il suo Connor.

Sapeva benissimo che sarebbe potuto non tornare.

Eppure la speranza in lei non moriva: non avrebbe permesso al suo bambino di crescere senza conoscere il suo papà. Il piccolo Ratonhnhaké:ton... così simile a lui che fu naturale dargli il suo stesso nome.

E non avrebbe permesso nemmeno che Connor non incontrasse mai suo figlio, loro figlio: il frutto dell’amore di una notte disperata, quella prima della sua partenza, in cui la necessità di appartenere l’un l’altro era più forte di ogni cosa.

«Tornerà» rispose, decisa, non togliendo lo sguardo dall’orizzonte, immaginando il suo Connor sbucare dagli alberi proprio in quel momento. Posò un braccio intorno alle spalle del figlio, il quale si accoccolò sul suo petto, liberando la farfalla. «Certo che tornerà.»

 

 


Angst, fluff e nonsense allo stato puro!

   
 
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