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Autore: ShioriKitsune    28/08/2013    8 recensioni
"Gli rivolse uno sguardo vuoto, ansioso di levarsi di torno quello scocciatore. «Poco saggio, Naruto, confidare il proprio nome ad un estraneo. E' una cosa che fai spesso?».
Quello che si chiamava Naruto aggrottò la fronte, come se stesse cercando una scusante a quel suo stravagante atteggiamento. «No», borbottò, mentre la pioggia si faceva più fitta. «Ma tu sei sempre qui, quindi quasi non ti considero più un estraneo. Inoltre, penso tu abbia la mia stessa età e questo ti rende meno pericoloso».
Quel ragionamento aveva così tanti buchi neri che non si contavano nemmeno. «Ho una bottiglia di Whisky in mano e sono steso al centro esatto della strada: potrei essere un alcolizzato o un violento, un drogato o un serial killer».
«O forse solamente qualcuno che ha bisogno di essere salvato»."
[SasuNaru]
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Sì, sono viva e tra pochi giorni tornerò dalle mie lunghissime vacanze.
Non starò qua a giustificarmi dei ritardi, lo so che sono imperdonabile, ma ho bisogno di casa mia per concentrarmi e scrivere i capitoli di cose già in atto.
Però, dato che la voglia di scrivere era troppa, ho buttato giù questa one shot che spero vi possa piacere.
Tanti baci e tanto amore e a presto (se qualcuno ancora mi segue Q_Q)


* * * * *

La pioggia che bagna i ricordi

 

Si portò la bottiglia alle labbra, bagnandole di quel liquido scuro e pungente.
Pungente come il vento che gli sferzava il viso e gli scompigliava i capelli, come il groppo che dalla gola non voleva saperne di andar via.
Steso sull'asfalto, sfidava la Dea Bendata intimandole che di lei non aveva paura. Non si curava affatto del pericolo che, silenzioso, lo attendeva con un sorriso sul volto proprio dietro l'angolo.
Chiuse gli occhi, assaporando quel silenzio come se per tutta una vita avesse vissuto nel caos. 
Quel caos che era solo nella sua testa.
Le mani strisciarono sulla terra, graffiandosi. Non gli importava, non faceva male.
Voleva solo starsene lì e aspettare che l'alcol gli entrasse in circolo, facendo ribollire il sangue nelle vene e dandogli la forza per tirare avanti ancora un altro giorno. 
E quello successivo il ciclo si sarebbe ripetuto.
Un'interminabile impasse, stasi che non poteva essere rotta.
Il tempo scorreva inesorabile, lento si trascinava via i ricordi di un'infanzia rubata. E il presente sembrava futuro, lontano per chi come lui non riusciva a vivere.
 
Chi sono io? 
 
Chi era lui?
Qualcuno, nessuno forse. Camminava tra la gente con le mani nelle tasche e la testa tra le nuvole. Colpa dell'alcol, ma anche della sua innata distrazione. Colpa di quel ricordo in cui era bloccato quasi come qualcuno si divertisse a riavvolgere la sua vita fino a quel preciso momento, impedendole di scorrere come per natura avrebbe dovuto
Crudele, forse, ma ormai ci aveva fatto l'abitudine.
Qualcosa di umido gli bagnò la guancia, poi la fronte, costringendolo ad aprire gli occhi.
Era pioggia, l'asfalto ne aveva assorbito l'odore ancor prima che questa potesse cadere. 
Ma nemmeno questo l'avrebbe convinto a spostarsi, a trovare riparo tornando a casa, magari.
 
Ce l'ho una casa?
 
Era quasi sicuro di no. Ma spesso le sue stesse gambe lo trascinavano fino a quella che, a conti fatti, aveva proprio l'aria di una casa. 
Se fosse la sua oppure no, non lo sapeva con certezza.
Entrava, si faceva una doccia, prendeva dei vestiti asciutti e usciva di nuovo. 
Non mangiava, non dormiva.
La sua vita era un continuo vegetare, vittima di quell'apatia che l'aveva imprigionato in una morsa di ferro.
Ben presto di lui non rimase più nulla di asciutto. Sfidando perfino Madre Natura, tentò di accendersi una sigaretta sotto quell'acquazzone. Non riuscendoci.
«Ehi tu, stai bene? Hai bisogno di una mano?».
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che qualcuno si era rivolto a lui? Non si preoccupò neanche di vedere chi fosse, non gli interessava.
«No».
La sua voce venne fuori roca, quasi non la riconobbe. Ne aveva dimenticato il suono.
Un grande ombrello si frappose tra lui e la luna coperta dalle nuvole, ed un paio di occhi più azzurri del limpido cielo d'estate e più profondi dell'oceano stesso lo studiarono senza timore.
«Se ti addormenti qui ti verrà un malanno. Come ti chiami? Ti accompagno a casa».
 
Come mi chiamo?
 
«Sto bene».
La più grande bugia di sempre. Ma era tutto ciò che avrebbe concesso a quell'estraneo colpevole di aver spezzato l'equilibrio, facendo vacillare lo status quo. 
L'altro si morse distrattamente le labbra, nervoso. «Non hai risposto alla mia domanda». Fece una pausa. «Io mi chiamo Naruto».
Gli rivolse uno sguardo vuoto, ansioso di levarsi di torno quello scocciatore. «Poco saggio, Naruto, confidare il proprio nome ad un estraneo. E' una cosa che fai spesso?».
Quello che si chiamava Naruto aggrottò la fronte, come se stesse cercando una scusante a quel suo stravagante atteggiamento. «No», borbottò, mentre la pioggia si faceva più fitta. «Ma tu sei sempre qui, quindi quasi non ti considero più un estraneo. Inoltre, penso tu abbia la mia stessa età e questo ti rende meno pericoloso».
Quel ragionamento aveva così tanti buchi neri che non si contavano nemmeno. «Ho una bottiglia di Whisky in mano e sono steso al centro esatto della strada: potrei essere un alcolizzato o un violento, un drogato o un serial killer».
«O forse solamente qualcuno che ha bisogno di essere salvato».
Quella frase fece breccia nell'animo assopito del ragazzo che era ancora steso sull'asfalto, costringendolo a posare lo sguardo su colui che gli stava ancora rivolgendo la parola. E nei suoi occhi riuscì a specchiarsi, scorgendo il barlume di qualcosa che da tempo gli mancava.
Speranza.
Naruto si chinò accanto al suo viso, coprendolo completamente con l'ombrello. «Puoi venire a casa mia, se non ti va di stare da solo. Abito proprio lì». E indicò il portone di fronte. 
Ecco perché aveva detto che quasi non lo considerava più un estraneo. Da quanto tempo quello strambo ragazzo lo osservava?
«Passo», biascicò, tirandosi su e rischiando di finire di nuovo per terra. L'alcol aveva iniziato a compiere il proprio dovere. 
I capelli scuri gli si appiccicarono alla fronte e fu costretto a scostarli per riuscire a vedere attraverso la pioggia fitta. Quel Naruto era il suo opposto, sia fisicamente che caratterialmente. Una strana forza, qualcosa alla quale non sapeva dare un nome, lo spingeva ad accettare la sua proposta. A fidarsi di lui. Ma lui non poteva fidarsi di nessuno.
Non più.
«Mi dispiace, ma non posso lasciare che tu vada a zonzo in queste condizioni: se dovesse capitarti qualcosa non me lo perdonerei mai».
Il moro si lasciò andare ad un sospiro. Un brivido di freddo gli ricordò che qualcosa di vivo in lui ancora c'era, e combatteva per venire a galla. 
«Chi vive in casa con te?».
La vera domanda era: dagli occhi di chi dovrò nascondermi se accetto la tua ospitalità?
«Nessuno, sono solo. Adesso andiamo, inizio a sentire freddo».
Non aveva accettato il suo invito, ma si limitò a seguirlo passivamente. Seguiva quella scintilla che, per un momento solo, gli aveva scosso qualcosa all'interno. Gli aveva permesso di credere che dimenticare il passato era possibile anche per uno come lui.
Naruto infilò le chiavi nella toppa, poi si voltò verso di lui. «Però non mi hai ancora detto come ti chiami».
 
Ha davvero importanza?
 
«Puoi chiamarmi come ti pare».
Il biondino arricciò la fronte in un'espressione contrariata. «Non funziona così».
Sbuffò, resistendo all'impulso di roteare gli occhi. «E allora non funziona affatto. Ci si vede».
«No, aspetta». 
Una mano calda e dalla presa ferrea gli afferrò il polso, costringendolo a bloccarsi sulla soglia. «Non fa niente, non m'importa sapere come ti chiami».
Gli importava eccome, invece.
Naruto si morse l'interno della guancia. «Potrei chiamarti Kuro».
Alzò un sopracciglio. «Non esiste. Sembra il nome di un gatto».
«E allora come?».
«Non chiamarmi affatto, nh?».
E si fece strada all'interno senza dilungarsi in altre futili chiacchiere.
 
«Ti va una tazza di the?».
Il moro scosse la testa. Era ancora completamente bagnato e, con quei suoi vestiti inzuppati, stava infradiciando il divano del padrone di casa.
«Vuoi farti una doccia?».
«Non ho vestiti puliti».
Naruto si strinse nelle spalle, osservandolo. Il ragazzo era più alto di lui di qualche centimetro, ma la stazza era più o meno la stessa. «Potrei prestarti qualcosa di mio».
L'altro lo guardò freddo.
Cosa si aspettava da lui? Che dopo quella notte, magari da sobrio, sarebbe tornato a ringraziarlo con un cesto di rose? Che avrebbe usato la scusa del riportargli i vestiti come pretesto per rivederlo?
Non conosceva Sasuke Uchiha.
Lui non si affezionava alle persone. Non da quando la vita gli aveva strappato via l'unica che avesse mai amato davvero, proprio su quel pezzo d'asfalto che ogni notte diventava il suo giaciglio. 
O almeno, così era stato fino a quel momento.
Naruto sembrò intercettare i suoi pensieri e abbassò lo sguardo, vagamente imbarazzato. «Non li voglio indietro».
«Bene».
Sasuke si alzò, facendosi fare strada fino al bagno.
Si spogliò lentamente, come se insieme ad ogni pezzo di stoffa si liberasse di un pezzo di sé. Poi s'infilò sotto il getto fumante della doccia e mise a nudo i suoi pensieri.
Non capiva cosa ci facesse in quella casa, insieme a qualcuno che mai prima d'allora aveva visto. Ma quel ragazzo lo attirava come una calamita, nonostante stentasse a dimostarlo. Voleva capire cosa ci fosse in lui di tanto speciale da incuriosirlo.
Erano stati i suoi occhi, forse? Quel primo sguardo l'aveva catturato come nulla avea mai fatto. 
Era come se fosse scattato un meccanismo che, più i secondi passavano, più gli faceva pensare che si trovava esattamente dove sarebbe dovuto essere.
E Sasuke non era mai stato un tipo sentimentale, non aveva mai creduto nell'anima gemella o in quelle stronzate. 
Non era amore a prima vista né attrazione, ma qualcosa che nemmeno lui riusciva a comprendere.
Qualcosa che lo portò a pensare che Naruto potesse essere la sua ancora di salvezza.
Si stupì della piega che avevano preso i suoi pensieri in quel breve lasso di tempo. 
Il caos regnava nuovamente, ma era un caos diverso da quello al quale era abituato: come poteva una persona insinuarsi all'interno di un'altra con una tali facilità e rapidità? 
Era l'effetto dell'alcol? Ne era quasi certo.
Eppure non si scompose minimamente quando, voltandosi, si scontrò con le labbra di Naruto.
Non era un bacio inaspettato quello che si stavano scambiando. Ed era accaduto con una tale normalità da farlo sembrare, paradossalmente, tutt'altro che normale.
Ma indubbiamente giusto.
Le bocche continuarono a cercarsi, avide, così come le dita che correvano su ogni centimetro di pelle scoperta, avvertendo l'impulso quasi primordiale di tastare la carne dell'altro.
Nessuno dei due, nemmeno una volta, si domandò cosa stesse accadendo.
Nessuno dei due aveva intenzione di fermarsi.
Il getto ancora aperto finì per inzuppare anche la chioma dorata di Naruto, ma probabilmente nemmeno se ne accorse.
Infilò la mano tra i capelli bagnati di Sasuke per avvicinarlo ulteriormente a sé, come a volerselo incollare addosso. Le lingue si scambiavano carezze bagnate e Sasuke avvertì l'impulso di mordere quella carne per lasciarvi un segno indelebile.
Quando i bacini cozzarono, entrambi gemettero nella bocca dell'altro, desiderando approfondire quel contatto e trarne più piacere possibile.
Sasuke avvertì l'erezione dell'altro premergli sulla pancia e desiderò possederlo in quello stesso istante.
Cos'era quel calore che avvertiva nel petto? Era il cuore, che quasi con forza pompava sangue in tutto il corpo? Non voleva proprio saperne di arrendersi al nulla, lui. E quel Naruto non faceva altro che invogliarlo a continuare il suo lavoro.
Il moro lo afferrò dai fianchi stretti, spingendolo contro di sé mentre le labbra si facevano strada sul suo collo. Naruto ansimò piano, socchiudendo le palpebre. 
Sasuke sapeva cosa vi avrebbe letto, se fosse riuscito ad incrociare quei pezzi di cielo: erano le stesse cose che il biondo avrebbe letto nelle sue iridi più scure dell'onice.
Naruto lo trascinò fuori dal bagno senza staccarsi dalle sue labbra nemmeno per un secondo, guidandolo fino ad averlo sopra di sé sul piccolo letto dalle lenzuola arancioni al centro della sua stanza.
Non c'era stato bisogno di parole fino a quel momento, e stranamente fu Sasuke a rompere il silenzio. 
«Non ti farò male».
Un velato invito a fidarsi di lui. Naruto deglutì, annuendo appena, e avvolse le gambe attorno ai suoi fianchi.
E Sasuke, lentamente, si fece strada dentro di lui.
 
***
 
Naruto era raggomitolato su un fianco, le mani sotto il cuscino e la coperta tirata fin sopra alle spalle. E lo fissava.
Quei due occhi chiari non avevano smesso di fissarlo nemmeno per un attimo. Come se cercassero di leggere dentro di lui più di quanto non fossero già riusciti a fare.
Sasuke, invece, si limitava a fissare il soffitto. Non voleva che qualcun altro si facesse carico del dolore che portava dentro.
Dolore di cui non avrebbe mai parlato a nessuno.
«Non m'importa sapere perché, da sette anni, ogni sera ti stendi sull'asfalto e ci rimani fino al sorgere del sole», aveva detto improvvisamente il biondo, trattenendosi dallo sfiorare la pelle chiara dell'altro. «Non ti chiederò quali siano i tuoi problemi, né se hai sofferto molto. Solo.. pensi che durerà per sempre?».
Il moro rimase impassibile. 
«Pensi che ne valga la pena? Esistere senza vivere davvero, sprecare minuti, ore, giorni in cui potresti essere felice. Sprechi la vita quando altri farebbero di tutto per averne un po' di più».
Sasuke schioccò la lingua. «Non m'importa di quello che vogliono gli altri. E non ficcare il naso nelle mie cose».
«Ho già detto che non è mia intenzione farlo, dico solo che..». Fece una pausa, avvicinandosi all'altro fino a posare una guancia sulla sua spalla. Sospirò. «Dovresti apprezzare di più quello che hai, invece di rimpiangere quello che hai perso».
L'Uchiha non rispose, non diede peso a quelle parole. Tutti erano bravi a dare aria alla bocca, quando la vita era così gentile da permetterglielo. Nessuno poteva capire davvero cosa si portasse dentro.
Dopo qualche minuto di silenzio, Naruto rivolse al moro un sorrisetto dolce. «Adesso me lo dici il tuo nome?».
L'altro sbuffò. «Domani».
«Potrebbe non esserci un domani».
Sasuke lo guardò, stupito dalla nota amara nella sua voce. Aveva forse capito che aveva intenzione di svignarsela non appena si fosse addormentato?
Sì, si sentiva un vigliacco. Ma non poteva farne a meno. 
Non poteva restare.
Ma, pensò, avrebbe potuto concedergli almeno quello. «Sasuke».
«Cosa?».
Sbuffò. «Mi chiamo Sasuke».
Naruto sorrise. 
Chiuse gli occhi.
 
Sasuke.
 
E si ripeté quel nome nella testa fino a quando il sonno non rivendicò le sue membra.
 
***
 
Sasuke era scappato via non appena aveva sentito il respiro del biondo farsi più pesante.
Ma erano i suoi vestiti quelli che indossava, e l'odore di Naruto gli invadeva le radici e gli impediva di pensare con lucidità.
Cosa fare, dove andare?
Non lo sapeva, non sapeva nulla.
Solo di una cosa era certo: era uscito dall'impasse.
 
***
 
Naruto si svegliò, conscio che non avrebbe trovato nessuno al suo fianco.
Aveva imparato a conoscere Sasuke soltanto osservandolo, ogni notte, durante quei sette anni. 
Tre anni prima di quel momento, Naruto aveva scoperto che gli mancava poco da vivere. 
"Un tumore al cervello", avevano detto i dottori "Non c'è speranza". 
E in quei tre anni, Naruto non aveva fatto altro che cercare il modo di avvicinarsi a quel ragazzo.
Non sarebbe morto senza aiutarlo.
Ma il tempo passava e lui non sapeva cosa fare. Si era informato, sapeva che Sasuke aveva perso suo fratello in un incidente d'auto proprio in quel punto. Ed era stato spettatore di quella tragedia dall'esterno.
Non voleva entrare nella sua vita per così poco tempo. Non voleva essere la causa di altra sofferenza, permettendogli di affezionarsi a lui.
Eppure sentiva il bisogno di fare qualcosa. Come se quel ragazzo di cui non sapeva neanche il nome fosse parte di lui, in qualche modo.
Così, quella che secondo i medici era una delle ultime sere, si fece dare il permesso di uscire dall'ospedale.
"Una notte sola", aveva detto. 
Non avevano saputo dirgli di no.
E quella notte era riuscito ad avvicinarlo. E probabilmente a salvarlo.
Naruto sorrise. Adesso, il ragazzo sconosciuto aveva un nome.
Sasuke.
Sarebbe stato nella sua mente fino all'ultimo respiro.
 
***
 
Per paura di incontrare quel ragazzo che in poche ore era stato capace di scombussolare il suo intero essere, Sasuke evitò di recarsi nel posto in cui era morto Itachi.
Non ci andò più, nemmeno una volta.
Smise di bere e di restare sotto la pioggia.
Iniziò a provare a vivere.
E piano piano, il passato tornò ad essere semplicemente.. passato. 
Il dolore per la morte di Itachi era sempre vivo, ma sopportabile. 
La vita non era facile, non era bella, ma valeva la pena provare a viverla.
Ripensò ogni giorno a quelle due pozze del colore del cielo.
Naruto morì due sere dopo, ma Sasuke non lo venne mai a sapere.
 
 
 
   
 
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