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Autore: silvia_arena    29/08/2013    1 recensioni
Rimasero lì per qualche istante, immobili; entrambi con i respiri pesanti, entrambi spaventati per la sorte dell’altro.
Fu lei a rompere il silenzio.
«Connor.»
Lui levò lo sguardo su di lei, non ancora calmo.
«Credevo che i tuoi incubi fossero finiti.»
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Non-con, Violenza
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«Sei scarso, padre! Non sai combattere! Io sono molto più bravo!»

Le risate del piccolo Ratonhnhaké:ton giunsero alle orecchie della madre, la quale si trovava nella camera da letto del bambino per metterla in ordine. Sbirciò dalla finestra, e ciò che vide le riempì il cuore di gioia: il piccolo Ratonhnhaké:ton stava giocando con il padre a colpi di spada – la ragazza sapeva che, con Connor come maestro, non c’era alcun pericolo che il bambino si facesse male – schernendo il suo modo di combattere, nonostante l’uomo stesse parando tutti i suoi colpi e si forzasse a non attaccare. L’Assassino si limitava a difendersi dai colpi del figlio, in modo da migliorare le sue capacità di attacco.

«Non riesci a colpirmi!» lo derise, gioioso e fiero delle proprie capacità, il piccolo mezzosangue.

Il nativo, che non aveva smesso di sorridere per un attimo, notò che il piccolo iniziava a stancarsi e i suoi attacchi mancavano di precisione, a causa della convinzione di avere già la vittoria in pugno; così, con un colpo secco, disarmò il figlio facendo volare lontano la sua spada e puntando la propria alla sua gola – sempre ad una debita distanza di sicurezza.

Ratonhnhaké:ton era incredulo della svolta che aveva preso il duello.

«Stavi iniziando a sottovalutare l’avversario, ragazzino.» Il tono dell’Assassino era autoritario, degno di un Maestro. «Non farlo mai.»


 

La giovane donna, che aveva visto l’intera scena dalla finestra, sussultò quando la spada di Ratonhnhaké:ton volò via e quella di Connor fu puntata alla sua gola; si strinse le mani al petto, non riuscendo ad udire le parole che Connor stesse pronunciando al figlio, ma si rilassò quando vide il nativo rinfoderare la spada, per poi andare a raccogliere quella del figlio e porgergliela – il piccolo fissava ancora incredulo il padre.

Sapeva che Connor non avrebbe mai fatto del male a loro figlio, ma vedere quell’arma puntata alla sua gola – anche se per gioco – la mise in agitazione. E se quello, per Connor e per Ratonhnhaké:ton, fosse più di un semplice gioco? Se il nativo lo stesse addestrando per entrare nell’Ordine degli Assassini, come Achille aveva fatto con lui?

Scosse la testa: la guerra era finita, Charles Lee era morto, Connor aveva avuto la sua vendetta... non c’era più bisogno di Assassini. Era un passato molto recente che Connor non avrebbe facilmente cancellato, ma egli non era così sciocco da ficcarlo in testa a suo figlio. Ratonhnhaké:ton era entusiasta quando maneggiava un’arma, ma Connor non era così sciocco da incoraggiarlo.

O almeno, era quello che la ragazza sperava.


 

Quando Connor porse la spada al figlio, avrebbe fatto di tutto pur di cancellargli quell’espressione confusa e incredula dalla faccia. Lottò con se stesso per non scoppiare a ridergli in faccia. Credeva di essere realmente in vantaggio su di lui? Non era ovvio che lo stava facendo vincere solo per migliorare il suo attacco? Eppure credeva che suo figlio fosse un ragazzino intelligente.

Con un sorriso radioso, aprì la mano del piccolo Ratonhnhaké:ton, ch’era ancora immobile, costringendolo a impugnare la spada. Levò lo sguardo verso l’alto, sperando di distrarlo e farlo tornare in sé, quando incrociò quello preoccupato della sua amata dalla finestra della camera da letto.

Lei sembrò riprendersi e sparì dietro le tende.

Il nativo si accigliò, per poi tornare a guardare il figlio e sorridergli. «Dai, continua ad allenarti» lo incoraggiò, assicurando la spada nella sua mano e dirigendosi verso la tenuta di Achille.

«Padre» lo fermò Ratonhnhaké:ton. «Io voglio diventare bravo come te» affermò, deluso dalla sconfitta ma determinato.

Connor gli scompigliò affettuosamente i capelli. «Lo diventerai» assicurò, per poi sparire dentro la casa.


 

Quando i suoi occhi avevano incontrato quelli di Connor, si sentì in colpa per i pensieri che avevano attraversato la sua mente. Come aveva potuto scambiare quella genuina voglia di divertirsi con il figlio per un tentativo di trasformarlo in un Assassino? Stava diventando paranoica. Ma l’essere stata per così tanto tempo lontana da Connor l’aveva da un lato, sì, rinforzata, in fondo si era ritrovata costretta ad allevare un bambino da sola nonostante la tenera età – e non un bambino normale, ma un Mohawk selvaggio e iperattivo – ma dall’altro lato... l’aveva resa fragile, incapace di sopportare la mancanza delle persone a lei care. La paura che Connor potesse sparire ancora una volta nella notte per andare a combattere, con il rischio di non tornare, continuava a tormentarla periodicamente, e il solo pensiero che al posto di Connor avrebbe potuto esserci il suo piccolo Ratonhnhaké:ton...

Scosse la testa per liberarsi di quei pensieri, sbrigandosi a portare a termine la pulizia della camera, poi decise di raggiungere Connor e Ratonhnhaké:ton in giardino.

Trasalì quando, appena aprì la porta della camera per uscire, si trovò davanti Connor in procinto di abbassare la maniglia. I loro sguardi s’incontrarono, e Connor chiuse subito la porta dietro di sé, intuendo che qualcosa turbava la sua amata. Ma quella breve intesa fu interrotta dai suoni di lotta che produceva Ratonhnhaké:ton combattendo l’aria a colpi di spada. Entrambi sorrisero, sbirciando dalla finestra.

«È impressionante quanto ti somigli» commentò la ragazza.

«A volte fa paura persino a me» scherzò il nativo.

La giovane donna si voltò verso di lui, con un sorriso malinconico, poggiando le mani sul davanzale della finestra. Connor posò le proprie mani su quelle di lei, avvicinando il viso al suo. La sua amata sospirò, chiudendo gli occhi e inarcando un sopracciglio.

«Spero che non ti assomiglierà... proprio in tutto» mormorò.

L’Assassino si accigliò, allontanandosi da lei quel che bastava per guardarla negli occhi.

«Cosa vuoi dire?» le domandò.

La giovane sospirò di nuovo. «Spero che non diventi anche lui un Assassino. Spero che nessuno lo incoraggi» dicendo questo, rivolse un’occhiata accusatoria a Connor.

Il nativo era sorpreso dalle paure della ragazza, ma realizzò ch’erano lecite. Guardò suo figlio dalla finestra: vide in lui la stessa determinazione che si trovava nel giovane Connor Kenway – all’epoca chiamato ancora Ratonhnhaké:ton – quando si stabilì a dormire nella stalla di Achille purché lui l’addestrasse per diventare un Assassino. Capì del pericolo che correva, istigandolo ad allenarsi per migliorare, così decise che da quel giorno avrebbe rinunciato ad affilare le sue abilità di spadaccino. Si rivolse alla sua amata, per rassicurarla:

«Il ragazzino non ha alcun interesse a diventare un Assassino» mentì, «men che meno le capacità.»

La ragazza sorrise, espirando profondamente, come se si fosse liberata di un enorme peso. Appoggiò la testa sul petto del nativo, lasciando che le sue possenti braccia la circondassero.

«Menomale» esalò, serena.

 


Ringrazio tantissimo coloro che continuano a recensire e a inserire la raccolta tra le seguite!
 

   
 
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