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Autore: Wavy13    29/08/2013    2 recensioni
Dopo il ritorno di Sherlock ogni cosa sembra tornata al suo posto al 221 B; eppure un tragico evento porterà alla luce sentimenti sepolti e cose mai dette. Si riaprirà inevitabilmente una vecchia ferita mai sanata davvero, carne viva che pareva essersi lentamente rinsaldata dopo quel fatidico giorno di tre anni prima.
E laddove tutto sembra finire forse si cela un nuovo inizio.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. My silence is for you












 
 
Più mi guardo, più mi sbaglio, più mi accorgo che
Dove finiscono le strade e proprio li che nasce il giorno


Mondo, Cesare Cremonini


 



 
 
 
Erano passati sei mesi dal ritorno di Sherlock dopo la caduta, o come a lui piaceva definirla "uno spiacevole incidente di percorso". In effetti come da lui previsto, quell'avvenimento non aveva intaccato in particolar modo il rapporto tra lui e John. Certo, il detective fu costretto ad ammettere di aver sopravvalutato la sua capacità di incassare diretti sul naso (quella volta il dottore non si era fatto alcuno scrupolo riguardo al suo "bel faccino ") ma soprattutto di aver invece sottovalutato la reazione di un medico militare reduce dell' Afghanistan; per un attimo aveva provato quasi paura davanti al suo ex coinquilino o almeno quello che avrebbe dovuto esserlo ma che in quel momento, con il volto alterato  dalla rabbia, aveva assunto i tratti di una specie di bestia selvatica. Alla fine peró Sherlock aveva avuto ragione sopra un punto fondamentale e cioè che John non poteva fare in alcun modo a meno di lui. Come prova di ciò era bastato il fatto che dopo solo un mese dal suo ritorno, John pareva essersi completamente dimenticato dell'accaduto e anzi pareva quanto mai intenzionato a godersi ogni attimo della sua vita con il detective. Era tornato a vivere al 221 B, inizialmente con la sola motivazione di aiutare Sherlock che da solo non avrebbe potuto permettersi l'affitto; una scusa decisamente poco fantasiosa l'aveva definita il detective. John come al solito aveva fatto finta di non sentire. Comunque le cose in Baker street dopo sei settimane dal ritorno di Sherlock erano tornate esattamente come prima, compresi spari contro le pareti, teste nel frigo ed esperimenti biochimici.


 
John era in quel periodo estremamente sereno, colmo di quella felicità così semplice e altrettanto effimera, che ci persuade che la nostra vita non sia mai stata e mai potrà  essere diversa da come lo è in quel momento. Ed è strano come questo equilibrio che pare alla nostra mente solido come un castello, possa crollare rovinosamente da un momento all' altro, rivelando le proprie fondamenta di sabbia e polvere. Cosí avvenne al 221 B. E bastó una semplice chiamata.


 
- John, potresti rispondere al tuo telefono? È terribilmente fastidioso
Il medico uscí dal bagno sbuffando, con un accappatoio buttato addosso alle bene e meglio e il capelli bianchi di schiuma.
- Sherlock, vorrei ricordati che mi viene un po' complicato rispondere a una chiamata se il mio telefono è in cucina e io sono in bagno SOTTO L'ACQUA a fare la doccia!
- Eppure stai andando a rispondere
John trafisse con lo sguardo il detective sul divano, che, dopo aver fatto la solita misera colazione si era steso a riflettere in quella posa ascetica, mani giunte appoggiate alle labbra.
- Mi chiedo chi sia a quest'ora. Sarah sa che tra un quarto d'ora sarò in ambulatorio e Greg ci ha già affidato un... Pronto?
Sherlock notó immediatamente il cambio di espressione del coinquilino.
- ... Oh... Ciao... Cosa...
Conosce l'interlocutore ma non ha il suo numero registrato, altrimenti avrebbe letto il nome mentre stava prendendo il telefono. Dev'essere qualcuno che non vede spesso o con cui non è in buoni rapporti, più probabile la seconda visto il tono assunto dopo aver risposto.
- Sí certo... Che le è successo?
Tono informale. O un parente o un amico. Un parente perché abbiamo detto che non è in buoni rapporti, se fosse un amico sarebbe una contraddizione. Parlano di un'altra persona, probabilmente  un altro parente a cui John è affezionato, altrimenti non lo chiamerebbero a quest'ora con evidente urgenza, ma con cui ha un rapporto complicato ed è una donna. So per certo che non ha una famiglia molto estesa. Il soggetto della conversazione è chiaramente Harry. Considerando poi...
Il filo dei pensieri di Sherlock si interruppe improvvisamente. John era impallidito e i suoi occhi tradivano un sentimento che Sherlock interpretó come un misto di paura e dolore. Solo una volta gli aveva visto seppur da lontano un'espressione simile in volto: un istante dopo stava precipitando dal tetto del Barts.
- Come è successo?
La voce era estremamente calma ma la mano che reggeva il cellulare tremava vistosamente. La perfetta sintesi di soldato e uomo di cuore.
Passarono alcuni istanti: il detective continuó a osservarlo, freddo e imperscrutabile come sempre, in attesa di un qualche responso.
- D'accordo, sarò lì il prima possibile. Grazie.
John posò il cellulare sul tavolino della cucina con una calma mal simulata, facendosi spazio con la mano tra provette e fiale, senza sentirle davvero sotto le dita. A Sherlock sembrava che non sentisse effettivamente nulla. Il medico rimase alcuni istanti ritto in piedi, fissando la parete davanti. Poi, come se si fosse ricordato di non essere solo , si voltò verso Sherlock ancora intento a osservarlo con quell'espressione neutra dal divano. Si guardarono alcuni istanti: era chiaro che ogni spiegazione fosse superflua, Sherlock aveva già compreso tutto, e il dottore ne era perfettamente consapevole, ma scelse comunque di parlare, forse più per assicurare se stesso che il detective su quanto era avvenuto.
- Era Clara
Sherlock gli rivolse uno sguardo serio, come se non sapesse ancora nulla.
- Harry è morta


 
- Grazie Sarah, ti assicuro che sarà solo per due giorni... Va bene, grazie ancora.
John riattaccó il telefono e riprese a fare la valigia; mise il minimo indispensabile per una notte e poi scese in salotto dove Sherlock lo stava già  aspettando con il suo bagaglio accanto. Non era stato necessario dirsi nulla: per tacito accordo John sapeva che il suo migliore amico lo avrebbe seguito e Sherlock a sua volta era consapevole che il dottore non gliel'avrebbe impedito.
- Sbrighiamoci, il prossimo treno parte tra mezz'ora
Sherlock annuí.
Avvisarono la signora Hudson che sarebbero stati via due giorni e poi presero il primo taxi che passò lì davanti.


 
La cabina odorava di uno strano miscuglio tra profumo da donna, sudore e frizione bruciata. Se la situazione fosse stata diversa Sherlock avrebbe iniziato il solito sproloquio su quanti anni avesse l'ultimo passeggero, sul perché gli fosse sanguinato il naso e sulla stazione a cui era sceso; stranamente invece non aprì bocca. In effetti non aveva detto nulla per tutta la mattina e John ne sarebbe stato davvero sorpreso se la sua mente in quel momento non fosse stata così distante; guardava attraverso il vetro della finestra, gli occhi fissi nel vuoto: Sherlock non vi scorse nulla tranne il grigio riflesso della periferia londinese. Era strano per lui non riuscire a leggere il dottore come invece faceva costantemente: con un certo disappunto notò che nessun lineamento del suo volto poteva suggerire nulla sul suo stato d'animo; poteva solo ipotizzare e, questo, lo infastidiva terribilmente.
Dopo un lungo silenzio decise di farsi avanti, con la migliore discrezione che gli riuscisse.
- Com'è  successo?
John si ridestó da quella sorta di torpore e volse uno sguardo vuoto all'amico.
- Perché me lo chiedi? Scommetto che lo sai già. Mi sorprenderei se non sapessi anche che scarpe portava in quel momento.
Sherlock rimase un momento interdetto; non era certo la prima volta che John gli rispondeva con un simile sarcasmo, ma quel tono così gelido e inerte della voce gli era del tutto estraneo. Non disse nulla a riguardo.
- Sai bene che ciò è impossibile, non conosco.... Conoscevo tua sorella, non ho alcun dato per ipotizzare i suoi indumenti. Quanto al come sia morta, in effetti ho alcune teorie ma questo non mi impedisce di chiedere direttamente a te.
John lo fissò truce.
- Coma etilico. L'hanno trovata questa mattina stesa in un parco soffocata dal suo vomito - abbassó lo sguardo, e per un attimo a Sherlock parve di scorgere un piccolo spasmo serrargli le labbra - come un volgare barbone.
Un lungo silenzio si frappose tra loro. Fu Sherlock a riprendere il discorso ; nonostante odiasse consolare le persone, essenzialmente perché  non ne era assolutamente capace, stabilì che se c'era qualcuno che meritava quel poco conforto che sarebbe stato capace di dare, quello era John.
- Continua
- Non ho più nulla da dire Sherlock
Il moro lo guardò dubbioso.
- Sei sicuro?
John sospiró tristemente.
- Sapevamo tutti che sarebbe finita così, che l'alcolismo l'avrebbe distrutta. Non c'è da stupirsi se è andata in questo modo. E comunque non eravamo in buoni rapporti. Prendi la valigia, la prossima è la nostra.
Il medico si alzò di scatto prendendo il proprio bagaglio. Sherlock lo osservò perplesso.
Se non fosse stato che la fermata seguente era davvero la loro, avrebbe facilmente pensato che quello era un modo poco fantasioso di troncare una conversazione che stava diventando troppo dolorosa.


 
Sherlock guardò con disprezzo l'erba tagliata di fresco che faceva capolino fra le sue scarpe; conscio di non poter porre rimedio al suo fastidio si sistemó meglio sulla seggiola decidendo di provare a seguire almeno una parte del discorso del predicatore. Ci riuscì per circa un minuto ma poi stabilì che era davvero troppo noioso e si mise a guardarsi intorno sbuffando, non troppo vistosamente, per evitare di offendere alcune anziane signore alquanto irritabili che avevano già reagito con un'ombrellata sulla sua schiena al suo atteggiamento inopportuno. E poi chiaramente, per rispetto nei confronti di John.
Il fatto era che aveva sempre odiato in cimiteri, chiaramente non perché vi venivano seppellite le persone, passava delle intere giornate in obitorio a volte trovandosi più a suo agio che a casa, il suo problema non era sicuramente la morte. A non piacergli era più che altro quel sentore di finzione e di palcoscenico: l'erba sempre verde e tagliata a puntino, le lapide lucide e splendenti come fossero nuove, quel nauseante  profumo di fiori che ricordava uno di quei carri allegorici ricoperti di petali. Nulla di più lontano dal vero significato di quel luogo.
Le persone hanno sempre la tendenza a trasformare ogni cosa in modo paradisiaco e opulento, mi chiedo quale sia il bisogno di celebrare in questo modo della carne in decomposizione.
Se il detective aveva accettato di venire lo sì doveva solo all'influenza esercitata da John: se stava compiendo quello sforzo di sopportazione era solo per fargli piacere. Se i cimiteri infatti gli erano così odiosi, ancora peggiore era il suo rapporto con i funerali: tutte quelle lacrime, quei discorsi "toccanti" gli davano il voltastomaco.
Sospiró rassegnato e sì volse verso l'amico seduto accanto a lui; ancora una volta aveva quello sguardo perso nel vuoto, distante, che caratterizzava il suo volto da due giorni a quella parte. Non aveva versato neppure una lacrima, e nonostante Sherlock avesse notato che aveva gli occhi lucidi, non gli era sembrato che stesse trattenendosi dal piangere.
Il detective sì chiese se fosse suo dovere fare qualcosa per consolarlo; di solito era quello il dovere di un amico, e per sua stessa ammissione, John era il suo unico amico. Fu tentato per un momento di posargli una mano su una spalla, ma si trattenne. Continuò invece a fissarlo tentando di indovinare i suoi pensieri.
Quando venne il momento del discorso di John, Sherlock sì allontanò e fece una passeggiata per il cimitero, osservando nomi, lapidi e statue. Come un bambino che stanco di stare seduto a una cerimonia sì alza e va gironzolare. E molte volte Sherlock era poco più che un bambino.
Ritornò quando ormai il funerale era concluso: la bara era stata accuratamente interrata e molti degli amici e parenti erano già andati via. Cercò John con lo sguardo; lo trovò intento ad osservare due lapidi subito accanto a quella della sorella. Ne accarezzó una sorridendo tristemente. Gli sì accostó e gli rivolse lo sguardo, aspettando che sì accorgesse di lui. Non aveva fretta. Dopo alcuni istanti il medico, abbandonando quella sorta di sogno, levò gli occhi all'amico. Sherlock abbozzó un sorriso stirato.
- Credo sia ora di andare
Non era stato meccanico, o sbrigativo; aveva pronunciato quelle parole con un dolcezza e una calma inaspettate.
John sorrise ancora una volta alle tre lastre marmoree.
- Sì, andiamo, qui abbiamo finito.
Mentre si allontanavano Sherlock lanciò una fugace occhiata alle tre lapidi.

 


 
HARRIET WATSON
1962-2014
 
JAMES WATSON
1934-2001
 
ISABEL WATSON
1939-2002

 

 
 
~
 





- A mamma sarebbe piaciuto
- Cosa?
- Vederla lì, accanto a loro
Il suono del motore del taxi si sostituì alcuni istanti alle loro voci.
- Sentimentalismi
- Hai ragione... Inutili sentimentalismi
- Non ho mai detto inutili


 







 

N.D.A. Buongiorno (o buonasera) a tutti :) anzitutto grazie per la lettura, anche di questo piccolo trafiletto che so bene essere sempre una parte noiosa ma necessaria.
Mi sono aimè lanciata una seconda volta in una fanfic a capitoli che spero vivamente di riuscire a gestire; c'è da dire che la costanza non è mai stata il mio forte (tant'è che il primo tentativo si era risolto con un nulla di fatto, per quelli che si erano nappassionati a quella storia scusatemi ancora)  ma vedrò di impegnarmi seriamente stavolta. A pensrci questo racconto nasce come unione di tante one shot che avevo in mente e che, ho scoperto, potevano essere unite creando qualcosa di (incrociando le dita) decente. Detto questo vi ringrazio ancora e vi lascio :)

 
Ele :P
 
Ah! Solo un'ultima cosa, poi vi lascio davvero! Se trovate che un personaggio sia OOC o che i generi o il rating non siano corretti ecc. avvisatemi pure senza problemi, anzi vedrò di correggere immediatamente!
  
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