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Autore: Marra Superwholocked    29/08/2013    3 recensioni
"Io ero letteralmente spiaccicata al muro, con gli occhi serrati e la bocca che lo imploravano di mettere giù quel coso dalla luce verde.
Poi quell'aggeggio finì di far rumore e potei finalmente riaprire gli occhi.
E fu lì che conobbi il Dottore."
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Companion - Altro, Doctor - 10, Nuovo personaggio, TARDIS
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2

Gradisci del tè?

Mi risvegliai più confusa di prima.
Le stelle erano ancora al loro posto, ma la puzza di pattume era sovrastata dal profumo del tè. Strizzai gli occhi per mettere meglio a fuoco e vidi l'uomo – naturalmente, ancora non sapevo chi fosse – chino su una catasta di legna scalpitante.
Mi girai su un fianco e faticai un po' per rimettermi in piedi e per riprendere un giusto equilibrio. Il profumo del tè riempiva l'aria delle vie della mia città. Eravamo ancora sul fianco di casa mia, davanti alla cabina, che si intravedeva a malapena.
Improvvisamente mi trovai faccia a faccia con quell'uomo: due occhi scintillanti color miele incorniciati da due sopracciglia squadrate e a punta; leggermente stempiato e con due basette dritte sulle guance magre; un naso lungo, stretto e spigoloso; fronte abbastanza alta, in parte nascosta da qualche ciocca di capelli castano scuro, pieni di gel, che ondeggiavano ad ogni minimo movimento della testa. E quel sorriso...disarmante, di chi sa quel che fa.
“Ti va una tazza di tè?” mi chiese a un palmo dal mio naso.
In mano aveva una tazzina bianca, fumante e profumata.
“Chi è lei?”
“Oh, non ti preoccupare di chi sono, probabilmente ti dimenticherai di me. Dai, avanti, prendi una tazza di tè”.
“Grazie” e presi la tazza facendo finta di sorseggiare la bevanda.
L'uomo finalmente si allontanò, intrecciando le mani dietro la schiena. Sembrava indossasse un cappotto lungo e beige e da sotto di esso spuntavano delle Converse: un abbinamento abbastanza stravagante.
Camminava davanti al piccolo fuoco mentre io continuavo a fissarlo per inquadrarlo bene.
“Tu non sei di qui, vero?” gli chiesi per cominciare un discorso.
“No”. Si girò. “Vengo da lontano. Molto lontano”.
Abbassai gli occhi sulla mia tazzina. “Capisco”.
Lui si avvicinò sorridendomi e, senza staccarmi gli occhi di dosso, prese in mano la tazzina dicendomi: “Se non ti andava il tè, bastava dirlo”.
Cercai di farfugliare qualche scusa ma mi uscì una domanda: “È tua quella cosa?”
Alzò un sopracciglio, si chinò in avanti e si girò di scatto sui tacchi verso la cabina con la lanterna, mentre dalla tazzina uscivano gocce di tè. Tornò verso di me con fare deciso. “Oh, intendi il Tardis?”
“Tar-che?”
“La cabina blu”.
“Sì, intendevo...”
“Quella cosa, come la chiami tu, si da il caso che sia la mia astronave!” poi corse verso la cabina e l'accarezzò sussurrandogli qualcosa del tipo: “Non voleva offenderti, tranquilla tesoro”.
Astronave? Avevo capito bene? Astronave?
Rimasi senza fiato per qualche secondo; tentai di decifrare le informazioni senza andare nel panico, ma il risultato fu come raccogliere dello zucchero con una forchetta.
“Astronave, hai detto?”
“Ehilà!”
“Ho capito bene?”
“Ssst! Non vorrai svegliare tutta Londra, spero!”
“Londra? Quale Londra? Ehi, amico, cosa ti sei fumato?”
Aveva gli occhi spalancati. “Non siamo a Londra?”
“Certo che no!”
Sembrava arrabbiato con la cabina, perché non faceva altro che lanciarle occhiatacce. Se ne stava semplicemente lì, con le mani sui fianchi, il piede destro che batteva sull'asfalto e a commentare con: “Brava, complimenti. Testarda che non sei altro”.
Tra me e lui c'era il fuoco che aveva acceso per fare il tè dopo che ero svenuta e che mi diede l'opportunità di notare che sotto il cappotto portava un completo blu, una camicia azzurro sbiadito e una cravatta bordeaux.
“Hai appena dato della testarda alla tua astronave... E pensavi che fossimo a Londra...” Non ci capivo più nulla. Stavo seriamente pensando di essere diventata matta.
“Be', ma certo! Insomma, un attimo prima è tutta carina, ma quando le neghi un attimo di riposo..si offende.” Lanciò uno sguardo alla cabina. “Si è offesa! E invece che portarmi a Londra nel 1874, si è vendicata portandomi a ...Dov'é che siamo?”
“Milano”.
“Portandomi a Milano nel..XXI secolo, suppongo.”
“Corretto, sì, ma.. portarti nel 1874?”
“Sì, hai sentito bene”.
“E si è offesa”.
“Sai, anche loro hanno un'anima”.
In quel momento anche Einstein sarebbe impazzito.
Mi appoggiai al muro freddo di mattoni mentre lui sorrideva per la mia confusione.
“Ridi di me?”
“Chi, io? No. Vi trovo intelligenti ma, ammettilo, andate spesso in confusione”.
“Ci trovi intelligenti? Tu, l'alieno venuto da chissà dove, trovi noi miseri esseri umani..intelligenti. Noi che non sappiamo fare altro che lavorare, fare figli, pagare le bollette e fare finta di essere felici? Credimi: se fossimo davvero intelligenti come tu ci credi, avremmo già trovato la soluzione per mettere fine alle guerre, alla fame nel mondo e al surriscaldamento globale. Senza contare che lavoriamo anni e anni, e quando finalmente arriva la pensione ..è ora di andare. Non so come funzionino da te le cose, ma qui è uno schifo. Poi tu vieni qui e mi dici che la tua astronave si è offesa perché non l'hai lasciata riposare? Be', permettimi almeno di essere confusa!”
Lo lasciai senza parole. Mi fissava come se quella strana fossi io.
Ripresi fiato e mi sistemai i vestiti. “Scusami, non volevo”.
“No! Figurati! Sono abbastanza abituato alle vostre sfuriate” e mi sorrise.
Ricambiai volentieri il sorriso ma avevo ancora una domanda da porgli. Un passo alla volta, lentamente, mi avvicinai a lui. “Posso chiederti una cosa?”
“Spara!”
“Spiacente: ti avevo detto di essere disarmata”.
Partì con una risata sonora. “Sai? Cominci a piacermi! Anche il tuo cappotto mi piace!”
“Ne sono onorata! Comunque la domanda era.. Si può sapere chi sei?”
Lui alzò il mento, gonfiò il petto e allargò ancora di più il suo sorriso. “Sono il Dottore!”
“Dottore?”
Il Dottore”.
“Dottore chi?”
“Esatto!”
E detto questo, si sistemò la cravatta.

   
 
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