Momenti di te e di me

VI.   Bicchiere di Vino

 

Merlin si rannicchiò sul divano, stringendo a sé il libro dalla copertina rigida e delicata (una vecchia stesura di Cime Tempestose perché lui ha sempre pensato che quel romanzo si adattasse perfettamente alle serate uggiose di Londra), versandosi un altro goccio di vino rosso nel calice in vetro.
Il fuoco acceso rendeva l’atmosfera calda ed familiare, intimamente privata. E, forse, fu per quello che il moro si ritrovò a piangere: le lacrime percorrevano strani sentieri sul suo viso, quasi stessero cercando di svegliarlo da quella trance, in cui era caduto, con delicate carezze.
Ma non valsero a nulla.
Merlin si era già perso nel suo mondo immaginario, nel suo universo parallelo che tanto sapeva rassicurarlo come nulla al mondo.
  C’erano giorni (quei tipi di giorni per i quali non puoi fare altro se non sviare i pensieri, interromperli a metà, perché seguirli fino alla fine comporterebbe un dolore eccessivo) in cui il giovane si chiedeva il perché di quella sensazione di angosciosa mancanza, che gli mozzava il respiro.
Non si era mai dato una risposta effettiva ma era certo centrasse lo strano rapporto instaurato con Arthur nel corso degli ultimi mesi: se non fosse stato per lui, per ciò che li univa così visceralmente, probabilmente Merlin non sarebbe tormentato anche dalla propria ombra.
 
Ed, invece, era lì.
Seduto sul divano di casa sua, raggomitolato in posizione fetale a gustarsi un bicchiere di vino che profumava di lacrime e ricordi (memorie passate talmente sfuocate che stentava a ripercorrere, da inizio a fine).
‘Sei ridicolo, sei davvero ridicolo, Merlin.’ Si disse, appoggiando la testa al bracciolo del sofà per poi chiudere gli occhi.
 
 

“Volete un calice di vino, Sire?”
“No, grazie. Direi che anche questa giornata può dirsi conclusa.”
“Vi preparo il letto.”
“Sì, Merlin. E fattici trovare dentro.”
“Gaius sta iniziando a divenire sospettoso, Arthur, a causa di tutte le notti in cui non faccio rientro nelle sue stanze.”
“E tu digli che sei con me.”
“L’ho già fatto, Asino Reale, ma sarebbe opportuno che io torni nella mia camera, stanotte.”
“Credi davvero che ti lascerò andare?”
“No, non lo credo. Ma siate ragionevole-”
Arthur si alza, dallo scranno, avvicinandosi al proprio servitore e guardandolo fisso come nessuno ha mai osato fare. E Merlin si sente un po’ così: perso, leggero, sereno.
Non può fare a meno di sorridere al suo Re e ricambiare l’abbraccio che costui gli riserva.
Arthur inspira profondamente, ancorando le proprie mani all’altezza dei fianchi del moro ed affondando il viso nel suo collo.
“E tu? Vuoi andartene?”
“Arthur, vi prego-”
“Rispondimi.”
“Lo sapete che mi piacerebbe restare, ma-”
“Allora, fallo. Resta con me, stanotte.”

 
Un flash. Vivido, fugace, che profumava di casa.
E le lacrime, davvero, non poterono smettere di scendere.
 
 
Il campanello trillò nel silenzio, riportandolo alla realtà. Merlin avrebbe voluto non rispondere e lasciare che, chiunque esso fosse stato a bussare alla porta di casa sua,  se ne andasse.
Peccato che Hunit non esitò a far entrare Arthur.
 
“Merlin come sta? Gli è passata la febbre?”
“Un po’ meglio, in effetti. Ma è parecchio giù e non vuole dirmi il perché.”
“Non si preoccupi, ci penso io.”
 
Quando Arthur si accostò al giaciglio su cui l’altro era scompostamente sdraiato, Merlin non lo guardò neppure in volto, troppo impegnato a fissare morbosamente il fuoco.
Né un cenno di saluto, né una parola.
“Merlin, va tutto bene?”
Nessuna risposta.
“Me lo offri un bicchiere di vino? Ti faccio compagnia, dai!” disse Arthur, aprendosi in un sorriso leggero. “Oggi è stata una giornata terribilmente lunga, sai? Non mi sono mai annoiato tanto! E pensare che c’erano anche gli allenamenti: ci hanno massacrato, dico davvero. Ma, in fondo, posso capirli. Tra due settimane abbiamo una delle tre partite più importanti dell’anno, non dobbiamo sbagliare e-”
Merlin gli accarezzò un braccio, interrompendo il suo discorso senza capo né coda, puntando gli immensi occhi blu in quelli del biondo.
“Abbracciami e basta, per favore.” [*]
 
Ed Arthur, nonostante tutto, lo strinse a sé.