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Autore: Symphoniies    30/08/2013    4 recensioni
Mystic Fall, 1864. Katherine, in fuga da Klaus, trova riparo a Mystic Falls, a casa Salvatore dove si infatua dei due fratelli Damon e Stefan. Nessuno sa che è una vampira, tranne i due fratelli, la sua amica strega Emily, Pearl e sua figlia Anna. Un giorno, a casa Salvatore, arriverà una giovane ragazza, Vasilisa Smirnenska, vampira trasformata dal fratello di Klaus, Elijah, per salvarle la vita. Inizialmente le due giovani non si riconoscono, ma successivamente scopriranno la verità. Vasilisa, però, nasconde un passato composto da periodi felici e di periodi bui e tristi e nel vivere a casa Salvatore riuscirà ad aprire il suo cuore, a vivere l'adolescenza che non si è mai potuta permettere, e forse anche ad innamorarsi. In una storia fatta di balli, tradimenti, passione, sangue, uccisioni, riuscirà l'amore a sopravvivrete? O finirà tutto in un bagno di sangue?
Frase tratta da uno degli ultimi capitoli della storia:
- L'inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Damon Salvatore, Elijah, Katherine Pierce, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Katherine, Katherine/Stefan
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VILLA VERITAS
-Capitolo due-

 







Mystic Falls, 1863.



Vasilisa si svegliò.
Sapeva che era presto, lo percepiva anche senza dover aprire gli occhi.
Lo percepiva dalla leggera brezza al di là della finestra, che solo al sorgere del sole faceva capolino.
Lo percepiva dal fatto che Meredith, sua madre, cioè, la sua madre adottiva, 'cavolo!', la sua seconda madre adottiva, si muoveva il più lentamente possibile, per evitare di svegliare i suoi due fratelli minori.
Lo percepiva dal fatto che il gallo dei vicini non aveva ancora iniziato a cantare come un matto per svegliare tutti.
Lissa si concesse ancora qualche minuto prima di alzarsi dal letto.
Voleva imprimersi nella mente il profumo di menta che il suo cucino emanava, la troppa durezza del suo materasso, le lenzuola ruvide, il rumore gradevolmente leggero che l’acqua del ruscello vicino a casa faceva, il profumo di pane appena fatto che proveniva dalla cucina.
Insomma, tutto. Tutto quello che lei considerava “quotidianità” da ormai diciassette anni.
Era grata per essere stata accolta in quella famiglia.
Davvero, non avrebbe potuto chiedere di meglio e ora, ora doveva lasciarli.
Doveva lasciare quelle persone che, anche se non avevano legami di sangue, avevano costituito la sua unica famiglia per tanti anni, senza emarginarla o addirittura, senza trattarla come una diversa, come un mostro.
Sì, perché lei era un mostro.
Le persone le camminavano da parte, la guardavano come se fosse un individuo uguale a loro, indaffarata con il lavoro, presa da mille preoccupazioni e magari anche sull’orlo di una crisi di nervi. 
Si sbagliavano. 
Lei era un predatore. Il più pericoloso predatore che esistesse al mondo.
Era la protagonista delle storie che le donne raccontavano ai propri figli quando facevano cose che non andavano fatte.
Era una creatura della notte.
Lei era un vampiro.
Era un vampiro da ormai 371 anni.
Trasformata dalla persona di cui più si fidava al mondo.
Trasformata dall’uomo a cui teneva di più.
Dal suo migliore amico.
Da suo fratello.
'No, smettila di chiamarlo così. Elijah non era veramente tuo fratello'
Vasilisa si girò su un fianco.
La doveva smettere di pensare a lui.
Elijah non l’aveva più cercata da quella notte.
In tutti questi anni, non una volta si era fatto vivo, non una volta le aveva mandato un segno, non una volta l’aveva cercata.
Per quel che ne sapeva, avrebbe potuto benissimo essere stato ucciso da Nicklaus.
No, suo fratello era in gamba e, ne era sicura, lui non era morto. 
'E allora perché non è venuto a prendermi?'
La giovane era così immersa nei propri pensieri, che non sentì la porta della stanza aprirsi e, sua sorella minore, entrare.
“Bu!” urlò la bambina, accovacciandosi davanti al letto.
Lissa trasalì, preparandosi ad attaccare.
La bambina, appena vide la faccia seria della sorella, si morse il labbro, “Scusa”
Vasilisa sbattè uno, più volte gli occhi, come se si fosse appena svegliata e, vedendo la sua sorellina sull’orlo delle lacrime ,cercò di alleggerire la situazione, “Cosa? Tu volevi spaventarmi?” domandò la ragazza in modo scherzoso, prendendo per i fianchi la sorellina e trascinandola sul letto, “Te l’ha mai detto nessuno che non bisogna mai, e dico MAI, spaventare un vampiro?”
La bambina sorrise.
“Ora sarai punita!” esclamò Lissa, iniziando a farle il solletico.
La piccola iniziò a ridere.
Poco dopo la giovane si fermò, “Cosa ci fai in piedi a quest’ora, Ariel?” domandò, sorridendo.
Non voleva spaventarla prima, ma era stata colta di sorpresa e non era molto lucida.
“Volevo aiutarti a preparati”
“A prepararmi? Ma non devo andare a una festa”
“Sì, ma non ti puoi presentare a casa Salvatore con il tuo solito abito da lavoro”
Ariel aveva sette anni, ma a volte sembrava ne avesse venti.
Parlava correttamente, senza mai impappinarsi, cosa che molto spesso succede hai bambini.
“Mamma l’altro giorno è andata a casa loro..” continuò la bambina, alzandosi e scendendo dal letto.
“Ah, sì?” chiese con non curanza la ragazza, mettendosi seduta, poggiando i piedi nudi e candidi sul legno freddo e ruvido del pavimento.
Meredith aveva cercato di dissuaderla molte volte nell’andare a lavorare in quella casa.
‘I salvatore sono a conoscenza del mondo dei vampiri’, continuava a ripeterle sua madre, ‘Ti scopriranno e ti uccideranno’, aggiungeva poi, con voce strozzata e con il volto contratto da una smorfia di preoccupazione.
Lissa però rispondeva sempre con la stessa frase: ‘I soldi sono molto più importanti della mia vita. Questo è il mio modo di sdebitarmi.’
Dopo essersi risvegliata nella casa della strega Aradia, dopo essersi addestrata ad essere un vampiro, dopo aver deciso di essere pronta per tornare a vivere normalmente, come una qualsiasi persona, Aradia l’aveva affidata a un uomo.
Questo, era infatti in cerca di una persona capace di svolgere compiti molto duri e faticosi, in quanto lui, sia per il lavoro, sia per dei problemi fisici, non poteva più fare.
E chi meglio di un vampiro?
Dopo aver dimostrato la sua forza e aver spiegato all’uomo cos’era, lui la portò con se, via dall'Inghilterra.
Stranamente non aveva avuto paura di lei.
Quell’uomo sarebbe stato sua padre per i successivi dieci anni, per poi morire di tubercolosi. 
Tobia, questo era il suo nome.
Il nome di un uomo che fu capace di andare oltre le apparenze, di andare oltre l’esteriorità. Un uomo capace di amare.
“Allora, quale metti?” le chiese la bambina, sfiorando i vestiti appesi nell’armadio con le dita.
Vasilisa sbattè le palpebre.
Doveva smetterla di perdersi in vecchi ricordi.
Sospirando andò a prendere i quattro vestiti che componevano il suo guardaroba e li stese sul letto.
Due erano gli abiti che di solito usava tutti i giorni.
Vesti sgualcite, che ormai avevano perso il loro colore naturale ,piene di toppe e cuciture.
Gli altri due, invece, erano dei vecchi cimeli della sua vita da ragazza nobile che, anche se rovinati dal tempo, erano ancora decenti.
“Credo che indosserò questo” disse la ragazza, indicando l’abito che utilizzava di solito per svolgere i lavori giornalieri.
“Non ci pensare nemmeno!” rispose sua sorella, andandole vicino.
“E perché, scusa?” chiese Lissa, divertita.
“Mamma ha detto che i Salvatore non ti hanno ancora assunta e che oggi ci parlerà lei con il signor Giuseppe”
“Il signor Giuseppe?” chiese la vampira, corrugando la fronte.
“Sì, Giuseppe Salvatore, il tuo futuro capo, non che membro del consiglio dei fondatori” rispose la bambina.
“Consiglio dei fondatori?” chiese di nuovo Vasilisa.
Ariel roteò gli occhietti azzurri e si sistemò i lunghi capelli biondo cenere sulla schiena, “Sì, esatto. A Mystic Falls, le famiglie che hanno fondato la città e che sanno dell’esistenza dei vampiri, si sono riunite in un consiglio, in modo da poter tenere sotto controllo la città”
“E tu come fai a sapere tutte queste cose?”
Sua sorella abbassò gli occhi sulle assi di legno del pavimento, “Ho sentito la mamma che ne stava parlando con un uomo”
“Un uomo? Chi era?”
“Non lo so…parlavano a bassa voce e l’uomo aveva il viso coperto dal cappuccio del mantello”
“Mh, va bè..” disse Lissa, decisa a far cadere l’argomento, “Quindi, cosa metto?”
Ariel si avvicinò al letto e, sicura, toccò uno dei due abiti che utilizzava di solito la mattina quando fingeva di andare in chiesa con la sua famiglia.
Non perché i vampiri non potessero entrare in chiesa o fossero “allergici” all’acqua santa. Quelle erano tutte dicerie. 
Semplicemente non credeva in Dio. 
“Va bene, prendo questo” acconsentì la ragazza afferrando l’abito.
Questo era di un rosino molto chiaro.
Aveva il corsetto, anche se ormai non si poteva stringere più di quel tanto e le maniche lunghe fino ai polsi, dai quali poi usciva del pizzo bianco.
Il pizzo si trovava anche alla fine dell’abito, che toccava terra, e anche sulla non profonda scollatura a “U”.
Lissa andò dietro al separé di legno e iniziò a spogliarsi.
“Posso pettinarti capelli?” chiese la bambina.
“Certo” rispose la giovane, uscendo da dietro il separé e sedendosi su una vecchia sedia posta davanti a uno specchio.
Ariel andò a prendere una scatola e con attenzione ci salì sopra, iniziando poi a spazzolare i lunghi capelli della sorella che, con le loro leggere onde e il color cioccolato, le arrivavano ai fianchi.
Le sarebbero mancate quelle piccole cose che facevano durante la giornata.
Mentre la sorellina cercava di domare la sua lunga chioma castana, la ragazza si concesse qualche minuto per specchiarsi.
Era stata trasformata in vampiro quando aveva solo diciassette anni e da quel momento in poi era rimasta sempre la stessa.
Da 371 anni aveva gli stessi occhi grandi color nocciola scuro, le stesse ciglia lunghe, le stesse labbra rosee.
Non una ruga aveva osato toccare il suo viso.
Non un capello bianco vi era tra la sua lucida chioma.
Forse l’unica cosa che era cambiata era il colore della sua pelle, diventata ancora più candida.
“Finito!” cinguetto la bambina.
Vasilisa che, per la terza volta quella mattina si era persa nei suoi pensieri, si rese conto che Ariel, oltre ad averle pettinato i capelli ne aveva raccolti un po dietro, facendole un piccolo codino fermato con un nastro intonato al vestito.
“Grazie tesoro” disse, alzandosi, “Mi aiuti a sistemare la stanza ,mentre preparo la valigia?”
La bambina annuì entusiasta e, mentre Lissa andava a prendere la valigia, Ariel le sistemò il letto.
La piccola valigia era la stessa usata la notte dalla sua fuga.
La ragazza la sistemò sul letto, aprendola.
Con l’aiuto della sorella iniziò a piegare i tre vestiti rimanenti e la camicia da notte.
Poi, prese il piccolo porta gioie d’argento, anch’esso ricordo del suo passato da nobile e lo sistemò sopra i vestiti.
Non conteneva gioielli, ma qualcosa di ancora più prezioso.
Una lettera.
La lettera.
L’unico ricordo che le era rimasto di Elijah.
Prese anche alcuni dei suoi libri preferiti, un paio di scarpe da lavoro e il sacchettino contenete della lavanda.
Infine, con molta cautela, ci mise dentro pure il suo carillon.
L’unico ricordo delle sua vera famiglia, quella della Bulgaria.
Nei primi anni, quando era stata “Adottata” dalla famiglia dei vampiri, prendere sonno era stato davvero un supplizio, però, quando iniziava ad ascoltare la dolce melodia magicamente si addormentava. 
“Bene, qui abbiamo finito!” disse Lissa, “Scendiamo?” chiese poi alla bambina.
Questa annuì.
Il vampiro chiuse la valigia, prese Ariel in braccio e insieme si diressero in cucina.
Vasilisa non si girò per dare un’ultima occhiata alla stanza.
Arrivate in cucina, trovarono Meredith, la loro mamma, indaffarata cucinare chissà cosa.
“Buongiorno mamma!” disse Lissa, sorridendo.
Non le aveva mai dato del “Voi” come era giusto che si facesse. Lei non glielo aveva mai permesso.
La donna alzò gli occhi dall’impasto, la guardò per qualche secondo e poi tornò al suo lavoro.
Qualcosa non andava.
“Senti Ariel, perché non vai fuori a chiamare Louis?” chiese, posando a terra la sorellina.
La bambina annuì e uscì dalla cucina.
“Che buon profumino” disse Vasilisa, facendo la vaga.
“Frittelle al mirtillo” rispose Meredith, continuando a cucinare.
“Cosa c’è mamma?” chiese, avvicinandosi al piano di lavoro di qualche passo.
“Niente. Cosa ci dovrebbe essere?”
“Sai che lo faccio per noi, per VOI”
“No, tu lo stai facendo solo perché te ne vuoi andare da questa casa!” urlò sua madre, alzando il viso rigato dalle lacrime.
“Mai!” disse Lissa andando ad abbracciare la donna, “Mai dovrai ripetere una cosa del genere! Te l’ho detto, avete bisogno di soldi. Non solo perché stai invecchiando, ma anche per permettere ad Ariel e Louis di avere un adeguata istruzione. Questo è quello che avrebbe voluto Tobia. Questo è quello che avrebbe voluto papà”
“Sì, ma perché proprio dai Salvatore? Perchè proprio a Mystic Falls?” le domandò sua madre, con voce straziante.
“Perché è l’unica città vicina. Inoltre, il Signor Salvatore era amico di papà ed è stato così gentile a offrirmi questo lavoro”
“Ti uccideranno, lo sai?” domandò Meredith, staccandosi dalla figlia.
“Non succederà” rispose, guardando la donna negli occhi.
Sapeva i rischi che correva entrando in quella casa, ma DOVEVA farlo.
Meredith si asciugò il viso, “D’accordo” disse annuendo.
Vasilisa sorrise, sedendosi di fronte a sua madre.
“Hai fame?” le chiese Meredith.
La giovane annuì.
La donna si avvicinò a un armadietto e ,dopo averlo aperto, tirò fuori una caraffa di vetro contente del liquido rosso.
Agli occhi delle altre persone poteva sembrare del semplice succo al lampone, ma non lo era.
Era sangue.
Sangue umano.
“E’ l’ultima dose rimasta” disse sua madre.
Lissa annuì e, avida, iniziò a bere anche se non aveva fame.
Questo era il problema dei vampiri.
Loro bevevano, uccidevano, dissanguavano, portavano dolore solo per puro divertimento, solo perché era nella loro natura.
“Non puoi uscire con quello" disse Meredith.
“Mh?”
La donna indicò la sua mano destra.
La giovane posò la brocca, ormai vuota, sul tavolo e si guardò la mano ,iniziando a giocherellare con il piccolo anello fatto di lapisluzzi.
La maggior parte delle dicerie sui vampiri non erano reali, ma su una cosa gli umani ci avevano azzeccato: erano creature della notte.
Se anche un solo raggio solare entrava in contatto con la loro pelle, questi si tramutavano in cenere.
L’unica cosa che gli permetteva di camminare sotto la luce del sole erano i lapisluzzi, ovvero pietre che le streghe legavano a un incantesimo che permetteva così ai vampiri di uscire come tutti gli umani.
“Perché non posso?”
“Perché una contadina non può possedere un anello simile” le fece notare lei.
“Oh, emm, me lo legherò al collo con una catenina”
In quel momento si sentì uno scalpitare si zoccoli provenire dal cortile.
“E’ Geremia” disse la donna, guardando fuori dalla finestra, “E’ arrivato il momento”
E così dicendo, dopo essersi asciugata le mani in uno straccio ed essersi tolta il grembiule, sua madre uscì.
Lissa, dopo aver preso la valigia e essersi infilata il mantello nero, la seguì.
Geremia e sua moglie Luisa, non che loro vicini, erano appena arrivati.
Geremia avrebbe accompagnato Meredith e sua figlia dai Salvatore ,mentre Luisa sarebbe restata a casa con Ariel e Louis.
Era una giornata umida e nuvolosa.
Il giorno prima aveva piovuto e ancora nell’aria si sentiva il profumo di erba bagnata.
“Ci vediamo domenica, va bene tesoro?” domandò Vasilisa alla sorellina, mentre l’abbracciava.
“Mi mancherai” disse lei.
“Anche tu. E tu..” disse rivolgendosi a Louis, “Ora sei l’uomo di casa. Vedi di pretenderti cura della mamma e di Ariel”
“Lo farò!” disse il ragazzino, che ormai aveva quattordici anni.
Il vampiro prese la valigia e poi salì sul carro.
Gli sarebbero mancati tutti, ma Villa Veritas la stava aspettando.
   
 
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