Avviso: Questa One-shot
è stata creata dopo che ho accettato una sfida di tobichan ( e lei a sua volta,
ne ha accettata una che le avevo lanciato io! ). Ovvero
quello di creare un crack pairing yaoi! Ebbene sì…
questa che vi apprestate a leggere è la mia prima fic yaoi… ( T_T )!
Premettendo
che a me lo yaoi non piace, ho provato comunque a
cimentarmi sul genere con questa coppia bizzarra.
Il
risultato non è che mi soddisfi appieno… Ma magari a voi potrebbe risultare interessante! Più che di Yaoi
infatti, mi sono puntata molto sulla psicologia del rapporto tra i due…
Per cui non sono neppure tanto sicura che questa fic la si possa inserire
nell’universo yaoi! Ad ogni modo, fatemi sapere! ( e non criticate il pairing!! )
La
Bestia Nel Cuore
Erano
diversi in tutto.
Non
avevano niente in comune.
Né i
natali di una città collettiva, né la filosofia di pensiero che li poteva far
sembrare amici.
E le
rispettive madri non si potevano neppure identificare come zoccole dato che nessuno dei due le aveva
mai conosciute. Pertanto, il fattore di diverso che li contrapponeva, era una
cosa che non si era mai vista prima.
Erano
distaccati persino dal resto della banda.
Erano
asociali poiché nessuno del gruppo era disposto a dar retta alle loro menzogne.
Nessuno…
Erano due perfetti opposti che non
avevano nulla in comune… Se non forse il dolore. Quello era una cosa comune a
tutti.
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“L’arte è
esplosione cazzo! Possibile che nessuno lo capisce?!”
“Stà zitto
deficiente… Altrimenti le braccia non te le riattacco
più…”
Ancora una
volta lui si era
fatto male… Ancora una volta lui
doveva prestargli soccorso…
Una
missione finita male ma che poteva avere risvolti ben
più drammatici.
Ed ecco quindi che il biondo artista doveva farsi rammendare le ferite
dalla più improbabile creatura in quell’albergo di fortuna. Che aveva
piuttosto parvenza di bettola ingrata, che di casa di riposo per forestieri
stanchi. Ma si sa, nell’organizzazione non ci
si può permettere lussi.
Deidara
era scalmanato, e Kakuzu questo lo sapeva bene. Pertanto, non era una sorpresa
per lui dover ricucire quel suo corpo minuto
ogni volta che il moccioso si sbucciava le ginocchia.
Quasi a volerlo fare apposta…
Era un
idiota! Poiché un asociale di norma si fa i fatti suoi e non
va a fare casino in giro. E invece tutte le
volte era la stessa storia.
Tutte le
volte lui gli mostrava quel suo bianco corpo martoriato, così sottile che il paragone gli veniva spontaneo. E tutte
le volte ecco che lui doveva passare su di esso e
cercare di rimanere impassibile.
Impassibile…
Come un
dottore con il paziente!
Ma era
impossibile. No, era davvero impossibile ciò. Ed entrambi lo sapevano
alla perfezione. Perché nessuno dei due riusciva a
resistere al richiamo della bestia.
Quella
creatura mitologica e infame che albergava in ognuno di loro.
Spettro
del loro passato e compagna crudele dell’attuale presente.
E
quindi la cosa si ripeteva. Sempre. Uguale e machiavellica. Anche
in questo caso. Anche in quella stanza d’albergo.
Era solo questione di tempo, doveva solo scattare la giusta scintilla.
“Stai fermo Deidara… Ho quasi finito…”
E
combatte lui, combatte tutte le volte per non dar retta alla bestia. Ma ogni
volta era così, con le sue fibre nere che dapprima curavano caste le macabre
ferite, per poi finire che viaggiano fameliche e
insaziabili su tutto quel corpo giovanile.
Candido
come la neve, morbido come quello di una donna.
Una donna…
E il pensiero
si faceva struggente nella sua testa, perché a lui non era concesso di andare
con una donna. la bestia glielo vietava. Lui stesso
vietava alla bestia di cibarsi di tali creature.
Perché
maledizione?! Perché Deidara?! Perché tu?!
“Fottuti bastardi della foglia… Questa me la pagano! Mi hanno
strappato le braccia stronzi fottuti!”
“Se non stai fermo perdi anche qualcos’altro! E ora ti prego…”
Ti prego…
L’artista
lo odiava da morire quando cominciava a supplicare in quel modo. Che idiota! Ma credeva davvero che
lui non riuscisse a vederlo?!
Credeva
davvero che lui, artista supremo, non riuscisse a vedere la bestia che aveva
dentro?! Che lo divorava ogni volta e che alla fine lo
possedeva facendolo diventare succube di tanta malvagità?!
Kakuzu era
un idiota.
Poteva
fuggire dalla realtà quanto gli pareva, ma quella era purtroppo la cruda verità. In Kakuzu era presente una bestia, e lui
riusciva a vederla alla perfezione. Perché tale bestia
era un tempo presente anche in quello che lui chiamava padre.
Quella
persona che con tanta facilità lo aveva messo al mondo, ma che con altrettanta
facilità gli aveva strappato via tutto.
Tutto…
Felicità,
sogni, gioia di vivere, l’innocenza…
E non
bastava quella maschera per nascondere il suo ghigno perverso, non bastava la
cornea nera come la notte per nascondere il sangue che gonfiava i capillari
bui.
No,
Deidara riusciva a vedere tutto. Riusciva esattamente a vedere la bestia che un
tempo era presente in suo padre, che era presente persino in lui.
Perché
lui si vergognava… Oh sì! Si vergognava.
“Mi devi
per forza supplicare vecchio…?!”
Sibilò il
biondo, al ricordo della sua infanzia uccisa dalla persona che amava. Che aveva amato.
E
l’altro deglutì piano alle sue parole. Tremando lievemente mentre l’ultima
fibra richiudeva lo squarcio nel povero braccio.
“Siamo
stati fortunati che i gestori non ci hanno fatto troppe domande… Se sapessero che siamo dell’Akatsuki, sarebbero stati dolori…”
Misero…
Misero tentativo di sfuggire alla bestia. Misero tentativo di rimanere
impassibile alla voluttuosità della
bionda figura.
Quelle
spalle perfette e quella schiena longilinea lo richiamavano per saziarsi. Lo
annebbiavano e lo tormentavano per essere un vero pappamolle.
“Tu e la
tua tirchieria… Se fanno storie basta
farli esplodere no?!”
Sentenziò
acido l’artista, mentre con gesto lento si slegava la coda ai capelli e li
lasciava cadere morbidi sulle spalle.
Il
mantello dorato copriva timido quel corpo androgino.
Un corpo
così… Femminile ai suoi vecchi occhi. Così succulento per la bestia che lo
dominava.
Quello era
il segnale. E
lui lo sapeva benissimo. Ormai aveva compreso bene il carattere dell’artista e
tutti i suoi linguaggi nascosti. Poteva
fargli quello che voleva… Se lo voleva! Lui non avrebbe detto nulla…
Perché per
quanto Deidara odiasse suo padre… Lui tutto sommato lo
aveva amato. Lo aveva amato anche quando gli toglieva l’innocenza. E per questo si odiava da morire. Odiava la bestia che gli
ricordava tutto questo ogni volta che si specchiava in
quelle gemme verdi dall’innaturale sfondo nero. Odiava sommessamente la
creatura che gli sussurrava malignità ogni volta che si concedeva a quella
montagna umana.
E come con suo padre si lasciava fare di tutto.
Perché
Kakuzu gli ricordava terribilmente suo padre.
Con
delicatezza, una grande mano olivastra sfiorò appena
quei suoi fili d’oro. E gli occhi verdi si iniettarono
ulteriormente di desiderio represso. Di rabbia feroce che da
sempre lo contraddistingueva, e che da sempre lo faceva dannare. Perché inevitabilmente le mani passavano oltre quei suoi
splendidi capelli.
Andando a
scontrarsi con la pelle nivea e soffice. Facendo pressione su
quei fianchi sottili e spingendolo quindi con rabbia sul letto.
E lui,
l’artista, non diceva nulla. Non faceva nulla. E si
limitava a guardare lontano. A guardare oltre le sue spalle
giganti in cerca dell’infanzia perduta. Di quando l’argilla,
all’epoca, era solo un passatempo da bambini.
Feroce…
Feroce passione, feroce dolore.
La
creatura che dominava e che tempestava di baci lentamente si tramutava sotto di
lui. E reagiva con decisione a quei suoi morsi così
dannatamente sensuali.
Gemeva di voce femminile ogni volta che le sue
ruvide labbra incontravano il suo fragile collo. Che avido
succhiava, lasciando rossi segni evidenti.
Mentre
tutte le membra si infuocavano al contatto con quella
lingua vergine. Immacolata. Che altro non era che la ferocia del suo biondo compagno artista.
Che stranamente ricambiava quella danza cannibale. E le rudi
mani viaggiavano affamate per tutto quel bianco corpo. Soffermandosi spesso nella zona dove dovrebbe essere presente il
seno. Ma che seppur non trovandolo nella sua
testa era invece ben presente.
Perché lui era un mostro. E i mostri, si sa, fanno brutte cose alle fanciulle. Pensano di essere perfetti
ma in realtà sono tra le creature più stolte del nostro mondo.
E
Deidara lo sapeva… E per questo Kakuzu lo odiava. Odiava la sua testa e odiava
il suo corpo. Perché nella sua costanza gli ricordava
costantemente il suo fallimento come uomo. Del suo essere mostro
assetato del suo corpo androgino.
Si tolse
la cappa nera e ciò che rimaneva della maschera con rabbia, e i restanti abiti
del biondo vennero letteralmente maciullati dalle sue
forti mani. Perché sotto di lui la creatura doveva risultare
assolutamente inerme.
Indifesa.
Succube di
tutta la sua oscura passione.
E
Deidara in silenzio lo assecondava, in silenzio lasciava che il mostro odiato
viaggiasse nella fantasia più assoluta mentre lo possedeva.
E
accoglieva il dolore di ogni sua spinta come una
liberazione. Come un fuoco purificatore che, in realtà, di
purificatore non aveva nulla. E la bestia nel
suo cuore rideva volgare, ricordandogli quanto aveva amato suo padre in vita. Quel suo stesso padre che lui aveva trasformato in arte tanto tempo fa.
E con
rabbia doveva constatare che il legame maledetto non
era stato affatto spezzato. O meglio… Era rinato a
nuova linfa. Un nuovo colore che altri non era che il
verde degli occhi dell’orco che gli stava sopra.
Kakuzu…
Che ancora una volta si beava di possedere quel corpo. Si eccitava da morire vedendo che
la donna sotto di lui non era affatto
terrorizzata dalla sua orribile presenza. Per
una volta, sognare gli era concesso.
Nessun
dolore, nessun terrore… Neppure quando entrambi arrivarono
alla fine di quella corsa letteralmente senza fiato. Stremati e sudati.
Entrambi sorridenti per il piacere provato.
“Che cazzo
hai da sorridere… Coglione?!”
L’acida
realtà, di parole scandite con rabbia repressa, venne
riportata a galla dalla creatura che gli stava sotto. Non più sorridente, non
più formosa, non più femminile. Ma pallida e tremante,
reale e furente.
E il
sorriso gli morì in volto lentamente, mentre constatava
per l’ennesima volta che l’artista si era rivelato ancora una volta una
squallida soluzione al suo problema.
E
neppure il ( tenero?! ) gesto di accarezzargli piano il volto con una sua
grossa mano ebbe l’effetto desiderato.
Perché Deidara non si sciolse a quel gesto complice. Perché lui non
cercava la complicità. I suoi occhi turchesi non esprimevano altro che odio.
Odio per se stesso e odio per lui.
E
questo era un sentimento reciproco…
“Ehi! Kakuzu! Ma quanto cazzo ci metti a ricucire le braccia di quella checca eh??!!”
Hidan,
altro disadattato del gruppo, gridava a squarciagola oltre la porta chiusa di
quella stanza incriminata.
“Dai
sbrigati, che dobbiamo andare cazzo!!!”
Era il
compagno di viaggio del tesoriere, ed era una creatura insopportabile. Per
tutti. Anche per loro due. Abbassò lo sguardo l’uomo nero, colmo di disappunto e
vergogna. E a fatica riuscì a trovare le parole adatte
per rispondere a quella frecciata nascosta.
“Massì ho
capito! Ho quasi finito accidenti a te!”
Si scostò
dal biondo in tutta fretta, e cercò quindi di rivestirsi in silenzio senza far
tremare il proprio corpo preda di mille emozioni.
Invano però.
Ma
sospirò di sollievo quando il suo volto percepì nuovamente il calore della
maschera avvolgerlo amichevolmente. Si sentiva nuovamente al sicuro all’interno
del suo scafandro.
Della sua
scatola di cartone che lo proteggeva dalle intemperie.
Avrebbe
voluto chiedere scusa al biondino, davvero, ma un orgoglio smisurato gli impediva di girarsi a guardare l’inerme figura che ancora
giaceva sul letto sfatto.
Perché comunque chiedere scusa era inutile. Entrambi erano nel torto ed entrambi, nell’intimo della bestia, non
erano affatto pentiti di come era andata la cosa. Perché
la cosa si sarebbe ripetuta all’infinito.
Avrebbero soddisfatto i loro sogni proibiti finchè sarebbero rimasti in vita. Sogni che avevano il sapore amaro di incubi nei rispettivi animi. Di quelli generati dalla bestia
nel cuore presente in ognuno di loro.
Con un
sospiro silenzioso il gigante cattivo
si apprestò ad uscire dalla stanza, mentre la creatura prima posseduta guardava
distratta e severa il cielo oltre il vetro di una finestra opaca.
Si sarebbe
sbucciato ancora le ginocchia Deidara… E tutto questo solo per vedersi riflesso
in quegli occhi verdi…
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Quei due erano diversi in tutto.
Non avevano niente in comune.
Né i natali di una città collettiva, né la filosofia di pensiero che li
poteva far sembrare amici.
E le rispettive madri non si
potevano neppure identificare come zoccole dato che
nessuno dei due le aveva mai conosciute. Pertanto, il
fattore di diverso che li contrapponeva, era una cosa che non si era mai vista
prima.
Erano distaccati persino dal resto
della banda.
Erano asociali poiché nessuno del
gruppo era disposto a dar retta alle loro menzogne.
Nessuno…
Erano due perfetti opposti che non avevano
nulla in comune… Se non forse il dolore. Quello era una cosa comune a tutti.
Come la bestia che albergava nei
loro cuori.
Ebbene?! Che cosa ne pensi cara tobichan?! Sono riuscita nel mio
intento oppure ho fatto acqua da tutta la parte?!
Io la
sfida l’ho comunque presa veramente sul serio come
puoi vedere XD!!
Confido
molto nel tuo parere e in quello di altre
scrittrici/scrittori! ( ma per favore, non chiedetemi
più di scrivere sullo yaoi perché non ho idee sul riguardo! XDD )
So che
questa è una coppia bizzarra… Ma provare non fa male no?! Ad
ogni modo… Per favore commentate!!