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Autore: SimonaArrivo    30/08/2013    0 recensioni
- E’ occupato? – mi chiese il ragazzo che era appena salito sull’autobus. Scossi la testa, ma non distolsi lo sguardo dalla strada oltre il finestrino. In quel momento non feci caso al fatto che il resto dell’autobus era vuoto e il ragazzo si sedette comunque accanto a me.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

“Tu chi sei?”


 

 

- E’ occupato? – mi chiese il ragazzo che era appena salito sull’autobus. Scossi la testa, ma non distolsi lo sguardo dalla strada oltre il finestrino. In quel momento non feci caso al fatto che il resto dell’autobus era vuoto e il ragazzo si sedette comunque accanto a me.

Era una giornata piovosa, come molte in quella primavera. Le gocce giocavano a rincorrersi sul vetro. Pioveva da così tanto tempo che non ricordavo più bene come ci si sentisse con il sole che scaldava le giornate. Forse non avrebbe più smesso di piovere.

- Bella giornata, vero? - disse il ragazzo accanto a me. Mi girai e abbozzai un sorriso. Il ragazzo stava osservando il corridoio davanti a sé, come se stesse guardando un film dall’altra parte del bus.

- Mi piace la pioggia. Se ascolti bene, riesci a percepire una melodia nel battere delle gocce. – poi si girò a guardarmi e iniziò a canticchiare - Clop clop colp. – sorrise compiaciuto.

– Non servono quelle cuffiette. - e con un gesto della testa indicò gli auricolari che avevo alle orecchie. Non ricordavo nemmeno di averli ancora addosso, non stavo ascoltando niente da un po’, ma non per questo avevo intenzione di toglierli. Il ragazzo mi sorrise come se avesse capito le mie intenzioni e smise di parlare.

Era stata una giornata già abbastanza orribile, chi aveva voglia di stare a sentire quel tizio? Presi il cellulare e misi Radioactive degli Imagine Dragons. Volevo isolarmi dai pensieri, ma niente poteva evitare di farmi pensare a quella mattina: ero andata a scuola come tutti i giorni e, come tutti i giorni, giravo da un’aula all’altra a testa bassa e senza farmi notare. Era appena suonata la campanella per la terza ora ed ero davanti al mio armadietto con il lucchetto bloccato fra le mani –probabilmente un altro scherzo della mia bulletta personale: Sabrina. Una di quelle cheerleader che ogni anno sceglie una ragazza diversa da tormentare. Quell’anno toccava a me-. Stavo facendo tardi. Di nuovo.

All’improvviso sentii dei passi che si muovevano velocemente verso di me nel corridoio, mi voltai ma non vidi nessuno.

- Serve una mano? – sobbalzai e, lo ammetto, forse ho anche tirato un gridolino di spavento.

Accanto a me era comparso un ragazzo. Non lo avevo mai visto prima, anche se non era esattamente il tipo che passava inosservato: aveva i capelli neri con dei riflessi blu, gli occhi verdi che luccicavano e la pelle pallida, come se non avesse mai visto la luce del sole. Aveva qualcosa che mi incantava. Gli feci un sorriso da ebete e mi scansai. In un secondo sbloccò il lucchetto e sorrise. Il colpo fatale.

Penso di aver detto qualcosa tipo – G-gragnee... –

Lui ridacchiò e dalla sua espressione capì di aver assunto anche un’espressione ridicola.

- Ci vediamo in giro, Charlotte. – sussurrò.

Mentre si avviava all’uscita, mi fece un gesto di saluto con la mano.

Okay, lo ammetto, avrei dovuto accorgermi che non gli avevo detto il mio nome, ma qualcosa in lui mi inebriava e non riuscivo più a ragionare. Per tutto il giorno continuai a pensare a quello strano ma piacevole incontro. Quando suonò l’ultima campanella della giornata, tutti se ne andarono in meno di un minuto –più o meno il tempo che io impiegai per rimettere i libri nello zaino-. Uscì dall’aula e anche in corridoio erano scomparsi tutti. Sembrava che anche i professori e i bidelli fossero andati via. Decisi di non pensarci e tirai fuori le cuffiette. Nel momento in cui le stavo per mettere nelle orecchie, sentì un tonfo, come di un grosso oggetto che veniva sbattuto a terra, o di qualcuno che cadeva dalle scale. Misi in tasca l’Ipod con le cuffiette.

- Signor Marvin? E’ lei? – chiesi al vuoto. C’era troppo silenzio per essere a scuola, era impossibile che non fosse rimasto nessuno. Pensai che forse Sabrina voleva farmi uno scherzo, magari mi stava anche facendo un video per riprendere la mia faccia mentre gridavo e poi metterlo su YouTube.

- Ahm… Ho capito. Sabrina, se mi state facendo uno scherzo, non ci sta riuscendo molto bene! -

Un altro rumore. Questa volta era diverso, sembrava più come se avessero scardinato un armadietto e l’avessero buttato a terra. Rimasi un secondo in silenzio, ma non ci furono più rumori.

-C’è… c’è qualcuno?- mormorai. “Sto dando di matto” pensai “sarà sicuramente Sabrina”.

Un’ombra attirò il mio sguardo. Mi girai di colpo, ma non c’era nessuno. Vidi un’altra ombra girare l’angolo velocemente. Senza pensarci la seguii di corsa. Mi sarei aspettata di tutto: Sabrina Greeks con il suo branco di amichette scodinzolanti che mi gettavano miele, brillantini e piume addosso e mi facevano inseguire da due dobermann o che mi ricoprissero di carta igienica dalla testa ai piedi. Mai però mi sarei aspettata di ritrovarmi davanti al ragazzo di qualche ora prima; parlava da solo, o meglio, parlava con… la sua ombra?

Mi accostai dietro ad alcuni armadietti ad ascoltare.

- Sssìì sssignore… lo farò sssignore… - sibilava. Sembrava di sentir parlare un serpente dei cartoni animati. “Questo ragazzo ha dei seri problemi” pensai. Mi stavo seriamente sforzando di non ridere.

- Non sssbaglierò più, sssignore! – continuò.

Mi scappò una risatina soffocata e il ragazzo si girò nervoso.

Fu in quel momento che accade la cosa più strana e terrificante: l’ombra si staccò e corse via.

La imitai e scappai.

 

Il ragazzo seduto accanto a me sul bus iniziò a ridacchiare. “Che problema ha?” mi chiesi mentalmente. Lui iniziò a ridere ancora più forte, quasi come se sentisse quello che pensavo. “Ah, già. Sta guardando quel film immaginario in fondo all’autobus”. Il suo atteggiamento mi irritava, anche se non lo guardavo, sentivo che era divertito da me. Alzai il volume della musica e chiusi gli occhi.

Risentivo il sibilo che faceva quel ragazzo mentre parlava alla sua ombra, più ci pensavo più era inquietante.

- E’ la mia fermata. - disse quasi dispiaciuto il ragazzo, come se si stesse divertendo tanto da non voler più scendere. “Grazie per l’informazione” pensai. Mi voltai e lui non era più accanto a me, né sull’autobus. “In fondo non gli dispiaceva tanto scendere, allora.”

Arrivai alla mia fermata che erano le cinque, ma la strada era già buia. Scesi dall’autobus, alzai il cappuccio del mio maglione nero e, a testa bassa, mi avviai verso casa. Stavo ascoltando una canzone dei Green Day seguendo il ritmo con la testa quando un’ombra attirò la mia attenzione. Mi voltai, ma non c’era nessuno. Tolsi le cuffiette.

- C’è qualcuno? – mormorai guardandomi in torno. Non fraintendermi, non sono per niente il tipo di persona che cerca il pericolo, anzi sono più quella che si nasconde sotto le coperte per paura dei mostri, ma quel giorno qualcosa mi attirava alla “avventura”.

Sentii un sibilo simile a quello del ragazzo dai capelli neri. Un’ombra attraversò il mio campo visivo e mi girai per seguirla con lo sguardo.

- Chi sei? – chiesi.

In quel momento spuntò dietro di me il ragazzo di quella mattina e mi fece sobbalzare un’altra volta dicendo – Raymond! –

Mi voltai di scatto e lo fissai dritto negli occhi color smeraldo.

- lo fai per hobby o lo fai solo con me? Intendo spaventare la gente! – sbottai.

- Lo faccio per hobby. – disse ridacchiando Raymond. Non capivo più niente. Cosa voleva questo tizio da me? Perché parlava da solo e faceva quello strano verso da serpente? Ero arrabbiata, ma lui possedeva qualcosa che mi faceva andare in trance.

Ad un tratto, il ragazzo dai capelli neri e gli occhi di smeraldo che era in piedi davanti a me, iniziò ad allungarsi e incurvarsi, gli spuntò una lunga coda piena di squame blu e nere, i vestiti iniziarono a strapparsi, i denti si allungarono in zanne affilate e una lingua biforcuta spuntò fuori da essi. Davanti a me non c’era più quell’affascinante ragazzo di un minuto prima, c’era un mostro con i capelli neri e gli occhi color smeraldo che ringhiava dall’altra parte della strada. Le pupille erano degli spilli e mi fissavano con un bagliore che non avevo mai visto prima, sembrava un leone che guardava la sua preda.

- Tu… Tu sei… una lucertola? – Fu l’unica cosa sensata che mi venne da dire.

Non fu una bella mossa dato che lui iniziò a sibilare con la lingua biforcuta.

- Sì… cioè, sei una grossa lucertola colorata e con le mani! – cercai di rimediare.
- Non sono una lucertola. – ringhiò lui. - Sono un alligatore! -

In quel momento notai la cosa più inquietante: non aveva un’ombra.

Si gettò su di me con un sibilo. Mi venne spontaneo urlare. Stava succedendo veramente o stavo avendo un serio crollo nervoso? Sapevo di cosa si trattava ci ero già passata, ma questo era diverso, era così reale. Un secondo dopo lui era a un centimetro da me. Ero finita. Stavo già facendo la mia ultima preghiera. Strinsi forte gli occhi e un bagliore improvviso mi sommerse. “Sono morta?” pensai.

- No, non lo sei. – disse una voce a me familiare. Aprii gli occhi e vidi davanti a me il ragazzo dell’autobus che infilava un tubo metallico che brillava di blu dentro lo zaino. Per la prima volta mi soffermai a osservarlo, aveva i capelli biondo miele tagliati corti, erano sparati da tutte le parti come se li avesse scompigliati con la mano, gli occhi erano blu come gli abissi del mare, la pelle abbronzata e la mandibola era pronunciata; c’era solo una cosa che stonava una cicatrice che gli passava accanto all’occhio destro fino alla radice dei capelli. Lui si girò e fece per andarsene.

- Aspetta un attimo! – gli gridai. Notai per la prima volta che stavo ansimando. Guardai sotto di me e non c’era traccia del ragazzo-serpente di un minuto prima. “Che cavolo?” pensai. Il ragazzo del bus si girò.

- Non mi chiedere spiegazioni, è meglio che tu dimentichi tutto quello che hai visto oggi. Fatti una vacanza magari. – disse scocciato.

- Come scusa? Hai appena disintegrato un tizio davanti ai miei occhi e… - sbottai.

- Tecnicamente tenevi gli occhi chiusi. – mi interruppe. Lo guardai torvo.

- E, come se non fosse abbastanza, il tizio che hai ucciso era un serpente gigante! – continuai stizzita. Lui mi sorrise come se fosse divertito dalla mia serietà.

- Cos’è che stavi pregando? Ah, sì! “Ti prego Padre, perdonami! Avrei voluto essere migliore! Non farmi soffrire!” – disse imitando la mia voce. Mi avvicinai a lui impettita. Nel momento in cui fui a un passo da lui un pensiero mi passò come un razzo nella mente “come fa a sapere quello che ho pregato?”.

- Lo so, perché quello che tu chiami Padre mi ha dato questo dono. – rispose.

- Whoa! Questo è spaventoso! - esclamai terrorizzata. – Tu chi sei? – chiesi a quella specie di surfista californiano che mi ritrovavo davanti.

- Piacere. – disse allungandomi una mano. – sono Aaron. –

Lo guardai storto e gli strinsi la mano – Charlotte. – mormorai.

- Charlotte, ora ti dirò le uniche cose che tu devi sapere. – si avvicinò a me fino a quando i nostri nasi quasi non si toccarono.

- Non so perché, ma sei stata presa di mira dalle ombre. Forse hai sentino o visto troppo. Quello che hai visto prima non era un’ombra, era solo un insetto convertito alle tenebre. Ora tornerai a casa tua e scorderai tutta la faccenda, meno sai, meglio è per te. Se non vorrai dimenticare sappi che io posso farti dimenticare. – sussurrò tutto d’un fiato. Quindi si allontanò dalla mia faccia. – Dimenticherai? – mi chiese.

Non so perché ma gli occhi mi si riempirono di lacrime, mi sentivo come se mi avesse appena tirato uno schiaffo. Strinsi forte gli occhi e una lacrima mi rigò una guancia. Calò un silenzio gelido, riuscivo a sentire la musica che continuava ad andare nelle mie cuffiette. Strinsi i pugni e iniziai a provare rabbia, sentivo le orecchie che mi si scaldavano e si tingevano di rosso, le mani mi formicolarono, una scarica di adrenalina mi percorse tutto il corpo.

- No. – mormorai.

- Come? – domandò il Aaron mentre si osservava intorno.

- No, non voglio dimenticare. – risposi più ad alta voce. Aaron fece un verso scherno.

- Non puoi capire in cosa ti stai cacciando. – esclamò. Mi tirò giù il cappuccio e mi alzò il viso con due dita. Era più alto di me di almeno quindici centimetri. Si accorse che stavo piangendo e sbuffò.

- Guardami negli occhi. – disse. Lo guardai dritto negli occhi, erano così profondi e intensi che riuscivo a vedere i pesci nuotarci dentro. Lentamente venivo trascinata dentro quell’abisso, non vedevo altro; riuscivo a sentire il rumore del mare, la pressione dell’acqua. Chiuse le palpebre per un infinito attimo.

- E’ stato un piacere, Charlotte. – sussurrò mentre il mondo intorno a me scompariva.
   
 
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