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Autore: esse198    30/08/2013    1 recensioni
la protagonista è Dora, una ragazza di venticinque anni. molla tutto, cambia città e cambia vita, anche se non completamente. conoscerà persone nuove, ma soprattutto una ragazzina di sedici anni da cui scaturirà un confronto di due personalità ed esistenze simili, ma dalle sfumature significative.
è la storia di chi prova a cambiare e ci riesce, ma anche di chi ci prova, ma non riesce ad andare avanti, di chi prova tanta fatica nel farlo.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutto cambia. Le persone, talvolta sembrano restare uguali a se stesse, ma non è così, e, come qualcuno disse una volta, solo gli sciocchi non cambiano.
Eppure è così difficile cambiare. In meglio. Perché gli errori si compiono e sempre più facilmente. Quasi non te ne rendi conto e ti ritrovi con la vita che ti scivola via, pensando di vivere e invece non stai facendo altro che subire le ripercussioni di un errore. Lento, impercettibile, inesorabile.
Poi ti svegli e il mondo ha un altro colore, un’altra forma. Totalmente diversa. Capisci. E cancelli, rimuovi, ti sforzi affinché il mondo torni al suo colore naturale, il tuo, quello dei tuoi occhi, quello che i tuoi occhi gli hanno dato. Poi però poco a poco tutto ti appare sempre più chiaro, strano, ma più chiaro. Tutto combacia, i tasselli si accostano perfettamente adesso. Ed è il momento di mollare tutto. Non è questo ciò che vuoi, non lo hai mai voluto, ma ci sei finita dentro.
E non c’è odio nel salutare il vecchio mondo, le vecchie persone, queste ultime in fondo non le dimenticherai mai. Anche se hai svelato il loro vero essere, di loro hai conservato un’immagine cara e simbolica, troppo forte, ormai incisa, che non puoi rimuovere, e forse non lo vuoi.
Perché le persone non sono mai veramente, sono solo una parte. Le colleghi ad un periodo della tua vita, ad un’immagine, un momento, un profumo, un colore, un tappeto di nuvole, un paesaggio. Sono momenti. Sono tempi finiti, che hanno un inizio e una fine. Anche se il ricordo di essi te lo porterai per sempre con te.
Così. Così saluti le tue amiche, le tue compagne di qualcosa, lasci il tuo ragazzo, magari non gli darai una spiegazione, o forse sì, proverai a dirgli la verità, proverai a spiegargli che il suo tempo è finito, che può smettere la parte del fidanzato, ma lui non capirà. In fin dei conti lui ti amava, devi capirlo se non avrà parole bellissime per il tuo addio.
In fondo ha ragione: “Non si scappa così”.
Ma a te che t’importa? È già stato difficile per te, capire. Capire e reagire. In fondo anche tu l’amavi. Avevi già programmato tutto: ancora qualche anno, il tempo di capire che può funzionare, che ognuno trovi la propria posizione nel mondo, poi la casa, il matrimonio, i figli e una vita normale. Tutta una vita.
Ma poi qualcosa è apparso diverso. Sotto un’altra luce, forse più stretto, o forse, chissà, troppo largo. Perché attorno a te hai percepito il vuoto, un vuoto soffocante. Come qualcosa che stringe, ma quel qualcosa è niente. È scuro, buio, come il vuoto.
E allora hai preso le tue cose e sei salita su un treno. E il treno scivolava giù, dritto, veloce. Non sarebbe tornato indietro. Dentro le orecchie la musica, melodie strazianti che ti invadevano in tutto il corpo e i mormorii, le voci degli altri passeggeri si confondevano e sparivano. C’era solo la musica, la musica e il paesaggio là fuori che correva nella parte opposta. E fuori pioveva. Per questo ogni tanto tralasciavi il paesaggio e t’incantavi a guardare le gocce che investivano il vetro con furia e poi scivolavano giù, di goccia in goccia. Si perdevano.
E i fotogrammi dei ricordi di tutta una vita scorrevano e si sovrapponevano all’immagine di quel mondo che scappava.
La tristezza e la paura.
La paura di aver lasciato una vita, di dover affrontare gli sguardi della tua famiglia, dare altre spiegazioni e sapere già che non ti capiranno. È troppo difficile da spiegare.
E c’erano i campi verdi, terreni coltivati, le industrie, le case, i pascoli.
E c’era una penna.
Una penna e un quaderno. C’erano fogli bianchi, ma erano la minoranza, la maggior parte era già coperta di inchiostro nero. E quell’inchiostro nero era un romanzo. Il romanzo di una vita. Confessioni celate nella vita di un protagonista, ignaro del peso dell’esperienza che portava con sé.
E la penna di lui scriveva ancora. Perché ancora c’era molto da dire, anche dopo aver scritto quel romanzo, anche dopo averlo finito. E stava scrivendo quel romanzo per racchiudere in esso il periodo di una vita, un pezzo di vita. Pronto anche lui a ricominciarne un’altra. Doveva esorcizzare e scordare. Mettere fine. Mettere un punto. E lui correva sul binario opposto, nella direzione contraria a quella del treno su cui stai viaggiando tu. Sta tornando indietro come te, dai suoi. È necessario quando la famiglia è il tuo punto di riferimento, anche se saprai che ci saranno scontri, che dovrai convincerli, ci proverai e se non ti crederanno, se non saranno dalla tua parte, pazienza. È vero, volevi il loro appoggio, ma sei decisa a cambiare comunque. Con o senza di loro.
E allora riparti. Stavolta è un aereo che ti porta. Stavolta non ci saranno paesaggi da contemplare, solo nuvole. Tappeti di nuvole che sembrano vere talmente sono dense. È giorno. Le nuvole sono bianche e a volte dorate, il sole le illumina, le colora, le acceca. Acceca anche te. Così per non annoiarti tuffi gli occhi su una pagina colma di striscioline portatrici di un qualche significato. E contemporaneamente darai inizio ad un altro viaggio: quello della tua mente che segue il percorso della trama del tuo libro.
Ma il tuo aereo non è il solo a volare in questo momento, saranno centinaia gli aerei che decollano, atterrano e percorrono i binari invisibili del cielo e tra questi c’è l’aereo su cui sta viaggiando lui, e anche il suo aereo sta seguendo una traiettoria invisibile. La traiettoria verso l’ultima tappa.
Il tuo viaggio finisce lì: un paesino qualunque, basta che sia quello: un paesino. Con il parroco che raccoglie più o meno tutti quanti, le vecchiette più o meno affabili, i ragazzini che frequentano l’unica scuola e quelli più grandi costretti a viaggiare ogni giorno per studiare. E poi quella pasticceria così grande che dentro ci stava un lungo bancone gremito di cose buone, ma soprattutto belle da guardare. E mille colori: il rosso delle fragole, il marrone del cioccolato, il bianco candido della panna, il giallo della vaniglia, della crema e gli altri stupendi colori delle marmellate, creme, budini e dolcetti.
Una meraviglia per gli occhi e per il palato.
E così volevi cambiare, ricostruire tutto quanto. Il problema è che non avevi ancora capito cosa volevi di preciso. Eri lì, in quel paesino sperduto tra le montagne come se fossi stata trascinata lì da una barca alla deriva, come un attracco d’emergenza. Sei scappata via dalla vecchia vita, dalle vecchie conoscenze. E la cosa buffa è che se ti eri stancata di loro, ti eri anche convinta che chiunque avresti incontrato non doveva essere molto diverso da chi avevi lasciato. Partivi dal presupposto che sempre persone erano. E tu non credevi più alle persone.
L’unica cosa che t’interessava era trovarti un lavoro, uno qualsiasi e i soldi per poter andare avanti. Con quei pochi soldi che sarebbero avanzati, avresti comprato libri su libri e musica su musica. Avresti lasciato a loro il compito di raccontarti la vita, di insegnartela. Saresti tornata a guardarla dalla finestra, la vita. Avrebbe fatto meno male, perché non era la tua.
  
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