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Autore: Pleasebemywill    31/08/2013    7 recensioni
Quella che mi ritrovai di fronte non era come la mia vecchia casa. Non era costruita sopra uno spiazzo di sabbia, non sentivo l’odore salino del mare che con una leggera brezza entrava fin dentro casa, non vedevo i surfisti cavalcare le prime alte onde del mattino, messi i piedi a terra non ebbi la scomodità di ritrovarmi le infradito piene di finissima sabbia. Proprio perché forse non avevo nemmeno le infradito, proprio perché forse lì non vedevo nemmeno la sabbia. Lì vedevo solo alti palazzi e case analoghe fra loro: una strada, asfalto, cespugli da decorazione, marciapiedi e quello che poteva sembrare il mare in lontananza in realtà era solo il colore del cielo - solo un po’ più intenso.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Charlotte Wilson

Che nervi. Ma per chi si spacciava? Cupido? Non è che ora perché si era ritrovato per pura casualità con un paio di splendidi occhi azzurri, poteva esser o diventare qualsiasi cosa nella vita. Ad esempio, non vedevo quale sua vena artistica lo stesse spingendo nel ramo di consulente di coppie/relazioni professionista. Che si prendesse la sua palla e che si fottesse.
 
Era iniziata così la mattinata, quella successiva, con tanto sonno per una notte bianca spesa in contorti e piccanti pensieri. Debbo poi aggiungerci tanta rabbia, rabbia che bolliva e ribolliva lungo tutto il mio esile corpo. Avevo passato il pomeriggio precedente a studiare, dato che ero leggermente indietro rispetto ai miei compagni, infatti avrei avuto un interrogazione durante la terza ora. Sperai fosse solo un brutto risveglio, la rabbia.
 
Percorsi tutto il corridoio principale per raggiungere le scale che mi avrebbero portato al piano superiore, dove si trovava il mio armadietto. Mi sentivo qualche sguardo puntato addosso, e capivo anche il perché. Ieri non avrei dovuto rincorrerlo. Eravamo sotto gli occhi di tutti e tutti parlavano, farneticano, girano propri film privati senza sapere i contenuti. Invece non sapevano che con William Henderson, o per meglio dire 'Cupido' io non ci volevo avere proprio nulla a che fare. Così feci finta di nulla e provai a non destare molto interesse a queste mie impressioni da pazza visionaria.
 
Svoltato l'angolo vidi le ragazze. Diamine se ero in ritardo! Le avrei salutate più avanti, magari alla fine della prima ora. Poi sentii qualcuno singhiozzare. Ero sicura di non esser io. Insomma, ero sicura di non esser arrivata al punto di piangere senza accorgermene o senza aver la capacità di controllare i miei istinti.
 
Mi bloccai, sinceramente curiosa di sapere da dove proveniva questo afflitto pianto lagnoso. Realizzai che una delle ragazze stava piangendo, allorché tutte erano a cerchio e una stava nel mezzo a non prender nemmeno un filino giusto di aria pura ossigenata. Mi ero già ritrovata in quella situazione. Da protagonista intendo. In più credevo di essere asmatica, quindi avevo anche solo il terrore nel vedere una persona rinchiusa in uno spazio così stretto. Traballai sul primo scalino delle scale, vedendo la scena, così riscesi e le raggiunsi. Ad esser onesti, non mi andava di parlare con nessuno comunque. Ero intrattabile prima di qualsiasi interrogazione o compito, poi c’era la scomoda situazione su di Lucas, e la scomoda situazione che non si è venuta a creare per parlarne.
 
«Era lui! Ne sono così sicura. L’ho visto!» Singhiozzava Rossella, con il viso tutto stampato di rosso, e le lacrime sulle guance. I suoi occhi erano lucidi, e le sue mani stringevano i rispettivi bracci di Leila e Lily, le quali probabilmente avrebbero perso la vita o tanto meno il respiro a furia di stringere così forte e con tanta enfasi.
 
«Ross, calmati. Sai quanti ragazzi simili ci sono in questa scuola?» Proferì Emily, davanti alla figura debole di Rossella che scosse la testa come per dire ‘no’. «Molti.» Si rispose da sola.
 
«Molti, molti, molti, molti..» Ripeté Rossella con voce strozzata per almeno altre cinque volte, come un giradischi guasto. «Ma lui è l’unico, Derek non è simile a nessuno. » Continuò velocemente a fiato sospeso, per poi lasciarsi in un soffocante pianto. Continuava a lagnarsi, i suoi occhi si strinsero e le lacrime scorrevano via a fiumi.
 
Intanto le ragazze mi notarono, ed io non potei non presentarmi a tale scena con una faccia addolorata e preoccupata. Emily si rivolse a me con dissenso, scuotendo lentamente la testa e facendo una smorfia, facendomi capire che avrebbe vomitato da un momento all’altro per l’eccessivo melodramma dell’amica. Tutto in modo molto discreto, e molto celato.
 
«C-che è successo!?» Domandai dunque.
 
E l’addolorata che pareva aver affievolito il pianto, ora ci era come ricaduta. Emily mi stava maledicendo sottovoce e con poco riguardo, per questo. Così  Rossella provò con tutte le sue forze a spiegare il motivo di tante lacrime amare, ma ovviamente non capì nulla. Le sue non erano parole, erano vocali messe lì una dietro l’altra senza un vero senso logico.
 
«Sì ok, ma non alzare la voce e smettila di piangere che sennò ti vedono tutti, ci vedono tutti.» Bofonchiò Emily seccata.
 
Dato che sia Emily che Rossella parevano intrattabili, una per un motivo diverso dall’altro, diressi il mio sguardo alle altre ultime due sciance.
 
«Rossella ha visto Derek baciarsi con una tizia.» Svelò Lily senza donare alcun cenno di espressione o di emozione, dal momento in cui stava per perdere uno dei due suoi preziosi bracci.
 
«Stavano pomiciando!» Urlò Rossella correggendo meticolosamente l’amica, con quella poca voce che gli era rimasta. E sicuramente non con tutto questo piacere.
 
«Ma cosa ti aspettavi che fosse un fottuto casto? Andiamo.» Grugnì Emily in risposta.
 
Contieniti Emily. O è casto o è fottuto. Logicamente è impossibile essere entrambi le cose.
 
«Rossella, ma ne sei così sicura?» Provai a chiederle.
 
«Certo, cazzo.» Rispose enfatizzando l’ultima parola, mentre Emily le faceva segno di star zitta o quanto meno di parlare piano, lasciandosi scivolare l’indice lungo le labbra.
 
«Forse dovresti… Uhm… Parlarne con lui.. » Provai a consigliarle, dato che non aveva ancora smesso di piangere.
 
«Ma che cazzo dici?» Ricevetti in coro dalle due pazze. Che sia chiaro, che Rossella era perdonata, ma Emily era semplicemente… Emily era semplicemente Emily.
 
«Pessimo consiglio.» Continuarono le altre due amiche in accordo.
 
«Ragazze ho interrogazione.» Spiegai come per scusarmi. E tutte capirono e compresero il mio pessimo consiglio. Anche se proprio pessimo non era.
 
Insomma, se ti piace un ragazzo perché non dirglielo? O almeno, se vuoi rimanere tra le tue e vuoi nasconderlo, fallo con discrezione.
 






Ottimo voto, ottima presentazione, buona la proprietà di linguaggio e ricerca ricca di contenuti. ‘A+’.
Come sempre, del resto. Accettai i complimenti della professoressa e uscii al suono della campanella immediatamente da quella classe.
 
Non c'è nulla di meglio nel sentirsi realizzati e soddisfatti quando ci si sbarazza di un interrogazione.
 
Sì, stavo meglio. Eppure quello stesso giorno ero riuscita a ricredermi, e sì c'era qualcosa di meglio. Lucas Sanders e la sua pelle abbronzata. Anche se ero convinta che prima o poi mi avrebbe stufato. Sembrava un surfista californiano. Era vicino al suo armadietto, stava prendendo alcuni libri da lì dentro, frugando fra gli scomparti. Cominciai ad osservarlo, poi a fissarlo. E lui se ne accorse. Allora deviai lo sguardo, ma non ci fu nulla da fare, la golosità si paga. Il suo sguardo si incastrò con il mio, e i suoi ciuffi biondi parevano scintillare un po' di più, come se anche loro stessero contribuendo a rendere le cose più difficili. Chiuse l’armadietto dietro di se, appoggiò la schiena contro il metallo freddo mantenendo lo sguardo e la sua attenzione su di me. Lasciai uscire un sospiro che non mi ero accorta di star trattenendo.
 
Le cose stavano peggiorando: ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Baciarlo aveva decisamente peggiorato tutto. E non potevo permetterlo, mi stavo incasinando giorno dopo giorno.
 
Mi avvicinai allora, non sapendo con quale forza, coraggio o gambe… Di certo quelle non erano le mie. Andavano troppo veloci. Percepii avere una certa incontrollata voglia dentro di me, voglia che disconoscevo. Realizzai di aver perso la testa nel momento in cui afferrai il suo viso tra le mie mani e poggiai le mie labbra su una delle sue due guance. Sollevai gli occhi e incontrai le sue labbra. Non mi sembravano belle, mi sembravano solo delle labbra, sottili labbra. Sentii le sue mani sulla mia vita, strinse il mio corpo al suo.
 
Fu allora che mi infastidii. Capii che questo forse era il genere di cose che piacevano a lui, voleva che tutti ci vedessero, e io gli avevo fornito tutta me stessa. Spinsi da me il suo corpo con una garbata delicatezza e mi bloccai, farfugliai dunque qualcosa senza  riuscire a guardarlo negli occhi. Eppure i suoi mi stavano perforando, erano su tutto il mio corpo e non potei fare a meno di arrossire.
 
«Cosa c’è?» Domandò Lucas, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, come se eravamo una di quelle coppiette tutto amore ed effusioni, come se aveva già dato per scontato che lui era mio ed io ero sua.
 
«Nulla, non c’è nulla.» Mi guardai attorno, c’erano alcuni studenti in quel corridoio, non conoscevo nessuno, ma nel giro di poche ore tutti avrebbero saputo chi fossi io. Madison non era in giro da stamattina, non l’avevo proprio vista oggi. Per fortuna.
 
«Lucas. Io…» Tentennai, indietreggiando ancora di un passo, e rimuginando su uno di quei tanti discorsi che mi ero creata fra me e me la sera prima, invece di dormire.
 
«Io credo che dovremmo conoscerci meglio.» Mi anticipò lui. Bravo ragazzo.
 
«Ecco.» Acconsentii alle sue parole, ma non potevo fare a meno di perlustrare la zona, non volevo che si diffondessero strane voci. Lucas mi lanciò un’occhiata interrogativa, esaminando il mio volto in cerca di emozioni nascoste. «No, non va bene.» Aggiunsi un po’ in ritardo. Ed era così, non andava assolutamente bene.
 
«Scusa sono stato troppo impulsivo.» Quasi balbettò lui. Capii che si stava mettendo dell’ansia addosso, o che probabilmente ero io che gliela stavo attaccando, come una malattia. Più che ansia penso sia più corretto dire che mi sentissi da schifo. Avevo questa strana sensazione in pancia che oggi sarebbe stata una delle mie peggiori giornate a scuola (accantonando il bel voto nell’interrogazione di storia).
 
«Anche io.» Confessai in risposta.
 
Calò un silenzio quasi imbarazzante, l’ansia/schifezza aveva ormai preso il sopravvento,  e le mie dita si stavano arrampicando sulle maniche della felpa della divisa, nascondendosi. Lui si passava a tratti la mano dietro la nuca e  alzava lo sguardo, imbarazzato. Potevo capire che era davvero imbarazzato quanto me dalle sue mosse che stavano diventando quasi un fastidioso tic.
 
«Non  avrei dovuto baciarti, Charlie, lo so.» Sputò fuori con difficoltà, dopo mezzo minuto circa.
 
«Uhm, è che... M-mi hai messo in una situazione scomoda.» Balbettai sentendomi un nodo alla gola.
Lucas alzò un sopracciglio contrariato, aggrottò la fronte e fece una strana smorfia con le labbra.
 
«Non mi sembrava che non ti fosse piaciuto.» Sbiascicò confuso.
 
Non è questo il punto Lucas. In realtà questo non è nemmeno una virgola. Madison, piuttosto, è il punto e virgola, è il punto esclamativo, il punto interrogativo, è i due punti, è tutto.
 
«Hai fatto tutto tu.» Grugnì in cagnesco, facendomi superare la linea rossa. Sincronizzatamente spalancammo gli occhi, non mi ero resa davvero conto di cosa avevo detto e come lo avevo detto. Serrai dunque le labbra, strette che più strette non si può. Lucas sbuffò un mezzo sorriso, e pareva incredulo. Si guardò intorno, distolse lo sguardo salutando due ragazzi che passarono di lì. Probabilmente era qualcuno che conosceva.
 
«Se li ha salutati Charlie, tu che dici?»
 
Poi riconcentrò tutta la sua attenzione su di me, ma questa volta in modo diverso. «Charlie..» Sussurrò, avvicinandosi e provando a poggiare la sua mano sulla mia guancia destra. Mi ritirai d’istinto. «Mi attrai un casino, sei carina e poi sei molto timida e mi piaci.» Riprovò allora, senza sfiorarmi nemmeno, vedendo che io mi ero già irrigidita come un cucciolo quando ha freddo.
 
Abbassai lo sguardo, quasi lusingata. Mi aveva detto che ero carina, che lo attraevo, che gli piacevo... E che ero timida. «Appunto. » Marchiai, dando peso alla questione.
 
«Cosa?»
 
«Altro? Insomma pensi altro di me? » Iniziai, con un tono più grave di quanto mi aspettassi.
 
“Questo ragazza è troppo melodrammatica.” Stava di certo pensando Lucas Sanders di me.
 
Che ‘Sanders’ poi mi ricordava chissà quale marca di vestiti, tipo “Hollister”, come un logo stampato in uno di quelle striminzite t-shirt, top, come vogliamo chiamarle, sapete no? Quelle che assomigliano ad una canottiera, quelle dove un reggiseno colorato di sotto è rigorosamente d’obbligo, se sempre non si vuol rischiare che si vedano tutte le tette. Insomma, quelle che ormai usano tutte le ragazze “hipster”. Anche se non sapevo concretamente i canoni esatti per poter rientrare in questa categoria.
 
«Beh…» Sbuffò lui con un risolino. Fece un cenno di assenso, sfoderando infine una brillante risata. Che tanto brillante non era, perché non era proprio adeguata, per l’appunto.
 
 
«Stai attenta.»
«Guardati da Lucas.»
 
 
Mi balenarono queste frasi nella mente. Quella voce roca.
 
«Credo che dovremmo far finta di nulla, tu non mi hai mai baciato e io non ci sono mai stata.» Sfoderai dunque, afferrando meglio la spallina del mio zaino celeste chiaro, che più che celeste era proprio scolorito. «E’ vintage.» Mi ricordava sempre mamma, con un sorrisino sulle labbra. Ma molto probabilmente la sua unica intenzione era quella di convincermi a non chiederle di comprarmi uno zaino nuovo. Non l’avrei chiesto comunque, questo zaino mi piaceva.
 
Ma non potevo farmi prendere da argomenti così stupidi mentre cercavo di far la seria ed impormi davanti a Lucas. «Ehi, aspetta. » Mi sentì afferrare prontamente un braccio, mentre cercavo di allontanarmi.
 
«Non è successo niente. Ok?» Sottolineai, in modo che capisse.
 
«Questo è quello che vuoi?» Sospirò con voce piatta. Non risposi. Non lo guardai nemmeno, se è per questo. «Ok.» Aggiunse, arrivando alle conclusioni. Mi lasciò il braccio, ed io fui libera di andarmene.
 
«Mhh. Perfetto allora.» Mugolai in accordo prima di congedarmi.
 
«Perfetto.» disse flebile.
 
«Perfetto.» disse William Henderson.






   
 
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