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Autore: _Frame_    31/08/2013    1 recensioni
I piccoli difetti che ce li fanno amare diventano delle vere e proprie patologie.
Otto pazienti rinchiusi in un ospedale.
Un ospedale da cui non si potrà più uscire.
Benvenuti alla clinica Welt di Berlino.
Genere: Dark, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 13
 
Ivan mi sorride, la pistola fumante scintilla sotto il riverbero del neon, tesa davanti al suo petto. Una nuvoletta grigia sbuffa dalla canna, arricciandosi, per poi svanire mentre fluttua verso l’alto. L’aria inizia presto a puzzare di polvere da sparo, un odore acre e pungente che mi penetra le narici.
Guardo Ivan con occhi pietrificati dal dolore. Le lacrime continuano a scorrere, straripanti come un fiume in piena. Ma io resto zitto, imbambolato, con la bocca aperta. Il pianto continua a scivolare sul mento, posandosi delicatamente, come una leggera pioggerellina, sulla spalla di Ludwig. In un secondo, il suo camice è fradicio.
Ruoto le pupille offuscate verso il suo volto stropicciato, che tenta inutilmente di trattenere l’agonia dentro di sé. La punta del mio naso finisce sommersa tra i suoi capelli. Io respiro, e una ciocca dorata si sposta leggermente.
Le ginocchia di Ludwig iniziano a cedere e si piegano in avanti, scaricando tutto il peso sulla schiena. Il suo bacino preme sul mio, schiacciandomi contro il muro.
Il fiato mi si mozza nello stomaco.
Ludwig rilassa la fronte, la bocca dilaniata si distende e le palpebre strizzate si sollevano di poco. Ingolla un ultimo gemito e si lascia cadere al suolo, accasciandosi come un grumo di soffice neve che si sta sciogliendo.
Ivan socchiude gli occhi, appiattendo le labbra sul volto.
“Oh, ma che strano.” Dice con tono sorpreso. “Non avrebbe dovuto mettersi davanti. È tutta colpa sua, se l’ho colpito.”
Io abbasso lo sguardo su Ludwig, caduto immobile ai miei piedi. Le ginocchia non mi reggono, traballano come gelatina. Traggo un altro sospiro dalle narici a anche io mi lascio cadere per terra, gettandomi su di lui con la morte nel cuore. Ludwig ha chiuso gli occhi, e il capo si è inclinato di lato. Una guancia preme sul pavimento.
“No, Ludwig! Perché l’hai fatto?!” Urlo, con voce strozzata dal pianto.
Mi chino sul suo petto, ma le mani mi tremano troppo e non riesco a percepire alcun battito pulsare sotto i miei palmi.
Il pavimento cigola, qualcosa ha iniziato a strisciare sulle piastrelle. L’ombra gobba di Gilbert ci investe entrambi.
“Ohi, Ludwig, svegliati. Non fare cazzate!” Esclama Gilbert, aggrappandosi al suo busto.
La luce dei tubi al neon gli fa brillare il viso, bagnato dal sudore che sgorga dalla fronte. I suoi iridi tremano come fiammelle, dentro alle orbite infossate come pozzi scuri.
Gilbert stringe le dita attorno al polso di Ludwig, e gli solleva il braccio con un gesto lento, impaurito. La mano di Ludwig gronda di un liquido scarlatto, che brilla come succo di rubino sotto il riverbero bianco. Qualche goccia si è infiltrata sotto le sue unghie. Sulla stoffa del suo camice bianco spunta un fiore di sangue proprio sotto il bacino, poco più sopra della coscia. Tutto quel sangue, ora, è spalmato come vernice sul suo palmo che gocciola fiumi di lacrime rosse.
Gilbert sbianca in volto, il suo labbro inferiore trema.
“Oddio.” Mormora con un filo di voce.
Io mi sento svenire. Il cuore smette di martellarmi nel petto, e mi si ferma dritto in gola. Un’ondata di gelo mi stritola lo stomaco.
Strizzo le palpebre, spremendo fuori tutto quello che rimane del mio pianto.
“No, Ludwig!” Esclamo di nuovo, scuotendo la testa.
Mi getto di peso sul suo petto, stringendo le dita attorno al camice. Le mie lacrime continuano a gocciolargli sul busto, ormai già umido e tiepido. I tremiti si espandono su tutto il corpo, la mia schiena è uno spasmo continuo. Soffoco i singhiozzi tuffando il viso tra i suoi vestiti, quasi strozzandomi.
“Doveva colpire me... doveva colpire me, Ludwig. Perché...” Un altro gemito mi mozza il fiato. “Perché ti sei messo davanti?”
Strofino la faccia sulla stoffa che gli fascia il petto, scrollando i capelli davanti al viso distrutto.
“Non morire.” Un altro singhiozzo. Sto letteralmente affogando nelle mie stesse lacrime.
“Apri gli occhi, ti scongiuro. Non morire!”
“Non... non sto... morendo.”
La sua cassa toracica trema. Una profonda vibrazione mi solletica l’orecchio.
Sollevo una palpebra e la sbatto un paio di volte per schiarirmi la vista. Ludwig serra i denti, e la luce dei suoi iridi azzurri lancia una scintilla da sotto l’ombra dei capelli. Io sgrano gli occhi, ancora lucidi e tremanti. Spalanco la bocca, e il mio respiro rallenta.
“Ludwig... ma... ma allora...” Esclamo, stringendo ancora di più le dita attorno al camice.
Sento tutte le mie interiora snodarsi, sciogliendo quel grumo che mi dilaniava lo stomaco dal dolore.
“Ma allora sei vivo!”
Avvicino il mio viso alla sua guancia, premendo tutto il peso sui palmi delle mani appoggiati sul suo petto. Ludwig soffoca un lamento, strizzando una palpebra.
Raddrizzo subito la schiena, impennandomi sulle ginocchia.
Scusascusascusascusa. Non volevo farti male.” Gli dico, arricciandomi le braccia sul grembo.
Gilbert rilassa le spalle e butta fuori dalla bocca una grossa sbuffata d’aria.
“Mio Dio, per un attimo ho...”
“Ah ah ah, dovreste vedervi!”
La voce di Ivan ci fa rizzare sul posto. Il mio sguardo e quello di Gilbert schizzano dritti su di lui. Ludwig riesce solo a ruotare leggermente gli occhi davanti a sé.
Ivan sorride come un raggio di sole. Il suo viso illumina la stanza ancor di più della luce della lampada, che gli accarezza i lineamenti del volto come un’aureola. I suoi occhi sono nascosti dalle palpebre.
“Dovreste proprio vedere le vostre facce. Sì, mi piacciono proprio.” Dice con voce allegra. Il suo sorriso si allarga. “Sono proprio bellissime.”
Io e Gilbert rimaniamo raggelati. Quelle parole ci stringono in una morsa ghiacciata.
Lo sguardo di Gilbert s’incupisce, oscurandogli il volto. Inarca le sopracciglia, e gli occhi si infossano nelle orbite. La bocca si dilania in un ghigno.
“Ludwig, la ferita ti fa molto male?” Domanda al fratello, senza scollare lo sguardo da Ivan.
Ludwig lascia scivolare una mano tremante sulla ferita e un fiotto di sangue spurga dalla stoffa forata, annaffiandogli le dita.
“Non mi ha toccato punti vitali.” Dice Ludwig, strizzando una palpebra.
Non so come faccia. Giuro, proprio non lo so, ma la sua voce non dà il minimo segno di cedimento. È ferma come una roccia.
“Credo di riuscire persino ad alzarmi, basta solo che fermi il sangue.” Conclude, traendo un respiro dal naso.
Gilbert annuisce. “Va bene.”
Gli afferra un braccio e se lo cinge attorno al collo. Le dita di Ludwig gli ciondolano da una spalla.
“Allora usciamo di qui.”
Gilbert si dà una spinta sul piede e raddrizza un ginocchio trattenendo il fiato tra i denti. Ludwig sgrana gli occhi. Si appiglia con l’altra mano sulla divisa del fratello, tirandolo verso il basso.
“No, fermo!” Esclama.
Lui e Gilbert finiscono di nuovo col sedere per terra. Gilbert lo lincia con un’occhiata di fuoco e piega un angolo della bocca verso il mento.
“Che diavolo stai facendo?” Esclama. “Dobbiamo uscire di qui, Ludwig! Questo ci ammazza tutti!”
“Non abbiamo finito, Gilbert! Non abbiamo ancora usato il Transfert e…”
Cosa?! Come puoi pensare ad un’idiozia simile in questo momento?”
Gilbert gli afferra le spalle e stringe le dita, affondandole nella stoffa del camice. Il suo sguardo è sconvolto, stropicciato dalla confusione e dalla paura.
“Dobbiamo andarcene. Al diavolo il Transfert. Questo qui…” Getta il braccio vero Ivan, a palmo aperto. “Questo bastardo ti ha quasi ammazzato, Ludwig! Dobbiamo portarti fuori e curarti prima che tu muoia dissanguato e prima che uccida anche noi!”
“Ti ho detto… ti ho detto che sto bene.” Gli risponde Ludwig, sollevandosi e appoggiando la schiena sul muro.
Si porta una mano attorno al bacino, avvolgendo lo sbocco del sangue che sta ancora grondando.
“Sono un medico. Sono in grado di capire da solo quando è il caso di preoccuparsi.”
Gilbert stringe i denti, traendo un profondo respiro dalle narici. Si getta di nuovo su Ludwig, aggrappandosi al colletto del suo camice.
“Ascolta me per una volta, Ludwig!” Gli urla nell’orecchio. “Andiamocene, o…”
“Non posso uscire da qui!” Tuona Ludwig, aggrottando la fronte.
Gilbert sgrana gli occhi, impietrendosi come una statua. Rilassa le dita attorno alla stoffa del camice, e Ludwig sospira, socchiudendo le palpebre.
“Se uscissi… probabilmente non avrei più il coraggio di rimettere piede qui dentro, capisci?”
Gilbert esita, rimanendo ammutolito per qualche secondo. Poi, scuote la testa.
“Chi se ne frega!” Esclama. “Perché è così importante, Ludwig? Abbiamo già sbaraccato a sufficienza questo posto, non ti pare? Evidentemente c’è un valido motivo per cui questo bastardo russo si trovi qui.”
Gilbert assottiglia lo sguardo, e gli iridi scarlatti vacillano, incrociando quelli azzurri di Ludwig. “Non puoi salvarli tutti. Non c’è alcuna ragione valida per perdere ancora tempo qua dentro.”
“Sì, invece!” Esclama Ludwig, aggrottando le sopracciglia.
Gilbert gli scuote le spalle, avvicinando la punta del naso al suo viso. “Perché?! Cos’è che ti preme tanto?”
Gli occhi di Ludwig s’infossano nelle palpebre. Alza le sopracciglia, aggrottando la fronte, e il sudore gli lacrima da una tempia. La sua pupilla ruota lentamente verso di me.
Io scatto sul posto, rimbalzando sulle ginocchia ancora premute sul pavimento. Mi stringo i pugni sul petto, e inizio a tremare come un pulcino bagnato.
Ludwig socchiude le labbra. “Perché io…”
“Non credo che sia una buona idea, uscire dalla cella.”
La voce di Ivan, di nuovo cupa e cavernosa, ci riporta alla realtà ricordandoci che lui è ancora in piedi e con una pistola stretta in mano. Ci voltiamo tutti. La luce violacea dei suoi occhi socchiusi ci squadra, schiacciandoci contro la parete. Il suo gomito si piega, ritirandosi vicino al busto. La canna della pistola pare quasi inghiottirci in quel vortice nero.
“Gliel’ho già detto, dottore, non voglio che vuoi usciate da qui, e non desidero nemmeno farvi del male. Tuttavia, se deciderete di fare di testa vostra…”
Lascia scivolare il pollice sulla sicura e l’indice stringe attorno al grilletto che cigola. Ivan solleva le sopracciglia sotto l’ombra nera della sua fronte. I suoi occhi s’illuminano, e il sorriso si allarga tra le guance lattee.
“Dovrò sparare di nuovo.”
Io mi lascio scappare un gemito, chiudendomi a riccio tra le spalle. Gilbert deglutisce una boccata di saliva e striscia anche lui verso la parete, schiacciando la schiena affianco a quella di Ludwig.
“Siamo morti.” Dice, stringendosi la testa tra le dita tremolanti. “Morti, morti, morti, morti, fottutamente morti.”
Una morsa di ghiaccio mi stritola il cuore.
No, non posso morire qui. Non ora. Devo tornare a casa con Lovino, con Antonio, con Kiku, con Ludwig! Non posso morire.
Volto il capo verso Ludwig, come per cercare un suo conforto, come sperando di sentire parole rassicuranti uscire dalla sua bocca.
Ludwig china la testa e l’ombra dei capelli gli nasconde gli occhi.
“No.” Scuote la testa. “Non può finire così.”
Mi sento sbiancare come un cadavere. Getto lo sguardo sul pavimento, specchiandomi sulle piastrelle candide che fanno ondeggiare il mio riflesso. Mi accascio a terra con tutto il peso premuto sulle gambe ancora piegate sotto di me. Le braccia mi ciondolano sui fianchi e le dita sfiorano il pavimento, gelido e liscio come un blocco di ghiaccio. La frangia mi cade davanti agli occhi, ostruendomi la vista.
È finita.
All’improvviso, qualcosa inizia a brillare davanti i grumi di ciocche scurite dal sudore.
Spalanco una palpebra, seguendo solo con una pupilla quel scintillio improvviso. Volteggia un paio di volte davanti alle mie ginocchia, disegnando cerchi concentrici a mezz’aria, sempre più grandi. Faccio scattare il capo all’indietro, raddrizzando il collo, e i miei occhi si spalancano, ipnotizzati dal quel bagliore che danza come un fuoco fatuo .
La scintilla piroetta in mille direzioni, e frulla verso il centro della stanza lasciandosi dietro una scia gialla che scompare poco dopo. Si ferma proprio tra me e Ivan – anche lui ha disteso il viso, rapito dallo splendore di quel lumino – . Lì inizia a vorticare come una trottola, e forma un grande disco giallo che fluttua nel mezzo della cella.
In mezzo a quella tempesta di luce dorata, qualcosa inizia a materializzarsi dal pavimento. Una sagoma bianca si compone, avvolta dall’uragano splendente che s’ingrossa sempre di più.
Io spalanco la bocca come un pesce appena rimasto soffocato, totalmente ammaliato da quello spettacolo.
Qualcosa fuoriesce dal vortice, distendendo una figura bianca che si allunga in aria. Il bianco diventa stoffa che ondeggia sotto quel vento magico, e dal bordo della manica sbuca una mano gracile e sottile. Le dita lunghe e secche si arricciano, stringendo la sfera dorata da cui si sta sprigionando quello sciame di scintille luminose. La tempesta inizia a placarsi, il globo giallo si spegne lentamente, come se si stesse addormentando. Anche l’ultima manciata di scintille evapora, dopo aver scosso una massa di capelli fulvi che stanno ancora ondeggiando, mossi dalla corrente.
Ludwig sgrana le palpebre, e le sue labbra iniziano a tremare.
“Non è possibile…” Sibila. La sua voce si è arrochita.
La luce sparisce, divorata letteralmente dal pugno che si chiude, ritirandosi al fianco del ragazzo in piedi davanti a noi. Il braccio gli ricade, ciondolando sopra la stoffa della candida divisa del Welt.
Ludwig allunga il collo, con gli occhi quasi spremuti fuori dalle orbite. “… Kirkland?”
 
***

Il vortice dorato si risucchia dentro alla sua mano, stretta sul suo fianco. Il vento si placa, a poco a poco, e i suoi capelli smettono di fluttuare. Le ciocche gli cadono sopra alle orecchie, riflessi biondi ondeggiano sotto alla luce delle lampade.
La mandibola mi trema, la lingua si stacca dal palato e sfiora le labbra secche, inumidendole.
“Non è possibile…”
Una goccia di sudore mi scivola su un sopracciglio. Il peso che mi grava sul petto si scioglie, e riprendo a respirare a pieni polmoni.
“…Kirkland?” Mormoro con voce ancora arrochita.
Arthur Kirkland rilassa le spalle, le scapole si abbassano sotto la stoffa della divisa che si distende sopra la sua schiena. La mano torna a percorrere il suo fianco e le dita si stringono attorno al suo bacino. Kirkland poggia tutto il peso su una gamba, e ruota il busto all’indietro, mostrandosi di profilo. Le palpebre chiuse davanti agli occhi.
“Sembra proprio…” Dice, con un accenno di sorriso dipinto sulle labbra.
I suoi occhi si socchiudono, liberando la luce smeraldina proiettata dai suoi iridi.
“Sembra proprio che non te la stia cavando proprio alla grande, vero, dottore?”
Io esito e una fitta mi colpisce nel basso ventre. Stringo i denti, avvolgendo le dita attorno alla ferita che continua a pulsare. Un rivolo di sangue mi scorre tra la mano irrigidita.
Braginski piega la testa di lato, socchiudendo le palpebre davanti agli occhi offuscati dalla confusione. Kirkland non sembra preoccuparsi della sua presenza, e alza un palmo della mano verso l’alto, sollevando le sopracciglia.
“Avevo intuito che le cose si stessero complicando, quando le persone hanno smesso di uscire, pur mancando ancora delle stanze. Ma, sul serio, non pensavo stessero andando così male.” Dice, con un sorrisetto sarcastico.
Feliciano solleva il naso verso l’alto, puntandolo sul viso di Kirkland. L’ ombra dell’inglese lo ricopre quasi del tutto.
Io mi mordo un labbro. “Come… come sei…”
“Come hai fatto a tornare qua?!” Esclama Gilbert al mio fianco.
Gilbert si appiattisce ancora di più sulla parete, schiacciando il capo tra le spalle sollevate. Piega un angolo della bocca verso il basso, e le labbra iniziano a tremare.
Deglutisce a fatica un boccone di saliva. “Tu… tu non puoi essere reale. No, non puoi. È un’allucinazione.”
Scuote la testa e un’ondata argentea gli attraversa i capelli. “Come hai potuto… come hai potuto materializzarti così all’improvviso, eh? Spiegamelo!”
Kirkland inarca le sopracciglia e una palpebra si abbassa sopra un’iride.
“Esattamente allo stesso modo con cui sono sparito prima.” Risponde con un ghigno.
Gilbert sibila qualcosa tra i denti e china lo sguardo, inquadrando le sue stesse gambe tremanti stese sulle piastrelle.
“Non… non è una risposta.” Conclude.
Io aggrotto la fronte e sollevo di nuovo gli occhi su Kirkland, abbagliato dal neon che avvolge l’intera cella. Un’altra fitta mi morsica il busto, ma io arriccio il naso, soffocando il dolore tra i denti.
“Kirkland, tu prima sei sparito davanti ai nostri occhi.” Gli dico.
Sento un tonfo allo stomaco, così stringo la presa attorno al bacino. La macchia rossa si allarga anche sulla manica del camice.
“Mi spieghi perché lo hai fatto? E dove diavolo sei finito in tutto questo tempo, eh? Scommetto…” Deglutisco un boccone di saliva amara, sbuffando una soffiata d’aria dal naso. “Scommetto che anche la scomparsa di Jones è opera tua. Dico bene?”
Kirkland solleva un sopracciglio, appiattendo la bocca tra le guance lattee. Ruota gli occhi al cielo, arricciando le labbra in una smorfia infastidita. Le dita stringono attorno al suo busto, stropicciando la stoffa della divisa.
“Mi hai detto che potevo andarmene e l’ho fatto. Mi avresti fatto uscire in ogni caso, tanto valeva farlo a modo mio. Senza contare il fatto che…” Chiude le palpebre, aggrottando la fronte. Il naso si arriccia. “Senza contare il fatto che non mi sono mosso dal Welt. Sono rimasto nel corridoio esterno ad aspettarvi fino ad adesso. Francamente, non mi aspettavo che ci avreste impiegato tutto questo tempo.”
Socchiude un occhio, facendo scivolare un piede nudo sul pavimento di una manciata di centimetri.
“Ti avevo sopravvalutato, dottore.” Conclude, allargando un mezzo sorrisetto.
Io sbuffo una boccata d’aria e raddrizzo la schiena, appoggiando le spalle al muro. Sollevandomi, la ferita mi ustiona la pelle, come se ci avessero buttato sopra un pugno di sale. Sbianco in volto, un’ondata gelata mi travolge la fronte. I capelli iniziano a grondare di sudore e si scuotono sotto i tremiti che iniziano a correre attraverso i miei muscoli.
Deglutisco un conato di vomito, ricacciandolo nello stomaco.
“Sei stato… fuori fino ad adesso?”
Scuoto la testa e un leggero capogiro mi accerchia la fronte. “Come può essere? Hai fatto davvero tutta quella sceneggiata solo per questo? Per muovere tre passi dalla cella? È… è assurdo.”
Sto impazzendo. Sto seriamente impazzendo.
Kirkland sbuffa, aggrottando le sopracciglia. Solleva il naso al cielo, e mi osserva solo con la coda dell’occhio.
“Vuoi una prova? D’accordo, per cominciare…” Torna ad abbassare le palpebre. Un ghigno di rabbia gli fa tremare le labbra. “Per cominciare, Alfred ha già iniziato a fare lo spaccone con quel poveretto avvolto tra le coperte. Sta provando a farlo uscire in tutti modi, ma credo che lo stia solo spaventando ancora di più. Poi quel… quel maledetto francese ci ha già provato con me almeno quattro volte.”
Socchiude un occhio, ruotando la pupilla al cielo. “No, cinque volte. Poi lo spagnolo è insopportabile, non fa altro che parlare, parlare e parlare. Ho preso in seria considerazione l’idea di cucirgli la bocca, ma non ho trovato ago e filo. Ah, poi…”
Abbassa lo sguardo su Feliciano, piegando gli angoli della bocca all’ingiù, quasi toccandosi il mento.
“Tuo fratello è un idiota. Ecco, vi basta come prova?”
Io resto ammutolito, con la bocca mezza spalancata e le palpebre sgranate davanti agli occhi. Mi inumidisco la labbra, sbattendo le ciglia un paio di volte.
“Ecco, credo di sì.” Dico.
Inarco leggermente il collo di lato e aggrotto un sopracciglio. C’è ancora qualcosa…
“Un momento. Il tuo tempismo è stato fin troppo azzeccato. Sei comparso proprio quando…”
“È stato lo sparo.” Risponde Kirkland, tornando serio all’improvviso. “Lo sparo mi ha fatto capire che qualcosa evidentemente stava andando per il verso sbagliato. Ho calcolato il numero della cella in base alle persone già uscite e mi sono materializzato qui.”
“No, Kirkland, non può essere stato lo sparo.” Sbotto, aggrottando la fronte.
Ci avevo già pensato, cosa credi?
Mi inumidisco le labbra, assottigliando lo sguardo.
“Le celle sono tutte insonorizzate, non avresti potuto percepire nemmeno l’esplosione di una bomba, dal momento che siamo sigillati qua dentro. Dal corridoio, poi, è ancora più improbabile.”
“Non ho detto di aver sentito lo sparo, infatti.” Mi risponde lui, inacidendo il tono.
Kirkland arriccia il labbro superiore, infastidendosi di nuovo.
“Ho solo detto che lo sparo mi ha fatto intuire la presenza di un pericolo.”
Io sospiro a fondo. “E come saresti venuto a sapere dello sparo?”
Kirkland piega i lineamenti del viso, sciogliendo la pelle in un’espressione raccapricciata. Inarca un angolo della bocca verso il basso, socchiudendo le palpebre davanti agli occhi. La scintilla verde dei suoi iridi mi trapassa il cranio.
“Me l’ha detto un uccellino.”
Io e lui continuiamo a fissarci come se il mondo intorno a noi fosse svanito, dissolto nel nulla. Mi porto una mano sulla fronte – le dita scivolano sopra la pelle madida di sudore – e riesco a fatica a trattenere una risata.
Feliciano allunga il collo verso Kirkland e si porta i pugni vicino al petto. Si rizza nuovamente sulle ginocchia, e si trascina in quella posizione verso di lui. La sua schiena si allarga e l’ombra che si allunga sul pavimento si confonde con quella di Kirkland.
“Ma allora state davvero tutti bene. Anche Alfred! Meno male, ero davvero preoccupato!” Esclama.
Il viso di Kirkland torna a rilassarsi. Il fastidio che gli oscurava gli occhi si scioglie e lui getta lo sguardo di lato. Le palpebre si socchiudono, e la bocca si arriccia.
“Alfred sta meglio di tutti, credimi. Non ti devi preoccupare per lui.”
Ruota le pupille al cielo, sollevando la punta del naso al soffitto. “Non hai idea della fatica che ho fatto per convincerlo a rimanere fuori. Credo che si stia rodendo il fegato dall’invidia ma, per una volta…” Si appoggia un palmo della mano sul petto, gonfiandolo con aria fiera. “Per una volta, credo che non gli dispiacerà se sarò io a salvare la situazione. Mhm, sì, gli dispiacerà, ma non importa.”
Io traggo un profondo sospiro dalle narici. Il tremito cessa, e i muscoli tornano a rilassarsi. Stringo le dita attorno al camice zuppo di sangue, spremendo qualche goccia fuori dalla stoffa.
“Dunque, siete davvero tutti sani e salvi.” Abbasso lo sguardo, rilassando i lineamenti del viso. “Per fortuna, allora non è tutta una truffa. Siete vivi e reali.”
Un leggero sorriso mi accarezza le labbra. Dopotutto, non ero ancora riuscito a togliermi quel tarlo dalla testa.
“Ehm, scusate se interrompo la vostra piacevole chiacchierata.” La voce di Gilbert mi riporta alla realtà come una doccia gelata.
Faccio scattare il capo al mio fianco e lui mi squadra con due occhi imbronciati.
“Insomma, volendo vi avrei anche offerto un tè con i biscotti, poi ci saremmo lamentati delle code chilometriche alla cassa del supermercato, e del cassiere che è sempre così lento. Ma, in compenso, il fioraio diventa ogni giorno più gentile! L’ultima volta mi ha anche aggiunto tre fiori al mazzo senza farmeli pagare.”
Alza gli occhi al cielo, sospirando.
 “Eh, sì. Ci sarebbero davvero un sacco di cose da raccontarsi, in situazioni simili. Ma, posso ricordarvi che…”  
Il suo viso si stropiccia in un’espressione allucinata. Gilbert sgrana le palpebre, i suoi iridi scarlatti mi fulminano come scintille di fuoco. Solleva un braccio, e punta l’indice verso il centro della stanza, oltre Kirkland.
“Posso ricordarvi che c’è un pazzo bastardo con una pistola carica puntata su di noi?”
Mi scurisco subito in volto e getto lo sguardo nel mezzo della cella. Tutti mi imitano.
Braginski, per un attimo, esita. Poi, cala le palpebre davanti agli occhi, coprendo i riflessi viola che ci stavano spiando. Torna ad allargare il solito sorriso tra le labbra e la sua espressione ridiventa calma e pacifica.
“Perché vi preoccupare per me?” Domanda, inclinando la testa. La pistola è abbassata davanti al suo ventre. “Se ci sono molte persone a tenermi compagnia, io sono ancora più felice. Non dovete preoccuparvi.”
Una morsa gelida mi stritola il cuore. E non è per la ferita. Di nuovo quell’atmosfera ferma e cupa. Di novo quella sensazione appiccicosa che si attacca alla pelle.
Kirkland ruota i piedi sul pavimento, dandoci di nuovo le spalle. Stringe i pugni sui fianchi, e le spalle si irrigidiscono, allargandogli la schiena.
“Vattene, dottore.” Dice con voce ferma. “Ci penso io a tenerlo occupato in qualche maniera. Tu pensa ad uscire dalla cella e a raggiungere gli altri.”
Gilbert annuisce, inclinandosi verso l’uscita.
“Ottima idea.” Gracchia. “L’avevo proposta anch’io, ovviamente, ma sembra che qui nessuno mi dia…”
“Non posso uscire, Kirkland.” Sbotto, esattamente come avevo fatto prima con mio fratello.
Gilbert lascia ciondolare la testa tra le spalle e sospira con aria sconsolata. Kirkland e Feliciano si voltano. Feliciano si stringe un pugno vicino alla bocca, e aggrotta la fronte in uno sguardo di supplica. Gli occhi lucidi gli tremano. Kirkland inarca le sopracciglia, e sgrana le palpebre, incredulo.
Socchiude le labbra, ma l’aria è strozzata in mezzo alla sua gola.
“Ma… sei impazzito?” Mi chiede Kirkland, con voce acida.
Arriccia il naso, ruotando il busto verso di me. Il suo volto s’incupisce e le unghie affondano nella carne dei suoi palmi.
“Guarda come sei ridotto. Quanto credi di resistere, conciato in quel modo? Smettila di atteggiarti e scappa, prima di schiattare sul serio.”
Io scuoto la testa, strizzando le palpebre fino a che il bianco non inizia a lampeggiare davanti ai miei occhi.
“Mancano ancora dei pazienti da esaminare, Kirkland.” Ho alzato il tono. “Non posso andarmene e lasciarli qui. Con voi tutti non mi sono arreso e ora siete liberi. Non posso mollare, capisci?”
“No, non ti capisco, dottore!”
Riapro gli occhi, riprendendo a respirare profonde boccate d’aria. Kirkland aggrotta le sopracciglia, squadrandomi con occhi duri e severi.
“In tutti questi anni…” Mi dice con tono acido. “In tutti questi anni non hai mosso un dito per migliorare la situazione. Abbiamo aspettato una tua qualche reazione, chiusi in quelle maledette celle per Dio solo sa quanto.”
Si fa scuro in volto, i suoi occhi mi sotterrano.
“Ma tu niente. Eri morto più di noi, dottore. Oggi, però, di punto in bianco, decidi di evacuare in tutta fretta questa baracca, sbattendoci fuori uno per uno.”
“Questo l’ho notato anch’io.” La voce di Braginski si intrufola, placando l’ira di Kirkland.
Il giovane inglese si volta di scatto, ma Braginski ruota gli occhi violacei su di me, mantenendo quell’aria serena, anche se il sorriso è sparito.
“Anche secondo me il dottore ha qualcosa di diverso, oggi.” Prosegue. “Non so cosa gli sia preso, ma non mi piace proprio.”
Kirkland esita, e un soffio di paura attraversa per un attimo il mio cuore. L’idea di un’alleanza da parte dei pazienti per vendicarsi su di me s’intrufola come uno schifoso insetto nel mio cervello, ma svanisce quasi subito.
Kirkland sbuffa, e torna a cingersi i fianchi con entrambe le mani. Getta lo sguardo di nuovo verso di me, ma i suoi occhi non minacciano più di tagliarmi in due.
“Sì, non so cosa ti sia preso oggi. Francamente, scusa se te lo dico, ma dubito che tu stia facendo questo solo per il nostro bene.” Sbotta, secco e schietto come al solito.
Io non mi scompongo. Rimango a fissarlo, senza variare espressione. Kirkland ricambia il gesto.
“A cosa stai puntando davvero, dottore? Perché lo stai facendo?”
Allunga il collo verso di me, e la frangia gli ondeggia davanti alla fronte.
“Qual è il vero motivo delle nostre liberazioni? Perché è così importante che le celle siano vuote?”
Un pugno mi centra in pieno lo stomaco. Tutti mi osservano, tutti si aspettano una valida giustificazione. Mi guardo intorno, ad occhi bassi. Già, ora mi sento io, il pazzo inquisito.
Socchiudo le labbra, anche se non so cosa uscirà dalla mia bocca.
“Io…”
Il cervello inizia a friggere.
La stanza numero nove… complotto… Feliciano… la numero nove… la numero nove… nove…!
“Io devo…”
Un colpo fredda le mie parole. Un tonfo batte sulla porta blindata, sprigionando un eco metallico che rimbalza tra le pareti.
Tutti ci voltiamo. Kirkland scatta all’indietro, e la pelle dei suoi piedi nudi singhiozza sul pavimento.
“Ma… ma che…” Mormora Kirkland con voce impastata.
Un altro colpo tuona sull’entrata.
Solo ora realizzo quello che sta succedendo. Una vampata di caldo mi travolge.
Ruoto lentamente il capo verso Gilbert, il collo sembra essersi arrugginito sulle spalle.
“Gilbert…” Lo chiamo, con il cuore in gola.
Lui si volta, e il suo viso è sbiancato come un lenzuolo. Socchiude la bocca, le labbra gli tremano.
“Gilbert… hai chiuso la numero otto?”
Le sue palpebre si spalancano, una goccia di sudore gli rotola a fianco del naso. Gli iridi si rimpiccioliscono, quasi divorati dal bianco dell’occhio.
“Io… io forse ho…” Deglutisce, piegando le labbra in un lamento. “Forse ho sbagliato chiave per la fretta di uscire. E forse la barriera potrebbe… potrebbe essere rimasta aperta.”
Mi abbandono sulla parete, il mio viso si distende in un’espressione rassegnata. Soffoco una risata nel petto, e la schiena si sfrega sul muro, scossa dallo spasmo delirante che mi attraversa ogni fibra del corpo.
La bocca mi si piega in un sorriso sadico, malato.
“Siamo fottuti.”       
 
 
Cella #8
Paziente: Natalia Arlovskaya
 
I colpi continuano a rimbombare sulla porta, alternandosi ai battiti dei nostri cuori che martellano nel petto. Mi porto due dita sulla fronte, premendo le tempie. Le vene pulsano sotto i miei polpastrelli.
Braginski abbassa la pistola, e ritira il gomito su un fianco. La sua maschera scura si scioglie, i lineamenti del viso si contorcono in un’espressione angosciata. Inarca le sopracciglia, gli angoli della bocca si piegano verso il mento.
“Là fuori…”
Solleva le spalle, come sperando di nascondersi. Arretra di un passo e la sua ombra scopre la figura china di Feliciano.
“Là fuori c’è Natalia?”
Un altro colpo, ma questa volta è più forte.
Gilbert si nasconde il capo tra le braccia, guaendo come una cane. Ha ripreso a tremare, e la paura gli ha mangiato la lingua. Meglio così.
Anche Kirkland arretra, ma i suoi occhi sgranati non smettono di fissare l’entrata. Sembra quasi che la porta debba crollare da un momento all’altro.
Kirkland deglutisce.
“Dottore, quanto… quanto è pericolosa?” Mi domanda con voce impastata.
Io sollevo gli occhi su di lui. Anche Feliciano ha ripreso a tremare come una foglia. Si è accasciato di nuovo sul pavimento, gettando tutto il peso sulle gambe piegate sotto di lui. Si porta le mani davanti al viso, chiudendole a pugno.
Io sospiro.
“Parecchio.” Rispondo a Kirkland. “Come ho già detto prima, lei è decisamente la paziente più pericolosa e incontrollabile del Welt. Ancora di più rispetto a com’era Lovino Vargas prima della cura.”
I miei occhi tornano a cadere su Braginski, che si sta lentamente portando vicino al muro. Il suo sguardo vacilla.
“La nostra posizione non è delle migliori, considerando con chi stiamo avendo a che fare.” Proseguo, aggrottando la fronte. “Ma se dovessimo finire nelle mani di Arlovskaya, cadremmo dalla padella nella brace. Ne sono certo.”
Kirkland resta ammutolito. Il suo corpo s’irrigidisce, si pietrifica nel bel mezzo della cella numero sette.
Gilbert solleva la testa di scatto.
“Ehi, un momento…” Esclama.
Io mi volto verso di lui. Il suo viso è ancora stropicciato, ma un sorriso sadico gli deforma le labbra. Gilbert alza gli occhi verso Kirkland.
“Tu puoi portarci fuori. Vero, Inglese? Ma sì, proprio come hai fatto prima con lo yankee. Trasportare qualche persona in più non dovrebbe essere un problema.”
Kirkland stringe i denti e i suoi occhi tornano a posarsi sui suoi piedi. I pugni si serrano attorno ai suoi fianchi.
“No, non lo sarebbe.” Risponde con tono acido.
Fa lentamente roteare le pupille su di me. I nostri sguardi si incrociano.
“Ma qualcuno non vuole darmi retta. Io potrei andarmene di qui e portarvi tutti in salvo letteralmente con uno schiocco di dita. Ma se il dottor Beilschmidt ha deciso che farsi ammazzare costituisce la scelta migliore, allora non posso farci niente.”
Incrocia le braccia sul petto, alzando il mento. I suoi occhi non si schiodano da me.
“Non ho ancora messo a punto un incantesimo per i testardi.”
Io mi lascio scappare un sorrisetto sarcastico. Mi stringo la mano attorno alla ferita –ormai non fa più tanto male, ha anche smesso di sanguinare – e ricambio lo sguardo fermo.
“Rilassati, Kirkland.” Gli dico. “Ho tutto sotto controllo.”
Il suo viso sprofonda nel panico. Kirkland si fa d’improvviso scuro in volto, una rapida ma profonda scossa di terrore gli trapassa gli occhi. Le sue labbra si schiudono, ma la sua bocca resta muta. Lo sguardo di Kirkland cade sulla mia mano insanguinata avvolta attorno al camice zuppo, tinto di rosso.
Che gli prende? Penso, alzando un sopracciglio. Eppure si è accorto fin da subito della mia ferita. Perché mi fissa in quel modo?
“G-già…” Sibila con un filo di voce.
Quella sua faccia mi trapassa il cranio come una freccia rovente. Io l’ho già vista.
“Si vede, infatti.” Continua lui.
Sgrano gli occhi, e il ricordo del viaggio nella mente di Jones mi torna a girare intorno alla fronte come una pellicola. Ecco dove.
Scuoto la testa, cacciando via i vecchi fantasmi.
“Ascolta, Kirkland.” Gli dico, ma un altro colpo m’ interrompe.
Riprendo fiato. “Non pensi anche tu che ci sia qualcosa di strano?”
Il volto di Kirkland riprende il solito colorito. I suoi occhi tornano a brillare della loro solita luce verde, colpiti dal riverbero delle lampade.
Io alzo un braccio, puntando l’indice contro Braginski che si sta trascinando ai piedi della parete.
“Insomma, guarda quello che sta succedendo.” Continuo. “Ti sembra normale un comportamento del genere? Ha una pistola in mano, eppure è quasi più spaventato di noi. È chiaro che…”
Ruoto gli occhi verso Braginski, ma lui non smuove lo sguardo tremante dalla porta.
“È chiaro che ci sia qualcosa sotto.”
Kirkland arriccia il naso. I capelli biondi gli ondeggiano sulla fronte e lui li scuote di lato con un gesto del capo.
“Francamente, non mi interessa. Ma, tralasciando questo fatto…” Le sue palpebre si abbassano. “Cosa pensi di fare per risolvere la situazione? Questi due sono uno più pericoloso dell’altro. Anche volendo, come intendi avvicinarli per poter utilizzare quel tuo… aggeggio?”
Io lascio vagare lo sguardo nel vuoto per qualche secondo. Inarco le sopracciglia, e i denti affondano nel labbro inferiore. Rilasso la schiena sulla parete e appoggio una mano sulla gamba, avvolgendo le dita attorno al ginocchio.
Traggo un profondo respiro, assorbendo l’aria pesante e umida della cella numero sette in ogni fibra del mio corpo. Contraggo la pancia, la mano stretta attorno alla ferita, e mi rialzo con un unico scatto. Striscio sulla parete, piegandomi in due per le fitte lancinanti. La fronte riprende a lacrimare sudore gelido.
Feliciano si allarma e si rizza sulle ginocchia. I suoi occhi si sgranano, le pupille vacillano.
“Ah, Ludwig, non…”
“Apri la porta, Gilbert.” Dico con voce ferma.
Lui e Kirkland spalancano le palpebre, fissandomi come se avessi appena ordinato loro di gettarsi tra le braci dell’inferno. Gilbert deglutisce e si sporge in avanti, alzando il naso verso di me.
“Ma… cosa stai…” Si porta due dita su una tempia, iniziando a martellarla. “Ti si è forse fottuto il cervello, Ludwig? Hai idea di quello che…”
“Sì, ce l’ho.” Sbotto io, fulminandolo con una sola occhiata. “E ora ti dico che dovete fidarvi di me.”
La porta continua a tremare, le pareti vicino all’architrave vibrano. L’eco metallico dei colpi rimbomba tra le pareti.
 
Gilbert stringe le dita attorno alla ruota metallica. La pelle sudata gli fa scivolare la mano verso il basso. Serra i denti, e aggrotta la fronte, immerso nel rimbombo che continua a colpire la superficie della porta. Gilbert mi lancia un’occhiata fulminea da sotto la fronte imperlata di sudore.
“Vado?” Mi domanda.
Kirkland arretra di qualche passo, lasciando Feliciano da solo nel mezzo della cella. Quando se ne accorge, sgattaiola anche lui vicino alla parete, accasciandosi ai miei piedi. Feliciano si raggomitola vicino a una mia gamba, nascondendo il viso dentro alla stoffa dei pantaloni.
“Ho paura, Ludwig.”
Io continuo a guardare Gilbert, che è sempre in attesa di un mio ordine. Kirkland mi si avvicina, ma senza incollarsi al muro.
“Ehi, credi che sia una buona idea?” Mi domanda, senza cercare il mio sguardo.    
Io lancio un’occhiata a Braginski. Lui si stringe le spalle, accoccolandosi sul fondo della parete. Le palpebre chiuse e il sorriso sulle labbra tremano, mille spasmi gli divorano l’intero corpo. Braginski scuote la testa.
“Io non credo affatto che sia una buona idea.” Dice.
Lo sguardo mi cade al suo fianco. Le sue braccia si stringono attorno alle gambe richiamate al petto. Questo suo atteggiamento mi fa ricordare un po’ Feliciano. Vicino ai suoi piedi, la pistola scintilla sotto la luce della lampada. È abbandonata sul pavimento come un giocattolo rotto.
Io inarco le sopracciglia.
“Assolutamente.” Rispondo a Kirkland, ignorando le parole di Braginski.
Volto il capo, tornando ad incrociare lo sguardo con quello di Gilbert.
“Aprila.” Gli ordino.
Lui annuisce e la ruota comincia a cigolare, cedendo sotto il suo tocco. Gli ingranaggi scattano e Gilbert strozza un gemito tra i denti. Nessuno osa muoversi.
Gilbert inarca le spalle e inizia a muovere i piedi sul pavimento, le sue mani sono ancora salde attorno alla ruota dentata. La porta striscia sul suolo, nascondendo mio fratello con la sua ombra. Un minuscolo spiraglio lascia entrare un raggio di luce dal corridoio esterno. 
L’ombra scura di una mano va subito a coprire il riflesso bianco. La sua ombra. La sagoma nera di Natalia Arlovskaya si sporge sulla cella numero sette. Lascia strisciare una mano sul pavimento bianco, la sua pelle lattea quasi si confonde con le piastrelle. Un braccio si alza e lei stringe le dita attorno alla porta. La mano scivola, facendole cadere le spalle verso il basso. Una cascata di capelli color platino si scuotono davanti al suo capo chino, le punte spettinate sfiorano il pavimento.
Nella stanza cala un silenzio tombale. Feliciano deglutisce e quell’unico suono mi fa tremare il timpano. La porta si avvicina di più al muro, lentamente, e Gilbert lascia che l’entrata metallica lo nasconda nell’angolo della parete.
Un debole mormorio giunge da sotto la chioma di Arlovskaya, ma è incomprensibile.
Con la coda dell’occhio vedo Braginski farsi sempre più piccolo sotto il muro. Le ginocchia della ragazza iniziano a strisciare sulle piastrelle, e il debole suono della stoffa della divisa che si sfrega si sovrappone ai nostri sospiri.
La sua mano si solleva dal pavimento, le dita sottili tendono verso Braginski. Una ciocca di capelli le scivola giù da un braccio.
“Fratello…” La sua bocca rigurgita un gorgoglio cavernoso, che striscia come una viscida serpe fino a Braginski.
Il corpo del ragazzo lancia un tremito, e la sua testa si nasconde ancora di più tra le braccia incrociate attorno alle gambe.
Arlovskaya solleva la fronte, i capelli le scoprono il viso, cadendole dalle spalle. I suoi profondi occhi blu emanano fulminei riflessi violacei che saettano verso il fondo della cella. Le sopracciglia si sollevano, e i bulbi s’infossano dentro alle palpebre. Un’ombra scura cala sul suo viso, che potrebbe davvero essere qualcosa di grazioso, facendolo diventare una pesante maschera di follia. Le labbra si piegano verso l’alto scoprendo i denti, bianchi e lisci come porcellana.
“Fratello mio, ti ho ritrovato!” Di nuovo quella voce che scivola dalle sue labbra.
Si raggomitola, spingendo tutto il peso sulle gambe piegate sul pavimento. La divisa del Welt le fascia la vita, sottile e minuta, ma i pantaloni sono decisamente troppo larghi per le sua gambe sottili.
Arlovskaya scatta, lanciandosi verso Braginski come un animale in caccia. Le dita si arricciano verso i palmi, come artigli. Le unghie, per precauzione, sono limate. Non avrei mai potuto lasciarla con quelle armi a portata di mano, letteralmente.
“Fratello!” Urla di nuovo, ma Braginski si sposta dalla parete, rotolando verso l’angolo accompagnato da un urlo.
Arlovskaya dilania lo sguardo, e il suo sorriso si allarga. Gli angoli delle labbra sfiorano i lobi delle orecchie. La sua testa ruota lentamente verso il fratello. Quando i loro sguardi s’incontrano di nuovo, lui geme, riparandosi con le braccia.
“S-stai… stai lontana.” Le dice con voce tremante.
Arlovskaya si torna a piegare sul pavimento e allunga il collo verso di lui. Una ciocca di capelli le cade davanti ad un occhio, finendole sulle labbra.
“Ti ho trovato, fratello. Vieni da me, vieni da me, vieni da me.”
Lui inizia a gattonare sul pavimento, costringendo Kirkland a spostarsi. Il giovane inglese scatta di lato, guardandola come uno scarafaggio appena uscito dal mobile della cucina. Feliciano si stringe attorno alla mia gamba, affondando il viso nella stoffa dei pantaloni.
“Ludwig…”
“Stai tranquillo.” Gli rispondo con voce ferma.
Aggrotto la fronte, ammirando i salti mortali dei due fratellastri.
Sembrano proprio due bambini che giocano. Se non fosse per quelli sguardi… Penso, quasi divertito.
Butto la coda dell’occhio alla mia sinistra. Gilbert sta ancora tremando come un coniglio, dietro alla porta. Non ci darà fastidio per un po’.
Braginski riesce a sfuggire agli agguati della ragazza, ma cade sul pavimento strisciando come un verme verso di me. I piedi nudi spingono sulle piastrelle, facendole singhiozzare. Una sua gamba sfiora i cavi del Transfert, ancora abbandonato a terra.
Quando Braginski si avvicina a Feliciano, lui emette un altro gemito, e si annoda attorno alla mia gamba come un cucciolo di koala.
“Ludwig, Ludwig, Ludwig, Ludwig, …”
“Dottore, potrebbe…” La voce morbida e calma di Braginski interrompe il suo pianto isterico.
Braginski solleva le spalle, alzando il naso verso di noi. Solleva le sopracciglia sopra le palpebre chiuse, e il suo sorriso vacilla un paio di volte.
“Dottore, potrebbe rimetterla dentro?” Mi domanda.
L’ombra della sorellastra si allunga su di lui. Braginski ruota il capo all’indietro, lasciandosi travolgere da quell’oscurità.
“Fratello…” Continua Arlovskaya, con la tenebra negli occhi.     
Lei allarga le braccia sui fianchi e si getta di peso sulla schiena del fratellastro, avvinghiandosi a lui. Braginski lancia un urlo acuto e si accascia al suolo, ma Arlovskaya non fa nient’altro. Il suo viso viene nascosto dalla massa di capelli platino, quasi bianchi sotto la luce del neon. Braginski si volta, scivolando attorno al suo abbraccio, e la ragazza affonda il viso dentro al suo petto.
Lui trema e prova a muovere le dita delle mani, bloccate sui suoi fianchi dalle braccia di Arlovskaya.
Feliciano solleva una palpebra, puntando l’occhio verso di loro, e smette di tremare. Anche Kirkland rilassa le spalle e riprende a respirare, sciogliendo il groppo che gli intasava la gola.
Io inarco le sopracciglia.
“È strano…” Dico, spaccando il silenzio glaciale che aleggia nella cella.
Braginski ruota il capo verso di me con un gesto arrugginito. È sbiancato in volto, e i capelli gli si sono incollati sulla fronte grondante di sudore.
“… perché non ci uccidete?” Concludo, e sento Feliciano buttare giù un boccone di saliva.
Arlovskaya non si muove, ma le sue braccia stringono attorno al busto del fratello, e le dita affondano nella stoffa della divisa.
“Anzi…” Proseguo. “Perché non vi state uccidendo tra di voi? Siete entrambi pericolosi assassini.”
Braginski forza il sorriso sulle labbra e alza le spalle vicino alla testa.
“Io non ho mai detto di volerla uccidere. Le ho solo chiesto di tenerla lontana da me.” Ruota il capo verso di lei. “E credo che nemmeno Natalia voglia uccidermi, ma non mi piace comunque l’idea di averla avvinghiata a me in questa maniera. È fastidiosa.”
Io sospiro, e un’altra fitta mi colpisce il fianco. Resisto.
“Ma allora perché vi siete macchiati di tutti quei crimini? Insomma, dovreste sapere cosa vi frulla in testa. Tu …” Riprendo aria, il dolore mi mozza il fiato. “Tu dovresti sapere perché lei agisce in questa maniera. Insomma, guardala…”
Apro il palmo della mano verso l’alto, ruotando il braccio verso Arlovskaya.
“Non è mai stata così docile in anni e anni di terapie.” Aggrotto la fronte, arricciando le labbra. “Che cosa sta succedendo, Braginski?”
Lui agita le dita, irrigidendole a mezz’aria. Poi, scuote la testa.
“Non lo so, dottore. È sempre stata così.” Socchiude un occhio, senza smettere di sorridere. “E anch’io.”
Lo sguardo mi cade sul Transfert, come se il mio cervello sapesse già che è arrivato quel momento. Kirkland mi precede, muovendo qualche passo verso di me.
“Ehi, hai intenzione di usare il connettore?” Mi domanda con tono acido.
Sento la porta cigolare, e la figura di Gilbert torna a comparire da dietro la superficie metallica. Resta in silenzio, per fortuna, limitandosi ad osservare quella scenetta da teatrino.
Io aggrotto le sopracciglia e arriccio le labbra. “Sì, è chiaro che ci siano parecchi punti da mettere in chiaro. Ma…”
Un’altra morsicata mi lacera il fianco. Strozzo un gemito tra i denti e strizzo una palpebra davanti agli occhi lucidi dalla sofferenza.
“Ma io non potrò farlo. Sono debole, e ho appena smesso di perdere sangue. Il Transfert è un processo che consuma parecchia energia, sia in me che lo utilizzo, sia nel paziente. Sarebbe troppo rischioso per me.”
Ruoto inconsciamente la pupilla di nuovo verso Gilbert. Lui scatta sul posto e incrocia le mani davanti al viso, dilaniandomi con una sola, gelida occhiata.
“Scordatelo, Herr Doktor. Non mi rimetterò mai più quell’affare.” Gracchia con una smorfia di disgusto.
Feliciano mi strattona delicatamente la stoffa dei pantaloni.
“Ludwig, sei vuoi…” Sibila.
Io abbasso lo sguardo su di lui.
“Se vuoi posso provarci io. L’ho già fatto con Kiku, non sarà difficile.”
Io scuoto la testa.
“No, purtroppo sia Braginski che Arlovskaya hanno due menti fin troppo forti. Niente a che vedere con quella di Kiku. Se tu…” Proseguo, indurendo lo sguardo. “Se tu provassi a connetterti con uno di loro, ho paura che le loro personalità potrebbero avere il pieno sopravvento sulla tua, fin troppo docile. Sarebbe rischioso anche per la tua incolumità, Feliciano.”
Lui s’intristisce, e torna ad abbassare gli occhi sui suoi piedi.
“Ah, ho capito.”
Io ruoto gli occhi verso Kirkland. Ha un sopracciglio inarcato, e le mani premute sui fianchi. Il naso rivolto verso il due fratelli abbracciati al suolo.
“Kirkland, se tu…”
“Non provarci, dottore.” Mi interrompe, secco.
Kirkland scuote la testa, senza distogliere lo sguardo dal basso.
“Non ho la benché minima intenzione di immischiarmi nei tuoi affari, dottore. La risposta è no.”
Io sospiro, sconsolato.
“Già, avrei dovuto immaginarlo.”
Braginski prova a muoversi sotto la presa della sorella, strisciando sul pavimento e agitando le braccia. Lei lo blocca, spingendo la testa sotto il suo mento e attanagliandogli il bacino con le dita arcuate.
“Sentite, e se…” Dico, aggrottando la fronte.
Kirkland alza finalmente gli occhi su di me.
“E se provassimo a connettere loro due? Braginski è stato il primo a dire che non comprende i sentimenti e i modi della sorella. Magari la risposta è proprio questa: fare in modo che si capiscano tra di loro. Certo…”
Abbasso le palpebre e riprendo fiato. La mano non smette di fare pressione sul fianco.
“Come ho detto prima, entrambi hanno delle mentalità forti. C’è quindi la possibilità che i ricordi saltino dalla testa di uno a quella dell’altra e viceversa. In pratica, ci sarà un contrasto, una lotta. Braginski si troverà a vivere i ricordi della sorella, e Arlovskaya quelli del fratello. È solo un’ipotesi, ma sono abbastanza sicuro di quello che dico.”
Kirkland arriccia il naso. I suoi occhi ruotano al cielo.
“Quindi, speri che tutto si risolvi così, prendendo due piccioni con una fava, dottore?”
Io annuisco deciso.
“Esatto. È un azzardo ma… abbiamo provato di tutto con quell’arnese. Tanto vale continuare gli esperimenti.”
Kirkland abbassa la fronte, e il suo sguardo si incrocia con il Transfert. Una scintilla gli trapassa gli occhi.
“E allora facciamolo.”
   
 
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